Monte San Leonardo - Sveti Lenart (m 399)
Carso triestino



L'ambiente:

PUNTI DI PARTICOLARE INTERESSE

1. Grotta Azzurra di Samatorza (VG 257)
Si apre in una piccola dolina ("Leskovska dolina" = Dolina dei Noccioli) con un ampio portale roccioso, largo una ventina dì metri, al quale segue un vestibolo con il suolo piuttosto sconvolto dall'intervento umano. Sul lato sinistro si supera il vestibolo per iniziare la discesa in una galleria larga fino a 30 m ed alta in certi punti anche 10. Purtroppo il sentiero, in ottime condizioni fino agli anni sessanta, risulta franato e danneggiato ma, tuttavia, la discesa non è certo pericolosa: basta fare attenzione a dove si mettono i piedi in modo da evitare qualche scivolone. A metà discesa, sempre a sinistra, pende una grande formazione concrezionata, dalla quale di solito lo stillicidio è abbondante. Al di sotto di essa, basse stalagmiti con piccole vaschette cristalline sono circondate da un muretto, dal cui lato più basso una canaletta (ormai invisibile) immetteva in una grande vasca artificiale della capacità di circa 40 m3. Con questo ingegnoso sistema i soldati austriaci avevano costituito una preziosa raccolta d'acqua durante la prima guerra mondiale. Si giunge così al fondo della grotta, la cui profondità massima è di 42 m, mentre lo sviluppo è di m 216. In fondo a destra un altro gruppo stalagmitico, circondato da muratura, serviva per la raccolta dell'acqua. Dal piazzale di fondo la grotta continua verso sinistra con una breve galleria orizzontale.
La grotta rappresenta una interessante stazione per osservare alcuni rappresentanti della fauna cavernicola. Appena superata la soglia si incontra sulla sinistra una galleria artificiale dove si può osservare un bell'esempio di associazione parietale costituita da cavallette cavernicole (Troglophilus neglectus), Ditteri, Araneidi e Lepidotteri. All'inizio della discesa, in alcune nicchie del soffitto, nidificano talvolta i piccioni selvatici (Colomba livia). Nei luoghi più umidi, sulle rocce bagnate e sotto le pietre vivono alcuni piccoli crostacei isopodi tra i quali il più comune è Titanethes albus. Nelle vasche che raccolgono acque di stillicidio sono molto comuni i crostacei anfipodi del genere Niphargus gruppo stygius. In inverno vi trovano rifugio i pipistrelli appartenenti alla specie Rhinolophus ferrumequinum: di solito gli esemplari presenti in letargo non superano la decina, e quindi risultano diminuiti di numero rispetto al passato, a conferma di un generale declino di questi mammiferi.
La Grotta Azzurra di Samatorza è tuttavia principalmente nota per i reperti preistorici venuti alla luce in varie campagne di scavo. Le prime ricerche risalgono al 1892 (Moser) e al 1894 (Marchesetti), seguite da quelle del Lomi (1923-24), Stradi (1955), Cannarella e Slongo (1958-59) ed infine dall' Istituto di Antropologia Umana dell'Università dì Pisa (1961-63 e 1982).
I livelli superficiali testimoniano una successione di fasi di epoca romana, dell'età dei castellieri e del neolitico. I livelli più profondi documentano una delle successioni mesolitiche più interessanti del Carso triestino. I1 livello mesolitico di oltre un metro di spessore diede alla luce migliaia di schegge di selce, centinaia di strumenti lavorati, resti di pasto, tra cui ossa di animali, gusci di molluschi sia terrestri che marini e pesci. Gli strumenti di questa industria mesolitica sono molto piccoli e perciò vengono detti microliti. Dagli studi effettuati si è potuto stabilire che la grotta è stata abitata dalle genti mesolitiche per qualche millennio a partire da circa novemila anni fa, cioè poco dopo la conclusione del Wurm, l'ultimo periodo glaciale. L'ambiente doveva essere costituito da bosco abitato soprattutto da cervi, caprioli e cinghiali. La presenza di reperti riferibili a lontra e castoro confermano che erano pure presenti vasti acquitrini.

2. Cava del Monte S. Leonardo
Attualmente abbandonata, faceva parte delle cave di S.Pelagio dalle quali venivano estratte alcune qualità di "marmi" di uso prevalentemente ornamentale. Va subito precisato che con il termine marmo si indicano scientificamente quelle rocce carbonatiche che hanno subito successive trasformazioni e che da un punto dì vista sistematico petrografico fanno parte delle ROCCE METAMORFICHE. I calcari del Carso triestino appartengono invece al gruppo delle ROCCE SEDIMENTARIE e non presentano traccia di metamorfismo in quanto non vi è stata una ricristallizzazione ed i resti organici sono ancora ben visibili Tuttavia ai calcari del Carso usati come pietra ornamentale o anche da costruzione viene dato questo termine che è entrato nell'uso più che altro per indicare una pietra suscettibile di lucidatura.
Il materiale della cava del M. S.Leonardo, come pure quello della vecchia cava presso la Grotta Azzurra, era denominato "stalattite ressa". Si tratta di un calcare di origine chimica, o più precisamente di un tipico alabastro calcareo formatosi in ambiente ipogeo per deposizione di carbonato di calcio. La struttura si presenta a strati più o meno ondulati, che indicano periodi successivi di deposizione; di solito si alternano bande a grana cristallina grossa con altre a grana più minuta. I1 colore può variare da una pigmentazione ocracea a sfumature gialle fino al rosso ruggine, a seconda della percentuale di composti di magnesio (MgO, MgCO3) o di ferro (FeO, FeCO3) presenti. La componente principale è sempre il carbonato di calcio (CaCO3) che costituisce normalmente il 99 % della roccia.
Essendo il processo genetico di questo tipo di materiale un fenomeno piuttosto raro e limitato nello spazio, l'alabastro calcareo risulta il più pregiato tra i "marmi" del Carso triestino.

3. Grotta del S. Leonardo I
La grotta, che porta il n° 863 del catasto della Venezia Giulia, si trova a 352 m di quota subito al di sotto della cinta del castelliere del S.Leonardo sul lato occidentale dell'altura. Si tratta di una piccola cavernetta lunga m 8,5 e profonda appena m 1,8. Gli scavi vennero iniziati nel 1963 e diedero alla luce pochi resti appartenenti all'epoca di abitazione del castelliere. Successivamente e più in profondità furono trovati livelli ben più antichi contenenti resti di animali dell'ultima glaciazione e numerosi strumenti del paleolitico medio, a testimoniare la presenza in quel periodo dell'Uomo di Nehandertal.

4. Grotta del S. Leonardo II (VG 4484)
Anche questa piccola caverna si trova nell'area del castelliere, di poco entro la cinta più esterna, a quota m 355. Ha uno sviluppo di m 5 ed una profondità di m 2,5. I resti comprendono frammenti di ceramica della cultura dei castellieri.

5. Castelliere del S. Leonardo
I1 castelliere è formato da una cinta di mura di 260 m che circonda la cima e da una seconda, collegata alla prìma, lunga ben 600 metri e disposta lungo il versante meridionale del colle. Nel corso delle ricerche, svolte dalla Soprintendenza di Trieste nel 1965, si aprirono due grandi trincee sul vasto ripiano inferiore del versante esposto a Sud. I risultati furono piuttosto scarsi. Un altro scavo venne in seguito effettuato sul ripiano sotto la cima dove, dopo i primi 60 cm di terreno sconvolto dall'agricoltura, si mise in luce un livello archeologico di 20/30 cm, con lenti di focolai, molti manufatti e resti di pasto. Più sotto, un riempimento artificiale di pietre era stato creato probabilmente per ottenere un piano diritto per le abitazioni. I materiali archelogici, costituiti da tazze troncoconiche, vasetti globosi a collo cilindrico e piccoli piatti, appartengono ad un unico periodo, probabilmente la tarda età del Bronzo o l'inizio di quella del Ferro. Una certa quantità di materiali in cotto testimoniano una frequentazione del sito in epoca romana.

6. Grotta di Boriano
La Grotta di Boriano (Burian, Berie) o Grotta dell'acqua (VG 135) è situata sul fianco settentrionale di un colle alto m 311, che si innalza immediatamente a Nord-Ovest del M. S.Leonardo. L'ingresso si apre a quota m 248 praticamente sul confine di stato. Questo fatto in passato ha costituito un grave problema per la visita alla grotta, che dopo le ultime vicende belliche e postbelliche venne considerata perduta. Appena nel 1959 venne accertato che l'ingresso era, seppur di pochi metri, in territorio italiano.
L'entrata è abbastanza ampia: misura m 6 di larghezza e m 3 di altezza ed è parzialmente coperta da rovi. La luce che vi penetra consente la crescita di edera, felci e muschio. Questo imbocco è certamente di natura secondaria e si è aperto successivamente alla grotta vera e propria che è stata scavata in precedenza dalle acque. Superato un brevissimo scivolo si entra in un ambiente spazioso caratterizzato da ricche concrezioni e dal suolo coperto di massi di crollo. Segue una parte piuttosto tetra per la colorazione scura dei calcari bituminosi dell'Eocene inferiore in cui si apre la cavità. Si procede con cautela in leggera discesa tra grandi massi caotici che si esauriscono davanti ad un punto un po' più stretto, oltre al quale la grotta prosegue spaziosa ed orizzontale. In questo tratto si incontra dapprima un pozzo profondo m 3 e largo più di 4, dal fondo del quale si innalza una stalagmite rotonda e liscia del diametro di un metro e mezzo. Si procede su suolo concrezionato e ricco di vaschette colme d'acqua; superato lateralmente un piccolo pozzetto con acqua si giunge nell' ultima camera, lunga m 43, larga m 22 e con un' altezza massima di m 9. In totale la grotta è lunga m 190.
La grotta deve il suo nome allo stillicidio che diventa copioso nei periodi piovosi tanto da riempire vasche e pozzetti fino all'orlo ed ostacolando addirittura la visita alla parte centrale della cavità.
La prima notizia certa della Grotta di Boriano è stata data dalla Commissione Grotte della Società Alpina delle Giulie che la visitò per la prima volta nel 1896, ritornando nel 1898 e 1899 per compiervi i dovuti rilievi. Sicuramente l'antro era noto da tempo agli abitanti del luogo, che forse si recavano nei periodi di siccità ad attingere l'acqua copiosa delle vaschette. Durante la prima guerra mondiale gli austriaci la usarono probabilmente per lo stesso motivo, considerando pure la possibilità di adattarla a ricovero militare come la vicina Grotta di Ternovizza.

6. Grotta di Ternovizza (VG 242)
Nei pressi del sentiero che dal paese di Ternova Piccola (Ternovizza) porta in direzione del confine di stato fino ad incontrare il sentiero n° 3, si apre una piccola dolina che immette in una caverna lunga m 25, larga 12 e alta m 10. Questo antro, noto col nome di Pejca Jama, nel 1895 fu oggetto di alcuni saggi di scavi con scarsi risultati. Durante la prima guerra mondiale questa caverna è stata attrezzata a ricovero e a deposito di munizioni con la costruzione di una gradinata d'ingresso, di murature e di un cunicolo laterale: in questa occasione, nella parte terminale della sala è stato portato a termine uno scavo fino a collegare la Pejca lama con la vera e propria Grotta di Ternovizza, giungendo a circa due terzi del suo pozzo d'ingresso.
L'entrata della 242 VG si trova nel bosco qualche decina di metri più a Sud. L'ingresso è di forma ovoidale e, mentre la parte meridionale cade a picco, dall'altro lato si può scendere con cautela e perlomeno con una corda fino ad immettersi nel pozzo profondo 32 metri. In questo pozzo, sulla parete nordoccidentale, sbuca lo scavo artificiale che comunica con la Pejca Jama. Scesi al fondo del pozzo ci si trova in una vasta caverna (25x15x30 m). Si continua la discesa per una china detritica e tra massi di crollo: dopo un breve tratto un po' angusto si giunge in un'ampia galleria, ricca di concrezioni, tra le quali spicca il famoso "organo", addossato ad una parete cristallina. La Grotta di Ternovizza è pure molto ricca di vaschette concrezionate dove si raccoglie acqua di stillicidio.

Il percorso:

Dal paese di Gabrovizza (uscita di Sgonico) si prende la strada asfaltata per Ternova Piccola; superato il ponte sulla ferrovia ed un paio di successive curve, si prosegue fino alla località Baita. Tralasciata la deviazione per Sales, si prosegue, superando prima a sinistra il bivio per Bristie e poi a destra quello per Samatorza, in località indicata come "Osteria di Grassia". Trecentocinquanta metri più avanti, sempre in direzione Ternova Piccola, si incontra a sinistra un evidente bivio con una spaziosa piazzola per il posteggio. Da questo punto inizia il nostro itinerario.
La vecchia carrareccia, asfaltata nel primo tratto, ci porta, tra tipici muretti carsici, prima a due nuove costruzioni private e successivamente sbuca sulla spianata dell'oleodotto transalpino. Pochi metri avanti la stradetta devia ad angolo retto verso destra attraversando in moderata salita una bellissima boscaglia carsica con solcati sui quali è evidente il risultato della dissoluzione operata dalle acque meteoriche. Si supera così il fianco nordorientale del Monte Scozza (m 274) e ci si trova in breve tra i resti di un'antica cava di "onice", di cui si vedono ancora vari blocchi sparsi qua e là.
Alla nostra sinistra, in una dolina non molto profonda, è situato l'ingresso della Grotta Azzurra di Samatorza.
Visitata la grotta si segue la carrareccia, che più o meno si dirige verso Nord: si oltrepassa nuovamente la traccia dell'oleodotto e si giunge in breve sulla strada Gabrovizza -Ternova Piccola. La si attraversa per imboccare, circa cinquanta metri più avanti, un sentiero di raccordo che ci permette di raggiungere un gruppetto di case situate tra Samatorza e Ternova Piccola. Si prosegue in direzione Nord fino a quando, superata l'ultima casa del paese, si imbocca la vecchia carrareccia che porta ad una cava abbandonata. Dopo una breve e moderata salita si passa proprio sul bordo del baratro che costituiva anticamente la cava; intorno sono ancora evidenti massi squadrati e materiali di scarto. Le pareti a picco (attenzione a non sporgersi!) sono popolate da corvidi e da piccioni selvatici. Si prosegue per un tratto rettilineo: la boscaglia carsica, formata da orniello, acero, roverella, sanguinella, corgnolo, scotano, ginepro è qui piuttosto rada e si alterna a brevi tratti di landa carsica con rocce affioranti. Duecentocinquanta metri dopo la cava si devia a destra (bollino giallo, bollino blu con interno bianco e scritta "n.10 M. S.Leonardo") prendendo un sentiero che entra nella boscaglia formata da carpino nero, orniello, roverella, corgnolo, biancospino e qualche pino nero. Con una serie di ripide svolte si superano, sul versante nordoccidentale del M. S .Leonardo, cinquantacinque metri di dislivello fino a giungere su un grande ripiano che si estende poco sotto la sommità del colle. A questo punto si gira a destra in lieve discesa per un centinaio di metri seguendo il sentiero per Samatorza. Ad un incrocio di muretti carsici troveremo alla nostra sinistra, seminascosta da un cumulo di detriti, la Grotta II del S.Leonardo.
Ritornati sui nostri passi e superate le macerie dei resti del castelliere, abbandoneremo il sentiero per scendere sul ripido fianco occidentale dove, alla base di una parete rocciosa, ricca di edera e felci, è situata la Grotta I del S.Leonardo. Visitata la località preistorica si risale fino a riprendere il sentiero ed in pochi minuti si raggiunge la cima (m 399). Qui troviamo i resti perimetrali della Chiesa dedicata a S.Leonardo, le cui origini non sono note; in ogni caso l'edificio risultava già demolito alla fine del secolo scorso. Poco sotto la chiesa sono pure visibili i resti di una vedetta rimasta incompiuta. Il panorama, favorito anche dalla possibilità di salire sui resti della chiesa, è davvero eccezionale. Si abbraccia tutto il Golfo di Trìeste con la foce dell'Isonzo in primo piano e poi, via via, la costa fino a Grado e Lignano da una parte e fino all'Istria dall'altra con Pirano e Punta Salvore; davanti a noi l'altopiano carsico con i paesi di S.Croce, Aurisina, Sistiana e Duino. Verso la Valle di Comeno si distinguono i paesini di Boriano, Goriano, Villa Nadrosizza, Volci, Pliscovizza, ecc. Nelle giornate limpide è possibile ammirare le Prealpi e le vette delle Alpi Giulie.

Discesa:

Dal S.Leonardo si scende per sentiero in direzione Est-Nord-Est. Dapprima si attraversano i resti del castelliere, quindi si scende rapidamente tra ricca vegetazione di boscaglia carsica e pino nero fino a raccordarsi con il sentiero n. 3. Si continua verso Nord-Ovest tra ricca vegetazione più o meno aggirando in quota il versante settentrionale del M.S.Leonardo. Giunti al bivio per Ternova Piccola, caratterizzato dall'indicazione "a 150 m confine di stato", si prosegue per il sentiero n. 3 in leggera salita fino alla sommità di un modesto colle (quota m 310) . A questo punto bisogna seguire dei segni rossi sugli alberi che fanno scendere verso Nord fino alla Grotta di Boriano o dell'Acqua, situata a qualche metro dal confine.
Ripreso il sentiero n. 3 e ritornati al bivio con l'indicazione del confine a 150 m, si gira a destra per Ternova Piccola e si giunge in pochi minuti davanti all'orlo di una modesta dolina dove si apre la Pejca Jama, attualmente comunicante con la Grotta di Ternovizza. Chi volesse vedere, con la dovuta attenzione, il vero ingresso di quest'ultima deve proseguire per cento metri fino ad un bivio poco evidente e girare a sinistra per altri sessanta. Sarà possibile visitare invece l'ampia caverna di ingresso della Peica Jama.
Dalla Grotta di Ternovizza si prosegue per la carrareccia, dapprima verso Ternova Piccola e poi verso Samatorza, e quindi per strada asfaltata si ritorna al bivio dal quale siamo partiti e dove abbiamo lasciato le automobili.

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