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  il mito  

 La non-nascita del vampiro

Quando apparvero avevano scarsi contorni, affioravano zanne lupine e, sui corpi, zone pelose che parevano di coniglio. Ma, poiché amavano il buio si rifugiavano negli angoli delle cantine, nell’ombra degli abbaini, sotto le tettoie di polvere e ragnatele, poteva essere solo illusione, e forse avevano corpo e volto di uomo.
(...)
Si raccontava di loro che erano uomini morti sopravvissuti alla morte, i quali si nutrivano di sangue umano per alimentare la loro durata pallida e notturna di fantasmi corporei.

(Furio Jesi, L’ultima notte, Marietti; pag. 5).


Al giorno d’oggi tutti quanti conoscono il Vampiro, se ne trovano riferimenti non solo nella letteratura orrorifica che è l’ambiente privilegiato, ma in tutti i campi della massmediologia dal Cinema di serie A a quello di serie Z, dalla pubblicità (dove recentemente abbiamo visto comparire un pronipote di Lord Ruthven che rinuncia ad avventarsi su un candido collo per cibarsi di un noto salume, per non parlare delle diverse parodizzazioni di Dracula che lo hanno portato persino a sedersi sulla poltrona del dentista) alla propaganda politica (l’Andreacula di Forattini per fare uno degli esempi più noti), passando attraverso i giochi, i fumetti, i telefilm ecc. Gli studiosi del settore, occupandosi delle periodiche apparizioni del non-morto nel corso degli anni e, comparandole alla situazione sociale del periodo esaminato hanno effettivamente notato che il Vampiro è il “mostro” più adatto a raccogliere questa polisemanticità, a mimetizzarsi nei tessuti sociali e ad incarnarne le paure, per fare uno dei tanti esempi basta ricordare il film “Nosferatu” di Murnau e la situazione di Weimar, proprio per alcune delle sue caratteristiche che comprendono la presenza di una corporalità tangibile e la capacità di contagiare le sue vittime garantendosi, sebbene non ne abbia un gran bisogno, una buona discendenza. Ma il vampiro che tutti conoscono è una versione moderna, nata alla fine del Settecento, quindi è la conseguenza di una trasposizione su un piano letterario di una creatura che esisteva già prima esercitando il suo terribile fascino dovuto soprattutto alla trasgressione dei tabù che da sempre hanno costituito il vivere sociale: la morte e l’ematofagia.
Collocare come origine del mito del Vampiro la notte dei tempi è un luogo comune tanto scontato quanto efficace, ovviamente in questa sede non si prendono in considerazione i vampiri dell’età romantica, e tantomeno la figura del Conte Dracula con la sua discendenza letteraria e cinematografica (anche perché si tratta di romanzi che sono stati scritti in Inghilterra, nazione che è molto povera di tradizioni vampiriche ma più ricca di fantasmi e di streghe); cerchiamo di prendere in esame le creature notturne che si nutrono di sangue, sospese in una condizione che non è quella di cadavere e nemmeno quella di essere vivente in quanto si tratta di un essere soprannaturale che ha vissuto la morte senza esserne sconfitto conquistando la vita eterna al prezzo della singolare restrizione dietetica.
Gli studi antropologici effettuati sulle società primitive segnano come una delle principali conquiste evolutive l’adozione di ciò che comunemente chiamiamo “culto dei morti”, una serie di pratiche che, dai reperti, risalgono circa a 90000 anni fa (in concomitanza con la rivoluzione neolitica che trasformò molte popolazioni di cacciatori nomadi in sedentarie e agricole) ed hanno lo scopo di consentire al defunto di passare dal mondo dei vivi a quello dei morti senza il desiderio di tornare indietro. Questi primi funerali sono rappresentativi dell’elaborazione religiosa di questi uomini primitivi e della comparsa di alcuni concetti quali l’anima, le divinità benevole e quelle maligne, ma soprattutto della considerazione che dopo la morte esista qualcos’altro, un altro universo che accolga chi ha concluso la sua esistenza terrena o solo temporaneamente (nel caso si contempli la possibilità della reincarnazione) oppure per l’eternità.
Andare all’altro mondo veniva così ad essere l’ultimo dei tanti riti di passaggio contemplati nel corso della vita umana e per il quale occorreva una preparazione dell’anima ma anche del corpo (questa preparazione non poteva effettuasi in vita, ma solo post-mortem) e nelle rappresentazioni mentali delle popolazioni primitive il trapasso diventava qualcosa di molto simile al superamento di un ostacolo come l’attraversamento di un corso d’acqua, la scalata di una montagna ecc. dopo di che, l’anima, si sarebbe reincarnata in un nuovo corpo analogamente al ciclo stagionale dei frutti della terra e degli animali oppure avrebbe riposato in un posto migliore.
Per queste popolazioni solo una cosa non era del tutto chiara: perché mai si dovesse morire, la morte, insomma, non era accettabile soprattutto se improvvisa e prematura, le conoscenze scientifiche che avevano erano troppo limitate per accettare come naturale un evento di questo tipo (accettazione che non si ha nemmeno nell’età contemporanea).
La morte faceva (e tuttora fa) paura quindi i morti andavano tenuti lontani, seppelliti fuori dai villaggi, preferibilmente separati da barriere fisiche come ruscelli di modo che il cadavere fosse “lontano dagli occhi quindi lontano dal cuore” e, soprattutto, non avesse modo di tornare indietro (è inutile, a questo punto, elencare le pratiche funerarie e i riti apotropaici adottati a tale scopo anche perché esistono testi specifici e molto dettagliati, anche se è importante segnalare che, con l’avvento del cattolicesimo fino alla fine del XVIII secolo i morti erano sepolti nelle città nei pressi delle chiese che dovevano garantire una protezione esorcistica nei confronti delle razzie operate dai demoni e dalle streghe, senza contare il potere taumaturgico delle spoglie dei santi e dei martiri.
spirito guardiano
Recipiente tibetano a foggia di maschera destinata a contenere il sangue degli animali sacrificati o l’acqua purificata per le cerimonie religiose. Raffigura uno spirito guardiano che aveva anticamente il compito di tenere lontani nemici e demoni.
Daniel Farson, Creature del male (Rizzoli, 1976)

Le malattie erano attribuite ad entità maligne o comunque ad aggressioni non del tutto benefiche (basti pensare all’epilessia che ancora oggi presso alcuni popoli è un segno di possessione diabolica), inoltre, osservando lo scorrere via il sangue dalle ferite col conseguente progressivo indebolimento del malcapitato incominciò a pensarsi che proprio in questo misterioso fluido rosso fosse contenuto il segreto della vita, ovviamente il concetto d’infezione era ignoto quindi un’offesa agli dei poteva essere la causa del malessere quindi le procedure terapeutiche volte all’estrazione del sangue avvelenato erano anche un tributo per ingraziarsi queste divinità “permalose” oltre che per riacquistare la salute.
A questo punto è scontato pensare che un morto che riesce a ritornare non sia animato di buoni sentimenti nei confronti dei vivi che lo hanno abbandonato e che cerchi di rubare loro ciò che a lui manca: la vita che scorre nel sangue.
Se il sangue rappresenta la vita, d’altra parte fino a pochi secoli fa usava recarsi ai mattatoi per sorbirne un bicchiere con lo scopo di trarne vigore, è anche un veicolo di comunicazione col mondo delle divinità e con quello dei morti, senza raggiungere gli Aztechi, famosi per la quantità di sacrifici umani che compivano per ingraziarsi gli Dei, basti pensare ai Romani, agli Etruschi, all’episodio dell’Odissea in cui Ulisse conferisce con l’ombra di Tiresia, le tragedie greche e i passi dell’Antico testamento in cui Dio stesso vieta di assumere sangue e obbliga a versarlo per terra (per non parlare poi del Nuovo Testamento dove è Dio stesso a compiere il sacrificio versando il sangue di suo figlio rendendo ematofagi i cattolici). I connotati sessuali strettamente connessi all’introiezione e incorporazione freudiana legati al morso e alla suzione verranno ancor più accentuati nella letteratura romantica introducendo l’aspetto fallico e aggressivo dei canini e l’estasi raggiunta dalla vittima durante il morso e la suzione del prezioso umore.
Nel corso della storia ogni popolo, indipendentemente dalla posizione geografica, generò i propri vampiri, assegnandogli nomi e caratteristiche che più si confacevano alla propria cultura, ma le differenze sono solo minime, si alimentano col sangue delle vittime che assalgono, prediligono la notte e non temono la morte alcuni perché l’han già sconfitta altri perché appartengono al mondo dei demoni (di alcune di queste figure mitologiche dedicheremo una sezione all’interno del sito). Massimo Introvigne nel suo “La Stirpe di Dracula” (Mondadori 1997) espone cinque ipotesi di origine del mito vampirico: l’origine universale o preistorica, l’origine sciamanica, l’origine orientale, quella europea antica o medievale e l’origine moderna (p.25), anche se è davvero difficile prendere posizione su una sola di queste senza considerare le altre vista la mole di migrazioni che si sono avute nella storia e le conseguenti contaminazioni delle diverse culture.


VAMPIRI ILLUMINISTI
Il maggior numero di leggende sui vampiri le troviamo nell’Europa Orientale, soprattutto per il gran numero di resoconti scritti nel settecento in concomitanza all’epidemia vampirica che si sviluppo proprio in quelle terre e che rese il vampirismo un fenomeno sociale da estirpare con ogni mezzo possibile in quanto rappresentava un pericolo reale per le popolazioni. Paradossalmente nel secolo dei Lumi si è avuto il trionfo delle creature della notte, infatti, il Dictionnaire Infernal alla voce Vampiri si esprime affermando che essi hanno terrorizzato l’Europa orientale, mentre gli altri spaventavano gli occidentali ribaltando le loro antiche convinzioni con le quali avevano convissuto per secoli.
Dal XV secolo chi moriva nell’area geografica compresa fra la Jugoslavia e la Russia era soggetto a ritornare, in particolare se aveva mancato ai suoi doveri di buon cristiano perché era ancor più facile preda del demonio, anche lui in grado di far risorgere i suoi figli imprigionando la loro anima dentro il corpo. Ne derivò una serie di misure preventive e cautelative per riconoscere il potenziale vampiro (si stillarono elenchi di persone predisposte a diventare vampiro che comprendevano dai criminali ai morti suicidi, alle persone coi capelli rossi o quelli nati in determinati periodi dell’anno) e per far si che il suo corpo non fosse in grado di uscire dalla tomba (dagli impedimenti fisici come mutilazioni a procedure volte ad accelerare i processi di decomposizione della salma), un atteggiamento completamente diverso da quello della cristianità occidentale che assicurava che i cadaveri dalla “carne impassibile” erano quelli dei santi.
Le cause sono da ricercarsi nella difficile situazione politica di queste terre soggette al dominio degli Asburgo e a quello della chiesa, e che, però, venivano da anni di dominazione cristiana ortodossa e da assedi operati dai musulmani quindi esisteva una certa confusione fra i popoli stessi se accettare l’origine demoniaca del vampirismo (come sosteneva la chiesa ortodossa) o se accontentarsi di essere ridotti a superstiziosi ignoranti come proponeva l’illuminata chiesa occidentale. Il clero locale era accusato al pari dei villici di diffondere la diceria del ritorno dei morti dietro influsso Satanico, confortati da testi scritti secoli prima e tenuti in gran considerazione come il “Malleus Maleficarum” di Sprenger e Kramer (Norimberga 1494), la Demonomania di Bodin (Parigi 1580) Il Compendium Maleficarum di Guaccio ecc., tanto che il Cardinale Prospero Lambertini, quando l’arcivescovo polacco gli chiese l’autorizzazione per praticare gli esorcismi sui cadaveri rispose in questi termini: Certamente dev’essere la grande libertà di cui Godete in Polonia che vi consente di andarvene a spasso anche dopo morti. Qui da noi, glie l’assicuro, i morti sono tranquilli e silenziosi, e se non avessimo che loro da temere, non avremmo bisogno né di sbirri né di bargello.
Si cominciarono a scrivere numerose dissertazioni riguardo i vampiri, che cercavano di fornire una spiegazione razionale al fenomeno al fine di far smettere le brutali pratiche di esumazione e trattamento dei cadaveri sospetti che certo non si confacevano alla società illuminata che si stava preparando. Se escludiamo la maggioranza di pubblicazioni minori, provenienti prevalentemente da Lipsia, Norimberga e Jena, i trattati più famosi e giunti fino a noi sono quelli di Dom Calmet (ai tempi canzonato da Voltaire per l’accurata documentazione di casi di vampirismo che apportava e per la sua mancanza di presa di posizione a questo riguardo), quello di Davanzati (un religioso italiano che cercava di dare spiegazioni, il più possibile scientifiche, agli episodi di vampirismo e di relegarli all’ambito del disordine immaginativo di queste popolazioni biasimando i riti apotropaici che considerava abominevoli) e quello di Van Swieten il medico di corte della regina Maria Teresa d’Austria che fece si che la regina stessa emanasse un decreto che vietava il ritorno in vita di persone già morte sia per loro opera che per opera del demonio ponendo fine all’epidemia.
Negli ultimi anni Paul Barber, nel suo “Vampiri Sepoltura e Morte” (Pratiche 1994), riesaminerà minuziosamente le testimonianze rese in queste trattazioni e avvalendosi delle moderne scoperte scientifiche e medico-legali ne darà una spiegazione razionale ammettendo come plausibili le osservazioni delle vittime dell’epidemia ma l’etiologia non è affatto satanica bensì legata ai normali processi di corruzione dei corpi post-mortem e agli effetti di sepolture premature e frettolose.
Col decreto della Regina Maria Teresa i sepolcri, almeno apparentemente, sono sigillati e non vi saranno più apparizioni vampiriche presso le case degli abitanti del suo impero; ma la mole di scritti darà luogo ad un’altra epidemia che tuttora non si è riuscita ad estirpare: il vampiro diventerà un’icona dell’immaginario collettivo, a cominciare dagli scritti dei poeti romantici fino ad arrivare ai moderni splatterpunk diffondendo il suo contagio subdolamente ma con ben più successo. Per quest’opera si è reso necessario che si spogliasse del sudario masticato per indossare completi alla moda, rinunciasse al gonfiore del ventre e all’incarnato rubizzo per un più discreto pallore e, soprattutto, riuscisse ad infilarsi nei salotti dei circoli colti seducendo gli astanti proponendosi e non facendo loro richieste come usavano i suoi antenati folclorici, negli ultimi anni qualcuno ha anche rinunciato alla bara, evitando il fastidio di uno scomodo trasloco magari da un vetusto castello ad un appartamentino in centro.






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