Benedetto Croce
(da Cioffi.., Corso di filosofia.., cit., p.678 sgg.)

PREMESSA

La filosofia di Croce ha come punto di partenza la trattazione di particolari problemi spirituali: l’arte, la storia, il diritto, e approda a una forma di idealismo storico, in cui la filosofia si converte nella storiografia. Come egli stesso ricorda nello scritto autobiografico Contributo alla critica di me stesso (1915), le prime influenze sul suo pensiero furono quelle di Herbart (vedi PROFILO STORICO Psicologismo e realismo: Fries, Beneke, Herhart), De Sanctis e Vico. Solo più tardi, quando la sua personalità era già formata, si accostò a Hegel, che doveva fornirgli gli strumenti per la sistemazione più matura del suo pensiero. In questo approdo idealistico ebbe un peso non trascurabile l’influenza di Gentile, nonostante i posteriori gravi dissensi tra i due autori.
L’interesse primario di Croce non è dunque rivolto alla metafisica - già fortemente ridimensionata dal positivismo - bensì a quelle che egli chiama le due "scienze mondane": l’estetica e l’economia. E’ sul terreno del sia pur contrastato affermarsi storico, col Rinascimento, dell’autonomia di tali discipline rispetto ad altre più tradizionali, quali la teologia e l’etica, che si esprime ai suoi occhi l’aspetto progressivo della modernità, rispetto alla precedente coscienza storico-culturale.
Sin dalle origini, dunque, il suo storicismo si orienta verso un risoluto immanentismo, che intende lasciare a lato, come superato, ogni riferimento a Dio e alla trascendenza religiosa.
Lo "spirito" è - e resterà sempre per lui - spirito storico, riconoscimento di autonomi valori culturali, a cui l’umanità tende nel suo progressivo moto di elevazione spirituale e di elaborazione culturale.

ECONOMIA ED ESTETICA

Nei saggi poi confluiti in Materialismo storico ed economia marxistica, Croce si sforza di definire la natura del "fatto economico", distinguendone nel contempo la categoria ideale: l’utile, da quella più generale dell’etica: il buono.
Di Marx (vedi PROFILO STORICO Karl Marx) Croce non accetta la pretesa di dedurre dall’analisi delle tendenze oggettive di sviluppo economico capitalistico i criteri dell’azione politica e morale. In particolare rifiuta - per questa presunta commistione di un elemento "scientifico" con uno "valutativo" - il concetto marxiano di plusvalore. La teoria del valore del Capitale non ha validità scientifica, limitandosi a esprimere una semplice "legge particolare della astratta società lavoratrice", posta da Marx come ideale termine di confronto per le società capitalistiche storicamente esistenti.
Contro il marxismo, Croce condivide il tentativo dell’economia neoclassica di sviluppare una "scienza economica generale", deducendo il principio economico da principi più comprensivi di quelli particolari di Marx. Ma dall’economia neoclassica lo separano da un lato l’astratto edonismo che porta i "neoclassici" a isolare il momento economico, inteso come ricerca del mero piacere egoistico, dal resto dell’attività umana, e dall’altro il matematismo, cioè la pretesa neoclassica di offrire una trattazione meramente quantitativa di un fatto, quello economico, eminentemente qualitativo.


L’attività economica come condizione dello svilupparsi dell’etica

Croce perviene a giustificare l’attività economica in quanto aspetto imprescindibile dell’attività pratica: il momento, cioè, della scelta consapevole in vista di un fine concretamente perseguito.
Inoltre, in polemica con la tradizionale svalutazione dell’utile economico, in quanto "egoistico" e "immorale", Croce ne illumina il nesso di necessaria implicazione e distinzione con l’ambito più vasto del "valore" etico. Il fatto economico non sta in antitesi con quello morale, ma nel rapporto di condizione a condizionato: è cioè la condizione generale che rende possibile il sorgere dell’attività etica. L’azione economica non è, in sé, né morale né immorale, ma senza di essa, senza cioè il momento concreto e particolare della volizione, non vi sarebbe vita morale in generale.

Il carattere autonomo e teoretico dell’operare artistico

A conclusioni analoghe conduce la disamina crociana delle categorie estetiche.
Lungi dal rappresentare una dimensione meramente pragmatica della spiritualità (come ritengono le teorie che assegnano all’arte un valore edonistico o, al più, pedagogico), l’arte assurge in Croce alla dignità di una vera e propria disciplina teoretica, condizionante — in quanto espressione di una materia individuale — il divenire successivo della forma teoretica o concettuale.
Nelle Tesi fondamentali di estetica (1900) Croce rivendica il valore autonomo dell’attività artistica, in quanto pura espressione, contro la riduzione positivistica dell’estetico alla mera passività naturalistica (sensismo, associazionismo ecc.).
La bellezza coincide con l’attività espressiva del linguaggio e questo è "valore" estetico. Essere "attivi" spiritualmente significa realizzare un valore.
Dando forma ed espressione a un sentimento sensibile oscuro e passivo, l’autore svolge una funzione liberatrice e purificatrice. Lo spettatore, a sua volta, esprimendo un giudizio di gusto, rifà attivamente il processo espressivo dell’artista e realizza ugualmente un valore. (Per gli svolgimenti successivi dell’estetica crociana si rinvia a TESTI, Unità 21).
Nell’Estetica del 1902, oltre a definire l’arte come intuizione pura, Croce ne indaga i rapporti con il complesso dell’attività umana, tracciando le prime linee generali di quello che sarà il "sistema" crociano della Filosofia dello spirito (completato da una Logica e dalla Filosofia della pratica.



LA FILOSOFIA DELLO SPIRITO

Muovendo ancora da un’impostazione trascendentale-kantiana, Croce distingue due attività fondamentali: la teoretica e la pratica, suddivise, ciascuna, in due forme distinte: la teoretica in intuizione pura e concetto puro; la pratica in economia ed etica. Dalla conoscenza intuitiva dell’arte, che costituisce il primo momento dello spirito teoretico, si passa al secondo momento, al pensare logico.
Mentre l’arte o intuizione è conoscenza dell’individuale, il concetto logico è conoscenza dell’universale.
Simmetricamente, nell’ambito pratico, alla conoscenza dell’individuale corrisponde la volizione dell’individuale (economia); mentre alla conoscenza dell’universale corrisponde la volizione dell’universale (etica).
Alla volizione economica appartengono quelli che si dicono fini individuali, alla volizione morale i fini universali. All’attività economica, distinta dalla morale, appartiene anche la sfera del diritto, e in essa rientra, come vedremo, l’ambito stesso della scienza matematico-naturalistica.
Una volta distinte le quattro forme dell’attività spirituale umana, Croce si interroga sulla loro relazione reciproca.
Per affrontare tale problema si allontana dall’originaria impostazione logico-psicologica, frutto del suo iniziale herbartismo, e si avvicina alla dialettica hegeliana. Nel saggio su Hegel (1906) Croce fa sua la versione spiritualistica dell’idealismo tipica di Gentile e Spaventa. Respinti il panlogismo — l’interpretazione di tutto il reale come manifestazione dell’idea o del Logo divino — e la considerazione della natura come "opposto" dello spirito, rimane, del sistema hegeliano, solo il terzo momento - lo spirito, appunto. Esso non ha presupposti, ma si svolge in un moto dialettico ascendente in cui il momento privilegiato (che si staglia, come è stato detto, su una sorta di "nulla" metafisico) è la storia, vichianamente concepita come fatto o creazione umana.

La dialettica diadica dei distinti

L’aspetto principale, però, della critica di Croce riguarda il nesso tra dialettica degli opposti e dei distinti.
La grande scoperta di Hegel sta nell’aver definito il pensiero come Concetto, che è insieme universale e concreto. Esso è sintesi di opposti, in quanto dà concretezza alle determinazioni, in sé astratte, dell’intelletto. Ma è anche unità dei distinti, di individuale e universale. Torto di Hegel è di aver confuso le due dialettiche. Oltre gli opposti (essere/nulla, spirito/natura, vero/falso ecc.), i quali sono reali soltanto nella sintesi di cui costituiscono i momenti astratti, vi sono - per Croce - i distinti (bello, vero, utile, buono), i quali sono egualmente tutti reali e concreti, così da poter sussistere l’uno accanto all’altro. Lo spirito si sviluppa o procede non per triadi dialettiche, ma in un processo graduale per diadi, nelle quali il primo termine sussiste in sé, e il secondo, pur avendo anch’esso una sua sussistenza come tale, assorbe il primo. Così l’arte, si è visto, è a-logica, ma la filosofia, sintesi dì intuizione e concetto, è anche arte, ha cioè valore espressivo. Analogamente la volizione economica è a-morale, ma quella etica è anche volizione economica, essendo la volizione morale anche sempre utile.
Lo spirito è di natura circolare, passa cioè eternamente da un grado all’altro: dall’intuitivo al logico, all’economico, all’etico, e dall’ultimo grado trapassa nuovamente al primo, fornendo il contenuto pratico alla nuova intuizione estetica ecc.

Il concetto puro e gli "pseudo-concetti" delle scienze

I rapporti tra il conoscere filosofico e le scienze sono approfonditi nella Logica del 1905.
A Croce importa distinguere l’universalità del concetto puro tanto dalla mera generalità classificatoria delle scienze empiriche, quanto dall’individualità del giudizio storico.
Ma nel primo caso, tale demarcazione dell’ambito di validità del conoscere logico puro conduce alla distinzione tra i concetti della filosofia e gli pseudo-concetti delle scienze matematiche ed empirico-naturalistiche con la conseguente svalutazione di queste ultime a vantaggio della prima.
Nel secondo caso, invece, porta all’identificazione di filosofia e storia.
Il pensiero logico, l’universale, sorge infatti dall’intuizione-espressione, di cui conserva la concretezza esistenziale. Il contenuto cui il concetto dà forma non è l’intuizione empirica, ma l’intuizione estetica, che esso implica (per il principio della implicazione o dei distinti di cui si è detto).
Il pensiero logico è quindi l’unità di due momenti: intuizione e concetto, individuale e universale. -Esso è giudizio sintetico a priori, in quanto predica le categorie del soggetto individuale, intuitivo. -In quanto produce una realtà, anziché modellarsi passivamente su una realtà esterna presupposta, esso è poi giudizio esistenziale e storico, non semplice giudizio classificatorio. Se il concetto puro è percezione storica, storia, esso è anche, al tempo stesso, filosofia, perché è l’universale concreto, sintesi di individualità e universalità.
Dal campo della conoscenza filosofica sono invece escluse le scienze positive o naturali. Come la stessa critica della scienza ha dimostrato (e qui Croce svolge in senso spiritualistico certe intuizioni di Mach e Avenarius o del convenzionalismo di Le Roy), i costrutti scientifico-matematici non sono che finzioni utili a organizzare e a dominare praticamente la realtà naturale, prive di vera universalità. Il loro ambito proprio non è quello della logica o conoscenza filosofica, ma dell’economia o filosofia della pratica.


LA CONCEZIONE DELLA STORIA

Nella Filosofia della pratica (1908) e in Teoria e storia della storiografia (1915-17), oltre a portare a compimento il suo sistema, Croce ne esplicita sempre più chiaramente l’ispirazione di fondo: la difesa dell’individualità, della realtà effettuale, pur nella rivendicata universalità dello spirito; il raccordo tra la concretezza del conoscere storico e la natura dell’umana volizione.
Croce distingue l’azione — che è sinonimo di volizione individuale —dall’accadimento, in cui concorrono più volontà. La coscienza immediata che l’individuo ha del valore o disvalore del proprio atto non è ancora il giudizio storico con cui si valutano gli eventi.
Quest’ultimo ha, per Croce, carattere storico-cosmico, perché immerge l’individuo, con il suo limitato libero arbitrio, all’interno della superiore razionalità o necessità storica.
Nella storia tutto concorre al progresso, compresa la negatività, il male, l’errore. Sono le tesi ribadite con forza — nel pieno degli accadimenti bellici — nell’opera principale dedicata da Croce a una riflessione filosofica sul senso della conoscenza storica. Ogni storia autentica è storia contemporanea, perché muove dal presente, dai suoi interessi e dalle sue drammatiche urgenze, per indagare e comprendere meglio il passato.
Nella storia non esiste, propriamente parlando, l’errore (analogo del male). Questo non ha infatti una positiva esistenza, ma è solo un momento negativo o dialettico dello spirito, necessario alla sua affermazione positiva. Il corso storico non è trapasso dal male al bene, ma dal bene al meglio: compito dello storico sarà dunque di spiegare e comprendere, non di condannare.
In polemica contro l’astratto individualismo della storia pragmatica, che vede gli uomini soggetti a una alterna vicenda di vittorie e sconfitte, Croce sostiene che lo storico deve rivolgere il suo sguardo non al singolo, ma all’umanità vista come un tutto. Ciò non significa negare il ruolo insopprimibile dell’azione individuale, che conserva, coerentemente col credo liberale dell’autore, un posto insostituibile nella storia, a patto di sapersi inserire e riconoscere entro la necessità razionale cosmica o totale degli accadimenti.
Croce nega ogni valore (in polemica con Gentile) alle costruzioni speculative della filosofia della storia, affermando al contrario che l’esigenza di universalità umana e concretezza spirituale cui la filosofia aspira può essere pienamente soddisfatta dalla stessa storia.
Da ultimo, la filosofia come logica, come distinto momento dello spirito, viene da Croce sminuita di valore. La filosofia, nel senso più adeguato e profondo, viene a essere il momento trascendentale della conoscenza storica, alla quale appresta le categorie necessarie a pensare il reale nella sua totalità. Essa finisce per essere ridotta a momento metodologico della storiografia.
Con ciò la tendenza immanentistica della filosofia crociana può dirsi pienamente realizzata.







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