Non
comprendo io ancora, che cosa si fossero questi Vampiri, e molto meno in qual
maniera cagionassero simili effetti, (…). I suddetti Vampiri altro non erano
che alcuni uomini morti da alcuni giorni prima, i quali già sepolti e
sotterrati comparivano di nuovo nella stessa forma, e negli stessi abiti e
portamenti di quando erano vivi, e si facevano vedere da’ loro parenti ed
amici di giorno e di notte, portandosi francamente nelle lor case, conversando,
parlando e mangiando con esso loro: e talvolta mettendosi a letto, invitavano
quelli a riposarsi parimente con esso loro.
(Giuseppe
Davanzati, Dissertazione Sopra i
Vampiri, Besa editrice, Bari 1998. Pag. 19)
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I morti
inquieti
Nel 313 d.C. con l’editto di Milano, gli
imperatori Costantino e Licinio permisero la pratica della religione cattolica
all’interno dell’Impero Romano. La religione fondata da Gesù Cristo e
ispirata ai suoi insegnamenti passò, da culto clandestino e passibile di
persecuzione, a religione ufficiale, alla quale si convertirono anche molte
popolazioni barbariche.La religione Cristiana sopravvisse al crollo
dell’Impero Romano e, tra il 500 e il 1500, la Chiesa di Pietro fu
protagonista indiscussa del Medioevo, sebbene, per i primi anni, i culti
cristiani fossero praticati esclusivamente all’interno delle città mentre le
campagne restavano prevalentemente pagane. Nell’età medievale la popolazione
europea, sprofondata nella crisi economica dopo la caduta dell’Impero Romano
e, profondamente provata dalle incursioni dei barbari, trovò un’àncora di
salvezza nella religione cristiana, capace di infondere una nuova speranza, e
contribuì, così, all’ascesa del potere ecclesiastico.
Il riconoscimento della religione di Cristo come
unica e vera doveva proporsi lo scopo di estinguere tutti i culti pagani
presenti soprattutto nelle campagne. Dapprima i missionari
si dimostrarono molto tolleranti per conquistarsi la fiducia del popolino al
fine di evangelizzarlo; per fare un esempio pensiamo alle creature magiche: i
racconti della tradizione celtica sulla presenza delle fate nei pressi delle
sorgenti vennero associati ad apparizioni della Vergine Maria; mentre figure
ibride come i Satiri della tradizione greca diventarono manifestazioni
diaboliche.
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Lo spettro di Samuele: l'interpretazione diabolica del ritorno di questo
defunto di cui parlano le scritture la vediamo, in questa miniatura,
dalla figura alata che volteggia sopra la Pitonessa di Endor.
Bible historiale di Guyart des Moluins (Parigi, primo quarto del
XV secolo).
Fonte: Jean-Claude Shmitt, Spiriti e fantasmi nella società
medievale; Laterza, Bari 1995.
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La questione principale che richiedeva un intervento urgente e tempestivo era
una regolamentazione, che fosse la più chiara ed inequivocabile possibile, di
tutto ciò che aveva a che fare col culto dei morti. Uno dei meccanismi
principali della psicologia del lutto è l’incapacità di accettare che il
defunto possa giacere immobile per l’eternità senza curarsi delle persone che
lo hanno amato e che gli sono sopravvissute. Un cadavere deve provare il
desiderio di ricongiungersi ai vivi a causa di un ambivalente sentimento,
costituito da amore ed odio, al quale la morte non può porre fine. I fondamenti
dell’antropologia cristiana, invece contemplano che l’uomo è composto da un
corpo creato mortale e da un’anima immortale: quando un uomo muore,
quando si spegne il principio vitale che lo “animava”, il suo corpo (involucro carnale e transitorio dell’anima) è inumato e destinato a un rapido
disfacimento.Nei Secoli Bui l’idea del vampiro comincia a prendere forma,
assumendo alcune delle caratteristiche moderne. In questo periodo il Vampiro non
fa più parte della cerchia delle divinità malvagie che, nottetempo, succhiano
il sangue ai viventi ma, diventa il morto che ritorna, costituendo un pericolo
ben più concreto.
I defunti cominciano ad uscire dai sepolcri, a camminare per le strade dei
villaggi dove avevano vissuto, ad ammorbare l’aria e a cagionare terribili
sventure, possono essere fermati dalla Croce, da un palo di
legno conficcato nel corpo, con il rogo della salma e la dispersione delle ceneri.
Le origini di queste testimonianze sono da ricercarsi, prevalentemente, nella
confusione che i missionari cattolici avevano creato, nelle menti delle diverse
popolazioni europee, per quanto riguardava gli usi e i costumi funebri. La
Chiesa, dapprima aveva assimilato le tradizioni “barbare”per avvicinarsi ai
popoli riluttanti alla conversione, poi appose qualche “modifica” che le
avvicinasse ai propri dogmi: ci si trovava spesso di fronte ad un cadavere che
non aveva espletato completamente tutti i rituali connessi al decesso
caratteristici della sua religione d’origine ma, nemmeno, era stato sepolto in
maniera perfettamente cristiana, quindi non poteva far accedere la sua anima in
paradiso lasciando il corpo a decomporsi. Nella vasta area geografica in cui, prima della conversione al cattolicesimo, la
componente sciamanica dei culti era predominante, le varie fasi della vita si
susseguivano senza soluzioni di continuità, scandite da precisi riti di
passaggio. Se, dopo il decesso, il defunto non riusciva ad integrarsi nel regno
dei morti cercava di tornare indietro per infierire sui vivi. L’intervento
della Chiesa, volto a sfatare questo tipo di superstizioni, ottenne il risultato
opposto di consolidarle. Proprio la Bibbia, narrando della Resurrezione di
Cristo e della sua promessa di vita eterna, forniva una testimonianza autorevole
del fatto che dalla morte si potesse ritornare. Nelle Scritture, inoltre,
compaiono fin troppi riferimenti al sangue per non considerarlo come
“alimento” privilegiato per il sostentamento di chi ritorna dall’aldilà.
La dottrina stessa sfruttò il vampiro per insegnare che l’obiettivo di Satana
era di bere il sangue dei peccatori assicurandosi la loro anima, mentre coloro
che vivevano in rettitudine, assumendo il vino transustanziato, partecipavano
della santità di Cristo.
Nelle regioni del Nord dell’Europa, dopo la conversione alla religione
cattolica, cominciarono a raccontarsi, nei toni della saga epica, episodi di
cadaveri irrequieti: Saxo Grammaticus, nella Historia Danica, descrive come un
morto rifiuti davvero in malo modo l’offerta del suo amico di giacere qualche
giorno con lui nella tomba:
Morto Aswid prematuramente, il suo amico
Asmund, che gli ha promesso di non lasciarlo, munito di provviste si fa calare
nel sepolcro del morto. Qualche tempo dopo lo si trova sfigurato e coperto di
sangue, ma vivo. Racconta che Aswid tutte le notti ritornava in vita . Dopo aver
divorato prima il cavallo e poi il cane che erano stati calati nel sepolcro con
lui, si era gettato sull’amico e gli aveva strappato un orecchio. Asmund
dovette decidersi a tagliargli la testa e a piantargli un piolo nel corpo per
immobilizzarlo.
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La "Eybyggiasaga" Islandese parla
di pestilenze intorno al luogo di sepoltura di un certo Thorolf:
a Hvamm in Islanda muore un certo
Ehorolfr o Thorolf Boegifotr. Sepolto in una collina, la rende un luogo
pericoloso, e molti animali e uccelli che vi si avvicinano muoiono.
Thorolf visita anche la moglie e alcuni uomini del paese, e li fa
morire. Il figlio Arnkell decide di andare a guardare il cadavere del
padre, e lo trova non decomposto ma “gonfio come un bue”e mostruoso.
Anche in questo caso soltanto dopo aver bruciato il corpo e disperso le
ceneri in mare i fenomeni cessano.
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I morti, o dragur, che ritornano
dell’Europa del Nord non hanno nulla in comune con quelli descritti
nell’antica Roma (che in precisi periodi dell’anno celebrava, placandoli, i
propri morti), sono dotati di corpo e possono nuocere, senza ricorrere a
maledizioni e magie, chiunque li incontri.
La
Masnada Hellequin
La morte, nel medioevo, faceva parte del
quotidiano, era antropomorfizzata nei dipinti e nelle narrazioni orali, ma la
soppressione dei rituali pagani che consentissero un trapasso definitivo, e la
negazione dell’esistenza dei paradisi precristiani (per esempio il Walhalla)
in nome delle verità della nuova religione, causò in Francia, nell’Italia
settentrionale e nella Germania il riversarsi di un gran numero di cadaveri
proprio sulle strade. Intorno l’anno mille vediamo comparire gli Exercitus
Mortuorum, guidati dal gigante a cavallo Hellequin (probabilmente assimilabile
all’Odino dei Celti): si trattava di cortei di morti che attraversavano le
contrade senza aver cura di risparmiare ciò che si trovava sul loro cammino. Il
prete normanno Gualchelmo, riferì di essere stato salvato dalla furia dei
cavalieri infernali proprio da uno di questi, nel quale riconobbe suo fratello:
Nella notte del primo gennaio 1091 il
cappellano (Gualchelmo) ritornava da una visita a un malato della sua
parrocchia quando, solo e lontano da qualunque abitazione, sentì il
fracasso di un «esercito immenso», che prese per quello di Roberto di
Bellême, in marcia per assediare Courcy. La notte era chiara, il prete
era giovane, coraggioso e robusto: si pose al riparo di quattro nespoli,
pronto a difendersi se fosse stato necessario. In quel momento gli
apparve un gigante, armato di randello, che gli ordinò di rimanere sul
posto per assistere alla sfilata dell’exercitus, a ondate successive.
Il primo gruppo era il più composito. Era un’«immensa truppa di
fanti», con bestie da soma cariche di vesti e di utensili diversi, come
briganti che camminano oppressi sotto il peso del bottino. Affrettavano
il passo gemendo e fra loro il prete riconobbe dei vicini recentemente
deceduti. Seguiva una schiera di sterratori (turma vespillionum), alla
quale si unì il gigante; essi portavano a due a due una cinquantina di
barelle cariche di nani, che avevano la testa smisuratamente grossa o a
forma di vaso(dolium). Due etiopi -demoni neri – portavano un tronco
d’albero sul quale era legato e torturato uno sventurato che urlava
per il dolore; un demone terrificante, seduto sul tronco, lo feriva ai
reni e alla schiena colpendolo con i suoi speroni incandescenti. (…).
Seguiva un gran numero di donne a cavallo, sedute all’amazzone su
selle dotate di chiodi ardenti; incessantemente il vento le sollevava
all’altezza di un cubito per lasciarle poi ricadere dolorosamente
sulle loro selle; i seni erano trapassati da chiodi arroventati che le
facevano urlare e confessare i loro peccati. (…).
Il prete, terrorizzato, vide in seguito un «esercito di preti e di
monaci», guidati da vescovi e abati, che portavano ognuno la propria
croce. I secolari erano vestiti con una cappa nera, i regolari con una
cocolla nera. Essi si lamentavano e supplicavano Gualchelmo, che
chiamavano per nome, di pregare per loro.(…).
Ancor più spaventoso era il gruppo successivo: era l’«esercito dei
cavalieri» (exercitus militum). Tutto nero e che vomitava fuoco. Su
immensi cavalli essi si affrettavano, muniti di ogni sorta di armi e di
bandiere nere, come se andassero alla guerra. (…).
Passate ormai parecchie migliaia di cavalieri, Gualchelmo si rese conto
che si trattava senza alcun dubbio della Masnada di hellequin (familia
Herlechini): aveva già sentito dire che molte persone l’avevano
vista, ma non aveva mai creduto ai suoi informatori, anzi si era burlato
di loro. Temeva quindi di non essere creduto a sua volta, se non avesse
portato una prova sicura della sua visione. Per questo motivo decise di
catturare uno dei cavalli neri che passavano privi di cavaliere. Il
primo gli sfuggì. Sbarrò allora la strada al secondo, che si fermò
come per lasciarlo montare ed emise dalle froge una nuvola di fuoco
della grandezza di una quercia. Il prete passò il piede nella staffa e
afferrò le redini, ma sentì improvvisamente un intenso bruciore al
piede e un freddo indicibile alla mano. Dovette lasciar andare
l’animale, quando improvvisamente comparvero quattro cavalieri, i
quali lo accusarono di aver cercato di rubare la loro proprietà e gli
ordinarono di seguirli. (…)
Il morto enumerò dunque i «segni» che finirono col convincere il
prete, il quale ascoltò il messaggio che doveva trasmettere. Ma
Gualchelmo tornò in sé: non voleva fare da messaggero per un
criminale. Preso da furore l’altro lo afferrò alla gola con una mano
ardente che vi avrebbe lasciato un marchio indelebile, il signum
dell’autenticità dell’apparizione. Lasciò la presa quando il prete
invocò la Madre di Dio, anche perché un nuovo cavaliere si era
interposto, levando la sua spada e accusando gli altri quattro di voler
uccidere suo fratello.
Il nuovo arrivato rivelò la propria identità: si trattava del fratello
di Gualchelmo, Roberto, figlio di Rodolfo il Biondo
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A sinistra: Hellequin a cavallo e le bare. (Parigi,
B.N.)
A destra: Hellequin e il carro dei morti (Parigi,
B.N.)
Fonte: Jean Claude Shmitt, Spiriti e Fantasmi nella società medievale;
Laterza, Bari 1995.
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A questo punto i ministri della Chiesa, a fronte di tali testimonianze,
provenienti da personaggi degni di fiducia, cominciarono a chiedersi come mai
questi trapassati non se ne stessero tranquilli sottoterra e, dopo aver studiato
quanto scritto in proposito dai filosofi cristiani, giunsero alla conclusione
che il responsabile era il Diavolo.
La fonte più autorevole in materia furono gli scritti di Sant’Agostino (De
cura pro mortis Gerenda e De Civitate Dei), nei quali egli asseriva che i
morti, se appaiono ai vivi è solo per opera di Dio e non appaiono col loro
corpo ma con lo spirito, esclusivamente per chiedere d’essere sepolti o per
ricevere preghiere. Qualora un morto si presenti ad un congiunto con il proprio
corpo, è da ricercarsi, in questa manifestazione, l’intervento del Diavolo,
ma anche il Diavolo non può nulla senza il benestare del Signore. Di
conseguenza le apparizioni dei fantasmi erano “legittime”, mentre quelle dei
defunti “in corpore” erano frutto del malvagio operato di Satana.
Prima dell’anno 1000 le anime dei defunti se erano meritevoli ascendevano in
paradiso (raffigurato come un giardino fiorito in cui essi beatamente oziavano)
oppure, coloro che in vita furono malvagi, bruciavano all’inferno: non c’era
una soluzione intermedia per chi, pur non avendo grossi meriti, non era poi
completamente malvagio. Tuttavia, se le anime avevano bisogno delle
intercessioni dei vivi doveva pur esistere un luogo di confine nel quale le
anime dei morti potessero riscattarsi con le preghiere dei vivi; questo spazio
era strettamente collegato alle antiche credenze pagane e suffragato dalle
visioni monastiche medievali; solitamente queste anime sfortunate soggiornavano
nei pressi del luogo dove avevano trovato la morte al fine di apparire con più
facilità ai vivi. Presto i teologi elaborarono il concetto di purgatorio,
conseguentemente ad un diverso approccio nella considerazione dell’uomo che
non era più o buono o cattivo ma costituito da un insieme di elementi sia
positivi che negativi che andavano soppesati.
Tra il 1024 e il 1033 il monastero di Cluny istituì la festa dei morti che si
sarebbe svolta ogni anno il 2 novembre, dopo il giorno dei Santi. In questa
giornata si recitavano le preghiere per le anime del purgatorio al fine di
accorciare la loro permanenza in quel luogo di transizione dal quale potevano,
col permesso di Dio, affacciarsi al mondo dei vivi per esortarli a compiere
qualche azione che desse loro sollievo nell’attesa di congiungersi a Dio. La
pratica di celebrare messe, le indulgenze e le preghiere per i morti divenne una
costante che durò almeno fino all’età dell’illuminismo.
La leggenda che sta all’origine della festa vuole che: Un eremita siciliano
sentì i diavoli, che si davano da fare nelle fiamme dell’Etna, deplorare che
le preghiere, le elemosine e le messe dei monaci cluniacensi strappassero troppo
rapidamente alle loro torture le anime dannate: Informato di questa visione,
l’Abate Odilone istituì la Festa dei Morti. Presto un’apparizione del
defunto Papa Benedetto, liberato dalle pene dell’aldilà dai suffragi dei
cluniacensi, confermò la fondatezza di questa iniziativa.
Dell’esercito dei morti, le cui testimonianze più antiche risalgono ai
tempi in cui il Cristianesimo, ormai largamente diffuso nell’Europa,
cominciava a corrompersi a causa degli errori introdotti dalla Chiesa Romana, si
ebbero notizie fino alla fine del secolo XVI. Sebbene le apparizioni fossero
diventate più rare a Francoforte s’instaurò la consuetudine di pagare alcuni
giovani che, una volta all’anno, conducessero di notte davanti alle porte
delle case, un carro coperto di foglie cantando canzoni. In questo modo si
celebrava la memoria dell’esercito dei morti. Il destino del terribile
cavaliere Hellequin, dopo essere stato demonizzato, fu di ricomparire, in veste
di maschera, nel teatro borghese assumendo il nome di Arlecchino.
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