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 DUE SICILIE

Breve storia di uno Stato vissuto per oltre 7 secoli: il nostro...  

di Antonio La Rosa

 

GLI ANTENATI

Nel 1130, notte di Natale, nella cattedrale di Palermo, con l’assenso del papa Anacleto II, Ruggero II d’Altavilla, detto il Normanno, cinse la corona di quello che, da allora, fu chiamato Regno di Sicilia e che comprendeva, oltre l’isola, anche i ducati di Capua, Puglia e Calabria che avevano giurisdizione sui territori compresi fra l’attuale Abruzzo e lo stretto di Messina.

Tutto il Sud fu, quindi, unificato in uno stato indipendente, con capitale Palermo. Lo scrittore John Julius Norwich (nel volume Il regno nel sole) ha affermato che quella degli Altavilla fu “la corona più fulgida d’Europa”, simbolo di uno stato multietnico e multiculturale dove convivevano razze (latini, greci, arabi, longobardi e, naturalmente, normanni) e religioni (cristiana, islamica ed ebraica) diverse all’insegna i una tolleranza impensabile in un Medio Evo bigotto, fanatico e violento. Questa unità permise il raggiungimento di elevati livelli di sviluppo, per cui il Regno di Sicilia si collocò, per forza economica e militare, al terzo posto nell’Europa di allora e al primo posto dal punto di vista culturale.

L’unità  politica dell’Italia centro-meridionale e della Sicilia durò più di 700 anni e i confini di quel regno rimasero invariati, fino al 1860, quando, a causa della sanguinosa invasione piemontese,  le popolazioni duosiciliane perdettero la propria libertà e la propria identità nazionale con la forzata unione agli altri popoli della penisola.

Nel 1139, il 15 luglio, a Benevento, dopo il superamento di uno scisma che aveva diviso la Chiesa cristiana, Ruggero II fu nuovamente incoronato dal papa Innocenzo II quale re della Sicilia insulare e della Sicilia peninsulare.

Il regno, con il passare del tempo, prese – prima informalmente e poi ufficialmente - il nome di Regno delle Due Sicilie.

Il governo normanno durò fino al 1194 e a esso successe quello degli Svevi il cui piu' illustre rappresentante fu Federico II.

Con l' avvento degli Angioini (1266), la capitale fu spostata a Napoli.

A seguito della rivolta dei Vespri Siciliani (1282), la Sicilia passo' agli Aragonesi che, dopo alterne vicende belliche, riunirono nuovamente tutto il regno (Alfonso il Magnanimo, re delle Due Sicilie).

Il regno venne associato alla Spagna come viceregno nel 1503.

Dal 1707 al 1734 le Due Sicilie furono viceregno associato all' Austria, per, poi, tornare a essere del tutto autonome e indipendenti con i Borbone.

 

PRIMA DELL' OCCUPAZIONE

Carlo di Borbone

Sui Borbone sono state scritte montagne di menzogne. La storiografia degli occupanti, con l' obiettivo di cancellare ogni dignità e senso di appartenenza del nostro popolo ha raffigurato la situazione nelle Due Sicilie così come furono rodotte dopo lo scempio fatto con l' occupazione militare e la spoliazione selvaggia che la seguì, come se fosse stato quello lo stato in cui era la nazione prima di essere conquistata.

Vediamo rapidamente quali erano le condizioni delle Due Sicilie prima dell' occupazione.

Il Regno nel 1860 era, in campo economico, al primo posto in Italia e al terzo in Europa. La moneta circolante ammontava a circa 450 milioni di lire, il doppio di tutta la moneta circolante nel resto d' Italia. La situazione, in milioni di lire (dell’epoca) era la seguente: Due Sicilie 445,2,  Lombardia 8,1, Ducati di Modena e Piacenza 1,6, Roma (1870) 35,3, Romagna Marche Umbria 55,3, Piemonte 27, Toscana 85,2, Venezia (1866) 12,7.

Va precisato che per le Due Sicilie il valore della moneta circolante era del tutto coperto dai depositi statali in oro nel rapporto di 1:1 (ovvero a ogni lira circolante corrispondeva una lira d' oro a copertura). Per il Piemonte, invece, il rapporto era 3:1, ovvero 3 lire di moneta circolante per ogni lira d'oro  realmente presente.

Per quanto riguarda le conquiste sociali va ricordato che le Due Sicilie avevano introdotto in Italia il primo sistema pensionistico con ritenute del 2% sugli stipendi degli impiegati statali, disponevano della più alta percentuale di medici in rapporto alla popolazione e potevano vantare il minor tasso di mortalità infantile di tutta la penisola.

Per quanto riguarda la proprietà della terra, è falsa la storia del latifondo come piaga della agricoltura preunitaria: le Due Sicilie avevano una agricoltura talmente fiorente da essere esportatori di eccedenze alimentari in tutto il Mediterraneo. I Borbone avevano progressivamente circoscritto il potere feudale, a partire dall’introduzione del catasto conciario (1741-1743) per cui i titolari di beni feudali o ecclesiastici dovettero pagare le tasse non più si dichiarazione di parte, ma in base all’accertamento statale. Durante i 126 anni del regno borbonico, inoltre, i baroni usurpatori di terre di uso civico (dall’Abruzzo alla Sila e alla Sicilia) dovettero fare i conti con un unico nemico: il Re, con tutto l’apparato statale.

I latifondi crebbero a dismisura dopo l' annessione forzata delle Due Sicilie al Piemonte, quando fu privatizzato il demanio pubblico, ovvero quando fu permesso ai mafiosi e ai ricchi che avevano appoggiato l' occupazione di impossessarsi per cifre irrisorie delle terre prima statali e destinate all' uso civico dei contadini e dei pastori.

 

LE INDUSTRIE

Le cartiere di Isolq Liri

Fra le regioni più industrializzate d' Italia, prima del 1860, c’erano la Campania, la Calabria e la Puglia: per i livelli di industrializzazione le Due Sicilie si collocavano ai primi posti in Europa.

In Calabria erano famose le acciaierie di Mongiana, con due altiforni per la ghisa, due forni  Wilkinson per il ferro e sei raffinerie, occupava 2.500 operai. L’industria decentrata della seta occupava oltre 3.000 persone.

La piu' grande fabbrica metalmeccanica del Regno era quella di Pietrarsa, (fra Napoli e Portici), con oltre 1200 addetti: un record  per l’Italia di allora. Dietro Pietrarsa c’era l’Ansaldo di Genova, con 400 operai. Lo stabilimento napoletano produceva macchine a vapore, locomotive, motori navali, precedendo di 44 anni la Breda e la Fiat.

A Castellammare di Stabia, dalla fine del XVIII secolo, operavano i cantieri navali più importanti e tecnologicamente avanzati d’Italia. L In questo cantiere fu allestita la prima nave a vapore, il  Real Ferdinando, 4 anni prima della prima nave a vapore inglese. Da Castellammare di uscirono la prima nave a elica d' Italia e la prima nave in ferro. La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione.

L' Abruzzo era importante per le cartiere (forti anche quelle del Basso Lazio e della Penisola Amalfitana), la fabbricazione delle lame e le industrie tessili. La Sicilia esportava zolfo, preziosissimo allora, specie nella provincia di Caltanissetta, all' epoca una delle città più ricche e industrializzate d' Italia. In Sicilia c'erano porti commerciali da cui partivano navi per tutto il mondo, Stati Uniti ed Americhe specialmente. Importante, infine era l' industria chimica della Sicilia che produceva tutti i componenti e i materiali sintetici conosciuti allora, acidi, vernici, vetro.

Puglia e Basilicata erano importanti per i lanifici e le industrie tessili, molte delle quali gia' motorizzate. La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione. Le macchine agricole pugliesi erano considerate fra le migliori d’Europa. La Borsa  più importante del regno era, infine, quella di Bari.

Una volta occupate le Due Sicilie, il governo di Torino iniziò lo smantellamento cinico e sistematico del tessuto industriale di quelle che erano divenute le “province meridionali”.  Pietrarsa (dove nel 1862 i bersaglieri compirono un sanguinoso eccidio di operai per difendere le pretese del padrone privato cui fu affidata la fabbrica) fu condannata a un inarrestabile declino. Nei cantieri di Castellammare furono licenziati in tronco 400 operai. Le acciaierie di Mongiana furono rapidamente chiuse, mentre la Ferdinandea di Stilo (con ben 5000 ettari di boschi circostanti) fu venduta per pochi soldi a un colonnello garibaldino, giunto in Calabria al seguito dei “liberatori”.

    

LE GRANDI REALIZZAZIONI

I cantieri navali di Castellammare di Stabia

Oltre alle realizzazioni industriali di cui si e' detto, le Due Sicilie si distinsero per altre importanti realizzazioni: costruirono i primi due ponti sospesi in ferro, quello sul Garigliano e quello sul Calore. E' doveroso ricordare che i tecnici a livello mondiale erano scettici sulla possibilita' di costruire ponti sospesi in ferro di quelle dimensioni, infatti, i tentativi fatti in Francia ed Inghilterra erano stati disastrosi, in quanto il ferro si deformava e il ponte cedeva alle prime vibrazioni.

I ponti furono progettati esclusivamente da ingegneri duosiciliani, con acciaio proveniente dai centri siderurgici della Calabria  e lavorato a Pietrarsa.

Il Re Ferdinando II, messo a corrente delle innovazioni tecniche, era così sicuro della riuscita, che all' inaugurazione si mise al centro del ponte e fece passare su di esso carri, cannoni, cavalli al galoppo  e quanto di più pesante e generatore di vibrazioni ci fosse all' epoca. Il ponte sarà distrutto con il tritolo dai nazisti nel 1943, dopo che ci ebbero fatto passare su i carri armati, i cannoni e tutto l' esercito che si ritirava dal fronte.

Il RRegno aveva fatto le uniche bonifiche d' Italia: in Puglia, in Campania, in Abruzzo, in Calabria e in Sicilia. Impresa titanica fu quella del prosciugamento delle paludi del bacino inferiore del Volturno (240 miglia quadrate, fa i Campi Flegrei e il Massico), dove le terre bonificate vennero assegnate gratuitamente dal Re a 1.400 famiglie di contadini bisognose di lavoro.

Napoli, dopo Londra e Parigi, fu la terza citta' d' Europa ad avere l' illuminazione stradale a gas e la prima d' Italia  a sperimentare l' illuminazione elettrica: teniamo conto che la lampada di Edison arrivera' quindici anni dopo.

Nelle Due Sicilie c'era il maggior numero di ingegneri d' Italia: pensare che il primo ingegnere si laureera' a Milano solo nel 1870!

Un capitolo a parte è quello delle ferrovie: le Due sicilie avevano il miglior sistema ferroviario d' Italia. Oltre alla prima linea ferroviaria d' Italia in assoluto, la Napoli-Portici (1839, giunta a Castellammare di Stabia nel 1842 e a Nocera Inferiore nel 1844=, prima dell' occupazione piemontese c'erano linee ferroviarie per Salerno, Cassino, Caserta. Al momento dell' occupazione si stavano costruendo le linee Napoli-Foggia, Napoli-Bari, Napoli-Chieti, Pescara-Bari, Salerno-Reggio, Palermo-Catania, Palermo-Messina e Palermo-Agrigento.

Gli occupanti fermarono i lavori, benchè fossero stati già fatti i ponti e le gallerie.

I lavori furono più tardi appaltati a ditte lombarde e toscane, con materiali comprati all' estero, cosi' tutte le ditte e le fabbriche duosiciliane che avevano maturato importanti esperienze nell’industria ferroviaria furono condannate al fallimento.

Mentre le nostre fabbriche delle Due Sicilie erano chiuse i macchinari vennero letteralmente smontati e portati al nord. Cosi' nasceranno la Breda ferroviaria da Pietrarsa, i cantieri di La Spezia da quelli di Castellammare, le industrie tessili di Prato e del Comasco dalle industrie pugliesi e cosi' via. L' industria del nord e' nata da una rapina.

 

L' OCCUPAZIONE E LA RESISTENZA

Il popolo difende l'autonomia delle Due Sicilie

Ancora oggi raccontano che la nostra gente si arrese senza combattere, che l' occupazione fu una passeggiata per i famosi mille di Garibaldi.

La storia vera, con montagne di documenti, dice tutt' altro.

Le Due Sicilie erano uno stato indipendente che non tollerava l' assoggettamento a potenze imperialiste. Tutta la sua storia, dagli Altavilla (che difesero il Regno dall’impero d’Oriente e da quello d’Occidente) ai Borbone (che lo difesero finchè potettero da Francia, prima, e Inghilterra, poi) lo dimostra.

L' Inghilterra, in perenne concorrenza e conflitto con la Francia, fece di tutto per ridurre le Due Sicilie in suo potere, ma, per anni, non ci riuscì.

Le Due Siclie facevano una politica attiva nel Mediterraneo, Ferdinando II, a esempio, ripopolò Lampedusa e Pantelleria, evitandone l' occupazione inglese. Resistette in modo energico contro le pretese inglesi sulle miniere di zolfo siciliane.

L' Inghilterra, ritenne utile, allora, giocare il piccolo regno massonico dei Savoia in funzione antifrancese e antiaustriaca.

Il nuovo stato italiaco, costruito attorno al piccolo e indebitato Piemonte, con la testa al nord, soprattutto, avrebbe garantito il totale disinteressamento dell’Italia verso il  Mediterraneo. La flotta e l' esercito inglesi costituirono il sostegno logistico dell' invasione delle Due Sicilie.

Per il Piemonte era indispensabile procurarsi ricchezze per evitare il collasso economico e sociale al quale stava andando incontro, dopo anni di avventure guerresche. Aveva, inoltre, bisogno di una colonia di sfruttamento per accumulare le ricchezze necessarie a finanziare il proprio sviluppo industriale. Colpendo le Due Sicilie, avrebbe preso due piccioni con una fava: avrebbe eliminato un pericolosissimo concorrente economico e avrebbe avuto a propria disposizione le risorse dello stato più forte dell’Italia di allora e un mercato interno di 10 milioni di persone dove imporre con la forza dei cannoni e delle baionette le proprie scadentissime merci.

Fu cosi' che si organizzò l' occupazione e il saccheggio della nostra terra.

I primi disordini furono orditi dai mazziniani appoggiati dagli inglesi: Lord Palmestron, in primis. Un bugiardo svergognato che, a opera compiuta, non esitò ad ammettere di essersi inventate di sana pianta tutte le calunnie con cui aveva cercato di presentare Ferdinando II come la negazione di Dio in terra. Lui, esponente di quell’Inghilterra che, negli stessi anni, affogava nel sangue le rivolte degli indigeni che si ribellavano ai soprusi di un impero coloniale che tormentava contemporaneamente due o tre continenti…

 

IL "BANDITO" GARIBALDI    

L'incontro di Teano

Garibaldi nei paesi americani dove aveva vissuto da giovane era considerato un... "bandito": di corporatura bassa, pieno di reumatismi, aveva bisogno di due persone per montare a cavallo.

Egli portava i capelli lunghi perche', nel violentare una ragazza, questa gli stacco' un pezzo d'orecchio con un morso.

Emigro' in Brasile, come molti altri italiani del nord, da cui, allora provenivano i poveri emigranti dell'Italia, non esistendo tale fenomeno nelle Due Sicilie, il cui primo gruppo di emigranti partirà dopo l' occupazione.

In Brasile Garibaldi era conosciuto come un comune delinquente, ricercato per assalto alle navi mercantili e - incredibile a dirsi, ma vero - per... commercio di schiavi.

Quando il presidente Scalfaro, andando in visita in Brasile e Uruguai, provò a citare Garibaldi, fu redarguito dai presenti che gli spiegarono che da loro il personaggio era sinonimo di delinquente e ladro.

D'altro canto, il... Ladrone dei due Mondi si macchio' di tali ruberie nelle Due Sicilie che perfino Vittorie Emanuele II se ne ebbe a lamentare in uno scritto privato a Cavour dopo l' incontro di Teano.

Garibaldi lasciò il Brasile ed entro' nella massoneria,  diventando un agente per l' Inghilterra in Italia.

Non ci si deve stupire, quindi, se i Piemontesi, una volta finito il lavoro sporco, abbiano scaricato in malo modo Garibaldi che, come tutti sanno, non e' mai diventato una personalità eminente del Regno d'Italia che lo relegò quasi in domicilio coatto.

 

I “MILLE”

Fu l' Inghilterra a procurare una immensa quantità di denaro in lire turche, equivalenti a qualche centinaio di milioni di Euro attuali per l' invasione del Regno che servirono per comprare mafiosi e camorristi in modo che favorissero l' occupazione.

Va premesso che la maggior parte degli alti gradi dell' esercito e specialmente della marina delle Due Sicilie erano diventati, negli anni, grazie all' azione dello spionaggio e della massoneria, agenti filo inglesi o doppiogiochisti.

Lo sbarco di Marsala, potè avvenire grazie alla presenza della flotta inglese.

Garibaldi stesso il 5 dicembre 1861 definì i suoi 1000 "tutti generalmente di origine pessima, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto".

A queste prime 1.000 canaglie seguirono i mercenari inglesi, svizzeri, polacchi, russi e una intera legione di ungheresi specializzata nella repressione.

Sbarcarono, infine, 22.000 soldati piemontesi, tutti dichiarati congedati o disertori.

 

L'OCCUPAZIONE DELLE DUE SICILIE

La fortezza di Gaeta

L'esercito e il popolo delle Due Sicilie reagirono all'attacco, contrariamente a quanto si dice.

Garibaldi fu messo in fuga a Calatafimi dal maggiore Sforza con sole 4 compagnie.

Mentre questi inseguiva l' esercito degli invasori, il traditore generale Landi diede ordine di ritirarsi.

Il generale Landi aveva avuto una fede di credito dai piemontesi di 14.000 ducati, morì d'infarto qualche mese dopo, quando si accorse che il titolo era falso e valeva solo 14 ducati.

Dopo Calatafimi, Garibaldi potè avanzare senza resistenza fino a Palermo, infatti, il generale Lanza, traditore e massone anch' egli, aveva ordinato all' esercito di non muoversi dalle piazzaforti.

A Palermo i garibaldini si abbandonarono a stupri, saccheggi e violenze di ogni genere, coadiuvati anche da giovinastri della nobiltà locale che avevano subodorato la possibilità di conservare e aumentare le ricchezze passando dalla parte degli invasori.

Il 28  maggio, però, arrivarono le truppe fedeli che liberarono d'un colpo quasi tutta Palermo.

La furia dei duosicliani fu tale che in poche ore arrivarono a pochi isolati  dal palazzo dove si era insediato Garibaldi.

A quel punto arrivo' l' ordine di ritirarsi da due capitani, messaggeri del generale Landi, che portarono la notizia, risultata poi falsa, che il Re aveva firmato un armistizio.

Pochi giorni dopo i 24.000 soldati duosiciliani di Palermo furono forzosamente imbarcati per lasciare la Sicilia, tra lo stupore e la rabbia di tutti.  Il generale Landi fu catturato e confinato a Ischia in attesa di essere processato.  Purtroppo, il processo non si è potuto tenere ma il nostro popolo ne conserverà per sempre il nome infame come condanna postuma.

In Sicilia  seguirono repressioni e massacri, noto e' quello di Bronte, dove, per aver occupato delle terre di proprietà degli eredi dell’ammiraglio inglese Orazio Nelson, furono fucilati oltre 100 contadini.

A Milazzo, 2.000 dei nostri rimasti a combattere, comandati dal generale Bosco, un uomo onesto e valoroso, sbaragliarono gli oltre 10.000 invasori. In quella occasione Garibaldi rischio' di rimanere ucciso e si salvo' solo grazie al ritardo con cui arrivarono le munizioni e i rinforzi ai duosiciliani che, quindi, dovettero ritirarsi anche perchè un traditore, Amilcare Anguissola, con la nave delle Due Sicilie Veloce, passata agli inglesi, li cominciò a bombardare dal mare. In ogni caso, alla fine della battaglia morirono 120 soldati napoletani e siciliani e oltre 800 garibaldini.

In Calabria gli inglesi avevano gia' provveduto a comprare i comandanti della fortezza di Reggio, i cui cannoni, puntati sullo stretto non spararono un colpo, pemettendo ai nemici di passare il braccio di mare con tutta tranquillità.

Lo sdegno per il tradimento fu tale che i soldati si ammutinarono e fucilarono a Mileto, il generale Briganti che aveva ordinato di ritirarsi: il corpo di quel traditore fu straziato dai colpi di decine di baionette di soldati indignati ed esasperati.

Fino a Napoli Garibaldi non incontro resistenza organizzata, esclusa la città di Messina che non si era mai arresa e che era ancora sotto assedio e resisteva.

Per evitare un bombardamento, minacciato dai garibaldini, che avrebbe provocato perdite umane e materiali ingentissime, Francesco II dette ordine di rendere Napoli citta' smilitarizzata.

I garibaldini entrarono in Napoli e mai la città subì oltraggio peggiore: furono rapinate le chiese, le case, la reggia di Caserta, il cui tesoro fu spedito a Torino.

Garibaldi si impossessò dei beni privati del re, dei depositi del Banco delle Due Sicilie.

Al momento del ritiro a Gaeta, Francesco II aveva finalmente epurato l' esercito dei generali traditori.

Restavano generali anzianissimi, come Clary e Ritucci, ma fedeli e il giovane generale Bosco.

Da questo momento, per i garibaldini finirono le facili vittorie, iniziarono le sconfitte, tant' e' fu necessario l' intervento dei Piemontesi dal nord.

A Giulianova, in Abruzzo, prima città importante lungo la costa, il criminale Pinelli, generale dell' esercito piemontese, non riuscì a entrare: i pochi soldati rimasti e la popolazione, respinsero gli invasori a pietrate, come nella recente intifada dei palestinesi.

Lo stesso criminale Pinelli si prese una pietrata e rimase ferito.

L' esercito duosiciliano d' Abruzzo, intanto era stato sciolto per ordine dei generali e comandanti traditori, famigerato l' odioso De Virgili di Teramo

Ai soldati fu letto un falso proclama del Re.

La maggior parte di loro, con le poche munizioni e le armi che riuscì a portarsi dietro, andò a combattere con il resto dell' esercito a Gaeta,  a Civitella del Tronto, vicino Teramo, che resistette, o con gli insorgenti sui monti.

Nel marciare verso Napoli e Gaeta, da Pescara e Chieti, volsero verso sud e, presso il Macerone, localita' poco distante da Castel di Sangro e Rionero Sannitico, si scontrarono con i piemontesi che furono sconfitti. I soldati d' Abruzzo, poterono, così raggiungere il resto dell' esercito a Gaeta.

Una volta ricongiuntisi i piemontesi con i garibaldini, gli invasori si avventarono su Gaeta. Per oltre 6 mesi non riuscirono ad averla vinta: la storica fortezza, porta settentrionale delle Due Sicilie, resistette con il disperato eroismo dei militari e della popolazione della città.

In una battaglia combattuta all’inizio di ottobre, con il Re Francesco II in persona presente in mezzo alle truppe, l' accerchiamento fu rotto, i duosiciliani arrivarono sul Volturno e furono sul punto di dirigersi su Napoli per riconquistare la capitale. La popolazione di Caiazzo aveva cacciato gli uomini di Garibaldi gettando su di loro dai balconi acqua bollente e ogni genere di masserizie.

Il generale Ritucci non si sentì sicuro di poter sfondare ulteriormente il fronte e i duosiciliani si fermarono, sperando, anche nell' arrivo dei promessi rinforzi da Austria e Spagna che mai arrivarono.

Un' altra eroica battagli a avvenne sul Garigliano dove il prode capitano Bozzelli volle resistere fino all' ultimo uomo per rallentare l’avanzata degli invasori piemontesi e consentire al grosso dell’esercito delle Due Sicilie di consolidare le posizioni a Gaeta: alle Termopili, 2500 anni prima, era accaduto qualcosa di simile.

I piemontesi avevano armi francesi, delle più moderne, famosi i cannoni rigati a lunga gittata, mentre ai duosiciliani restavano solo vecchie bombarde e cannoni a breve gittata di circa cinquanta anni prima.

I piemontesi potevano colpire senza essere colpiti, ma per 6 mesi Gaeta resistette, altrettanto avvenne per Messina e Civitella del Tronto.

Furono mesi di bombardamenti e di tentativi di assalto, tutti respinti da soldati che spesso non avevano di che mangiare per giorni.

Esemplare fu l'aiuto che gli insorgenti d' Abruzzo portarono agli assediati di Civitella, ai quali, dopo un assalto che li libero' temporaneamente dell' accerchiamento, portarono, viveri e perfino un gregge di pecore in dono, in modo da avere per lungo tempo di che sfamarsi. Per mancanza d'acqua, nelle fortezze, scoppio' anche il tifo. Quando si arresero, i nostri soldati non furono rispettati come prigionieri.

A Civitella la citta' fu saccheggiata. Alcune donne, cui furono strappate pubblicamente le vesti, furono violentate: chi si opponeva veniva fucilato e i corpi dei civili furono lasciati  nel piazzaletto del belvedere insepolti.

Quei corpi e quelli di molti soldati saranno di nascosto sepolti, non si sa dove, dai briganti, durante la notte. Fosse con scheletri sono stati trovati negli anni '70 durante lavori stradali. Tra i civili fu ucciso anche un frate. I soldati, tranne una parte che fu deportata, furono fucilati sul posto.

Durante recenti lavori di restauro, sotto una pietra, sono stati trovati i cadaveri di due ufficiali vestiti in grande uniforme, sotto il pavimento della chiesa della fortezza sono state travate ossa umane in quantita'.

Ancora oggi non sappiamo cosa sia successo nella fortezza dopo che si arrese. Sorte analoga avranno Gaeta e Messina. Nota è la fossa comune, detta pozzo di Martummè a Gaeta, in cui furono gettati i corpi di un gran numero di sodati che si erano arresi.

A Civitella, ultima ad arrendersi, dopo la proclamazione del Regno d' Italia, cercarono addirittura distruggerla del tutto per cancellare ogni ricordo della resistenza e fu iniziata un' opera imponente di demolizione.

La popolazione insorse e impedì lo scempio, anche perchè , nel frattempo, era iniziata la resistenza del popolo delle Due Sicilie e gli occupanti ebbero altro a cui pensare per molti anni.

 

IL PLEBISCITO: TRAGICA FARSA

Piazza del ,,, "plebiscito", a Napoli

E' ormai ammissione unanime, anche dei piu' sfegatati sostenitori del risorgimento, che i referendum (plebisiciti) per l' unificazione delle Due Sicilie al regno dei Savoia furono una farsa indecente.

Fu un imbroglio talmente vergognoso da far scoppiare le prime insurrezioni antiunitarie. I "seggi" erano cosi' organizzati: chi voleva votare doveva consegnare i documenti al presidente di seggio e prelevare la scheda dalla cassetta dei "SI" o dei "NO" e inserirla nell' urna.

Il voto quindi non era segreto, inoltre nei seggi c'erano i soldati. I garibaldini e i traditori votarono in piu' seggi e piu' di una volta. La percentuale dei votanti dichiarata dagli occupanti fu del 19% ma in molti comuni gli insorti impedirono il plebiscito quando videro come si svolgevano le votazioni. Con una simile porcheria si e' consacrata l' unita' d' Italia.

 

LA RESISTENZA DEGLI INSORGENTI

I resistenti furono chiamati briganti

Non li chiameremo certamente "briganti" i nostri patrioti che organizzarono la resistenza in ogni angolo della nostra terra, li chiameremo "insorgenti". Altrettanto non parleremo mai di bande ma di brigate, come si addice ai combattenti. La resistenza era gia' iniziata quando Gaeta, Messina e Civitella del Tronto ancora resistevano.

A Civitella, ad esempio, la resistenza cosi' lunga fu resa possibile dalle continue incursioni dei primi gruppi di insorgenti. L' insurrezione in grande stile comincia poco prima e subito dopo la caduta di Gaeta. Gli episodi sono talmente tanti da costringerci a trattare per sommi capi dei  fatti piu' significativi.

Gia' nel 19 gennaio il capitano Giorgi, patriota Abruzzese, avvocato di Civitella del Tronto, con circa 600 uomini libero' Petrella, Tagliacozzo e infine Scurcola, dove il combattimento fu particolarmente lungo e spietato. Qualche giorno dopo il paese fu assalito dagli invasori, circondato, incendiate le case, e saccheggiato.

Tra la popolazione furono fatte fucilazioni di massa non solo di uomini ma anche di donne, anche due preti, uno dei quali tento' di evitare il massacro, furono fucilati sul posto. A fine anno 1860 si formò la brigata più importante, quella comandata da Carmine Crocco, detto Donatello, nato a Rionero in  Vulture. Nella sua brigata erano figure di rilievo Nicola Summa, detto Ninco Nanco, e Filomena Pennacchio, una donna.

La brigata di Crocco aveva una cavalleria, una fanteria e c'erano anche i poveri dei poveri che combattevano con i soli coltelli e le zappe. Questa gente sfidò e vinse in più combattimenti le truppe ben addestrate ed armate degli occupanti. Il 7 e 8 aprile fu liberata Ripacandida, il successo fu tale che per due giorni in paese fu festa.

La vittoria fece accorrere ulteriori volontari e Crocco volse le truppe verso Venosa e la liberò il 10 aprile; in serata giunse addirittura un gruppo di circa 200 soldati duosiciliani con bandiere e tamburi che si unirono alla brigata. In seguito furono liberate anche Lavello e Avigliano, a due passi da Potenza. Il 12 aprile vi fu l' insurrezione di Melfi.

Di fondamentale importanza fu la battaglia nel bosco di Lagopesole dove si affrontarono la brigata di Crocco, cui si era aggiunto, come comandante, il generale spagnolo Borjes, inviato dal Re, e l' esercito d'occupazione.

La battaglia fu furiosa, alla fine gli insorgenti vinsero e si diressero a Melfi dove entrarono trionfalmente. A Melfi fu tenuta una solenne processione e vi furono due giorni di festa.

A questo punto, la situazione era favorevole ovunque agli insorgenti: in Abruzzo Luca Pastore, Nunzio Tamburrini e Croce di Tola, detto Crocitto, avevano liberato i paesi dell' altipiano delle 5 miglia e puntavano verso Castel Di Sangro per unirsi con Crocco; erano, intanto, insorti ed erano stati liberati i paesi della Majella, Carpineto, Roccascalegna, Casoli e altri. Anche a Isernia c'era stata la rivolta e la città si era liberata dagli occupanti.

Intorno a Napoli, le brigate di Chiavone e Tortora aveva attaccato addirittura Torre del Greco e liberato alcuni paesi tra cui Amalfi (22 luglio 1862).

In Puglia Domenico Romano, detto sergente, di Gioia fel Colle aveva liberato vaste zone del Foggiano, tra cui Zapponata, e con un'altra brigata aveva liberato anche parte della Terra d' Otranto. In Calabria, le popolazioni dell' Aspromonte e del Crotonese erano insorte. Cirò fu piu' volte liberata e ripresa dagli occupanti. In Sicilia, infine, era insorta Catania, Castellammare del Golfo si era liberata, a Palermo ci furono scontri tra la gente e i soldati, perfino Pantelleria riuscì a liberarsi: sull' isola la rivolta continuo' per tutto l' anno e le truppe d'occupazione sbarcate in massa per mesi non riuscirono a sconfiggere gli insorgenti.

A Torino in quel periodo si discuteva se non fosse il caso di abbandonare l' impresa e ritirarsi. Per far pendere definitivamente il conflitto dalla parte dei patrioti sarebbe bastata la liberazione di una città importante in cui instaurare il governo legittimo.

La città più indicata era Potenza dove già tutto era pronto per la battaglia campale. Purtroppo, erano ormai scoppiati insanabili dissensi tra Crocco e Borjes che, con la sua visione aristocratica era inviso ai popolani insorti, non disposti a farsi trattare come carne da cannone.

Crocco pensava di poter aspettare e ingrossare ancora le fila della guerriglia, Borjes abbandono' la Basilicata per gli Abruzzi. Fu persa una occasione unica.

Gli invasori, intanto avevano adottato una nuova strategia: servirsi di collaboratori e traditori. Il principale fu Caruso, un coraggioso capitano degli insorgenti, rivale di Crocco anche in amore. Caruso passo' dalla parte degli occupanti e per Crocco iniziarono tempi sempre piu' duri. Borjes fu fatto scoprire da traditori mentre era vicino Tagliacozzo e stava per tornare a Roma per riorganizzare una sua brigata. In Sicilia e in Puglia intervenne la marina.

Furono emanate leggi ferocissime che ammettevano la rappresaglia indiscrimimata anche su conoscenti e amici degli insorgenti. Furono requisiti i raccolti e le greggi, fu impedita la semina: in parole povere, le Due Sicilie furono ridotte alla fame. Dall' estero Austria e Francia rimasero inerti. Anche lo Stato Pontificio tagliò ogni aiuto agli insorgenti, sperando così – inutilmente -  di non subire una invasione. La repressione si scatenò con ferocia. Come esempi piu' famosi di orrori subiti dalla nostra gente citiamo la strage di Pontelandolfo e Casalduni, in provincia di Benevento. e quella di Isernia.

A Pontelandolfo, i patrioti avevano attaccato una colonna di bersaglieri e i prigionieri furono portati in paese dove la gente infuriata li uccise. Pontelandolfo fu dato alle fiamme, quasi tutta la popolazione trovata in casa, 900 persone, donne vecchi e bambini compresi fu uccisa, nella maggior parte dei casi con colpi di baionetta.

A Isernia, una volta rioccupata, furono compiute violenze e saccheggi. Le teste dei patrioti che avevano diretto la rivolta furono tagliate e messe in gabbie che furono fotografate e appese nella piazza principale della città. Nel giro di due anni gli insorgenti saranno sterminati e al loro posto rimarranno solo banditi comuni, veri briganti.

Una recente ricerca ha fornito questi dati sulle lotte del 1860 - 1864: 154.000 morti in combattimento a cui si aggiungono 111'500 fucilati o uccisi per rappresaglia. I dati forniti dagli occupanti sono inferiori ma comunque agghiaccianti: essi parlano di 16'000 fucilati nel solo 1862, 37 paesi dati alle fiamme per rappresaglia e 40'000 senza tetto.

Gli occupanti persero ufficialmente circa 23.000 uomini. Dagli occupanti furono impiegati nella guerra 120'000 uomini regolari a cui vanno aggiunti 80'000 irregolari, i collaborazionisti della infame "guardia nazionale" e 7.500 carabinieri.

 

IERI, OGGI E DOMANI

Una politica mediterranea per le Due Sicilie

La nostra storia, successiva all'occupazione, e' nota ed e' sui libri di testo che vengono utilizzati nelle scuole. Due Sicilie e' diventato un termine vietato e sostituito con l' insulsa espressione geografica di "Sud".

La nostra gente e' diventata famosa come emigrante. il termine meridionale suona, nel migliore dei casi, come sinonimo di personaggio folcloristico, scansafatiche e arretrato.

Qualcuno ha scritto, anni dopo quel tragico 1860, che Cristo si era fermato ad Eboli. Piu' esattamente la metafora avrebbe dovuto dire che non molti anni prima, il demonio aveva scacciato Cristo dalle Due Sicilie. La nostra terra e' stata venduta ai parassiti del sottogoverno, alla  mafia e alla camorra, sin dall' inizio alleate degli invasori. Il nostro futuro e' legato agli aiuti e ai finanziamenti "generosamente" elargiti dal governo di Roma o, sempre piu', dall'Unione Europea..

Per le persone piu' intraprendenti c'e' un posto all' estero, in imprese del Nord o nella burocrazia statale. Per gli altri che rimangono le migliori possibilita' di emergere sono nel parassitismo del sottogoverno, nell' arte di arrangiarsi o nella delinquenza.

L' Italia non ha e non ha mai avuto alcuna politica mediterranea, strano, per una terra che e' circondata da tutti i lati dal Mediterraneo, meno strano se si pensa che - con una politica mediterranea - le Due Sicilie sarebbero il motore della penisola, invece che esserne, come adesso, la ruota di scorta.

Abbiamo scritto questa breve storia perchè riteniamo che conoscere la propria storia e' importante per capire il presente e preparare la riscossa. Vogliamo che noi tutti, Abruzzesi, Molisani, Pugliesi, Calabresi, Campani, Lucani e Siciliani, diventiamo consapevoli che i nostri avi e bisnonni non furono per niente vigliacchi e gattopardi.

Adesso è il momento di riprendersi la dignità del passato per costruire un presente dignitoso. Napoli, Palermo, Bari, Catania,  Reggio Calabria, Pescara sono le città mediterranee delle Due Sicilie che possono insieme diventare il centro propulsore di tutta l'area mediterranea e farla tornare a essere la regione più evoluta e sviluppata dell' intero pianeta, se solo ci riprendiamo il coraggio dell'iniziativa.

Una futuro diverso è possibile e questo futuro sta già cominciando, partendo dal passato.  

 


Un libro da meditare... "L'Inghilterra contro il le Due Sicilie' 

Comincia a sfaldarsi la menzogna del Risorgimento, un periodo che copre oltre 50 anni del XIX secolo e che la cultura ufficiale, la scuola prima di tutti, ha proiettato dinanzi ai nostri occhi e alla nostra credulità come un film pieno di effetti speciali, di cui oggi sono ricche le pellicole, al fine di richiamare un maggior numero di spettatori. L'Inghilterra non fu estranea a tutto questo, anzi. Fu proprio grazie alla sua regia, alla sua "amichevole" e "disinteressata" partecipazione che il più antico e florido Stato della penisola italiana potè essere cancellato dalla storia. Oggi tutti gli indizi e le prove che dimostrano questa complicità sono raccolti ed esposti in un libro: "L'Inghilterra contro il Regno delle Due Sicilie". Sottotitolo: "Vivi e lascia morire". Lo ha scritto Erminio De Biase per i tipi della casa editrice napoletana "Controcorrente". "Fu per opera della Gran Bretagna, dei suoi finanziamenti, della sua protezione e dei suoi apporti", si legge nell'introduzione, "che i traditori si vestirono da eroi, i vigliacchi ebbero i gradi del comando e l'infamia si mascherò da virtù". Di tutto ciò si legge in questo libro e perchà lo sfondo inglese fosse sempre presente a ogni capitolo è stato dato, ironicamente, il titolo di un film di James Bond, accattivante mito d'Oltremanica, anche perchè, prima e dopo la spedizione dei Mille, ci fu uno 007 in carne e ossa a operare, in  modo molto attivo, non solo al servizio segreto di sua maestà britannica, ma anche e sopratutto per conto delle lobby liberal-massoniche la cui filosofia era, allora come oggi, "vivi e lascia morire". Per saperne di più e per prenotare il libro inviare una e-mail a controcorrente_na@libero.it.  

 


"Giornata della memoria": soldati meridionali depurtati nei lager del Piemonte

Torino - Promossa dall’Associazione Internazionale di Cultura e Storia LargodiPalazzo, con il patrocinio della Regione Piemonte e della Provincia di Torino, domenica 21 luglio è stata celebrata nella fortezza di Fenestrelle presso Torino la "Giornata in memoria del soldato napolitano".  L'iniziativa, che ha ormai assunto una cadenza annuale, si è consolidata nel tempo e risulta uno tra gli appuntamenti più significativi, anche per il coinvolgimento di personalità provenienti da diverse regioni e nazioni. A questa edizione hanno collaborato gli Assessori alla Cultura della Regione Piemonte Gianpiero Leo e della Provincia Valter Giuliano, l'Associazione Progetto San Carlo Forte di Fenestrelle Onlus, l'Associazione Culturale Due Sicilie ed il Comitato per le Celebrazioni delle Pasque Veronesi. 

Con questa commemorazione i promotori hanno voluto ricordare e onorare i Soldati Napolitani e Siciliani che furono imprigionati nella fortezza dall’anno 1860 al 1870 circa, per aver difeso la loro cultura ed i loro valori.  

1. Bandiera a fasce tricolori in seta del Regno delle Due Sicilie, con cravatte tricolori, appartenente al "3° Reggimento Guardia Cacciatori", con al centro lo stemma di Casa Borbone e sul verso la Croce dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio (Armeria Reale di Torino O.191)

2. Bandiera a fasce tricolori in seta del Regno delle Due Sicilie, appartenente al "15° Reggimento di Linea Messapia", con al centro la Croce dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio (Archivio di Stato di Napoli cat. XIX)

Questi giovani del Sud, appartenenti all’esercito del Regno delle Due Sicilie, erano forzatamente arruolati nelle unità militari di punizione del nuovo esercito del Regno d’Italia, denominate dei "cacciatori franchi", e, quindi, arrestati, trasportati a Genova per essere ammassati in Via Assarotti e poi tradotti in veri e propri campi di concentramento organizzati a Fenestrelle, San Maurizio Canavese, Alessandria, Forte San Benigno di Genova, Milano ed in altri siti.

Tra questi campi di concentramento, quello di Fenestrelle era forse il più duro e quì, più che in altri luoghi, i prigionieri vi morivano di fame, stenti e malattie. Di questi Soldati non è rimasto nulla: i loro resti furono dissolti nella calce e non esiste una lapide, una fossa o un cippo che li ricordi. Una strada militare d'alta quota ancora esistente, denominata "Strada dei Siciliani", denuncia l'impiego dei prigionieri nei lavori forzati. Solo pochi, tra i molti caduti, sono menzionati in un elenco conservato presso la Chiesa Parrocchiale di Fenestrelle: erano giovani del Sud, d'età prevalente dai 21 ai 26 anni, che morirono per avere difeso il loro Paese e per aver combattuto con la bandiera tricolore.

La documentazione storica, esistente negli Archivi e nei depositi dei Musei italiani, avvalorata anche da numerose e riconosciute pubblicazioni, contribuisce a definire la figura di questi Soldati come valorosi resistenti, che si sacrificarono contro la violenza, la guerra e le prevaricazioni, per difendere lo stato di diritto.  

Per ricordare questi uomini ed i loro ideali, anche con i simboli e i documenti storici, alla commemorazione sarà presente un drappello con le divise degli eserciti dell'epoca e la bandiera tricolore con la quale l’esercito del Regno delle Due Sicilie combatté nella battaglia del Volturno e negli assedi di Gaeta, Civitella del Tronto e Messina. Questo vessillo fu adottato come bandiera di Stato da Re Francesco II di Borbone con decreto firmato e pubblicato in Portici il 25 giugno 1860, che al punto quattro recita: "La nostra bandiera sarà d’ora innanzi fregiata de’ colori nazionali italiani in tre fasce verticali, conservando sempre nel mezzo le Armi della nostra Dinastia.". Con questo stesso provvedimento, tra l’altro, era previsto al punto tre che: "Sarà stabilito con il Re di Sardegna un accordo per gli interessi comuni delle due Corone in Italia." Con questo decreto il Re dichiarava la volontà del Regno delle Due Sicilie di addivenire ad una pacifica unione della penisola, evitando i disastri della guerra, come in quegli anni fu realizzato con l'unificazione della Germania.

La cerimonia si è svolta con la celebrazione della Santa Messa da campo in memoria dei Caduti, nella Cappella del Forte San Carlo, cui è seguita la commemorazione dei Soldati, con la deposizione di una corona di alloro sopra un cippo di pietra al quale venivano incatenati i prigionieri, in uno dei Quartieri che fungeva da carcere.

Alla cerimonia hanno partecipato invitati provenienti da ogni parte d’Italia ed anche da altri Paesi europei. Sono giunti numerosi messaggi di saluto e di solidarietà per questa commemorazione, tra i quali ricordiamo quelli del Ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri e quelli degli Assessori alla Cultura della Regione Piemonte Gianpiero Leo e della Provincia di Torino Valter Giuliano.

Il programma complessivo delle commemorazioni in onore dei Soldati dell’Esercito delle Due Sicilie, dopo la "Giornata della memoria" a Fenestrelle, sarà concluso nel prossimo autunno a Napoli, con una solenne celebrazione nella Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro presso il Duomo, in collaborazione con l'omonima Deputazione, alla quale seguirà un concerto ed una conferenza con la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni, della cultura e dell’aristocrazia europea.

L’Associazione Internazionale LargodiPalazzo, promotrice di queste iniziative, è stata costituita con la finalità di valorizzare e divulgare la cultura europea. L’Associazione ha voluto intitolarsi come l’antica denominazione della Piazza del Palazzo Reale di Napoli, per identificarsi con essa, come ideale luogo d’incontro tra società e storia.

Ufficio stampa: Annamaria Nazzaro tel. 335.6938817 e-mail Annamaria.Nazzaro@tin.it

 


Il Garigliano come le Termopili: onorati i 300 soldati napolitani immolatisi nel 1860

Sessa Aurunca (Caserta) - Il Garigliano come le Termopili, anche se nei libri di storia usati nelle scuole italiane con se ne trova traccia: una corona di fiori gettata nelle acque del fiume nei pressi del ponte “Real Ferdinando” è servita a ricordare l’eroico sacrificio di circa 300 soldati dal 6° battaglione “Cacciatori” dell’esercito del Regno delle Due Sicilie che, il 2 novembre 1860, si fecero uccidere, dal comandante – il capitato Domenico Bozzelli, 46 anni, abruzzese di Castel di Sangro, fino all’ultimo tamburino, per rallentare l’avanzata dell’esercito piemontese e consentire il trasferimento del grosso delle forze napolitane (così si chiamavano i cittadini dell’antico Regno) verso la fortezza di Gaeta per l’estrema difesa della secolare autonomia dello Stato fondato da Ruggero d’Altavilla, a Palermo, nel 1130.

A ricordare l’eroico sacrificio, in occasione della “Giornata della memoria” dedicata al “soldato napolitano”, è stato il giornalista Franco Nocella, presidente della Feder Mediterraneo, organizzazione indipendente non governativa membro della Task Force ONG del Consiglio d’Europa, accompagnato da tutti i delegati territoriali della federazione della provincia di Caserta e del Basso Lazio. Presenti anche Antonio La Rosa, delegato per l’Abruzzo, regione di provenienza dell’eroico capitano Bozzelli, il coordinatore della Consulta per il Sud Pietro Ferro, il presidente di Rinascita Meridionale Ferdinando M. d’Antonio e il segretario del Servizio Ambiente & Territorio Claudio Iorio. Contemporaneamente, a Torino, presso la fortezza San Carlo di Finestrelle l’associazione internazionale “Largo di palazzo” ricordava le inaudite sofferenze e il silenzioso sacrificio di migliaia di soldati napolitani che, dopo la capitolazione di Gaeta, Civitella del Tronto e Messina furono deportati nel Nord Italia e sottoposti a inaudite vessazioni che a molti di loro costarono la vita.

Il presidente della Feder Mediterraneo, Nocella, presso il ponte “Real Ferdinando” (recentemente restaurato dall’ANAS nelle forme in cui lo progettò nel 1828 Luigi Giura, primo ponte su catene d’Italia e terzo nel mondo), ha dato lettura del messaggio inviato dal lager piemontese di Fenestrelle dal presidente onorario dell’associazione “Largo di Palazzo” Paolo M. di Salerno, dove la “Giornata della memoria” è stata patrocinata anche dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Torino, sottolineando la necessità di “una radicale revisione storica, che chiarisca esattamente come e perché cadde il più antico e prospero stato dell’Italia pre unitaria e renda giustizia e onore ai soldati che ne difesero eroicamente l’autonomia e ai cittadini del Sud che, per quasi dieci anni, contrastarono valorosamente l’occupazione militare piemontese venendo la loro resistenza popolare marchiata con il nome di brigantaggio”.

“Il 2 novembre 1860”, ha ricordato il presidente della Feder Mediterraneo, Nocella, “l’esercito napolitano, incalzato al bombardamento della flotta piemontese, iniziò il ripiegamento verso Gaeta. I piemontesi attaccarono in forze il ponte del Garigliano per poter prendere alle spalle, oltre che dal mare, i napolitani, ma, sulla riva destra del fiume era rimasto, nonostante l’ordine di ritirarsi, Domenico Bozzelli con due compagnie del 6° battaglione Cacciatori. Esse impedirono il passaggio del fiume alle preponderanti forze avversarie per una intera giornata e, non avendo ottenuto l’onore delle armi da un nemico che non riconosceva l’eroismo e l’onore se non quando la cosa interessava le sue truppe, preferirono soccombere tutti grazie al coraggio e all’esempio dato dal capitano Bozzelli”.

In una lettera indirizzata al presidente della Provincia di Caserta, Riccardo Ventre, e al sindaco di Sessa Aurunca, Elio Meschinelli, il presidente della Feder Mediterraneo, Franco Nocella, anche a nome di tutte le organizzazioni presenti alla commemorazione del Garigliano, ha chiesto che presso il ponte “Real Ferdinando” venga apposta una lapide che “ricordi il valore dei soldati napoletani e contribuisca a restituire agli abitanti dell’Italia meridionale l’orgoglio per la propria storia e per la propria identità, in mancanza del quale sarà più difficile vincere le battaglie di oggi contro l’emarginazione e il sottosviluppo”.    


Ritorno di Vittorio Emanuele: i Savoia risarciscano Genova e Gaeta

Casa Savoia o, per essa, lo Stato italiano risarciscano le città di Genova e Gaeta per i danni subiti ad opera dell'esercito piemontese nella prima metà dell'Ottocento: è quanto si chiede in due petizioni presentate al Parlamento europeo. La prima è firmata da Antonio Ciano, esponente del Partito del Sud, che si riferisce al sanguinoso assedio di Gaeta condotto dall'esercito di Vittorio Emanuele II a cavallo fra il 1860 e il 1861. La seconda è stata sottoscritta da Franco Bambi del Movimento indipendentista ligure e si riferisce al saccheggio di Genova del 1849, quando i bersaglieri di La Marmora misero a ferro e fuoco la città che aveva osato ribellarsi alla dominazione sabaudo-piemontese. 


I Borboni e la Calabria in piazza a Siderno: così si riscrive la storia

Il 5 luglio nella piazza San Nicola di Siderno (Reggio Calabria) si è tenuta, con grande partecipazione di pubblico, una  conferenza sul tema "Ferdinando ha dormito qui: i Borboni e la Calabria. Le industrie del Regno". La relazione sarà della prof. Mariolina Spadaro, docente presso l'Università di Napoli. Sull'argomento è possibile leggere l'intervento del giornalista Franco Nocella, presidente della Feder Mediterraneo, "Calabria tradita" sul sito www.feder-mediterraneo.too.it.


 


Unità d'Italia: nascita di una colonia

Rileggiamo la storia del Sud con lo scrittore calabrese Nicola Zitara


 

Ai popolani di Napoli che nelle oneste giornate del luglio 1547, laceri, male armati, soli d'Italia, francamente pugnando nelle vie, dalle case, contro le migliori truppe d'Europa, tennero da se lontano l'obbrobrio della inquisizione spagnola imposta da un imperatore fiammingo e da un papa italiano, provando ancora una volta che il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa de' servi, più che dei padroni.

Lapide esposta all'ingresso della Certosa di San Martino, a Napoli

 

 

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Aggiornato il: 18 gennaio 2003

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