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 Il cinema del superuomo in nero
 Intervista a Franco Pezzini e Angelica Tintori
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Pezzini & Tintori
Il Catafalco è lieto di ospitare un’intervista esclusiva a Franco Pezzini e Angelica Tintori, autori del recente saggio The Dark Screen (vedi recensione), edito dalla Gargoyle Books. L’intervista è stata curata dal dottor Davide Gaudesi, redattore web free-lance, nonché esperto di Horror e Fantastico.

D. G.: Dagli albori della letteratura un libro a due mani ha sempre presentato difficoltà e contraddizioni. Il vostro prodotto ha sicuramente avuto difficoltà, ma non mostra contraddizioni.
La critica della rete sembra sostenere la mia tesi. Ci avete ingannati tutti o, meglio, ci avete dominati come Dracula ha più volte dimostrato di saper fare? Forse la stesura del libro ha avuto contributi non equi? Volete spiegarci voi questo arcano?


F. P.: Siamo certamente lusingati da questa valutazione: in realtà un confronto vivace c’è stato, sia sul piano contenutistico che della forma, e siamo contenti che il risultato appartenga davvero a entrambi. Per quanto attiene ai contenuti, il testo è frutto anzitutto di competenze diverse: di storia e critica cinematografica e televisiva per Angelica, di mitologia e critica letteraria per me. Angelica conosce molto bene il mondo della SF, io bazzico da una vita nell’horror. Angelica risultava (posso dirlo?) più severa nei giudizi, io mi sdilinquivo sugli horror popolari… Il testo vede insomma una conciliazione di due punti di vista non sostanzialmente diversi, ma in dialogo. E anche per quanto attiene alla forma, entrambi abbiamo dovuto portare variazioni significative al nostro usuale modo di scrivere. Il che forse può essere notato da chi abbia letto i lavori precedenti di entrambi. Ovviamente all’inizio occorre un po’ calibrare, con umiltà, il proprio tipo di contributo, ma il risultato – mi pare – può presentare una marcia in più, una maggiore ricchezza. Sempre che chi scrive con noi abbia il giusto spirito – come in questo felicissimo caso, per cui va ringraziato Paolo De Crescenzo della Gargoyle che ci ha proposto il tandem.

A. T.: Quella “severa” non vorrebbe sembrare (troppo…) snob: abbiamo cercato di mettere in campo le nostre competenze e di dare loro un equilibrio. In sostanza, se Franco faceva… il “poliziotto buono”, a me toccava inevitabilmente il ruolo di quello “cattivo”! E’ chiaro che una simile distribuzione delle parti è stata anche determinata dal fatto che lui è un grandissimo appassionato di horror sin dall’adolescenza, ancor prima che uno studioso di straordinaria qualità della materia; mentre io ho cominciato a bazzicare in queste lande in tempi più recenti e da amici come Franco e Paolo De Crescenzo ho soltanto da imparare. Lo faccio a tratti con fatica, eppure con assoluta convinzione. Io sono appassionata di cinema (e televisione) sin da ragazzina: negli anni più recenti ho dedicato attenzione ai cosiddetti studi culturali e in particolare al rapporto fra la narrativa per immagini (film e serie televisive, diciamo) e il suo contesto socio-culturale e politico. Il mio contributo più specifico, quindi, va in direzione dell’inquadramento storico e critico e della contestualizzazione in un luogo e in un momento. Sono molto contenta che le quattro mani sembrino essere attaccate a un unico… cervellone: è un gran risultato.


D. G.: Sono passati circa 4 mesi dalla pubblicazione del tomo. Le critiche positive si affastellano su internet che quasi potreste annoiarvi per la mancanza di contraddittorio. Il lavoro di pre produzione dell’opera è stato titanico, come diceste alla presentazione del libro. Senza ipocrisie, quanto successo vi aspettavate? Quando sta per uscire un colossal (me la passate questa definizione?) le aspettative positive sono tante, quante aspettative avevate e quante ancora sono state disattese?

A. T.: Non credo ci aspettassimo nulla di particolarmente preciso. Abbiamo lavorato come matti: Franco, soprattutto, deve coniugare una duplice attività che comporta un orario di ufficio… Inoltre, non avevamo tantissimo tempo, data anche la mole di materiale da prendere in considerazione. Insomma, eravamo concentrati su altro che le aspettative. Credo avessimo (e abbiamo) fiducia in Paolo De Crescenzo, il nostro signore e padr…, editore, anzi, Editore: se lui proponeva un simile tema, se lui riteneva che noi potessimo lavorare bene insieme e fornire un prodotto di qualità, ma anche differente da quanto visto finora, beh… chi diavolo siamo Franco e io per contraddirlo?! Scherzi a parte, è ovvio che speravamo in un apprezzamento di un lavoro che ci pareva ben fatto, ma siamo un po’ sorpresi – felicemente s’intende – dalla quantità e dalla qualità delle reazioni su internet, sul cartaceo e così via. Frutto anche dell’ottimo lavoro del nostro Ufficio stampa e di Costanza Ciminelli, alla quale non smetteremo mai di manifestare gratitudine. Siamo anche consapevoli che è un buon momento per i vampiri e che noi ci siamo capitati in mezzo: un pizzico di fortuna non guasta…

F. P.: Siamo ovviamente felici del risultato. E, senza ipocrisie, speravamo davvero che un volume del genere sarebbe stato apprezzato. Come l’Editore sottolineava nel proporci questo titolo, non esisteva un testo monografico a tutto campo sul cinema di Dracula – qualcosa che esplorasse i capisaldi ma anche i bassifondi, le divagazioni e i confini ultimi del tema. Lui stesso si è forse un po’ spaventato quando ha visto il testo lievitare come un panettone: ma ne è stato soprattutto contento, visto che in fondo ha rappresentato una sorta di terzo autore, con consigli e suggerimenti preziosi.
E siamo grati ai critici, che hanno mostrato di stare al gioco e seguirci in questo itinerario di rifrazioni (lo schermo/specchio, ancora) tra il romanzo e le versioni filmiche. È ovvio che in monografie ampie sul cinema dell’orrore non si entri nel merito di questi confronti: ma a noi un simile gioco di variazioni interessava molto – ci interessa molto, come formula di lavoro. Su un campo più ristretto, in precedenti volumi io avevo già battuto una simile pista sulla figura di Carmilla, dal romanzo di Joseph Sheridan Le Fanu. Per un mitologo è estremamente affascinante e rivelativo seguire lo sviluppo delle variazioni su una saga o un personaggio: basti pensare a quanto possa emergerne sull’immaginario, le inquietudini e i desideri delle singole società in cui nascono i film.
Talvolta, in termini di critica legittima e anzi amichevole, qualcuno ci ha fatto osservare che nel volume manca il richiamo a questa o quella pellicola su creature vampiresche. È vero, ed è sempre doloroso stabilire delle esclusioni. D’altra parte The Dark Screen costituisce una monografia su un personaggio particolare, appunto Dracula, che certo condensa in modo emblematico una serie di aspetti del vampirismo, ma per altri versi ne rappresenta una declinazione peculiare, autonoma. Per affrontare altri settori del vampire cinema occorrerebbe uno sviluppo ulteriore: lasciamo dunque spazio, in qualche possibile futuro, per The Dark Screen 2


D. G.: Avete chiaramente trasmesso la potenza del messaggio vampirico, un’immagine carica di allegoriche derivazioni. La potenza e il fascino di tale figura è una dei pochi luoghi comuni condivisi dalla maggior parte delle persone. Il termine vampiro e i suoi derivati sono talmente abusati da non riuscire a discriminarne l’uso corretto. Il vostro sforzo sembra volto a correggere un po’ il tiro, la lettura del vostro libro fa capire quanto vi era di superfluo nell’iconografia vampirica e quanto non era ancora stato chiarito: il vostro è stato un tentativo di dominare questo empatico concetto, un tentativo di dire quello che avete sempre avuto dentro (in parte Franco lo ha già chiarito in altre occasioni mezzo stampa e non) o cos’altro?

F. P.: Mah… sicuramente questo è un libro che avrei desiderato da pazzi scrivere fin dai banchi di scuola, ma che non avrei osato affrontare – non ora, almeno – se Paolo De Crescenzo non ne avesse offerto l’opportunità. E a quel punto si sono aperte le cateratte… Del resto la maschera del vampiro porta con sé una costellazione infinita di richiami e provocazioni, sia dal versante sociale che da quello interiore. Di qui la necessità di individuare delle coordinate, e insieme evidenziare le ambiguità di cui il soggetto è circonfuso – a felice immagine di quell’ambiguità che in fondo rappresenta una caratteristica connotante del fantastico laico, moderno.
Ed è naturale che una simile avventura – un anno furioso d’immersione nel tema, scrittura e visioni continue di film, centinaia di titoli in esame – abbia condotto a un precipitato di idee maturate da entrambi in ricerche precedenti, a riguardo non solo del vampiro o dell’horror ma del più ampio super genere fantastico. Che è certo uno spazio di libertà – con una dimensione di divertimento che sarebbe ipocrita negare – ma insieme un prezioso strumento-laboratorio, una formidabile macchina per pensare. Un modo per “osservare alla giusta distanza” (come ben si è espressa in un intervento l’amica scrittrice Silvia Treves) il mondo nel quale viviamo e ripensarne la prospettiva. Per far magari emergere – ecco lo specifico di Dracula – i meccanismi divoranti e appunto vampirici della società e di noi stessi, le fragilità delle cacce al vampiro con cui presumiamo di difenderci, e la cifra dell’ambiguità di cui parlavo, con la quale l’uomo contemporaneo deve fare i conti tutti i giorni. Una macchina per pensare, insomma, di cui oggi scopriamo di avere un gran bisogno.

A. T.: Da tempo sono convinta che la cosiddetta cultura popolare sia, appunto, una cultura. Ciò significa, fra l’altro, che possiede uno spessore, tuttavia disconosciuto di frequente. Faccio un esempio banale. Nel novero delle mie (cosiddette…) competenze rientra quella di americanista: leggo, studio, viaggio, ho amici e persino parenti, insomma, conosco discretamente gli USA e una buona parte di tale conoscenza ha a che vedere con una letteratura spesso non considerata tale.
Molti romanzi di John Grisham, tanto per dirne uno, offrono un quadro assai vivido, chiaro e preciso del razzismo più o meno strisciante nel paese che pure ha eletto Obama presidente. In una precedente risposta Franco parlava di umiltà: sforzarsi di averne un po’ allo scopo di non considerare a priori niente o quasi scarsamente degno di nota. E’ una lezione che spero di aver imparato nel tempo, ma che va continuamente rinfrescata. Ne devo essere grata, fra gli altri, a Franco La Polla: un “mito” quando ho cominciato a studiare cinema e America, poi mio professore e, infine, amico in questi ultimi dieci anni. Colgo l’occasione per ricordarlo a poche settimane dalla sua improvvisa e prematura scomparsa.
Dracula rappresenta un tesoro: il fatto che tanto sia stato prodotto su di lui, in tempi e luoghi diversissimi, basta a dare un’idea di quante pulsioni e repulsioni umane egli racchiuda in sé. Non è semplicemente una sorta di supereroe orrorifico, è davvero uno di noi.


D. G.: The Dark Screen vi onorifica del titolo di esperti della materia. Sicuramente tali conoscenze non possono che essere pregresse alla stesura del libro. Quanto avete vissuto di rendita e quanto duro lavoro avete investito per formare il background che vi ha portato alla stesura dell’opera?

A. T.: Come accennato prima, non sono né mi considero un’esperta di horror, quindi ho vissuto di rendita poco o nulla. Avendo a fianco un… “mostro” di conoscenza e memoria come il mio co-autore, ero tranquilla e mi sono ovviamente fatta consigliare negli studi… Ho vissuto di rendita, se così si può dire, nel momento in cui con Paolo De Crescenzo e con Franco abbiamo condiviso la necessità di un certo tipo d’impostazione del volume, dall’ironia nei titoli dei singoli capitoli alla scorrevolezza quasi narrativa che abbiamo cercato d’imprimere alle nostre pagine, in cui io credo molto e di cui mi dichiaro parzialmente responsabile. E poi ho naturalmente vissuto di rendita quando ho potuto occuparmi di argomenti che amo: oltretutto, Franco me lo ha generosamente lasciato fare. Penso, in particolare, a Nosferatu, all’Espressionismo e alla Germania degli anni Venti, piuttosto che a Coppola.

F. P.: Beh, io appunto ho vissuto di rendita nel senso, accennato, che mi occupo di horror e in particolare di vampiri da anni: conoscevo già bene il romanzo, avevo visto una o più volte molte delle trasposizioni di cui avremmo parlato, eccetera. Ma il cammino è stato (felicemente) durissimo: visto che lavoravamo sui dettagli, ho riguardato uno a uno tutti i film che siamo riusciti a procurarci, prendendo appunti frenetici. Angelica faceva altrettanto a casa sua, poi scrivevamo i pezzi e ce li trasmettevamo in formato revisione, permettendo così reciproci inserimenti di materiale e correzioni di tiro. Il tutto – nel mio caso – la sera e nei weekend, perché di giorno lavoro come redattore in una casa editrice che si occupa di diritto. Un motivo in più per ringraziare mia moglie che ha subito indirettamente la mia clausura…


D. G.: “Un superuomo in nero che rivisita lo stereotipo del cattivo gotico con poteri da X-men” nel caso non l’abbiate riconosciuta è una vostra citazione da pag. 116 di The Dark Screen.
Quest’affermazione dà spunto per tre domande: chi l’ha scritta di voi due? Quanto la componente horror-fantasy del vostro carattere vi ha aiutato/ostacolato nel vostro lavoro? Siete in grado di prevedere quanto tale descrizione del vampiro verrà cucita addosso o strappata dai vampiri futuri?


F. P.: Direi che la citazione è mia, forse ritoccata da Angelica: ma non è così importante, visto che sul punto concordiamo. È ovviamente difficile dire quale sarà il futuro del vampiro. Questa figura ha conosciuto una trasformazione molto forte nel tempo: dagli impresentabili vampiri-orchi del folklore si è passati a modelli letterari e cinematografici sempre più seducenti e infine più buoni. I loro limiti di azione sono stati progressivamente relativizzati, e i poteri accresciuti.
È però rimasta – o addirittura si è enfatizzata – la dimensione equivoca, lo statuto indecidibile della creatura insieme viva e morta, che è anche umana e ferina, concreta e spettrale… e, in ultimo, seducente e minacciosa. Visto che da questa tensione l’Occidente resta molto affascinato, è probabile che i vampiri continueranno a frequentarla: e poco importa che indossino mantelli neri o tute fetish.
D’altra parte, per immaginare futuri sviluppi, possiamo basarci su quanto è già avvenuto. E per esempio sugli stretti rapporti che questo signore dei media ha intrattenuto con il mezzo cinematografico e le sue suggestioni – a partire idealmente dal Nosferatu di Murnau che, primo tra i non-morti, finisce a bruciare come una pellicola esposta alla luce. È dunque probabile che i vampiri futuri avranno a che fare con le nuove tecnologie, internet e la realtà virtuale. E ancora, verrà probabilmente enfatizzato l’elemento di confronto multiculturale, già presente in radice nelle grandi codificazioni gotiche – il tiranno del predatorio Oriente che dissangua Lucy Westenra, “luce dell’Occidente” – a specchio oscuro di diffuse inquietudini sociali. Lo straniero/vampiro di certe becere speculazioni razziste…
Certo è ormai un dato acquisito dell’immaginario che i vampiri si spariglino, esattamente come i mortali, tra i campi dei buoni e dei cattivi. Ma, quali che siano le novità in arrivo, possiamo stare abbastanza tranquilli sulla parallela sopravvivenza di sviluppi “tradizionali”, cioè dell’elaborazione romantica ottocentesca a base di bare e morsi sul collo. Si tratta di forme troppo amate perché possano sparire, al di là di temporanee eclissi.
Sulla componente horror-fantasy del nostro carattere… bella domanda. Forse, per quanto mi riguarda, una dimensione un po’ vittoriana c’è. Immagino abbia giocato a favore.

A. T.: La citazione è di Franco, confermo. Se poi ne abbiamo parlato o, più probabilmente, riso insieme: assolutamente sì!! Sul futuro del vampiro non posso che associarmi e vigorosamente alle parole del mio co-autore. Sulla componente horror-fantasy e, almeno per quanto mi riguarda, sci-fi del mio carattere, sono sicurissima abbia giocato un ruolo determinante. Sin da piccola – lo sostiene mia madre ed è una delle poche cose che ricordo – ho fantasticato molto e adoravo che mio padre mi raccontasse le storie. Sugli aspetti orrorifici della sottoscritta preferirei non soffermarmi ovviamente per oscure ragioni… Mentre di fantascientifico citerei la curiosità per il mondo, la sua storia e il suo presente, necessarie premesse del suo futuro, che è anche il nostro…


D. G.: Più di 600 pagine... ne avevate di cose interessanti da scrivere. Un libro voluminoso non per tutti i palati, come ribadito nella recensione e confutato da altre apparse in rete. Si potrebbe definire esaustivo, sempre che sia possibile descrivere completamente l’universo Dracula.
Ritenete di aver parlato di tutto quello che vi stava a cuore? Se no, cosa avete tralasciato e perché?


A. T.: Su Dracula si è sognato troppo, anche proprio a livello filmografico, perché una ricerca come la nostra possa esaurirne il repertorio. Motivi di tempo e anche di spazio dell’opera hanno imposto limiti: stringendo l’impaginazione si sono contenute le ottocento pagine originarie in un centinaio di meno, ma non poteva diventare la Treccani del Conte. Certo è possibile pensare ad aggiornamenti in futuro, il che permetterebbe di apportare anche qualche miglioria. Ma sostanzialmente c’è quello che contavamo di dire.

F. P.: Concordo. E del resto il tentativo era di fornire una griglia interpretativa applicabile in qualche modo anche a nuove uscite draculesche su schermo, o a singole pellicole del passato sfuggite all’indagine. Starà ai Lettori dire se ci siamo riusciti.


D. G.: L’entusiasmo della stampa e dei media per il vostro prodotto vi ha portato a confrontarvi con molti giornalisti. C’è una domanda non formulata a cui avreste voluto rispondere? Se sì, potreste svelarcela?

F. P.: Una domanda… onestamente non saprei. C’è però forse un tipo di richiesta che mi piacerebbe sentire, nei confronti nostri o comunque di ricercatori come noi. Sarebbe importante che un certo approccio critico al fantastico trovasse più spazio nelle agenzie di formazione, nelle scuole, coinvolgendo chi già se ne occupa: rappresenterebbe uno strumento in più, prezioso anche perché i ragazzi sono grandi fruitori di questi miti. Certo una sensibilità c’è già, da parte di molti insegnanti; e lo studio del “genere” è entrato nei programmi. Permane però talora qualche strana diffidenza. Un’insegnante voleva chiamarmi a parlare di vampiri in una scuola media, ma la preside l’ha bloccata: temeva che apparisse propaganda satanista.

A. T.: D’altra parte, considerando come appare defilata la non corposissima tradizione narrativa italiana in materia di vampiri e di Dracula, non sarebbe male se qualcuno ci chiedesse di scrivere una bella sceneggiatura per un film o per la televisione...


D. G.: Grazie per il vostro lavoro e il vostro tempo. Spero che il pubblico continui a rendere conto a quest’opera che avrà il suo peso nella saggistica futura. Mi congedo augurandovi di avere l’opportunità di quegli approfondimenti e quindi mi prenoto per un’intervista per un The Dark Screen 2... chissà.



* Intervista rilasciata il 14-03-2009.





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