La
frizione: ieri, oggi L’esigenza
innata nell’uomo di sperimentare e scoprire, ha portato nel corso della storia
a superare sempre nuovi limiti, raggiungendo non senza difficoltà traguardi
inaspettati. Basti
pensare, che le progenitrici delle attuali moto che corrono nei GP, erano
biciclette con il telaio in legno. Nel
gennaio del 1885 l'industriale inglese John Kemp Starley presenta la prima
bicicletta moderna, con i pedali che trasmettono il moto alla ruota posteriore
tramite una catena. È il primo passo verso la motocicletta, che infatti non si
fa attendere: il 10 novembre dello stesso anno un ragazzo di nome Paul compie i
primi metri con una bicicletta spinta da un motore a scoppio della
“straordinaria” potenza di mezzo cavallo. Il cognome del ragazzo era Daimler,
ed era figlio di quel Gottlieb l'inventore della motocicletta e uno dei padri
dell’automobile. La prima moto in realtà era un mezzo un po' rudimentale, per
certi versi antiquato anche per i canoni dell'epoca. Il telaio e le ruote erano
di legno con battistrada di ferro, quando già si usavano comunemente telai di
metallo e ruote di gomma: il primo passo era stato fatto: un motore aveva mosso
per la prima volta un mezzo a due ruote. Dopo
oltre un secolo la moto è ancora fatta di telaio, motore e trasmissione e
chiunque può riconoscere nel prototipo di Daimler la sua diretta antenata e
propone innovazioni tecnologiche insospettabili. Un
tipico esempio di componente sul quale la ricerca non si è mai interrotta è la
frizione:
In
principio l’esigenza della frizione non era sentita, visto che le basse
potenze in gioco e i pesi contenuti non richiedevano la presenza di un cambio di
velocità: era presente un solo rapporto collegato in presa diretta con il
motore che richiedeva l’avviamento a spinta di
un cambio di velocità che permettesse di raggiungere la coppia necessaria
all’avviamento.
Diverso discorso occorre fare per gli autoveicoli: dotati di
peso superiore,necessitavanoIlIl
Il problema era che questi cambi di velocità, avvenivano tramite cinghie di
cuoio che attraverso leveraggi venivano spostate su pulegge di diametro diverso,
permettendo la realizzazione di rapporti di marcia differenti adatti alle
condizioni di moto del veicolo.
Naturalmente,
essendo motore e trasmissione erano sempre solidali, i problemi d’avviamento
erano solo parzialmente risolti. L’evoluzione
tecnologica ha permesso di raggiungere potenze e coppie ragguardevoli
richiedendo l’adeguamento di tutta la componentistica, in particolare del
gruppo frizione cambio. Una
delle caratteristiche fondamentali del motore a scoppio,infatti,è quella di
funzionare regolarmente e di erogare una buona potenza soltanto in una gamma più
o meno ristretta di regimi di rotazione. Nel caso di un veicolo a motore, questo
comporta dei problemi nel partire da fermo o nel riprendere da bassa velocità.
In pratica può accadere che, se il rapporto di trasmissione è studiato in modo
da mantenere un corretto regime del motore a una velocità sostenuta, questo
stesso rapporto non consente una marcia regolare a bassa velocità per
l’eccessivo abbassamento del regime del motore. Per contro un rapporto
adeguato a una bassa velocità impedirà al veicolo di marciare a velocità
sostenuta, se non a costo di proibitivi e pericolosi regimi di rotazione del
motore. Da ciò nasce l’esigenza di un dispositivo capace di variare il
rapporto di trasmissione in funzione della velocità del veicolo. Il
problema è stato risolto con un metodo abbastanza rudimentale, che tuttavia non
ha subito sostanziali modifiche dalla sua prima comparsa Il
cambio meccanico di velocità è un meccanismo che modifica il rapporto di
trasmissione, attraverso una serie di ruote dentate che vengono alternativamente
collegate fra loro, così da ottenere diversi rapporti di riduzione. Il numero
dei rapporti, o come si dice correntemente marce, può variare in quanto dipende
dalle esigenze di marcia del veicolo, dal tipo di motore adottato o, anche, da
semplici questioni di economia. Per
molto tempo, vennero adottati dei semplici cambi a due o a tre velocità, ossia
una con elevato rapporto di riduzione per facilitare la partenza, una velocità
per la marcia normale ed eventualmente un rapporto intermedio che, nei modelli
più veloci, compensava una eccessiva differenza fra i due rapporti estremi. Il
numero così limitato di rapporti al cambio è motivato da diverse ragioni.
Innanzitutto il costo e l’impegno costruttivo richiesti da un meccanismo
relativamente complesso. In secondo luogo, la grossa cilindrata e la bassa
potenza dei vecchi motori conferivano loro una notevole elasticità di marcia e
quindi determinavano l’inutilità di un numero elevato di rapporti molto
avvicinati. Vi
era poi un aspetto squisitamente pratico, legato all’impegno richiesto per
effettuare la manovra di passaggio
da una marcia all’altra; la scarsa precisione del comando, unita alla durezza
e alla fragilità delle frizioni dell’epoca, rendeva la manovra lunga,
delicata e, in definitiva, avere a disposizione un maggior numero di marce
comportava una guida più faticosa, senza aumento delle prestazioni. A
veicolo fermo era necessario introdurre qualcosa che permettesse di separare il
motore dalla trasmissione: nacque la frizione.
Grazie
ad essa era possibile portare il motore ad un regime di rotazione
sufficientemente elevato tale da garantire la coppia necessaria alla partenza
portando gradualmente e senza strappi albero motore e primario del cambio alla
stessa velocità di rotazione
e sfruttano,
come vedremo, lo slittamento di alcuni componenti. Le prime frizioni adottavano una
superficie conica, ricavata nel volano, contro cui faceva presa un cono con la
superficie in cuoio, spinto da una grossa molla elicoidale coassiale
all’albero.
Queste primitive frizioni erano brutali nell’innesto, ma
vi erano delle ragioni pratiche che giustificavano questo schema: la superficie
d’attrito era disposta alla maggior distanza possibile dal centro di rotazione
e la differenza fra il massimo e il minimo raggio era molto piccola. Questi sono
gli aspetti essenziali nella progettazione di una frizione, perché una
superficie vasta permette di dissipare più in fretta il calore sviluppato
dall’attrito; una vasta area e un grande diametro permettono di trasmettere
una coppia maggiore, e la ridotta differenza fra i diametri esterno e interno
delle zone di attrito riduce al minimo le differenze di usura fra le varie zone.
Fra
le controindicazioni rientrano il maggior peso di una frizione di grande
diametro, le maggiori sollecitazioni dovute alla forza centrifuga sui suoi
componenti e la maggiore inerzia di rotazione. Quest’ultima fa sì che
l’albero condotto ruoti a una velocità solo di poco inferiore a quella del
motore dopo il disinnesto e rende difficoltoso il cambio di velocità. Prima
degli anni trenta era abbastanza comune trovare un sistema di frenatura della
frizione sulle vetture sportive: un freno meccanico che faceva contatto con la
parte condotta a frizione disinnestata per fermarla rapidamente.
In
seguito lo sviluppo si concentrò sul perfezionamento della frizione monodisco, in
cui la parte condotta è un disco ricoperto d’ambo i lati con materiale
d’attrito premuto con delle molle tra due superfici (la superficie del volano
e il piatto spingidisco) che costituiscono un gruppo unico. Fino agli anni
cinquanta vennero usate anche frizioni con materiale di attrito a base di
sughero, che lavoravano immerse nell’olio,ma
ben presto vennero soppiantate dal tipo a secco, che adottava materiale
d’attrito a base d’amianto. In figura si può vedere l’immagine di una frizione, montata su vetture Daimler del 1930,caratterizzata da un ingranamento molto morbido in quanto il cambio di marcia era garantito dall’alta viscosità dell’olio circolante al suo interno In figura si può vedere l’immagine di una frizione, montata su vetture Daimler del 1930,caratterizzata da un ingranamento molto morbido in quanto il cambio di marcia era garantito dall’alta viscosità dell’olio circolante al suo interno
I
vantaggi sono la capacità di trasmettere coppie maggiori, una maggiore
resistenza agli alti regimi di rotazione e una inerzia inferiore;
l’inconveniente notevole è la tendenza dei vari elementi a restare in
contatto anche senza la spinta della molla. Normalmente il disinnesto della
frizione è comandato da un pedale, azionato dal piede sinistro del pilota,
collegato meccanicamente o idraulicamente a una leva a forcella che, attraverso
un cuscinetto reggispinta (in materiale antifrizione o grafite) provoca il
distacco del piatto di spinta dal disco frizione, vincendo la resistenza della
molla. Sono
stati sperimentati altri tipi di frizione, nel tentativo di ridurre lo sforzo al
pedale o addirittura
per eliminare il pedale stesso. Un tipo è la frizione centrifuga, in cui il
piatto non è premuto da una molla ma attraverso delle leve con dei contrappesi
che si espandono per effetto della forza centrifuga: è sufficiente accelerare
il motore, perché la forza centrifuga aumenti fino a provocare l’innesto
della frizione. Un altro tipo è rappresentato dalla frizione elettromagnetica,
nella quale l’elemento condotto è racchiuso in un tamburo contenente polvere
magnetica.
Facendo
passare corrente elettrica in un avvolgimento che circonda il tamburo, si crea
un campo magnetico che riunisce le particelle di polvere, impedendo qualsiasi
movimento relativo fra gli elementi. Sono stati utilizzati anche freni a nastro,
che bloccano all’esterno le corone di una serie di ingranaggi epicicloidali
(la corona, dentata internamente, circonda dei satelliti, che ingranano su un
singolo ingranaggio planetario o sole): bloccando la corona, gli ingranaggi
trasmettono il moto e si ottiene così l’accoppiamento.
Come
detto e come si evince dalla figura, per quanto riguarda le applicazioni
automobilistiche, la frizione, ormai da 120 anni, viene montata con un disco
solidale al volano e
con l’ altro calettato sul primario del cambio. Tra
i due dischi realizzati in acciaio da molle è interposto un unico disco
d’attrito di diametro variabile tra 120¸300
mm; diametri elevati assicurano elevatissima coppia trasmissibile anche ai bassi
regimi di rotazione, grazie all’elevato raggio medio che caratterizza la
coppia rotoidale di spinta. Perché
nelle applicazioni automobilistiche è universalmente adottata la soluzione
monodisco in luogo dei dischi multipli? La
risposta va ricercata nella sostanziale differenza tra le diverse geometrie e
funzionamento del motore che caratterizzano l’automobile e il motociclo : Autoveicolo:
Motociclo:
Questi
i motivi che hanno spinto i costruttori verso una strada quasi obbligata:
adottare una frizione multidisco per le motociclette ed una monodisco per le
autovetture. Ecco
perché la ricerca concentra le sue forze sullo sviluppo dei materiali sempre più
spinti e su soluzioni in grado di apportare notevoli miglioramenti senza
stravolgere lo schema di base. |
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