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Il Presidente |
Certamente!, ma uno dei tanti tristi avvenimenti che corredano il vivere quotidiano delle tantissime famiglie che hanno nel proprio nucleo familiare un malato psichico, è la annosa ricerca di una soluzione al loro status sanitario e sociale, come “lamenta” un padre per suo figlio.
Quello che assilla giustamente i genitori, è una conseguenza da quella legge 180 che ha determinato il passaggio dal concetto custodialistico a quello terapeutico, dove si afferma all’art. 1 che “gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono volontari”, salvo il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).
Ora il cittadino si domanda: come può un individuo senza lucidità con diagnosi “di marcata frammentazione ideo-affettiva, sconnessione dell’eloquio, notevole compromissione del rapporto di realtà e della sfera intersoggettiva, con conseguente disorganizzazione comportamentale, tendenza all’acting e persistete oppositività”, scegliere di sua volontà un percorso di cure o sottoporsi volontariamente alle stesse?
Queste “motivazioni” della psichiatria, tratte dalla lettera di quel un genitore sopra citato, sono per spiegare la “malattia” che perseguita il figlio. E’ vero che si può riscontrare in quella “legge” l’intenzione di eliminare i “manicomi” (e siamo d’accordo!), ma quella “legge” non ha previsto le strutture alternative ed adeguate o se le ha previste (art. 7), non sono state, ancora oggi 2015, largamente realizzate e rese operose: specie per i pazienti difficili, la cui tipologia presenta non poche difficoltà” (come affermano i dottori Arturo Reggio e Antonio Virzì Università degli Studi di Catania).
Non avendo previsto la Struttura Organizzativa dei Servizi, infatti non vi è stata una serena valutazione dei limiti terapeutici attuati nell’epoca, ancora oggi giugno 2015 in parte carenti , “anche se una nuova psichiatria può guarire anima e corpo senza medicine e ridurre i costi della Sanità Pubblica (dal libro “Anatomia della guarigione” della dott.ssa Erica Francesca Poli di Milano).
Quella “legge” priva del Regolamento d’Applicazione, ha stabilito che la malattia mentale è un problema sociale ed il “malato” viene assimilato, all'emarginato, all'handicappato, all'anziano non autosufficiente, insomma una persona malata non bisognevole di cure adeguate.
Noi lo diciamo da anni, dal 7 ottobre 1998, con le Opere don Orione e don Guanella con la Petizione n. 520 assegnata alla 12° Commissione Igiene e Sanità del Senato della Repubblica e con il n. 714 assegnata alla 12° Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati “suggerendo” modalità di esecuzione, sanitarie, normative, reperimento finanziario ancora oggi rinnovate con la Petizione 2013 e non vane parole! Sono documenti “ effettivi” e riscontrabili in Parlamento e… non chiacchiere!
Quel Testo Unificato Burani Procaccini (“Prevenzione e cura delle malattie mentali”) ai sensi del Capo XXV art.109 comma 2° del Regolamento Concordato con tutte le parti politiche si è arenato in Parlamento dal 2005 dove era unificata la n/s Petizione n.13 al Senato della Repubblica e n.23 alla Camera dei Deputati, inevasa per l’anticipato scioglimento delle Camere Legislative.
Sono rimasti i Servizi di diagnosi e cura negli Ospedali Generali (a volte, pare, mancanti dei Reparti Neuropsichiatrici), dove il malato in ricovero coatto (TSO) resta per 7 giorni e sottoposto a terapie di farmaci, una manciata di pillole (!) tanto da renderlo accettabile, dimesso e rinviato a casa (art. 35 legge 833/1978) per essere riammesso qualche settimana o qualche mese dopo ancora più malato.
Alcuni vorrebbero abolire la legge 180 e 833 e riaprire, si dice i “manicomi”, altri affermano che i valori della 180 sono veri, validi e vanno verificati nella pratica e che il malato mentale non è un paziente da spedalizzare (forse pensando di curare con la buona parola in alberghi a 5 stelle!), noi abbiamo sempre richiesto e sostenuto nelle nostre Petizioni servizi specifici in strutture adeguate e nuove normative: Petizione 2013.
Per quanto avveniva negli ex-ospedali psichiatrici sulla reale condizione dei degenti, sulla risposta delle strutture e dei servizi per quanto stabiliva la legge o se era corretta l’applicazione delle risorse finanziarie: non se ne conosce la verità, da noi largamente richiesta!
Il Basaglia padre della legge 180, ha sempre affermato, che il malato mentale va curato e non segregato, mentre per la n/s Associazione date le n/s insistenze è sempre stata una “Via Crucis” piena di ostacoli e di inascoltati silenzi, anche se accettate le n/s documentate richieste dalle Istituzioni!
Le famiglie di questi sventurati, noi e l’opinione pubblica auspichiamo, ripeto, servizi specifici in strutture adeguate e tali da considerare il malato una persona di rispetto della sua dignità, garantito nei suoi diritti come sancito dagli artt. 2, 3, 32 della Costituzione Italiana, dal Trattato di Amsterdam, dalla “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” e dalla “Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità” dell’ONU del 6 dicembre 2006 (Sixty-first session A/61/611).
La famiglia è rimasta sola e con essa la società alla mercé di persone, anche se malate, sono irresponsabili!
Questo lo devono tenere nella dovuta considerazione le n/s Istituzioni per non assistere alle “disavventure” di quel padre che nulla può per evitare una quasi certa tragedia annunciata, in cerca di una soluzione sanitaria e legislativa che dipani il contrasto che c’è tra l’indisponibilità del malato a farsi curare ed il divieto che grava sulla famiglia, la quale non può imporsi, per legge, in nessuna maniera per sottoporlo alle cure.
E con le parole del Santo Giovanni Paolo II: ”Andiamo avanti con speranza!”
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