I VERBI

VERBI IRREGOLARI


INTRODUZIONE
I verbi siciliani si discostano molto da quelli dell'italiano, sia perché hanno seguito una strada evolutiva dal latino in alcuni punti differente, sia perché hanno subito nel corso della storia l'influenza di altre lingue.
In generale la varietà di modi e tempi si è sfoltita (sia rispetto al latino, sia rispetto all'italiano), lasciando che le funzioni delle forme verbali perse fossero inglobate da altre oppure abbandonate del tutto.
Il siciliano ha due declinazioni: in -àri e in -iri. In realtà, come avviene per la declinazione italiana -ere, la declinazione -iri è il risultato della fusione di più declinazioni. L'italiano ha mischiato le declinazioni latine di 'monère' e 'légere', non distinguendo più la lunghezza della vocale. Il siciliano invece ha quasi eliminato la declinazione 'monere' trasformando la stragrande maggioranza dei suoi verbi in tipo 'legere' (un po' come in sardo, dove il passaggio però è stato totale e senza eccezioni). Quindi in siciliano la maggioranza dei  verbi hanno -iri non accentato; esempi: gràpiri (aprire), sìerbiri (servire), tìenniri (tenere). Tuttavia si contano alcuni casi di desinenza accentata: i verbi 'avìri', 'capìri', 'mpurrìri', 'piacìri', 'scumparìri', 'sapìri', 'sculurìri', 'spirìri' e pochissimi altri. E' probabile che almeno alcuni di questi verbi siano stati introdotti di recente dall'italiano, e ciò proverebbe che la regola della desinenza in -iri non accentato non è più produttiva. Che con tutta probabilità siano dei prestiti lo denunciano i verbi 'scumparìri' che non deriva da quello siciliano 'pàriri'; 'capìri' che si oppone a 'càpiri', e forse questo ha spinto il primo verbo a non regolarizzare l'accento; 'piaciri', che dovrebbe essere derivato dal sostantivo 'piaciri' preso forse dall'italiano; infatti di questo verbo è possibile sentire anche la variante più rara e regolare 'piàciri'.
Od ogni modo anche i verbi in -ìri accentato si coniugano seguendo le regole generali dei verbi con desinenza atona.
 

La declinazione in -àri (sempre accentato) non presenta invece particolari problemi.

MODI e TEMPI
In siciliano esistono i seguenti modi verbali: indicativo, congiuntivo, imperativo, gerundio, participio. Manca solo il condizionale, la cui funzione viene assorbita dal congiuntivo.
L'uso dei modi è praticamente identico all'italiano, con l'unica eccezione del congiuntivo e di alcune limitazioni nell'uso di certi tempi (che non esistono).
L'indicativo può disporre dei seguenti tempi: presente, imperfetto, passato remoto, passato prossimo, trapassato prossimo.
- il presente ha un uso molto simile all'italiano. In più lo si usa spesso nelle frasi ipotetiche (come nell'italiano colloquiale) e per sopperire alla mancanza del futuro. Per dire 'se ho del pane te ne do un pezzetto' si dice tranquillamente 'siddu aiu  pani tinni rugnu un pizzuddicchiu'. Per il futuro si può usare una perifrasi (similmente al sardo): avere + a + verbo all'infinito. 'Aiu a ghire ne me frati' (devo andare da mio fratello, cioè andrò da mio fratello); o più semplicemente si usa l'indicativo. Per tradurre 'quando finirò di parlare uscirò' si dice 'cuannu finisciu i parrari nìesciu'. Da notare che avere + a + verbo in realtà indica un dovere, e solo in secondo luogo un'azione futura (difatti ne esiste anche la versione al passato), e che per evitare errori è meglio usare il presente.
Le desinenze per le pesone sono per la declinazione in -àri: u - i - a - amu - ati - anu. (iu parru, tu parri, iddu parra, nuatri parramu, vuatri parrati, iddi pàrranu - parlare). Per quella in -iri: u - i - i - ìemu - iti - inu (iu sìerbu, tu sìerbi, iddu sìerbi, nuatri sirbìemu, vuatri sirbìti, iddi sìerbinu - servire).
- l'imperfetto ha le stesse funzioni dell'italiano, ma si discosta nella declinazione in due punti. La prima persona singolare esce in -a, come in italiano antico: si dice 'iu parrava' e 'iu sirbìeva' (le altre desinenze sono uguali al presente). L'altra differenza riguarda l'accento della prima persona plurale: il siciliano assomiglia in questo caso allo spagnolo, dove si dice 'nosotros hablàbamos', (noi parlavàmo): difatti si dice 'nuatri parràvamu', 'nuatri sirbìevamu', e non *parravàmu* e *sirbivàmu*.
- il passato remoto è entrato di forza nel cliché in quanto è usatissimo per formare frasi al passato. Essendo particamente nullo l'uso del passato prossimo, qualsiasi frase passata che non indichi azione continuativa (imperfetto) la si rende col passato remoto, anche se è finita da poco. Similmente all'inglese si dice: 'finivi i manciari ùora ùora', cioè 'ho appena finito di mangiare' (lett.: 'finii di mangiare ora ora').
In alcuni casi si può usare il passato prossimo. Per rispondere a una domanda come 'chi ha mangiato la torta?' si potrebbe dire 'mi l'aiu manciata iu' (me la sono mangiata io), ma il passato remoto va bene comunque (m'a manciavi iu). In generale si può dire che in quei pochi casi dove si può usare il passato prossimo sicuramente va bene anche quello remoto, e per sicurezza è meglio usare il secondo; in più credo che l'uso del passato prossimo si stia infiltrando a causa dell'influenza dell'italiano.
Le desinenze sono per la 1° declinazione: avi - asti - ò - ammu - àstivu - àru (iu manciavi, tu manciasti, iddu manciò, nuatri manciammu, vuatri manciàstivu, iddi manciaru). Per la seconda declinazione: ivi - isti - ìu - immu - ìstivu - ìeru. (iu sirbivi, tu sirbisti, iddu sirbìu, nuatri sirbimmu, vuatri sirbìstivu, iddi sirbìeru).
- del passato prossimo ho spiegato brevemente l'uso, e in realtà sotto quel punto di vista c'è poco da aggiungere. Da sottolineare una cosa: l'ausiliare è sempre avere. Quindi 'sono andato' si dice 'aiu iutu', 'sono stato' si dice 'aiu statu' (o più semplicemente: 'ivi', 'fuvi').
- il trapassato prossimo si usa come in italiano, ma in più lo si utilizza laddove in italiano avremmo un trapassato remoto (in alternativa si può usare il solo passato remoto). Ad esempio 'quando me lo chiese, già lo avevo fatto' si dice 'cuannu me l'addumannò, già l'avìeva fattu'. Inoltre 'dopo che ebbe mangiato' si può tradurre 'dùoppu c'avìeva manciatu' o (meglio) 'dùoppu ca manciò'. Ricorda che il passato remoto può sostituire solo il trapassato remoto, e non il trapassato prossimo: una frase come 'cuannu me l'addumannò, già u fici' non ha senso, proprio come non ne ha l'italiano 'quando me lo chiese già lo feci'.
Il congiuntivo esiste solo al passato. Il congiuntivo presente manca in quanto di solito non si sente la necessità di frasi troppo complicate o forbite, e al suo posto si usa semplicemente il presente indicativo. Ad esempio la frase 'penso che abbia un po' di pane' si traduce 'pìensu c'avi n'anticchia i pani'. Da ricordare che se la frase è al passato, si usa il passato remoto: 'credo che abbia mangiato' si dice 'pìensu ca manciò'.
Una caratteristica peculiare del siciliano è il doppio congiuntivo nelle frasi ipotetiche, dove assolve anche il compito del condizionale. 'Se potessi ci andrei' si traduce 'siddu putissi ci issi' (se potessi ci andassi). E così in tutti i casi. Il congiuntivo trapassato lo si usa per frasi ipotetiche dell'irrealtà: 'se avessi potuto ci sarei andato' si traduce 'siddu avissi potutu ci avissi iutu' (se avessi potuto ci fossi andato).
L'ottativo non viene quasi mai usato, preferendo delle perifrasi. 'Ah, se avesse tempo!' non si tradurrebbe '*siddu avissi tìempu!*'; al suo posto si preferisce 'un n'avi mai tìempu' (non ha mai tempo), o qualsiasi altra perifrasi atta allo scopo.
Le desinenze sono per la prima declinazione: -assi - assi - assi - àssimu - (assivu) - àssiru. (iu manciassi, tu manciassi, iddu manciassi, nuatri manciàssimu, vuatri manciassivu, iddi manciàssiru). Per la seconda declinazione: -issi - issi - issi - ìssimu - isti - ìssiru (iu sirbissi, tu sirbissi, iddu sirbissi, nuatri sirbìssimu, vuatri sirbissivu, iddi sirbìssiru).
L'imperativo ricalca quello dell'italiano, anche nell'usare l'infinito per la negazione della seconda singolare (non magiare!). L'unica differenza riguarda proprio la negazione, dove è preferibile usare il verbo dovere negato, piuttosto che il semplice 'non'. 'Non mangiare!' non si traduce '*un manciari!*, bensì 'un a' manciari!', cioè non devi mangiare! Si potrebbe obiettare che se non+infinito non si usa mai, come si può affermare che la regola è uguale all'italiano? In realtà in un preciso caso si può usare non+infinito, seguito da un'esclamazione (ma è di uso abbastanza limitato). Ad esempio 'un manciari, ah!' (non mangiare, veh!).
Per il resto le declinazioni seguono regole uguali a quelle italiane. Es: mancia!, manciamu!, manciati! (un a' manciari, un avìemu a manciari!, un aviti a manciari!). Per la seconda declinazione: sìerbi!, sirbìemu!, sirbiti! (un a' sìerbiri, un avìemu a sìerbiri, un aviti a sìerbiri!).
Il gerundio ha un uso generale simile all'italiano. Esempi: 'camminava cantando' si traduce 'camminva cantannu'; 'sta andando' si dice 'sta ìennu'. Lo si usa meno per formare frasi implicite, del tipo 'piovendo, non esco', dove sarebbe preferibile tradurre con 'vistu ca chiuvi, un nìesciu' (visto che piove non esco). E' più simile all'italiano l'uso del gerundio passato: 'avendo piovuto molto, la terra è fradicia' si può dire 'avìennu chiovutu assai, a tìerra è lintata'.
La prima declinazione esce in -annu (manciannu), la seconda in -ìennu (sirbìennu).
Il participio costa solo della forma al passato. Le declinazioni escono rispettivamente in -atu e -utu (manciatu, sirbuto). I verbi della prima declinazione sono praticamente tutti regolari, quelli della seconda seguono all'incirca questa regola: quelli che anche in italiano sono irregolari, hanno il participio passato irregolare anche in siciliano (misu, fattu, rittu: messo, fatto, detto); quelli che sono regolari della seconda e della terza declinazione italiana, che in siciliano escono in -iri, fanno al participio passato -utu (tinuto, sirbutu, vinnutu: tenuto, servito, venduto). Bisogna però notare che in molti casi verbi che in italiano hanno il participio irregolare, in siciliano sono regolari: stinnutu, tinciutu, pirdutu: steso, tinto, perso).
Il participio presente non esiste, neanche come aggettivo. Si usa quasi sempre al suo posto una perifrasi: 'un panno gocciolante' si direbbe 'un pannu ca scula'; se invece indica un'azione che si sta compiendo si può usare il gerundio: 'iava cantannu' (andava cantando).
L'infinito accompagnato da pronomi si comporta in modo diverso rispetto all'italiano.  Quando il ponome è quello del riflessivo -si, in italiano il verbo perde la e finale: perdersi, mangiarsi, convincersi; in siciliano invece il verbo mantiene la -i finale: pirdìrisi, manciàrisi, cummincìrisi. Da notare che i verbi sdruccioli all'infinito, evitano di diventare bisdruccioli posponendo l'accetto e preservando quindi una migliore pronunciabilità: si dice 'pìerdiri' ma 'pirdìrisi', e non *'pìerdirisi'.
In caso si abbia un pronome oggetto e uno di termine, come in 'mangiatelo, prenditelo', l'italiano mantiene l'accento originario, il siciliano lo sposta invece sul primo pronome: 'manciatìllu', 'pigghiatìllu'

 


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