Gianfranco Manfredi, nel 1987, ha pubblicato l’antologia
Ultimi Vampiri nella quale sono raccolte le storie, narrate in
prima persona, di sette vampiri che, in determinati periodi storici,
hanno dovuto confrontarsi con la prepotenza della razza umana. Il
brillante scrittore è riuscito a conferire ad ogni racconto un
proprio carattere, dai toni filosofici allo humor
nero. Questa Antologia è apprezzata dagli studiosi di vampirologia di
tutto il mondo.
Gianfranco Manfredi, che oltre alla narrativa si occupa di teatro,
cinema, musica e fumetti, dieci anni dopo l'uscita di Ultimi
Vampiri, si è occupato della sceneggiatura di una delle avventure
di Dylan Dog in cui compare un Nachzehrer e, leggendola viene
immediatamente da pensare che l'autore abbia, forse, scovato l'ottavo degli
Ultimi Vampiri...
Il Catafalco non poteva evitare di fargli qualche domanda...
IL CATAFALCO: Qual è stato il suo primo incontro con la figura
del vampiro?
Gianfranco Manfredi: La domanda mi prende in
contropiede. Per quanto frughi nella memoria non mi ricordo. Suppongo
però sia stato con la triade di Poe: Ligeia, Morella, Berenice.
Dracula l'ho conosciuto prima dai film che dal romanzo, che ho
letto ovviamente, ma che trovo un po' ampolloso. Il Vampiro di
Polidori è decisamente più affascinante. Tra i vampiri del cinema,
Lee era decisamente carismatico, ma Bela Lugosi conserva ancor oggi un
che di viscido e vagamente ripugnante che rende a perfezione un
aspetto fondamentale del vampiro , nel quale il fascino si accoppia
sempre al suo contrario: la repellenza. Il vampiro è tutto un
ossimoro (morto/vivo, genitore infecondo, essere carnale, ma di luce,
che però la luce stessa può dissolvere, immortale che muore di
continuo, e si potrebbe continuare quasi all'infinito).
IL CATAFALCO: Le avventure degli "Ultimi Vampiri" sono
narrate in prima persona. Può spiegarci le ragioni che l'hanno spinta
ad immedesimarsi nel ruolo del vampiro o della vittima nei suoi
racconti?
Gianfranco Manfredi: Il vampiro ( e anche questo è un
ossimoro) è egli stesso una vittima, anzi la più estrema delle
vittime: viene ucciso anche da morto.
Studiando la figura del vampiro ho trovato che taluni suoi aspetti (
per esempio il fastidio per gli specchi, il crocefisso, l'acqua santa)
erano in comune con i movimenti ereticali del cinquecento, in specie
gli anabattisti iconoclasti, che distruggevano le immagini sacre,
spaccavano gli specchi perché stimolavano la vanità, e non
consideravano santa, anzi sacrilega, l'acqua santa. Anche l'aglio (che
nella medicina naturale veniva usato come rimedio anche preventivo per
molte malattie e infezioni) nel mito del vampiro, lo rappresenta come
malato cronico che non vuole, né può essere curato. E cos'è il
malato se non una figura di marginale sociale (non può lavorare e
deve vivere a spese degli altri)? Altra caratteristica del vampiro
storico: al di là del mito del vampiro nobile e aristocratico (
diffusa da Dracula) i casi documentati di vampirismo nei rapporti di
Dom Calmet e altri inquisitori ci parlano di vampiri contadini (
probabilmente malati o vittime di sindromi catatoniche ) e in
specie donne incinte e vecchi che vengono rinvenuti nelle loro tombe
in un lago di sangue. Nella leggenda russa dei vurdalack il vampiro
non si presenta a mezzanotte, ma a mezzogiorno e chiede alla sua
famiglia di essere sfamato: viene tacitato con del pane intriso di
sangue. Questo rivela chiaramente come il vampiro storico fosse
generalmente un sepolto vivo che tornava a chiedere vendetta e
risarcimento a chi lo aveva sepolto prematuramente e in particolare
alla famiglia che lo aveva escluso nel modo più radicale possibile:
seppellendolo prima ancora che morisse. Il vampiro ci parla insomma di
una società povera e violenta che la fame, la peste, gli stenti di
ogni tipo, conduceva allo sbarazzarsi frettoloso delle "bocche in
più" e di quei deboli che non potevano collaborare al sostegno
della comunità, anzi rappresentavano un peso. Il vampiro è anche un
deviante e un irregolare: si sveglia di notte quando gli altri vanno a
dormire, partecipa della realtà del "sogno", i suoi
comportamenti sono oltraggiosi e profani, assume vari aspetti e forme,
insomma riassume in sé lo stereotipo dell'attore che per molti secoli
è stato visto come trasgressore della morale e del costume correnti.
Infine, la paranoia del vampiro e la caccia al "mostro",
parallela alla caccia alle streghe, illustra perfettamente la sua
natura intrinseca di vittima, di escluso e di "diverso".
Essendo io parte di una minoranza culturale ( sono di famiglia
protestante per un lato e anarco-socialista per un altro lato) ed
essendo sempre stato affascinato dal ruolo dell'attore, oltre che
nottambulo per natura, era inevitabile che mi sentissi attratto
da questa figura.
IL CATAFALCO: Lei ha "stanato" i vampiri in diverse
aree geografiche. Quali sono state le ragioni della scelta dei luoghi?
Gianfranco Manfredi: Mi interessava approfondire le
diverse specie di vampiri prima della sintesi operata da Bram Stoker
con il personaggio di Dracula. I diversi vampiri ( d'aria, d'acqua, di
luce) sono figli di differenti culture locali. Mi interessava l'idea
di vedere queste culture in conflitto con la creazione degli stati
nazionali da un lato e con la crescita di un'identità comune europea
dall'altro. Dunque nei miei racconti ho messo a confronto i vampiri
delle leggende popolari con momenti cruciali della storia europea ( la
Riforma protestante, il Siglo de Oro, La Francia del Re Sole e quella
Napoleonica eccetera).
IL CATAFALCO: Stessa domanda si pone anche per la scelta dei
momenti storici, come mai ha deciso quei particolari periodi?
Gianfranco Manfredi: I periodi che ho scelto, non sono
stati frutto di un calcolo a freddo, per quanto siano tutti in qualche
modo cruciali ed esemplari, ma di una sorta di rassegna di culture e
di fasi dello sviluppo. Ogni fase violenta di sviluppo segna
l'emarginazione e la sconfitta di una specie, spesso attraverso veri e
propri genocidi. L'olocausto ha avuto molti precedenti storici. I miei
Vampiri fanno le spese di ogni processo violento di trasformazione. Ma
ovviamente avrei potuto esaminare molti altri periodi: per esempio
l'età di Cromwell, e altri scenari non europei ( per esempio le
crociate o Gengis Khan). In realtà il mio libro, nel progetto
iniziale, doveva essere una sorta di Decamerone Vampirico. I sette
ultimi vampiri si ritrovavano in un Hotel di Copenhagen per discutere
del loro "vissuto" . Ogni giorno ( o notte) di discussione
affrontava un tema, per esempio: " se sia meglio per il vampiro
vivere in solitudine o in comunità", oppure : " se sia
preferibile il suicidio alla sopravvivenza" . In tutto avrebbero
dovuto essere cinquantadue racconti alcuni dei quali avrebbero
affrontato scenari molto lontani storicamente e geograficamente (
l'Egitto dei faraoni, per esempio).
Dopo aver scritto i primi sette racconti, li ho fatti leggere al mio
editore ( Feltrinelli) e mi è stato risposto che il libro andava bene
così, non aveva bisogno di una cornice, e dunque così è uscito. Da
un lato l'editore aveva visto giusto, perché quel libro fu un
successo, dall'altro mi è sempre rimasta la nostalgia per quel
progetto che non ho portato a termine nella sua interezza. D'altro
canto, non so se lo riprenderò mai, perché io tendo a non ritornare
sulle cose già fatte.
IL CATAFALCO: Vediamo che, nella sua antologia, non si fa cenno
al Dracula storico e nemmeno a quello letterario. Come mai ha deciso
di non includere questa figura nella sua antologia, a favore di
vampiri più vicini al folklore?
Gianfranco Manfredi: Mi sembrava che Dracula fosse una
figura troppo scontata per poterci scrivere ancora. Ma in qualche
modo, visto che nel libro c'è Bela Lugosi, c'è anche Dracula.
IL CATAFALCO: IN "Ultimi vampiri" C'è un racconto
molto particolare, ambientato negli Stati Uniti degli anni '60, nel
quale il protagonista ci "consegna" il suo incubo personale.
Può raccontarci quali sono - se ve ne sono - gli antefatti che
l'hanno portata alla stesura di questo racconto?
Gianfranco Manfredi: Avevo scritto l'introduzione a un
libro di Edgar Lander sulla vita di Bela Lugosi, pubblicato da
Tranchida editore e successivamente riedito da Adelphi. In
quell'occasione , per documentarmi meglio, mi ero procurato tutti i
film principali di Lugosi . Quel periodo del cinema hollywoodiano mi
ha sempre interessato, in particolare la figura del regista Tod
Browning, autore oltre che di Dracula, di Freaks e di alcuni film di
un attore per me molto più mitico di Lugosi e cioè Lon Chaney. Su
Lon Chaney avevo visto da ragazzino un film biografico interpretato da
James Cagney, film che mi aveva molto coinvolto emotivamente ( Man of
a Thousand Faces del 1957). A questo sfondo americano ho assimilato
con la fantasia il personaggio di un attore italiano , Emilio Vago,
inventato, ma ricalcato sulla figura dell'attore Emilio Ghione ( il
creatore del personaggio di Za-la-mort). Su questo attore sto
attualmente scrivendo il mio nuovo romanzo. Evidentemente quando certe
figure si infilano chissà come nell'immaginario poi , proprio come i
vampiri, riemergono anche a distanza di anni. In quel racconto, a
ripensarci oggi, si propone la tesi ( attualmente ripresa da film come
The Ring e Ju-On ) secondo la quale ci si libera da un'infestazione
propagandola agli altri ( questo almeno sostiene The Ring, mentre
Ju-On sostiene il contrario e cioè che si può anche trasmetterla e
non liberarsene affatto).
IL CATAFALCO: Qual è il racconto della sua antologia che le sta
più a cuore e perché?
Gianfranco Manfredi: L'ultimo racconto, di cui ho appena
parlato, è stato unanimemente considerato il più rappresentativo. A
me però piace molto anche il primo ( sui vampiri anabattisti) e
quello grottesco di ambientazione scandinava sul Dottor Knapp. So che
di quest'ultimo racconto Lucia Poli avrebbe voluto fare una
trascrizione teatrale facendo diventare il protagonista un vampiro
donna. Suppongo che poi abbia rinviato il progetto perché non ne ho
più saputo nulla, ma mi sarebbe molto piaciuto vederlo messo in
scena. Recitato piuttosto che letto, quel racconto avrebbe sprigionato
tutto l'umorismo nero che contiene. L'umorismo per me è una
componente essenziale dell'orrore.
IL CATAFALCO: Cos'è il Vampiro per Gianfranco Manfredi?
Gianfranco Manfredi: Questo richiederebbe una lunga
spiegazione. Filosoficamente rappresenta la lotta e l'unione degli
opposti che non si sintetizzano mai veramente ( come ha preteso Hegel)
ma si giustappongono mantenendo anzi enfatizzando la contraddizione.
Dal punto di vista della storia del romanzo, il vampiro ( in
particolare Dracula) è una metafora del ruolo dell'attore. Il celebre
attore inglese Henry Irving è stato l'ispiratore della figura di
Dracula molto più di Vlad Tepes. Bram Stoker era il suo agente. Ma
ovviamente il vampiro è anche una figurazione dell'inconscio e come
tale, sfugge a interpretazioni troppo definite.
IL CATAFALCO: Sicuramente questa bellissima antologia nasce da
un intenso lavoro di ricerca storica, antropologica e folkloristica,
quali testi, oltre al trattato di Sinistrari che vediamo alla
conclusione del libro, l'hanno "illuminata" maggiormente?
Gianfranco Manfredi: Il trattato di Dom Calmet,
naturalmente, e poi I Discorsi a Tavola di Lutero e un'infinità di
altri racconti e testimonianze storiche sulle quali ho ricalcato lo
stile dei singoli racconti. Anche fonti insospettabili. Per esempio i
luoghi di Limpieza , cioè il racconto spagnolo, sono le tappe del
viaggio di Don Chisciotte e luoghi fondamentali della vita di
Cervantes.
IL CATAFALCO: come vede le moderne produzioni mass-mediatiche
che si occupano di vampirismo? E quali apprezza di più?
Gianfranco Manfredi: Sono un collezionista di
letteratura e cinema vampirico. Negli ultimi anni c'è stata una
proliferazione impressionante (ora per fortuna si è un po' calmata)
di vampiri aggiornati alla modernità , che so i vampiri
tossicodipendenti di Abel Ferrara. ma ci sono stati anche vampiri
giocatori di biliardo (per dire). Questa ossessione contemporanea di
voler annullare il passato è inquietante. Il fascino del vampiro sta
nel suo essere sempre , anche nel momento storico, una creatura del
passato. Se si annulla il passato si annulla il vampiro. Lo Zombi (
quello partorito da Romero) è figura strettamente contemporanea,
anche in proiezione futura. Il vampiro è il passato rimosso e
cancellato. Se lo si racconta rimuovendo il passato, non si racconta
il vampiro, lo si uccide appena lo si mette in scena.
IL CATAFALCO: "Ultimi Vampiri" è stato scritto nel
1987, in questi anni sono cambiate parecchie cose sia per quanto
riguarda la storia del mondo e, inevitabilmente, si sono avuti
mutamenti nell'immaginario vampirologico (basti pensare alla
produzione cinematografica e letteraria). In questo clima attuale, i
suoi vampiri sono sopravvissuti? E cosa hanno dovuto cambiare del loro
essere per non soccombere, magari, davanti ad uno dei moderni
cacciatori?
Gianfranco Manfredi: Un romanzo esemplare da questo
punto di vista è Sunglasses after dark, nel quale i vampiri si
muovono di giorno con il semplice ausilio di un paio di occhiali da
sole Ray-ban. I vampiri contemporanei sembrano rivelare una voglia di
assimilazione al costume sociale imperante, persino alle mode. I loro
stessi riti sanguinari, che il più delle volte riecheggiano Charlie
Manson e comunque la cultura del demoniaco californiano, sono coerenti
alle attuali subculture di massa. Questi sono a mio avviso dei vampiri
integrati, tristi e succubi di un immaginario mercantile di grande
povertà culturale. La prima cosa che dice Poe di Ligeia è che la sua
cultura era di una vastità insondabile, non solo e non tanto formata
sui libri, ma sull'esperienza di secoli e secoli di vita e su una
memoria di stirpe che l'uomo contemporaneo (in specie quello
occidentale) ha smarrito. Un vampiro che si fa le trasfusioni o va a
rubare le partite di sangue in ospedale o sceglie le sue vittime in
discoteca o ancora si esibisce nei peep-show , non mi attrae più che
tanto: sono scorciatoie piuttosto facili.
IL CATAFALCO: Lei si occupa anche della sceneggiatura di alcuni
importanti fumetti pubblicati in Italia. Può parlarci di questa sua
esperienza in un ambito mass-mediatico che sta tuttora uscendo dai
pregiudizi che lo relegano alla "cultura bassa" perché
indirizzato ad un pubblico mediamente giovane?
Casomai il guaio dei fumetti è che oggi (quasi senza distinzione)
vengono elevati a Letteratura o a Classici. Così non li si eleva
affatto, casomai li si sublima, per giustificarne magari la lettura
presso un pubblico sedicente colto, ma in realtà costituito da
analfabeti di ritorno.
Il fumetto che amo io è quello che sa accompagnarti nel cammino tra
l'infanzia e l'età adulta: una lettura seriale e costante che ti
accompagna per anni e si imprime nel tuo immaginario con discrezione e
senza supponenza. I risultati di questa influenza spesso si vedono
nelle generazioni successive. E' molto significativo quello che scrive
Banana Yoshimoto a proposito dell'influenza di Lady Oscar sulla sua
letteratura. Non si tratta affatto di letteratura "bassa"
contrapposta a una "alta", ma di una diversa funzione , di
un differente tempo di lettura, e anche di una narrazione
strutturalmente diversa dalla letteratura perché si avvale delle
immagini grafiche in un modo sconosciuto agli antichi. Ora: anche il
romanzo moderno è figlio della rivoluzione industriale, ma sul solco
di una storia della letteratura che è molto più ampia degli ultimi
tre secoli. Il fumetto invece è una forma narrativa del tutto
originale di abbinamento sequenziale testo/immagini che non ha
precedenti "primitivi" e questo costituisce la sua
originalità. Allo stesso tempo il fumetto è qualcosa di
intrinsecamente diverso dal cinema, perché si fonda sul movimento
immaginato piuttosto che su
quello simulato o ricreato, e sull'assenza di suono, e dunque comporta
una partecipazione creativa del lettore più affine a quella della
letteratura e fusa con la contemplazione dell'immagine caratteristica
dell'arte figurativa. E' dunque un insieme di significazioni
complesse, al di là della sua apparenza "facile".
* Intervista rilasciata il
27-11-2003.
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