AMERICA
-ricordi di viaggio-
Di Alexdemian


Stasera ,complice il brutto tempo ,vorrei fare uno sforzo di memoria e raccontarti qualcosa riguardo un esperienza vissuta due anni fa durante l’estate…non penso di avertene gia parlato…armandomi di coraggio e animato da uno spirito incosciente di avventura mi sono concesso la follia di intraprendere un viaggio negli Stati Uniti…messo da parte qualche soldo con il lavoro in fabbrica ,al culmine dello stress dopo un anno di fatiche e di tensioni familiari parto per quella che sembra una effettiva liberazione dalle cose brutte della vita…mi metto in contatto con un agenzia di viaggi per i biglietti d’aereo e gli opuscoli informativi e una mattina di agosto mi faccio accompagnare all’aeroporto di Malpensa …destinazione U.S.A…i paesaggi sono l’attrattiva principale mentre culturalmente non credo costituiscano un esempio da imitare,ma libero la mente da preconcetti e mi apro al nuovo…allaccia le cinture di sicurezza e partiamo…non ho mai preso l’aereo e ho qualche timore che subito svanis
ce non appena la fase di
decollo termina…in pochi minuti il velivolo prende quota e la mantiene…mi rilasso in previsione di un volo che si annuncia lungo…non sono riuscito ad ottenere un posto di fianco ai finestrini pertanto l’unica distrazione concessa è la proiezione di qualche film d’epoca,rigorosamente degli anni 30…sperando che anche l’aereo in sintonia con i film non si trasformi in un bimotore dei fratelli Wright mi addormento confortato anche dal calore delle coperte gentilmente offerte. Al mio risveglio vengo informato che durante il sonno sono andati in onda film più moderni che avrei voluto vedere…mi consolo mangiando qualcosa. il volo prosegue e quando si arriva in corrispondenza di Halifax,in Nuova Scozia,comincia la fase di atterraggio. Piano piano si plana sull’aeroporto J.F.K. di New York. Eseguite le formalità di sbarco vengo in possesso della mia valigia e trascinandola a mano,nel brulichio dell’aeroporto cerco di orientarmi chiedendo qualche informazione agli addetti nel mio timido e st
entato inglese,che spero
di migliorare durante la permanenza negli USA. Prendo un autobus e mi faccio trasportare al padiglione dell’American Airlines, a qualche chilometro di distanza. Subito mi accorgo dell’estrema eterogeneità del paesaggio urbano e dei tipi umani…persone di ogni colore,razza,espressione che sembrano immobili come spettri nelle nebbie della propria solitudine…New York è anche questo. Finalmente scendo dal bus pieno di visi accaldati e ,inoltrandomi in una sezione staccata dell’aeroporto ,mi siedo nell’atmosfera refrigerante di una sala dai muri color ocra. Il volo per Los Angeles parte di sera,ma considerato il fuso orario per me è gia notte fonda. Cerco di schiacciare un pisolino non riuscendoci ,allora inganno l’attesa osservando la pista d’atterraggio e il sole che lentamente si posa all’orizzonte,mentre alcuni operai terminano il proprio lavoro di rifornimento carburante. Incontro un signore sulla quarantina di torino,che diventerà uno dei miei compagni di viaggio…mi racconta che l
avora alla Deutsch Bank
e che terminato il tour nella West Coast andrà da solo una settimana in un ranch del Midwest ,a contatto con una famiglia di cowboys che gli insegneranno tutti i trucchi del mestiere…facciamo subito amicizia e quando cala il buio saliamo insieme sullo stesso aereo. Questa volta il posto accanto agli oblò non me lo toglie nessuno…previdente ho fatto richiesta esplicita per un sedile vicino ai finestrini. Non voglio perdermi lo spettacolo di osservare gli States di notte ed infatti vengo accontentato…ci lasciamo alle spalle New York,che appare come uno sterminato campo di lampadine colorate, e ci inoltriamo nell’entroterra ,mentre le luci delle case divengono sempre più rade e indistinguibili,coperte talvolta dalle nuvole. Appoggio il viso alla superficie fresca del finestrino e lascio che la mia mente precipiti in uno stato di dormiveglia sognante molto piacevole. Fa piuttosto freddo e due coperte quasi non bastano,ma prendo sonno e mi sveglio in prossimità delle montagne rocciose.
Cerco di distinguerne i
contorni però è praticamente impossibile col buio.stanco del viaggio,dopo un totale di 16 ore di volo arrivo a Los Angeles. Aspettare le valigie a quest’ora della notte è un pò una tortura,ma arrivato in albergo con un pulmino ottengo subito le chiavi della mia camera e senza mettere a posto nulla mi sdraio sul letto sospirando e spegnendo la luce. Dalla finestra entra una luce giallognola abbastanza fastidiosa però sono talmente cotto che crollo nel sonno più profondo. L’indomani alle prime luci dell’alba scendo al piano terra dell’albergo per la colazione. Ho un appuntamento con la guida del tour organizzato di dieci giorni al quale dovrò partecipare,conosco diversi compagni di viaggio italiani e insieme prendiamo posizione sul pullman. L’autista è un tipico californiano di 45 anni,dall’incontenibile sense of humour…ci farà ridere molto in alcune occasioni. Arrivati nel centro di Los Angeles scendiamo per dare un occhiata ai grattacieli. Palme dal tronco sottile e allungato ornan
o i giardini antistanti
i palazzi,il sole filtra gia caldo alle prime ore del mattino attraverso le foglie e gli squarci di cielo tra gli edifici. C’è il tempo per una visita alla hall di un albergo prestigioso ,poi si riprende il viaggio verso l’entroterra della California. La periferia di Los Angeles è suddivisa in aree geometriche tutte uguali ,delimitate da strade perpendicolari e rotonde, al centro delle quali campeggiano immancabili le palme. Le case sono bianche e basse,alcune sorgono in cima a colline e sono delle autentiche ville di lusso. In strada saltano all’occhio le macchine,dalle forme allungate e stravaganti,spesso ornate di corna di bue,ma anche i famosi truck americani,guidati da autisti praticamente nudi.si entra in pieno deserto,il clima si fa torrido ma fortunatamente abbiamo l’aria condizionata. Ai bordi della strada compaiono i joshua tree,alberi caratteristici del deserto californiano,così chiamati dai primi pionieri cui sembrava che essi ricordassero il profeta Giosuè nell’atteggi
amento di alzare le mani
in segno di supplica verso Dio. Giunti nella Hidden Valley ci si accorge che con il passare dei millenni i venti del deserto hanno scolpito le rocce dando luogo a forme bizzarre che ricordano barche a vela,mostri,cavoli,re e altre stranezze varie. Lunghe file di eliche bianche si ergono ora ai lati della strada…sono centrali eoliche che sfruttano le correnti d’aria del deserto. Le pale girano vorticosamente,ipnotizzandomi col loro movimento. Stordito dall’ambiente desertico mi fermo in una stazione di servizio,l’unica nel raggio di miglia e miglia. Qui vicino si dice esista un curioso aggeggio,divenuto famoso negli anni 50…una cabina telefonica sperduta della quale molte persone di tutto il globo sono venute a sapere il numero,chiamando e immaginando di sentire squillare il telefono nel bel mezzo del deserto,senza la speranza che qualcuno rispondesse. Si prosegue verso il confine dell’Arizona,nei pressi del quale scorre verde il fiume Colorado,irrigando per qualche miglio le zone
circostanti. Pranziamo i
n un ristorante,poi mi avventuro come un novello Jack Kerouac assetato di vita “on the road” lungo le strade della cittadina. Il caldo è soffocante,ma in fin dei conti sono venuto in America proprio per questo. Scatto qualche fotografia di questa landa desolata e torno soddisfatto con gli altri,che mi aspettano tramortiti,all’ombra. Oltrepassato il confine tra California e Arizona vedo un’enorme salamandra grigiastra zampettare allegramente sulla sabbia. La strada si inerpica tra dune e colline di roccia rossastra. All’orizzonte spesso si notano costruzioni bianche sferiche…mi informo e scopro che sono centrali nucleari. In serata si arriva a Phoenix,che sorge nella valle del sole,e poi si continua per qualche miglio verso il suo sobborgo artistico,Scottsdale. Ceniamo in un albergo circondato di vegetazione, di sera io ed alcuni compagni accettiamo la proposta della guida di spostarci verso le favoleggiate Superstition Mountains. Distanti qualche miglio da Scottsdale sono ritenute
montagne sacre dalle pop
olazioni indigene,ed infatti l’aura magica che si respira sembra confermare le credenze indiane. Giunti su un altipiano ceniamo all’aria aperta su immense tavolate di legno…ci vengono servite braciole al sangue e birra in quantità ,e il tutto è reso più piacevole dalla musica country suonata da una band che ogni sera si esibisce per i visitatori. Mi pungo una mano con la spina di un cactus e maledico la sfortuna alzando gli occhi al cielo,ma è impossibile odiare un cielo così…una miriade di stelle che ti guardano compassionevoli concedendo di riflettere la loro bellezza nei tuoi occhi. Con la notte il clima si fa freddo,è ora di tornare all’albergo e a malincuore lascio le Superstition Mountains con la convinzione di aver passato una delle serate piu emozionanti della mia vita. La mattina seguente prendiamo la Black Canyon Highway nord e con sorpresa si scopre l’abbondanza di piante che popolano la riserva naturale dell’Arizona. Esiste almeno una dozzina di specie diverse di cactus,u
na della quali,il saguar
o,con il suo tronco grosso e alto e i suoi rami all’insù,è divenuto il simbolo dello stato. Vengo immortalato in una foto accanto ad un esemplare di questa pianta,che ospita spesso al suo interno le più svariate specie animali,tra cui picchi e scoiattoli. Percorrendo un sentiero in terra battuta si arriva in una vallata coperta di vegetazione,dove si sconsiglia di lasciare la strada principale per la presenza di rettili che trovano negli acquitrini adiacenti il loro habitat naturale. Un pò inquietato affretto il passo e lascio indietro i compagni ,giungendo al Castello di Montezuma,antica dimora indiana costruita nella roccia ..ad una ventina di metri d’altezza ,su una parete rocciosa, si possono ammirare incisioni ,scanalature e incavi utilizzati come rifugio dai pellerossa. Ora gli indiani non ci sono più e al loro posto vivono gli scoiattoli,che sembrano divertirsi un mondo ad entrare e uscire dai cunicoli. Ancora un pò di strada e si arriva a Sedona,nelle vicinanze dell’Oak Cre
ek Canyon,famoso per le
sue impressionanti rocce rosse. Una comunità di artisti e hippies vive nei vecchi edifici di legno precariamente aggrappati lungo i ripidi fianchi della montagna di questa vecchia città. La tentazione di fermarsi a scambiare quattro chiacchiere con questi vecchi freak è forte, il tempo però è tiranno e dobbiamo pranzare in vista del viaggio pomeridiano verso il Grand Canyon.certamente se fossi venuto da solo o con qualche amico avrei cercato di approfondire la conoscenza di questi ragazzi. Quando giungi al Grand Canyon puoi avere solo una vaga idea di ciò a cui stai per assistere…hai la sensazione che quello che vedrai va al di là della tua immaginazione, ti affacci al parapetto e ti rendi conto che le previsioni erano esatte…tutto è più grande di come ti aspetti,uno squarcio enorme,scavato dal fiume Colorado,si apre nella terra…i molteplici livelli di intricate formazioni rocciose si innalzano al di sopra dell’abisso. Cerco la posizione più adatta per scattare delle foto,stando att
ento al vento fortissimo
che quasi mi solleva. L’emozione è grande e stimola riflessioni mistico-religiose , in un istante mi sento trasportato lontano,riaffiorano ricordi di contrattempi,piccolezze quotidiane,conflitti,che scompaiono di fronte a tanta maestosità, e penso che tutto questo rimarrà anche quando non ci sarò più. Visitato il museo del Grand Canyon mi dirigo lungo la strada che costeggia il parapetto,attratto da un suono lontano di tamburi…mi avvicino e compaiono indiani pellerossa vestiti in modo tradizionale,con tanto di piume sgargianti,impegnati in una danza rituale. Assisto attonito all’esibizione e poi mi dileguo ancora una volta verso un punto panoramico. Da Bright Angel Point il canyon appare in una luce diversa, anche il sole sta per calare e quando è il momento di tornare col pullman verso l’hotel mi godo uno splendido tramonto .la notte comincio a fare strani sogni,come se un nuovo livello di realtà stesse prendendo il sopravvento. Vedo un aquila nera sbattere le ali lentamente ,ma in
esorabile sopra una mare
a gialla di diamanti,e sento una voce femminile che mi dice di scavare una fossa dove seppellirmi. Il giorno successivo risvegliandomi penso che qualcuno abbia versato qualche scaglia di peyote nel mio piatto, mi sento un pò confuso anche se scambiando qualche parola con gli amici tutto torna normale. Copriamo il tragitto che ci separa dal Painted Desert,che è esattamente quel che dice il suo nome,un deserto dipinto,dove,in una serie di altipiani e basse mesas,i colori sono però naturali: negli strati di arenaria,scisto e argilla predominano i rossi brillanti,gli arancioni e i marroni. Quest’area ricorda una galleria all’aperto: il deserto dipinto potrebbe chiamarsi anche deserto scolpito,tante sono le forme naturali che mutano di minuto in minuto con l’intensità del sole e con le ombre del pomeriggio o del primo mattino. In questa zona vivono colonie di pellerossa Navajo ,per lo più dediti all’alcolismo e costretti a vendere manufatti per sopravvivere. Alle condizioni drammatiche di
sopravvivenza si aggiun
ge il fatto che la zona del Painted Desert è considerata altamente radioattiva,essendo stata la base di numerosi esperimenti nucleari negli anni 50 e 60. A tal proposito la guida racconta un episodio riguardante una troupe cinematografica di un film western,rimasta decimata da malattie incurabili appena terminate le riprese nel deserto . Ci allontaniamo in direzione del lago Powell. Ciò che risalta di questo bacino artificiale è il colore dell’acqua,di un blu intensissimo,che contrasta con le rocce rosse e levigate dell’ambiente circostante. Sorpassato il ponte di Page,sul fiume verdognolo che burrascoso fuoriesce dalla diga di lake Powell, entriamo nel museo antistante le due monolitiche costruzioni di ferro e cemento. Turbine gigantesche sono esposte associate a tavole che illustrano le fasi di costruzione dell’impianto idroelettrico. Nel tardo pomeriggio arriviamo al Bryce Canyon National Park. Tecnicamente i canyon di Bryce non sono affatto canyon ,ma fratture nella terra,sugg
estivi anfiteatri di cal
care rosa e bianco profondi anche trecento metri. Caratteristiche di Bryce sono le formazioni rocciose a pinnacolo, sormontate da massi dalla forma sferica…se ne trovano a migliaia. La pista più popolare è anche quella che decidiamo di percorrere… è il Navajo Loop Trail,un ‘escursione della durata di due ore lungo una discesa di oltre 150 metri nel canyon. Mi lascio trasportare dall’entusiasmo e precedendo gli altri arrivo in fondo al canyon,stando attento al terreno scivoloso e fangoso. Ripercorro il sentiero all’indietro alzando lo sguardo e vedendo i falchi,la specie prevalente di volatili che si librano sopra Bryce Canyon. La luce una volta riemersi in superficie è abbacinante…illumina i canyon in modo tale che essi sembrano ardere di un fuoco interno. Scambio qualche opinione col mio amico di Torino e con alcuni ragazzi veneti,parliamo e scherziamo fino a sera tarda in albergo. Un sonno tranquillo mi ristora completamente,sono pronto ad affrontare un nuovo viaggio, questa volta
verso Zion National Par
k,una serie di gole e canyon decisamente spettacolari. I canyon stratificati di Zion ,che sono stati prima un mare e poi un deserto,sono il risultato di cambiamenti climatici incredibilmente bruschi. Questi mutamenti hanno creato pareti e gole variopinte,porpora,lilla,gialle e rosa, che scintillano suddivise in placche di forma quadrangolare. Scendendo tra le impervie gole del canyon si può ammirare un ponte naturale di roccia,da una postazione in cui sembra di essere inghiottiti dalle montagne. Proseguiamo verso l’ingresso,dove sono stati allestiti un museo geologico e un chiosco informazioni…lì si assiste ad un documentario sul parco nazionale di Zion. A 100 miglia da Las Vegas ci fermiamo in una cittadina di provincia,sul confine tra Arizona e Nevada. Qui pranzo alla bell’e meglio con qualche hamburger rimediato in un Mc Donald e per la prima volta gioco alle slot-machines nella hall di un albergo…è solo un antipasto di ciò che succederà di sera. Il deserto del Nevada inghiotte l
’autostrada ,ed attraver
so la valle del fuoco finalmente si scorge all’orizzonte la cattedrale del deserto,Las Vegas…un miraggio che sembra allontanarsi tra le nebbioline create dalla calura. La prima costruzione che compare nitidamente è una specie di torre osservatorio somigliante ad un disco volante sorretto da un fascio luminoso. Poi man mano che ci si avvicina le insegne dei principali hotel fanno la loro comparsa ,ognuna invidiosa dell’altra. Ogni hotel ,nel tentativo di accaparrarsi il maggior numero di visitatori, ricorre ai mezzi pubblicitari più sconcertanti…grande rilevanza in questa corsa verso il guadagno è assunta dall’appariscenza delle insegne luminose,una più enorme e luccicante dell’altra,come in una moderna Babilonia. Quella del nostro hotel,ad esempio,è alta all’incirca cinquanta metri ed è bianca,a forma di conchiglia marina. Ogni albergo ha un proprio casinò all’interno…il nostro al piano terra contiene una vera e propria città. Decido di dare un occhiata alla mia camera…il lusso è sp
aventoso,tutto è miracol
osamente in ordine e pulito…mi affaccio alla finestra e abbassando lo sguardo vedo che cinque piani più sotto c’è una piscina…scendo con l’ascensore e deviando velocemente il personale dell’albergo in uniforme esco all’aria aperta ,stendendomi a prendere il sole da parte all’acqua. Viene sera ed insieme alla guida ed altri amici ci avviamo a piedi lungo lo strip di Las Vegas,un viale lungo 8 km illuminato di giorno dal sole del deserto,di notte ancor più intensamente per la ricchezza delle insegne e delle luci di una lunga fila di alberghi tra i quali il Sahara, il Riviera, il Silver Slipper,il Sands,il Caesar’s Palace e il Dunes. La immensa vastità degli innumerevoli casinò dello strip mira a un bombardamento completo dei sensi con un vortice di spettacoli e suoni: le luci lampeggianti,il rumore delle slot-machines,le ruote della fortuna, i dadi che rimbalzano sui tappeti verdi e l’aria satura di fumo misto al più sottile odore degli alcolici. Assistiamo ad uno spettacolo all’apert
o ,gli attori inscenano
una colossale battaglia tra galeoni spagnoli…in fin dei conti una americanata della durata esagerata di mezz’ora che si conclude con un pirotecnico finale. Continuiamo la passeggiata facendoci strada tra la folla accalcata nella strada ed entrando nel Caesar’s Palace,dove si tengono anche incontri di boxe e concerti rock. Il soffitto delle sale è dipinto molto bene di blu e azzurro,imitando i colori del cielo. Tutto è riprodotto in maniera scrupolosa. Usciamo dal Caesar’s attraverso un corridoio illuminato a giorno e camminando per qualche centinaio di metri abbiamo l’opportunità di assistere ad un nuovo show …ad una trentina di metri d’altezza,sul soffitto di una galleria che ricorda quella di Milano, un milione di lampadine si accende all’unisono riproducendo per dieci minuti la storia dell’umanità attraverso immagini da trip psichedelico,dalla preistoria alla conquista dello spazio,in un tripudio di retorica. Esclamazioni di stupore e applausi fanno da cornice a questa rivoltant
e commedia. Torniamo all
’hotel e facendomi contagiare dagli amici mi abbandono al consumismo più sfrenato,ordinando alcolici e giocando alla roulette…all’inizio sembra andare bene,guadagno qualche dollaro,poi mi lascio prendere dai demoni del gioco continuando a puntare sul rosso raddoppiando la posta…i croupier si insoppettiscono e mi chiedono l’età e la nazionalità…credono che non abbia ancora compiuto 21 anni ,io invece provo di avere tutte le carte in regola…continuo a giocare ma escono 8 neri di fila,sicuramente frutto di un baro clamoroso,dovrei raddoppiare ancora ma cedo perché sto perdendo troppo e le fish stanno finendo. Perdo 80 dollari ,saluto tutti e torno alla mia camera alle tre di notte,in uno stato comatoso. Mi abbandono sul letto e questa volta nei miei incubi las vegas prende le sembianze di una prostituta bionda che sale sopra di me vestita di pelle e borchie,stringendomi le mani al collo e soffocandomi. Disgustato dalla capitale del vizio mi vendico a modo mio, collocando le poltroncine
della mia camera con le
gambe verso l’alto sopra il letto e lasciando un bigliettino per il personale. Rido con l’amico di torino della bravata compiuta ,mentre il pullman si allontana da Las Vegas in direzione nord-ovest,verso il Mojave Desert,al confine tra Nevada e California…si entra nella Death Valley,una zona desertica sotto il livello del mare in cui si registrano temperature di 56 gradi centigradi all’ombra. Scendiamo dal pullman nei pressi di Zabriskie Point,un posto panoramico quasi assurto a simbolo della valle della morte; qui negli anni 70 è stato girato l’omonimo film di Antonioni,mentre poco piu distante si è consumato il massacro di Sharon Tate,la moglie del regista Roman Polansky,da parte della setta capeggiata da Charles Manson. Spira un vento caldissimo ,le dune sono impressionanti e il caratteristico dente aguzzo che si vede in lontananza somiglia al canino di uno squalo. Purtroppo si rompe la pellicola della mia macchina fotografica…una famiglia toscana mi farà avere le foto perdute con
sentendomi di completare
l’album,che alla fine del viaggio comprenderà più di duecento foto. All’oasi di Furnace Creek compro alcune rose del deserto,pietre colorate e stelle marine,mangio all’ombra seduto sotto un ventilatore,uscendo mi imbatto in alcuni uccellacci appollaiati sulle piante dell’oasi…sembrano cornacchie giganti,il loro verso mi terrorizza. Si parte alla volta dei Mammoth Lakes,che si trovano a oltre tremila metri di quota…passare dalla depressione della valle della morte all’ambiente montano della Sierra Nevada in poche ore non è uno scherzo. La differenza di temperatura è considerevole. Di sera mi concedo per la prima volta una vera cena di lusso a base di pesce,mentre il termometro fuori registra tre gradi centigradi e il vento soffia gelido tra i pini. La camera è confortevole e arredata in legno ,mi addormento subito. L’indomani l’aria frizzante infonde energia…siamo nella Sierra Nevada,una catena montuosa che corre per 400 km parallela al confine col Nevada. La perla di questa collana
di monti è costituita d
allo Yosemite National Park,che andiamo a visitare. La prima cosa che vediamo è un lago di tipo alpino,contornato di una fitta vegetazione e rocce bianchissime. Costeggiando queste rocce si giunge nella valle dello Yosemite,ricoperta di prati e foreste e irrigata dal fiume Merced. La valle è lunga una decina di km e ampia quasi due; sulle sue pareti,che salgono dal fondovalle ,si trovano alcune delle meraviglie geologiche del mondo. La prima e la più famosa è El Capitan,il più grande monolito di granito che si conosca ;di fronte a El Capitan torreggiano le Cathedral Spires,mentre sul lato nord della valle si ergono i Three Brothers,un trio di picchi inclinati posti l’uno sopra l’altro. Mangiamo al sacco nella penombra di una pineta proprio sotto la Upper Fall,una delle più spettacolari cascate della valle. L’acqua fuoriesce da una parete di granito altissima e compie un balzo di 400 metri . Un pò per il sudore,un pò per l’aria satura di umidità ,arrivo ai piedi della cascata completa
mente lavato,dopo aver c
ompiuto un lungo tragitto tra le rocce e aver rischiato la pelle. Torno con gli altri stando attento a non scivolare sulla superficie umida dei massi. Nel pomeriggio ci spostiamo di qualche km verso il Mariposa Grove,il più grande dei tre boschetti di sequoie giganti del parco. Oltre duecento delle sue belle vecchie sequoie superano i trenta metri di diametro. Tra di esse c’è l’albero tunnel,talmente grande da rendere possibile il movimento di un auto all’interno della sua base cava. Alcune sequoie giacciono a terra ,lasciando vedere le intricate radici…le pigne di questi enormi alberi sono proporzionate alla loro grandezza,superando i 40 cm di lunghezza…vorrei portarne una con me ma i rangers sono inflessibili. Dalle montagne si passa alla Orange County,così chiamata per il colore dell’erba bruciacchiata,che splende al tramonto come un quadro di Van Gogh. Pernottiamo nella cittadina di Modesto,in California. Si prosegue lungo il cammino dei cercatori d’oro per San Francisco,attraver
so la San Joaquin Valley
Attraverso la baia di Oakland si torna a vedere l’Oceano Pacifico…Frisco è poco distante,un ponte strallato separa le due città. San Francisco è il luogo ideale per una vacanza…piena di attrattive culturali e naturali è sicuramente la città che più mi interessa conoscere a fondo,considerato anche il tempo a disposizione…due giorni di visita in tutto. Uscendo dall’autostrada imbocchiamo una via tortuosa conosciuta dall’autista e in pochi minuti giungiamo alla baia. Commetto l’errore di staccarmi dagli altri e andare in esplorazione per conto mio,le acque blu frastagliate delle baia mi attraggono magneticamente, l’aria è cristallina e il sole delle 11 limpido. I gabbiani volteggiano liberi sul lungomare,attratti dall’odore di pesce del Fisherman’s Wharf,il molo dei pescatori che rappresenta il centro commerciale dell’industria peschiera e allo stesso tempo una delle maggiori attrazioni turistiche della California. Nei dintorni del molo ,oltre al mercato peschereccio,innumerevoli banca
relle lungo i marciapie
di vendono articoli artigianali e chincaglierie assortite. Confondendomi tra la gente proseguo la mia camminata solitaria verso il molo 39,sul lungomare settentrionale. Sulla sinistra c’è una fila di negozi e botteghe,sulla destra attraccate vicino al bordo di cemento del molo navi da combattimento e sottomarini risalenti alla seconda guerra mondiale,ora visitabili come musei storici galleggianti. Forse per la solitudine,forse per i colori cangianti,le ombre che esplorano tutte le gradazioni, tutto ad un tratto sento il silenzio attorno a me,nonostante la folla,ed entro in una stato mentale in cui mi sento osservatore della realtà che mi circonda, come se fossi invisibile e per qualche minuto vedessi le cose piu chiaramente…anche il mio corpo sembra farsi più percettivo, sento di esistere nello spazio che mi circonda…perdo la cognizione del tempo e quando torno alla baia sono in ritardo di mezz’ora rispetto agli altri…il pullman ha dovuto compiere diversi giri della piazza antistant
e la baia per non intral
ciare il traffico…mortificato chiedo scusa ai compagni di viaggio,comprensibilmente preoccupati…anzi alcuni sono ancora in giro a cercarmi e quando mi rivedono tirano un sospiro di sollievo, l’amico di Torino in modo particolare prima mi rimprovera poi contento mi abbraccia. La prossima tappa porta al Golden Gate Bridge,il ponte sospeso più alto del mondo e uno dei più lunghi a campata unica. Arrivati al ponte,verniciato di rosso, si gode una vista indimenticabile su San Francisco e la baia. Le navi passano agevolmente sotto il ponte , muovendosi lentamente nel canale d’acqua. Fotografati alcuni bisonti nel Golden Gate Park percorriamo una strada in salita piena di tornanti che porta a Twin Peaks,un eccellente punto panoramico da cui si può abbracciare con lo sguardo l’intera città. Scendendo dal punto più alto di Frisco verso il nostro albergo passiamo attraverso il quartiere gay,contraddistinto dalle numerose bandiere arcobaleno esposte alle finestre delle case. Non è raro vedere
coppie di omosessuali c
he si tengono per mano lungo i marciapiedi,questo perché a san Francisco c’è una tradizione di tolleranza che affonda le sue radici nella storia,cominciata nell’ottocento con la corsa all’oro,che ha portato avventurieri da tutte le parti del mondo. Ne risulta una piacevole armonia e un miscuglio di culture naturale,aperte al dialogo con il mondo dei gay. Di sera ,essendo un grande appassionato di musica,mi reco in alcuni negozi di dischi che sorgono in ex capannoni abbandonati,le celebri Warehouses. I prezzi dei cd sono stracciati e si trova veramente di tutto,ma quel che mi importa approfondire è la conoscenza del rock psichedelico nato qui a Frisco nei 70,che ha avuto nei Grateful Dead il suo punto di riferimento. Soddisfatto torno all’albergo con qualche disco in mano…peccato non abbia un lettore cd…li ascolterò a casa. Di notte il clima diventa fresco e l’indomani quando mi sveglio la finestra è bagnata di qualche gocciolina di pioggia. Assieme alla guida ed altri prendo un tax
i,guidato da un russo, e
mi faccio portare al porto di San Francisco…qui vicino foche riposano su zattere di legno. Prendo i biglietti del ferry-boat e mi imbarco sul traghetto …ci allontaniamo dalla riva tra le onde spumeggianti create dall’imbarcazione,passiamo a qualche decina di metri dall’isola di Alcatraz,sede del famoso penitenziario federale reso ancora più spettrale dal tempo nuvoloso. Attracchiamo alla riva della località di Sausalito, celebre per la comunità di pescatori. La visita è piuttosto deludente ,torniamo alla baia per mezzogiorno e pranziamo in un ristorante tra i meno costosi. Nel pomeriggio vorrei recarmi a Berkeley,sede di una prestigiosa università e centro della rivolta studentesca sul finire dei sessanta,ma gli altri non sono d’accordo e mi trascinano in un noioso shopping tra i negozi di abbigliamento. Camminando verso il centro,tra pareti ricoperte di murales, vediamo per la prima volta una cable car,il caratteristico mezzo di trasporto di San Francisco,l’unico grazie al quale le
ripidissime vie che por
tano in collina siano praticabili. Aspettiamo il nostro turno in attesa di salirvi,mentre un suonatore nero di sax allieta i turisti con qualche brano jazz. Si parte e la cable car arranca lungo la salita,manovrata dalle mani abili di alcuni macchinisti,che azionano leve meccaniche.ai bordi della strada si notano cottage stile New-England,circondati da giardini,imponenti facciate vittoriane,librerie famose attorno alle quali si dice sia nato il movimento della beat generation. Torniamo all’albergo giusto il tempo per una doccia,poi si cena fuori in un ristorante italiano…l’ambiente è un po kitsch,ancorato ancora a vecchi stereotipi dell’italianità…violini,rose rosse,”o sole mio” etc etc…però si mangia bene. Uscendo respiriamo l’aria pura e attraverso Lombard Street ,che vanta dieci pericolose svolte a gomito in un solo isolato, ci troviamo in una strada zeppa di alberghi…di soppiatto entriamo nel più alto di questi e con l’ascensore saliamo all’ultimo piano per vedere San Francisco
di notte. È la degna con
clusione della nostra visita a questa città californiana. La mattina del giorno dopo si prosegue il viaggio lungo la costa dell’Oceano Pacifico,percorrendo la famosa “17 miles drive” ,suggestiva strada panoramica,fermandoci anche a Seal Rock,una roccia grandissima popolata di leoni marini e foche,per raggiungere la penisola di Monterey . Qui la località omonima conserva un vivace e storico villaggio di pescatori. Esiste anche uno zoo acquatico e numerose boutiques. La vicina Carmel è uno dei centri più eleganti e conosciuti della costa per lo shopping…è inoltre una pittoresca colonia di artisti,qui sono proibiti insegne al neon,cartelli stradali e altre cose che possano deturpare il paesaggio. Lasciate le valigie in albergo nel primo pomeriggio mi dirigo lungo una strada in discesa contornata di cipressi verso l’oceano. La spiaggia è lunga duecento metri e anche di più,bianchissima e fine. Mi siedo a una cinquantina di metri dal mare,chiudo gli occhi,respiro,li riapro…sento che la va
canza sta per terminare
e cerco di godere questi attimi nel modo migliore,rilassandomi e abbandonando le mie difese. Mi alzo rigenerato ,torno all’Hotel con qualche ricordino comprato in una boutique e mi avvio con gli altri verso la Carmel Mission,insuperata opera di restauro tra quelle effettuate nelle missioni californiane. Fondata sul finire del settecento venne elevata al rango di basilica nel 1960 dal papa. Colpisce la quiete,il silenzio,la fitta vegetazione,l’edera che si arrampica sulle colonne dei lunghi porticati, le stanze ornate di manufatti spagnoli d’epoca , l’atmosfera calda e ricolma di profumi. Col suono delle campane che rintoccano ce ne allontaniamo,sentendo il calore della terra sotto i piedi. L’indomani si parte per l’ultimo trasferimento in pullman…si torna a Los Angeles attraverso Big Sur,il tratto di costa pacifica ubicato a sud di Carmel. Le colline erbose di Big Sur si trasformano improvvisamente in scogli a strapiombo sul mare. Ci sono molti punti in cui fermarsi a osservare le fo
che ,le lontre e i leoni
marini che popolano la costa. Le onde si infrangono sotto i macigni ai piedi dell’alta scogliera. Un tratto di strada curvilineo e tortuoso porta a Santa Barbara. Qui ci fermiamo per mangiare,nel pomeriggio mi corico in spiaggia all’ombra di una palma e vi rimango per parecchio tempo osservando il mare e il cielo che si fondono in un tutt’uno bluastro. Visito il museo marino di Santa Barbara,quindi riprendo il tragitto lungo l’autostrada per Los Angeles. Arriviamo in serata, le colline di Hollywood campeggiano nel lato sinistro della visuale, gli aerei calano sull’aeroporto lanciando saette di luce. È l’ora dei bilanci finali,esco con gli amici in un locale per parlare un pò e confidarmi…di Los Angeles non ho il tempo di vedere nulla,anche perché il giorno seguente in mattinata mi aspetta il volo di ritorno. Quanti posti nuovi ho conosciuto,quante strade ho percorso e quante avrei potuto percorrerne,quante volte avrei voluto perdermi e non tornare indietro,quanti sogni avvolti nel m
istero …senza soluzione…
quante volte ho cercato casa in fondo al mio cuore…



SENZA TITOLO
Di Alexdemian


Ciao bastardi sono io dal piu profondo buco me ne infischio raccolgo
eredità di santi malati e vesti scucite su gambe molli e flaccide,
trovo strada nel vicolo cieco, senza speranza grugnisco parole da
porco nel fango tentazione scarna incoraggia luci in rivolta,
motociclisti assetati col sangue freddo e t-shirt bianche, pelle
nera a volontà. Adducendo pretesti occhialuti funzionari srotolano
pensieri di commiato galleggianti nell’aria ,supine figure lacrimano =
inchini . punto cerebrale gelido osmotico,sa di essere l’unico e ci
precede,la coda si sfalda nel caos dell’andirivieni. Insegne colorate=
e scritte regolari,in circolo di morte maschere a naso lungo. Occhi
buchi ossa blu scheletriche da codice a barre. L’ho visto in
confezione, fogliettino istruttivo chimici ragguagli . raggio hare
krishna sulla mia fronte illumina la via. Devo seguirla. Poche parole
tu lurido pezzente,la confraternita non può aspettare l’ultimo
arrivato. Silenzio in metropolitana , grande capo ugola rossa tuona
parole di fuoco :”olocausto della ragione,lunga vita all’irrazi=
onale”…
spargete il verbo ,figli di un caino neonazi, il mondo rigetta la
cerchia indistinta,siamo pronti per distruggere. Congrega viola a
raccolta ,tuniche da gesu cristo ,spine technicolor su sfondo
candido. Piedi infetti di cicatrici calcano lo spazio del livello
superiore ,ultima cena ,le iene della paura non sono a dieta. Savana
tribale e primitiva, congrega nera in adorazione ,idolo oscuro medusa
richiede un pegno. Sacro giuramento mani congiunte sporche, siamo in
errore fratelli? Troppo tardi per tornare sui nostri passi. Venti di
tempesta lampo in cielo,sublime rimescolo di sangue, il telo nero
della notte ricopre l’altipiano . biblici giorni passano, la
fenice dello spavento risorge dalle ceneri raccolte nella nebbia,
rugiada bagna la sua pelle . rapaci zampe salgono la scala a
chiocciola…vi assicuro non è la principessa nel suo letto, avrei
poco da dirle…spicca il volo e nessuno la vede. Un tempo senza fine
trasforma ,occhi di pietra contemplano le lancette dell’orologio
cosmico. Scatta l’ora,il magico ingranaggio apre i cancelli e le
ombre calano,oltre le siepi,incastonate negli altari del pregiudizio
prendono dimora e riposano per sempre. Tutto tace
acque torbide digestione lenta sottomarini derive infuocate frange
disperse gioco mai iniziato gendarmi sugli altari scorie di vita
nebbie mattuttine capannoni industriali peso corporeo fiori appena
nati culla di ortiche destrieri alati occhi luminosi scie di pianto
avanzata del caos strada impolverata selciato di marmo bianco sonno
corporeo ospedaliero ricovero finta calma aggressione latente questo
so e mi basta gli altri non devono sapere cio che ho in testa homo
computerizzato robot chiavi pinze erba verde prato nel parco giullari
immersi nell'afa cioccolato svizzero efficienti poliziotti dirigono
occhiali scuri nascondono,occhiali dorati riflettono movimenti piu
veloci del previsto muscoli tesi cavalli neri puledri marroni fuoco
in quantità ferite aperte lacerato interno dolore alla testa per
raggiungere nuove verità l'ansia i supermercati,i grazieciao delle
commesse,le mani che si muovono veloci disumanizzato l'uomo che corre
veloce ferito tra spine psicosomatiche rantola nel buio agitazione
richiede calma pensieri riduttivi che non facciano sembrare sopra le
righe l'essere sbotta parole sgradevoli vietate proibite dure come
l'egoismo di pietra che ci governa vergogna di dire di nuovo blocco
notte illuminata da fari verdi lontani moscerini volano e disegnano
cerchi vortice di memoria espande (per fortuna) cio che rimane
dentro. labirinto di argilla contorsionismi lamenti di timidi bambini
cercavo di far vedere,cercavo di far sentire ,loro non capivano una
parola di cio che dicevo ,paralleli universi dove tutti gli spiriti
sono puliti,stesi al vento i puliti non hanno nulla da dire sono gia
pieni e stanno bene così quando la luce è dentro non va mostrata
giusto o no?ho intravisto la verità allo specchio ero un altro,una
rockstar la lingua si muoveva veloce nessun blocco ci crederesti?
scaccia stress potentissimi rinchiusi in casse di marmo li ho trovati
un mattino da esaurimento cieli spazzati da nuvole a strisce,allora
non sapevo ancora chi ero e obbedivo al primo che comandava ora non
obbedisco a nessuno nemmeno a me stesso non è divertente?forse per me
steso sul letto tutto questo fa ridere,ridere forte mai riso cosi in
vita mia riso-post-esaurimento,tutti disprezzo a momenti non è bello
tutto cio?alcuni piangono per me ma dico loro che non mi avevano mai
conosciuto che sono finalmente fuori neon lights per tutta la città
mi derisero per una notte mentre non sapevo cosa dire,ancora una
volta,lasciavo che la marea di pensieri svanisse da sola senza
ferirmi perchè volevi ferirmi?non è da vigliacchi,ridere,così,a mia
insaputa?dicono che ridevo ai funerali senza sentimenti come me non
c'e nessuno,non c'e niente,dentro..prova a cercarmi,sono solo un
soffio stanco come fai a non vederlo dove posso trovare la voglia che
hai tu?wha wha sonic youth adulti parlano come ai bambini bambini
parlano come zombie muti perchè così strani? cavare i ragni dai buchi
è cio che non riesco , ma solo qui, ricavare l'origine unica dei
pensieri non è un'operazione consentita ,non ora,perchè non voglio il
tuo male e lascio che la follia mi perseguiti, seguita da slanci di
passione, ma non rimane se non qualche secondo,subito negata .luce
innaturale bianca sovrasta tutto e mi schiaccia perche non posso
confessare tutto questo atroce sofferenza non posso parlare perchè i
miei pensieri sono confusi mentre i rigidi tengono i pensieri per se
e ridono tutti insieme per le stesse cose o forse davvero mi manca
qualcosa ?e devo aver paura per tutta la vita chiedermi cio che mi
manca ossessione ?nuovo tormento possibile che non reggo piu di un
pensiero alla volta?il suono delle parole è piu importante del
significato la paura ancora una volta mi trattiene non parlo
confronto tra pazzi cosa succede se due pazzi parlano diventano forse
sani regressione del pensiero origine origine dove sei voglio
trovarti .nella gialla marea di diamanti sorridevi e nulla mi è parso
piu bello da allora.scomparse figure di nero vestite raccolgono gemme
nel mare di sale stanchissimi .nel gioco ho finito le carte
Zampe pallide da maiali tronfi escono dal sanatorio,prima era una
chiesa ,sapete?rimangono le foglie d’ulivo ,i metallari neri ne
sentono il profumo e scappano come indemoniati alla vista dell’aglio,=
a distanza di tempo le tracce rimangono ,sepolte sotto la superficie…=
il vestito di una sposa,bianco come seme,sepolto anche lei…..soffia
via la polvere e vedrai anche il suo sangue rappreso…chi puo essere
stato? È stato un essere umano ma la cosa mi lascia indifferente
perché se si è sposata in fondo se lo meritava…il bambino faceva le
bolle di sapone allo specchio il giorno di quel matrimonio,calze
lunghe e pantaloni corti canticchiava nella giornata di sole, ti
vogliono! urlò l’arcipretoide paonazzo di sacra rabbia. Scalpiccio
affannato nel corridoio quasi buio,luci attraverso le fenditure,occhi
nel terrore. Pugnale. Sangue. Coro angelico basilischi e
piume,cappelli su attempate signore,il lifting le aspetta il
lunedì,mentre i mariti lavorano in fabbrica. Povere troie,non sanno
che il loro tempo è passato. Bad boys a raccolta…incendiamo le case e=
diamo fuoco alla corporazione,vogliono punirci?meglio! prendiamo una
catena,leghiamola ai polsi…non sospetteranno se qualcuno ci guiderà&#=
8230;
tanto… nella città dei morti,saremo sempre prigionieri. La strada è
un imbuto e siamo nel gorgo,ci attrae la fuligine ,mattoni
scalcinati ,fumate e moltiplicatevi! Svolta l’angolo ,casa rossa in
fondo alla strada di periferia adatta a camporelle. Ma sei stato tu?
No,allucinazioni uditive?quell’urlo ha trascinato le mie budella da
lucifero!!
Proveniva dalla casa rossa….bambino cos’è successo? Il pupo con=
le
bolle di sapone lacrima… parla,piccola peste! Non trattarlo così ,è
solo un pistolino,non vedi? Il ditino da shining piano piano si
sposta e indica l’edificio .. scivola figura nera fuori dall’us=
cio e
si rintana …andiamo a prenderlo… porco fascista , è lui!! Ideol=
ogia o
no…qui c’è un delitto …e il delitto va punito,non chiedet=
emi
perché,una ragione nel mare di sovrastrutture empiriche
esisterà ,oppure no? Ti crediamo sulla parola,capo! Un giuda lo
guarda di sottecchi…tu promettimi che non trovi un fico e una corda&#=
8230;
promesso! Dammi trenta denari… eccoli pronti i bad boys in
azione,catenacci e supermanganelli da arancia meccanica. Viene sera e
il sole ha infuocato il bosco,oppure quando sono caduto ho mangiato
un fungo strano? No amico,il bosco brucia davvero,questa è una
visione mistica…potrebbe anche darsi che le nostre retine siano
momentaneamente alterate, ma non senti il calore? Brucia le mani e
anche altro…sembra di scopare col fuoco… volgare come al solito=
,zio
valis! Mistica o no,questa è una visione,meglio delle luci
stroboscopiche da discoteca tunz tunz…allora cosa aspettiamo? Se è
una visione ci passiamo dentro altrimenti ci bruciamo,tanto siamo gia
segnati, non hai torto! Fuoco lingua calda marchia i bad boys,immuni
al contagio dello spirito negativizzante post-materialista. Hey…siamo=
in cima alla città,che panorama…. Butta un sasso in cielo e diventa
una stella, butta un sasso in giu e troverai….hey sei tu!!! La figura=
nera fissa il panorama,immobile…voltati…bad boys urlano…v=
oltati!! Non
posso ,devo guardare l’orizzonte e il mio cuore è freddo,seguo la mia=
natura…tu hai ucciso,bastardo!!! L’orco si volta…siete pr=
oprio sicuri
di non avermi visto allo specchio?

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