IL  VESCOVO

S.E. MONS. PIETRO LAGNESE VESCOVO DI ISCHIA
 

 
Profilo del Vescovo

Pietro Lagnese, quarto di sei figli, nasce a Vitulazio il 9 settembre 1961 da Giovanni e Maria Grazia Tartaglione. Riceve il sacramento del battesimo lo stesso giorno nella parrocchia di Santa Maria sotto il titolo dell'Agnena dall'allora parroco Francesco Gravina. Sin dalla giovane età dimostra di voler abbracciare la fede consacrando la sua vita a Dio. Al termine del quarto anno di liceo, durante un campo diocesano di Azione Cattolica, manifesta la sua intenzione all'arcivescovo Luigi Diligenza, da poco arrivato nell'arcidiocesi di Capua. Nel 1980 consegue la maturità nel Liceo scientifico "L. Garofano" di Capua. Nel settembre dello stesso anno entra nel Seminario maggiore arcivescovile di Napoli "Alessio Ascalesi", dove è accolto dall'allora rettore Agostino Vallini, oggi vicario di Sua Santità per la diocesi di Roma. Consegue prima il baccellierato in Sacra teologia, poi la licenza in Teologia pastorale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale, Sezione San Tommaso, con una tesi sui giovani e la direzione spirituale.
Riceve il diaconato il 21 settembre 1985 ed è ordinato presbitero il 1º maggio 1986 per l'arcidiocesi di Capua per l'imposizione delle mani dell'arcivescovo Luigi Diligenza.
Il 13 ottobre 1986 diviene parroco di Santa Maria dell'Agnena a Vitulazio. Dal 1988 al 1994 è direttore del Centro diocesano Vocazioni e rettore del Seminarium Campanun, il Seminario arcivescovile di Capua. Nel 1989 è scelto come segretario generale del 31º sinodo della Chiesa di Capua.
Nel 2001 l'arcivescovo Bruno Schettino lo nomina direttore dell'Ufficio diocesano di Pastorale familiare e primo direttore del Centro Famiglia dell'arcidiocesi di Capua, con sede in Santa Maria Capua Vetere. Nel 2003 è nominato incaricato regionale per il settore pastorale per la famiglia dalla Conferenza Episcopale Campana. Conclude il mandato nel 2010. In quello stesso anno, su invito del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, assume l'ufficio di padre spirituale nel Seminario maggiore arcivescovile di Napoli "Alessio Ascalesi". Nel 2012 è eletto delegato diocesano nella Commissione regionale presbiterale dal Consiglio presbiterale diocesano.
Durante il suo lungo servizio come parroco di Santa Maria dell'Agnena (dal 1986 al 2013), dà vita a molteplici attività: il Centro per la Pastorale giovanile (1997), la Comunità Incontro (1992), la Casa della Carità (2004), ne rappresentano i momenti cardine. È attivo fautore del restauro della chiesa madre, conclusosi nel 1997, e della costruzione del nuovo centro parrocchiale inaugurato il 22 giugno 2002 dall'arcivescovo Bruno Schettino.
Il 23 febbraio 2013 è nominato vescovo di Ischia.
Il 1º maggio riceve la consacrazione episcopale nel centro parrocchiale di Vitulazio per l'imposizione delle mani del cardinale Crescenzio Sepe.
L'11 maggio 2013 si insedia come Vescovo della Diocesi di Ischia.


 

OMELIA D'INGRESSO NELLA DIOCESI DI ISCHIA
del Vescovo Pietro Lagnese
11 Maggio 2013

Carissimi fratelli e sorelle, nel giorno in cui ufficialmente entro in Ischia quale suo nuovo vescovo il mio saluto sincero e affettuoso a tutti voi. Con sentimenti di viva gratitudine saluto S. Em. il Cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo metropolita di Napoli che mercoledì 1 maggio ha presieduto la liturgia della mia ordinazione episcopale a Vitulazio e questa sera ha presenziato al rito del mio insediamento qui ad Ischia. Saluto e ringrazio gli arcivescovi e vescovi presenti anche a nome dell’intera conferenza episcopale campana e saluto S. E. Mons. Filippo Strofaldi, mio predecessore, attualmente gravemente malato: domani andrò a fargli visita per manifestare alla sua persona il mio affetto e la mia vicinanza e per affidarmi alla sua preghiera. Saluto l’intera Chiesa di Ischia: sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e tutti voi fratelli e sorelle laici: tutti i movimenti, le associazioni ecclesiali e le comunità. Rinnovo il mio saluto a mons. Giuseppe Regine, amministratore diocesano in questo tempo di sede vacante, e a tutte le autorità civili e militari presenti. Il mio saluto a tutti gli uomini di buona volontà e la mia particolare vicinanza ai poveri, agli ammalati e a tutti coloro che sono segnati dalla sofferenza e dal disagio. Un saluto accogliente ai tanti visitatori e turisti di cui è meta la nostra bella isola. Un grazie affettuoso alla Parrocchia Santa Maria dell’Agnena presente qui questa sera per consegnarmi alla diocesi isclana e alla rappresentanza della Chiesa di Capua. La Chiesa celebra oggi la Solennità dell’Ascensione del Signore. Nel vangelo di Luca or ora proclamato, la Parola del Signore ci ha detto che il Risorto, che si era mostrato vivo per quaranta giorni, stando con i suoi discepoli, «li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e venne portato su, in cielo» (Lc 24,50-51). Qual è il senso di questa festa? Cosa significa celebrare questo mistero? Nella preghiera di Colletta la liturgia ci invita oggi ad esultare di santa gioia: dove il motivo di questa esultanza? Perché questa gioia? Il Papa emerito Benedetto, ponendosi la stessa nostra domanda, commentava: «Cosa ci vuol dire allora la Festa dell’Ascensione del Signore? Non vuol dirci che il Signore se ne è andato in qualche luogo lontano dagli uomini e dal mondo. L’Ascensione di Cristo non è un viaggio nello spazio verso gli astri più remoti;(…). L’Ascensione di Cristo significa che Egli non appartiene più al mondo della corruzione e della morte che condiziona la nostra vita. Significa che Egli appartiene completamente a Dio» (Omelia, 7 maggio 2005). Ecco allora il primo motivo della nostra gioia: Egli non se ne andato! In maniera tutta nuova Egli rimane presente in mezzo a noi. Il tempo della Chiesa non è un tempo che si contrappone a quello di Cristo; è, invece, il tempo di una nuova presenza di Cristo nel mondo attraverso una nuova carne: quella della Chiesa. Su questa terra Cristo visibilmente presente fino alla Sua Ascensione con il Suo Corpo, dopo la Sua salita al cielo è presente con un altro corpo: il Suo Corpo ora è la Chiesa. «Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo» (At 1,1-2): così inizia il libro degli Atti degli Apostoli di cui abbiamo ascoltato questa sera i primi versetti. C’è un tempo che è il tempo della presenza di Gesù prima della sua ascensione e c’e un tempo che è il tempo sempre di Gesù che agisce ed opera attraverso la Sua Chiesa. Ciò significa che sempre Lui è presente in mezzo a noi e che è sempre Lui a guidare la Sua Chiesa: «Egli non abbandona il suo gregge ma - come ci fa cantare la liturgia - lo conduce attraverso i tempi, sotto la guida di coloro che Egli stesso ha eletto vicari del suo Figlio e ha costituito pastori» (cfr Prefazio degli Apostoli I). Anche la mia presenza in mezzo a voi, figli della diletta Chiesa di Ischia, è segno della Sua presenza. Pregate perché io sappia aiutarvi a riconoscere in me la presenza del Signore. Aiutatemi ad essere, come Maria, colui che porta il Signore; aiutatemi ad essere come Giovanni Battista, indice elevato che a Cristo tutti rimanda e a Lui tutti porta, e come gli apostoli, annunciatori dell’unico in cui c’è salvezza; e pregate per i nostri sacerdoti, collaboratori del vescovo, perché siano anche loro presenza del Signore. Dice il Signore: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Sì, carissimi fratelli e sorelle: Gesù è in mezzo a noi! Noi non siamo soli! Egli è in mezzo a noi e, mediatore tra Dio e gli uomini, intercede per noi, “perché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente” (Eb 10,19-20). Chiesa di Ischia: Duc in altum! Il Signore è con te! Gioisci ed esulta! Ma la festa di oggi ci chiama a cogliere ancora altri motivi che fondano la nostra gioia. «Cosa significa che ascese, - si domanda l’Apostolo Paolo - se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose». (Ef 5,9-10). «È veramente cosa buona e giusta,- canteremo fra poco nel prefazio - che tutte le creature in cielo e sulla terra si uniscano nella tua lode, Dio onnipotente ed eterno. Il Signore Gesù, re della gloria, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al cielo tra il coro festoso degli angeli». Ecco allora l’altro motivo che vede tutti noi raccolti nella gioia e nella lode al Signore. Cristo regna! Ha vinto il peccato e la morte! Per questo siede ora alla destra del Padre. Ha portato a termine la sua opera. È compiuto! (Gv ): ha detto Gesù morendo sulla croce. Quell’ultima Parola del Signore esprime bene il senso della sua opera! È l’opera di Dio. Quella che compie il suo Regno. L’opera della nostra salvezza che anche stasera professeremo con le parole del Credo: Pròpter nos hómines, et pròpter nostram salútem descéndit de coelis. Et incarnátus est de Spíritu Sancto ex Maria Vírgine: et homo factus est. Crucifíxus étiam pro nobis: sub Póntio Pilato pàssus, et sepúltus est. Et resurréxit tértia die, secúndum Scriptúras. Et ascéndit in coelum: sedet ad déxteram Patris. La salvezza è Cristo che la compie; e Lui già l’ha compiuta, La festa di oggi ce lo dice chiaramente: Egli è colui che siede vittorioso alla destra del Padre perché ha vinto. «L’essere assiso alla destra del Padre - ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, di cui celebriamo il XX anniversario, richiamando la visione del figlio dell’uomo del profeta Daniele - significa l’inaugurazione del regno del Messia (…). A partire da questo momento, gli Apostoli sono divenuti i testimoni del “Regno che non avrà fine” (Simbolo niceno-costantinopolitano: DS 150)» (664). A cinquanta anni dal Concilio Vaticano II risuonano con forza le parole della Lumen Gentium che ci invitato a rileggere la missione della Chiesa alla luce del Regno inaugurato da Cristo: «La Chiesa, perciò, fornita dei doni del suo fondatore ed osservando fedelmente i suoi precetti di carità, di umiltà e di abnegazione, riceve la missione di annunciare e di instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio. Intanto mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di unirsi col suo re nella gloria» (n. 5). Carissimi fratelli e sorelle, questa è l’opera della Chiesa: riconoscere la presenza del Regno che vive tra noi, testimoniarne la grazia nello Spirito, attendere con certa speranza il pieno compimento nella Gerusalemme del Cielo. Siamo consapevoli delle ferite che manifestano il mistero di iniquità che accompagna la vita della Chiesa ma, ciò nonostante, vogliamo annunciare che Cristo è più forte! Lo sappiamo e, senza timore, rifuggendo da ogni forma di irenismo, lo diciamo: anche la Chiesa isclana ha le sue ferite, ma l’amore di Dio manifestatosi in Cristo Gesù è più grande! Confessiamo, perciò, con coraggio, la vittoria di Cristo che ci dona nuovi orizzonti di grazia. Nonostante le tante battaglie perse, sappiamo che la guerra è già vinta. Il vessillo di Cristo è già stato piantato! Chiesa di Ischia, non lasciarti cadere le braccia, non cedere allo scoraggiamento! Lo scoraggiamento non viene mai da Dio. Affìdati al Signore! Schìerati dalla Sua parte e, anche tu vedrai le vittorie di Cristo nella Tua vita. Chiesa di Ischia: Duc in altum! Il Signore regna! Gioisci ed esulta! C’è, però, anche un terzo motivo che fonda la nostra gioia. Cristo salendo al cielo - canta ancora la Chiesa oggi nel prefazio - «ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria». E anche la Colletta: «Nel Figlio asceso al cielo la nostra umanità è, infatti, innalzata accanto a Te, - Padre - e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria». Papa Benedetto commenta: «Egli - il Figlio Eterno - ha condotto il nostro essere umano al cospetto di Dio, ha portato con sé la carne e il sangue in una forma trasfigurata. L’uomo trova spazio in Dio; attraverso Cristo, l’essere umano è stato portato fin dentro la vita stessa di Dio» (Omelia, 7 maggio 2005). In realtà, «come egli è asceso e non si è allontanato da noi, - ci dice il santo dottore Agostino - così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso. (…) Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui». Il vescovo di Ippona, soffermandosi poi sull’espressione di Gesù: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13), aggiunge: «Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l'unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell'uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui» (Disc. sull'Ascensione del Signore, ed. A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495). Cosa significa ciò per tutti noi? Non significa, forse, che il Signore ci chiama a vivere già su questa terra la vita del cielo, manifestando con gesti e parole la vita nuova dell’amore nella quale siamo stati immessi per grazia e non per le nostre forze? «Se siete risorti con Cristo, - ci dice l’Apostolo - cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Pensare alla cose di lassù - lo sappiamo bene - non significa disinteressarci delle cose della terra; «l’attesa di una terra nuova non deve (infatti) indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo»: così il concilio nella Gaudium et Spes (39). Cercare le cose di lassù significa, invece, essere discepoli del Signore e non mondani, come spesso ci ripete Papa Francesco; significa non amare il mondo, né le concupiscenze del mondo, perché se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui (Cfr. Gv 2, 15-16). Significa, in una parola, camminare verso la santità! Sì, carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Ischia, camminiamo nella santità! Il Signore ci chiama - come già ho avuto modo di scrivervi nel mio primo messaggio - «a riconoscere nella santità la prima vocazione del cristiano e ad accoglierla, quale universale chiamata, al di là della condizione e dello stato di vita, come mirabilmente indicato dal Concilio. È un invito - scrivevo - nonostante le reti vuote dei nostri fallimenti e delle nostre cadute, nonostante le nostre difficoltà a superare le barriere che ci dividono e che ci impediscono di testimoniare il comandamento dell’amore, a rilanciarci ancora sulle via della santità indicataci dal Signore che ci dice: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48)». La fama di bellezza che riscuote la nostra isola verde diventi anche fama di santità. La santità attraversa la nostra storia, essa anima le comunità, è raccontata dall’arte e dalla vita di tanti uomini e donne della nostra terra. Penso in questo momento ai santi nostri patroni e in modo particolare al venerabile Giuseppe Morgera, che speriamo di poter vedere al più presto elevato agli onori degli altari. Chiesa di Ischia: Duc in altum! Il Signore ci trasfigura! Gioisci ed esulta! Carissimi fratelli e sorelle, nel brano del Vangelo di Luca, ora proclamato, troviamo due espressioni che alludono a due azioni, sulle quali vorrei ancora soffermarmi con voi qualche istante. Si tratta di due azioni che sempre devono segnare l’agire pastorale di tutta la Chiesa e di ogni Chiesa: due dimensioni e atteggiamenti, costitutivi della Chiesa di ieri, di oggi e di sempre e che, in maniera tutta particolare, questa sera, come Chiesa di Ischia, radunata insieme al nuovo vescovo nel giorno del suo ingresso, siamo chiamati a contemplare e ad accogliere come direttrici fondamentali per il futuro cammino, donate a noi dalla Parola di Dio. La prima dimensione allude al movimento: Gesù, nel mostrare come la sua resurrezione sia la risposta di Dio al peccato dell’uomo e come in Lui sia possibile anche per noi risorgere ad una vita nuova, chiama i discepoli a predicare il Vangelo a tutti i popoli cominciando da Gerusalemme. È un invito ad andare: Ecco io vi mando! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi: dice Gesù nel Vangelo di Giovanni. Un invito a mettersi in cammino, ad andare incontro agli uomini per annunciare loro la salvezza. Che cosa significa tutto questo per noi? Significa - afferma Papa Francesco, con il suo stile franco e semplice - che dobbiamo «imparare ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!» (27 marzo 2013, Prima Udienza Generale). E ciò a tutti i livelli. A livello personale, ma, di certo, anche a livello ecclesiale. La Chiesa deve uscire da se stessa se vuole essere fedele al suo Signore; deve uscire - aggiunge il papa - «da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi» (Ivi). È questa, carissimi, la logica del vangelo, la logica dell’incarnazione, la logica di Gesù. Concretamente cosa può significare per la nostra chiesa di Ischia, accogliere questa logica? Significa fare nostra la logica del sale, della luce e del lievito. Non è più tempo per chiuderci nei nostri recinti. La sicurezza non ci viene dallo stare chiusi. È invece questo il tempo per «aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie, (…) dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede» (Ivi). Ci domandiamo: perché ci chiudiamo in noi stessi? Perché accade questo? Perché ci lasciamo sedurre dalle logiche dei recinti e dagli steccati? Perché abbiamo paura! Si, forse, abbiamo paura. Ma da dove viene la paura se non dalla mancanza di fede? Per questo Papa Benedetto ha indetto uno speciale anno della Fede. C’è una crisi di fede che attraversa la Chiesa. Per questo, carissimi fratelli e sorelle, a volte, cediamo allo scoraggiamento, ad analisi pessimistiche, come se la nostra predicazione fosse già segnata da un fallimento tutto annunciato e noi fossimo profeti di una sventura già scritta: quasi annunciatori nostalgici di una sorta di età dell’oro, chissà se mai esistita, che mai più potrà essere data. Di qui l’altra dimensione insita nel mistero dell’Ascensione che vorrei consegnarvi. Gesù agli apostoli dice “non allontanatevi da Gerusalemme”. Egli invita la Chiesa nascente a rimanere in attesa dello Spirito. Ed è proprio il “rimanere” l’altro verbo che vorrei affidare a tutti voi. Rimanere con Gesù, sentirne il profumo, alimentare la fede alla sua presenza, contemplare il suo volto nella Parola e nella Eucaristia, per diventare la Chiesa che cammina con lui e va dove il suo Spirito la conduce. Senza il profumo di Cristo non ci può essere “odore delle pecore”. Se riteniamo l’evangelizzazione opera nostra, frutto delle nostre alchimie pastorali, allora sì che c’è da avere paura! Allora sì che falliremo! Falliremo come un arco allentato: dice il salmo 77. Ci ritroveremo con ben poco tra le mani e rimarremo delusi. Se, invece, ci fideremo di Dio e crederemo nella potenza della parola di Cristo, se sulla Sua Parola getteremo le nostre reti, allora faremo ancora esperienza di una pesca abbondante, come i primi discepoli quel giorno nel mare di Galilea. Il vangelo non è, infatti, una parola del passato, di un tempo che fu, e perciò destinato ad essere inattuale nonostante l’estremo tentativo di renderlo, semmai edulcorandolo o aggiustandolo, ancora un po’ attraente. Il vangelo ha già fecondato le vostre comunità generando frutti di santità. In questo solco riprendiamo il cammino insieme. Facendo tesoro dei tanti momenti che hanno segnato in maniera forte il percorso, almeno millenario, della Chiesa isclana, che ha vissuto ultimamente momenti forti quali la visita del Beato Giovanni Paolo II e l’esperienza sinodale e il diuturno lavoro di tutti voi insieme ai vescovi miei predecessori, continuiamo a gettare le reti nella certezza che il Signore risorto sarà con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Ci accompagnino la Vergine Maria, Santa Restituta, San Giovan Giuseppe della Croce e tutti i Santi patroni delle nostre comunità.
Chiesa di Ischia, prega per il tuo Vescovo Pietro.
Amen. Alleluia.                                                            
       
 
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