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La
“frettolosa” emanazione sotto la minaccia referendaria,
l’assenza di adeguata copertura economica per la realizzazione
di strutture “intermedie” e “alternative”, l’essere più
che altro un’affermazione di principi, sono queste le critiche
che più frequentemente sono state fatte alla Legge 180 dalla
sua emanazione ad ora, ma ad onta di tutto ciò e delle svariate
proposte di modifica nessun cambiamento, dopo quasi 20 anni, è
stato operato. A
meno di interpretare questa assenza come una normale carenza
degli Organi legislativi, non possiamo non ammettere che nel suo
complesso la Legge trova un generale consenso negli Operatori e
nell’opinione pubblica ed è forte il timore che modifiche
anche parziali possano snaturare il senso. Questo
atteggiamento, anche se giustificato, non deve però impedire
che si discuta di eventuali miglioramenti o adeguamenti, pur nel
rispetto dell’irrinunciabile indicazione della
territorializzazione dell’intervento. A
nostro avviso due rimangono i nodi principali non risolti: il
cosiddetto “residuo manicomiale” e i “pazienti
difficili”. Per
quanto riguarda il primo, fugati gli iniziali timori per i
rischi che la “liberazione” avrebbe portato, si avverte
chiaramente oggi come il problema sia legato non alla presunta
pericolosità ma alla capacità organizzativa delle singole
Regioni o UUSSLL. Pur rammaricandoci della lentezza esasperante
con cui, specie nel meridione, il numero dei pazienti ancora in
Ospedale Psichiatrico si riduce, riteniamo prossima la soluzione
anche se rimane da definire la destinazione futura delle vecchie
e nuove strutture. Molto
più grave rimane il problema dei pazienti “difficili”. Già
la definizione di questa tipologia presenta non poche difficoltà
mettendosi insieme sia caratteristiche psicopatologiche,
facilmente immaginabili, del paziente, ma anche, e con un peso a
volte determinante, carenze e difficoltà ambientali fino
all’inadeguatezza o incapacità dei Servizi preposti. Questo
paziente non trova una risposta nella 180 e finisce per
rappresentare un carico, spesso insopportabile, per i parenti e
per la società in generale. Verrebbe facile ipotizzare una
risposta manicomiale per questo tipo di paziente, considerandola
comunque come senza possibili alternative. Bisogna
riconoscere che il buon senso e forse anche una serena
valutazione dei nostri limiti terapeutici, specie territoriali,
fa apparire questa soluzione semplice e praticabile. In pratica
si tratterebbe di prevedere la possibilità di ricoveri coatti
prolungati per un numero limitato di pazienti difficili, in
strutture di limitate dimensioni che per tale ragione non
dovrebbero riprodurre quelle condizioni che avevano reso così
criticabili i vecchi Ospedali Psichiatrici. Ma
è veramente così semplice? O
forse l’indeterminatezza delle caratteristiche di questo
paziente candidato ad un iter neo-manicomiale ci espone al
rischio di far entrare in questa categoria un numero enorme di
pazienti, alla ricerca della risposta più “semplice” che
finisce sempre per essere quella dell’emarginazione. Certamente
oggi esiste un ristretto numero di casi per i quali la mancanza
di soluzioni “semplici” diventa un carico pesantissimo per
la famiglia, ma fornire quel tipo di soluzioni significa
sicuramente per quel numero, ben più ampio, smettere di lottare
e sperare, venendo inglobati dentro un contenitore, nuovamente
enorme, per nulla distinguibile dal vecchio manicomio. E’
una scelta difficile, che non richiede solo cognizioni tecniche
e che non può essere lasciata solo agli Operatori, ma che deve
essere fatta da tutta la società civile. La
180 rappresentava una scelta, se la si vuole modificare si
faccia con la piena consapevolezza delle conseguenze. * Università degli Studi di Catania |