I protagonisti

I protagonisti dell’azione educativa: gli adolescenti

 

Già si diceva che i ragazzi adolescenti a cui dobbiamo rivolgerci stanno attraversando un periodo delicato e particolare nel loro cammino di crescita umana. Un educatore non può non avere qualche significativo punto di riferimento in ordine a ciò che le varie scuole psicologiche hanno detto di questa età.

Ben sapendo che ogni ragazzo è un caso a sé, che è unico e irripetibile, e che non esistono conoscenze psicologiche utilizzabili come "ricetta" valida per tutti, e per tutte le circostanze, sono necessari alcuni strumenti minimi per poter leggere con meno improvvisazione i comportamenti, gli atteggiamenti e le esigenze dei ragazzi ai quali ci si offre come aiuto educativo. Potremmo schematicamente dire che nell’età dell’adolescenza (e noi avremo a che fare con ragazzi che ci stanno entrando e con ragazzi che ne stanno uscendo) si stanno compiendo dei passaggi decisivi nella evoluzione della personalità verso una identità matura. Passaggi e cambiamenti che accompagnano una vistosa crescita fisiologica e sessuale non di rado faticosa e complessa, sebbene attesa e desiderata. Questo cambiamento fisico implica un nuovo "metabolismo" dell’immagine di sé, delle proprie capacità fisiche e psichiche, e delle tonalità dei rapporti affettivi e relazionali che a tutto ciò si affianca.

Il cambiamento è un fenomeno globale in cui le varie dimensioni della personalità si intrecciano. Ed è solo per comodità di analisi che si possono distinguere un piano fisico, un piano cognitivo, un piano emotivo-relazionale, un piano morale.

Dal bisogno di competenza alla competenza come valore

Il primo di questi passaggi riguarda soprattutto il piano fisico (diciamo soprattutto poiché, come si è detto, i vari piani sono sempre intrecciati). È un passaggio di cui altri, in questo volume, si occuperanno più analiticamente. Per quanto ci riguarda si può intendere il cambiamento come un passaggio dal bisogno di competenza alla competenza come padronanza e come prestazione. È un bisogno radicato biologicamente: sarebbe un assurdo biologico trovarsi in un ambiente senza avere le capacità di adattarvisi.

Ogni bambino fin da piccolissimo ha dentro di sé la spinta ad esplorare l’ambiente fisico e relazionale in cui si trova, a vivere e a sviluppare le capacità per superare gli ostacoli, fisici, cognitivi e relazionali che questo ambiente gli pone. La spinta a diventare sempre più competente in queste capacità è dunque un bisogno originario.

Nell’età dell’adolescenza queste capacità stanno avvicinandosi alla fase matura del loro sviluppo. Le prestazioni, i giochi, gli sport (ma analogo discorso si può fare anche per gli studi, il lavoro, le arti) possono essere intesi come possibilità culturali in cui questo bisogno di competenza si dispiega e si realizza, prende forma, a più o meno alto livello, lungo tutto l’arco dell’età evolutiva. La gioia che i bambini provano nel dimostrare a se stessi e agli altri di essere capaci, di riuscire ad affrontare gli ostacoli, di padroneggiare le situazioni, diventa, ora, gioia e tensione del superamento di limiti propri e di quelli degli altri in competizioni più strutturate, più oggettive (gare, risultati, record) all’interno di precise regole e confini.

Può essere allora determinante per i soggetti la scoperta e la scelta dello sport più adatto alle proprie caratteristiche e possibilità e altrettanto la individuazione dei ruoli che in questi sport si possono rivestire. In ogni caso sappiamo che nessuno va alla ricerca di situazioni in cui verifichi costantemente la propria inefficienza e la propria incapacità: una positiva autostima e la fiducia in se stessi non possono che crescere attraverso l’esercizio e la verifica delle capacità e padronanze possedute.

 

Dall’egocentrismo al decentramento

Il secondo passaggio riguarda soprattutto il piano cognitivo. Gli adolescenti stanno consolidando e rafforzando la capacità di ragionamento formale. Passano cioè da un periodo in cui la razionalità si appoggiava a situazioni operative e concrete ad un altro periodo in cui si sviluppa la capacità di astrazione e di argomentazione. Da una incapacità di vedere e di accettare che le cose possono essere considerate da più punti di vista (egocentrismo cognitivo) ora questa disponibilità cognitiva esiste (decentramento).

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I protagonisti dell’azione educativa: gli allenatori - animatori

 

Chiunque operi in una Società sportiva, come dirigente o come allenatore, si assume di fatto una seria responsabilità educativa. Quali che siano i motivi iniziali del proprio impegno è necessario che ne riscopra e ne approfondisca tutto il significato e il valore umano.

Oggi esiste una particolare disponibilità al volontariato. Si tratta sicuramente di un segno di speranza in un periodo in cui vi può essere la tentazione di risolvere i problemi con un ripiegamento sulla esclusiva difesa dei propri interessi. Nessuno potrà mettere in discussione la generosità con cui migliaia di persone offrono il loro tempo libero e la loro passione per rendere possibili attività educative e sportive per la gioventù.

 

Per un volontariato competente...

È sempre più urgente tuttavia che il dono del tempo e quello della passione si trasformino in un dono di autentica competenza. Spesso, ma qualche volta con ragione, l’attività sportiva viene criticata per la improvvisazione e per la superficialità con cui viene condotta. Le motivazioni iniziali all’impegno, come allenatori, o responsabili di una squadra, sono talvolta esigenze compensative per il soggetto piuttosto che desiderio di aiutare la crescita di ragazzi e giovani. Lo "scavo" e l’analisi delle proprie motivazioni diventa un momento importante del proprio impegno. Ma, accanto ad una presa di coscienza realistica di queste motivazioni, è necessaria la ricerca di altre, e più solide, che possano offrire prospettive di approfondimento e dare senso pieno al proprio servizio educativo.

 

...e generativo

Già nel concetto psicologico di generatività possiamo trovare sicuri elementi di una maturità dell’impegno. Il tempo e le energie dedicati alla crescita dei bambini e dei giovani, spesso, vengono ritenuti tempi ed opportunità sottratti alla propria realizzazione e non un modo pieno di realizzarla. La generatività, così come è intesa da Erikson, rappresenta, invece, l’orientamento dell’identità nella fase adulta. Non assumerla significa bloccarla, lasciarla ristagnare. Il prendersi cura degli altri, allora, come genitori e come educatori, (ma anche come professionisti, facendo entrare la generatività come dimensione di servizio in ogni attività lavorativa) rappresenta, dunque, una evoluzione dell’identità adulta, una sua normale destinazione.

In questa direzione un’associazione di ispirazione cristiana non manca certo di risorse e giustificazioni supplementari per dare senso all’impegno educativo nei confronti dei fratelli e dei più piccoli. I concetti di paternità, di fratellanza, di servizio, di vocazione, solo per citarne alcuni, offrono sicure prospettive di pienezza e di senso ulteriori. Lo spirito di servizio, che voglia essere risposta a una chiamata, non può limitarsi a fornire una presenza generosa ma generica (talvolta il concetto di animazione può essersi prestato a questo equivoco). Esso si realizza in una presenza in cui il servizio si compie proprio nella competenza.

 

Una competenza fra educazione e tecnica

È la natura stessa di questo particolare incontro educativo - un allenatore con ragazzi adolescenti- a richiedere una serie di precise competenze tecniche e educative. I ragazzi di questa età che chiedono di poter praticare una attività sportiva non hanno bisogno di un adulto con cui passare il tempo genericamente. Hanno bisogno di un adulto che li aiuti a sviluppare tutte le loro capacità fisico atletiche all’interno di una proposta che fa riferimento ad una o più discipline sportive. E la risposta che noi proponiamo non può deludere queste attese. E i ragazzi hanno, comunque, il diritto a non vedere la loro richiesta elusa, stravolta o strumentalizzata.

Questo significa superare sia una generica disponibilità, che trascuri la competenza tecnica, sia un tecnicismo velleitario (spesso miniaturizzazione caricaturale del mondo professionistico) che trascuri le competenze educative. La competenza che noi proponiamo è sia tecnica che educativa. (Qualcuno ha recentemente parlato di "alleducatore" per definire proprio un allenatore preoccupato di educare).

Recepire le aspettative dei ragazzi significa, allora, inquadrarle secondo parametri che le includono ma non si esauriscono in esse. E ciò deriva dalla responsabilità di adulti che intendono dare una direzione e un contesto valorialmente qualificato a una tale attività. Nessuna educazione può risolversi nel rispondere semplicemente agli interessi o ai desideri immediati di coloro che si vogliono educare. Se non vogliamo che la nostra opera sia percepita come un tradimento è necessario che le proposte e gli obiettivi diventino espliciti e trasparenti e che anche i ragazzi vengono resi progressivamente consapevoli di tutte le dimensioni, anche prospettiche, del proprio agire e del proprio affaticarsi.

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