Storia di Campagnano Cittadina medioevale e rinascimentale della Provincia di Roma, immersa nel Parco Regionale di Veio, Campagnano di Roma ha origini antichissime: situata su uno sperone di tufo circondato da fossi naturali, gli Etruschi, poi i Romani, scelsero questo luogo verdeggiante e fertile per insediarsi, e numerose testimonianze archeologiche attestano la loro presenza. Molto probabilmente Campagnano trae il suo nome da uno degli antichi fondi che componevano la domusculta Capracorum: il fundus Campanianus appartenente alla gens Campania repertoriata nell’elenco delle iscrizioni latine di Gustav Wilmanns. L’origine del nome sarebbe quindi la famiglia Campania e più specificatamente Benedictus detto Campaninus vissuto nella prima metà del X secolo, capostipite dei potenti comites Campaniae, rettore della Sabina, consul et dux di Alberico e fondatore del monastero dei SS. Cosma e Damiano che possedeva molti beni nel nostro territorio. Scrivere la storia di Campagnano è impresa complessa per diversi motivi. Il primo è che, allo stato attuale delle conoscenze, le fonti documentali che menzionano direttamente Campagnano sono rarissime: soltanto un documento del XI secolo (contratto d’affitto del cardinal Falcone, rettore del monastero dei SS. Cosma e Damiano), sette documenti del XII secolo, sei del XIII secolo, undici del XIV secolo e circa quaranta nel XV secolo. Campagnano non è un caso unico e la scarsità dei testi si spiega perché fino al X secolo, per la trascrizione degli atti si usavano i cosidetti papiri diplomatici, molto deteriorabili, e quindi, oltre ai lambi di papiri abbastanza insignificanti, nessun atto privato anteriore al X secolo è giunto fino a noi in original. Nel X secolo il papiro viene sostituito dalla pergamena e con essa l’apparizione degli atti privati che poi si moltiplicarono. La riscoperta dell’atto scritto e la sua conservazione è percettibile nelle classe dominanti e sopratutto nel mondo monastico che riscopre la sua tradizione storiografica ed archivistica. Il “boom” economico dell’epoca successiva all’incastellamento si è accompagnanto di un bisogno crescente di chiarificare i rapporti di diritto e di preservare i documenti che ne custodivano le tracce. La carenza delle fonti scritte anteriori al X secolo, tranne i brani del Liber Pontificalis (Ed. Duschesne) relativi alle domuscultae pontificie del VIII, e specialmente della domusculta Capracorum, diversamente e ampiamente interpretate dai medievalisti, e le troppo poche notizie di archeologia locale rendono impossibile ricostruire le tappe del popolamento o chiarire come e quando la popolazione laziale utilizzò i ricchi vestigi etruschi e romani sparsi nella Campagna Romana. Bisogna ammetterlo, non sappiamo nulla sull’occupazione del suolo nel Lazio fino al IX secolo. Altrettanto rare sono le notizie documentate sui centri pre-castrali come le curtes e plebes che si formarono grazie alla ripresa demografica ed economica nel X secolo. Tuttora, non possiamo dare una data precisa della fondazione di Castellum Campaniani ma risale certamente all’epoca del cosiddetto fenomeno dell’incastellamento (X-XI sec.) che contribuì al definitivo smembramento della vasta domusculta Capracorum, creata nel VIII secolo da Adriano I. Per quanto riguarda ancora le fonti documentali alcune prestano a confusione. Voglio parlare del lavoro enorme dell’illustre archivista e storico Giuseppe Tomassetti che ha effettuato una ricerca mastodontica sulle città della Campagna Romana nel XIX secolo che citeremo diverse volte nei riferimenti del nostro lavoro. Purtroppo alcune affermazioni non sono attendibili ed altre approssimative. Per fare un esempio, egli dice che “nel XIV secolo Campagnano passa alla Casa Orsini. Abbiamo la notizia di un’assicurazione dei Conservatori di Roma alla Comunità di Campagnano, del 1315, 6 giugno, che niuno sarà offeso, né nella persona, né nella roba, emessa per Gentile e altri Orsini” con il riferimento del documento che non è una pergamena originale ma una trascrizione (ASC, FO, IIA, XXXVI, p.84), pubblicata nel libro “Le carte antiche della Magnifica Terra di Campagnano” (2004). In primo luogo è stato molto azzardoso da parte sua affermare che Campagnano era feudo degli Orsini sulla base di una trascrizione; secondo vi è probabilmente un errore in questa trascrizione perché una pergamena del 6 giugno (stesso giorno) del 1415 ha esattamente gli stessi termini e nomi di persone della trascrizione datata 1315. Ed è allora che non ci capiamo più niente! Campagnano nel 1315 era di fatto feudo degli Annibaldi e prima di passare agli Orsini divenne feudo del Comune di Roma nel 1370. Gli Orsini ne saranno feudatari soltanto nel 1410 quando i Conservatori di Roma vendono il castellum Campaniani a Gentile Orsini perché il padre aveva prestato una grande somma di denaro a Roma quando era feudataria di Campagnano. Ci si può perdonare Giuseppe Tomassetti che ci ha legato una miniera di notizie storiche sulle città del Lazio ma il guaio è che molti autori, anche autorevoli, citano notizie errate o dubbie come vere (citando però il Tomassetti), accrescendo la confusione sulla storia di Campagnano che già non è poca. Il terzo motivo per il quale la storia della nostra cittadina è difficile da ricostruire è che è sempre stata una città all’avanguardia, secondo me, grazie al suo popolo di artigiani, commercianti, lavoratori e governatori. Per ammodernare la città bisognava colmare i fossi, aprire nuove strade, demolire gli edifici ormai obsoleti per edificarne dei nuovi. E’ ormai difficile immaginare la struttura del castrum medievale al contrario di Sacrofano o formello che lo hanno meglio conservato. Per esempio sono convinta che l’ingresso principale del castellum era tra il torrione, disegnato da Francesco di Giorgio Martini (fine XV sec.) e la chiesa della Misericordia che ormai non c’è più e che era all’angolo di Piazza Garibaldi. La strada dritta in salita, l’odierna via dei Lavatori, doveva proseguire dritto fino al vicolo del Tifo dove c’era il rivellino citato nel antico catasto del 1616 e confinante con il palazzo Galli; il vicolo tra l’altro descrive una curva tipica per rallentare l’invasore dove s’intravede tuttora la sagoma di una torre rotonda. Il quarto motivo è che, a Campagnano, si sono spesso e volentieri corrotti i nomi antichi delle strade e delle località. Per esempio, e questo è connesso all’argomento precedente, la Caronara che deriva da carbonariae (fossi in latino): infatti troviamo i Montis Carbonaris nello statuto di Campagnano del 1270-1271; altro esempio il vicolo del Pertuso che deriva da pertugio (passaggio stretto) e corrotto in Portuso; e ancora Piazza della Corte che derivava dalla curtis, rinominata Piazza Garibaldi nel XIX secolo. Così si è perso un altro po’ di storia e di riferimenti sulle origini di Campagnano. Pochi documenti, confusione nelle notizie storiche approssimative o errate, corruzione dei nomi originali, rimaneggiamento delle strade e dei monumenti, riempimento dei fossi per motivi pratici ed igienici. Per avanzare nella ricerca bisognava a tutti i costi indagare nei faldoni dell’Archivio di Stato di Roma, al quale è stato consegnato nel 1870, all’epoca dell’Unità d’Italia, gran parte degli archivi comunali antichi delle città dello Stato Pontificio, e nell’Archivio Capitolino che custodisce il fondo Orsini acquistò nel XIX secolo; Giuseppe Tomassetti fu incaricato dell’acquisto per conto del Comune di Roma; Cesare De Cupis fu incaricato della sistemazione delle pergamene della famiglia Anguillara; la catalogazione (tuttora in uso) e la maggior parte dei riassunti del Fondo Orsini è opera di Don Pietro Pressutti che riordinò l’archivio per conto del principe Orsini nel 1874. In questa miniera di documenti rintracciati in tutti e due gli archivi (2300 pagine di manoscritti riguardante Campagnano) sono emerse molte indicazioni storiche: la prima pergamena di Campagnano, le prime menzioni della chiesa di San Giovanni Battista, le feste, le processioni, i mestieri e le consuetudini. Ma queste fonti documentali così preziose non sono sufficienti se non conosciamo il contesto storico delle origini e delle epoche successive, particolarmente sui monasteri che promossero l’incastellamento nel X secolo che ci fece senza i vescovi e sulle successive famiglie feudali Annibaldi, Orsini e chigi che governarono Campagnano. L’incastellamento si era quindi fatto senza i vescovi. Dall’inizio, i monaci erano stati gli artefici del rinnovo ed erano entrati in possesso di numerosi castra. Possessori o co-possessori delle chiese castrali, il loro campo di azione si estendeva . A partire dall’epoca gregoriana, le reazioni del papato e dell’episcopato si erge contro questa evoluzione: la gerarchia risponde creando giurisdizioni come parrocchie, arcipreture, diocesi. Si apre allora un lungo periodo di tensione tra i clerici e i monaci. Tenteremo a partire dei testi antichi e della documentazione a nostra disposizione di ricostruire la storia di Campagnano, dalle origini fino all’epoca dell’Unità d’Italia. E’ necessario iniziare con le vicende della domusculta Capracorum, la vasta fattoria ideata da Adriano I composta da numerosi fondi tra Veio e Nepi, molti dei quali formeranno i territori dei futuri castra. Ben presto, un secolo dopo la sua creazione, la domusculta si rivelò molto vulnerabile alle incursioni degli invasori e si vede smembrata in curtes e plebes che preannunciano il fenomeno dell’incastellamento e quindi la fondazione dei castella e castra. Le prime notizie storiche di Castra Capracorum con la sua Ecclesia castri San Giovanni del Treja sono contemporanee a quelle di Castellum Campaniani che oltre ad essere circondato da monasteri possedeva un oratorio, forse San Pietro (menzionato chiaramente 120 anni dopo in un testo ufficiale). Dal XII secolo Castrum Capracorum fu progressivamente abbandonato e le sue ricchezze saranno assorbite dai castra vicini, tra i quali Campagnano. Non esiste nessun esempio di fondazione castrale nata dal raggruppamento spontaneo di famiglie di contadini ma era sempre un atto di volontà signorile. Nel nostro territorio, nel X secolo, i monaci benedettini e i signori ecclesiastici controllavano i primi castra e castella. Alla fine del IX secolo, con l’età feudale, il sistema curtense prevale sull’organizzazione delle domuscultae e le popolazioni contadine dei villaggi sparsi sono raggruppati nei castra e castella, edificati su luoghi elevati e meno vulnerabili alle incursioni saracene: era iniziato il cosiddetto fenomeno dell’incastellamento, promosso dagli abati dei monasteri. Questo periodo durò due secoli, convenzionalmente dal X al XI secolo. Quando i monasteri perderanno progressivamente molti dei loro territori dal XI secolo al XIII secolo, conseguenza della politica pontificia, i castra saranno raggruppati sotto il controllo delle diocesi come Nepi, Sutri e Viterbo, governate dai vescovi che erano stati esclusi dall'incastellamento. Nei primi anni dell’anno Mille si formarono i primi comuni come associazione volontaria ed indipendente e le popolazioni dei piccoli centri abitati della domusculta formarono le prime comunità di castrum Capracorum, castellum Campaniani, castellum Sorbum, e tante altre. E’ anche l’epoca in cui si profetizzò la fine del mondo (Apocalisse) e per conseguenza, i nobili, che avevano già iniziato il loro dominio feudale da due secoli, iniziarono a moltiplicare le donazioni dei loro territori alla Chiesa. È così in tutto il secolo XI i monasteri benedettini si trovarono proprietari di vastissimi territori nella Campagna Romana: nel 1005, il monastero dei SS. Cosma e Damiano annoverava moltissimi beni sia in Roma che nella Campagna Romana; nel 1053, la basilica di S. Pietro era in possesso di oltre 7.500 ettari sulla sola via Cassia e il monastero di S. Andrea possedeva, oltre ad altri numerosi fondi, la Massa Clodianam che si estendeva su 9.500 ettari e comprendeva tutto il territorio del Soratte e la valle di Baccano; il monastero di S. Paolo nel 1074 possedeva il dominio e le rendite sopra 18.500 ettari nella Campagna Romana. In questo contesto, tra il X e il XI secolo, nasce il castellum Campaniani, affiancato, da un lato, dai beni del monastero dei SS. Cosma e Damiano con la chiesa di Santa Maria del Prato, dall’altro lato il monastero di S. Andrea, sito sul monte omonimo con la chiesa dei SS. Tiburzio e Valeriano e, tra i due, il castellum con la curtis dove erano immagazzinati i viveri e tutto ciò che i contadini-artigiani producevano per il consumo e l’autosufficienza situato sul monte Carbonaris e il monte San Giovanni. Nel nostro territorio, nel X secolo, i monasteri benedettini controllavano i primi castra e castella ma già dalla metà del secolo, rettori ed abati dei monasteri di S. Paolo e dei SS. Cosma e Damiano iniziarono a donare alcune proprietà alla nobiltà romana che intendeva recuperare i territori donati nel passato, rivendicandone la proprietà. Il monastero benedettino dei SS. Cosma e Damiano fu fondato da Benedetto Campaninus, il quale nel X secolo era uomo potente poiché era stato consul et dux di Alberico nel 933 ed era una delle figure più prestigiose dei conti di Champagne (comites Campaniae) comparsi alla sua epoca, il quale titolo gli procurò il soprannome di Campagnino. Come lo attestano i documenti del X secolo fino al XIII secolo, gli abati del monastero dei SS. Cosma e Damiano iniziarono a donare i loro domini del castellum campaniani a persone di un certo rango, che contrariamente al Clero, potevano lasciare questi beni ai loro eredi grazie alla costituzione dei Feudi del 1037, nella quale i feudi minori diventavano ereditabili. Nell’atto del 1076, in cui appare per la prima volta la menzione castellum Campaniani, il cardinal Falcone, rettore e dispensatore del monastero benedettino dei SS. Cosma e Damiano, concede in enfiteusi ad Azzone, figlio di Giovanni “de Atroccio”, ed ai suoi figli legittimi, vita durante, due case con terreno ed orto, poste in Campagnano nel luogo detto Posterula; nel 1186 Bobone, abbate del monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea e antenato di un ramo della famiglia Orsini e futuro cardinale, concede in perpetuo ad Achille e suoi eredi due pezzi di terra nel territorio di Campagnano per 30 soldi di buoni provisini, moneta coniata dai conti di Champagne. Dalla metà del X secolo fino all’inizio del XIII secolo, si susseguono le bolle papali nelle quali si confermano i possessi di Capracorum alla chiesa di S. Pietro - nel 1053, nel 1158, nel 1186, nel 1211 e nel 1228 - mentre sono confermati al monastero di S. Paolo la chiesa di S. Cornelio nel 1081 e il castellum Campaniani nel 1130 che, nel 1192, appare direttamente tributario della chiesa di S. Pietro. Il primo feudatario di Campagnano fu dunque il monastero di San Paolo, anche perché Anacleto II, autore della bolla del 1130, era della famiglia romana dei Pierleoni e fu monaco dell’Abbazia di Cluny. Nel 1192, durante il pontificato di Celestino III, al secolo Giacinto Bobone, antenato della famiglia Orsini il quale creò cardinale, nel 1188, Bobone, abate del monastero dei SS. Cosma e Damiano ad opus Sancte Marie de prato Campaniani; in questa stessa data Campagnano, elevato a castrum, appare direttamente tributario della Santa Sede di 5 libbre di candele e l’oratorio di S. Pietro di Campagnano di 1 libbra come è riportato nel prezioso codice redatto da Cencio Savelli, camerlengo della Santa Romana Chiesa, futuro papa Onorio III. Questa indicazione è la prova che il monastero di S. Paolo aveva perso il possesso di Campagnano insieme ad altri molti territori. Inoltre, nel 1230, Gregorio IX concede il complesso del monastero dei SS. Cosma e Damiani ai Camaldolesi e poi nell’anno 1234 all'ordine francescano femminile delle Clarisse. Nel 1252 la chiesa di S. Maria del Prato sarà concessa all’ordine dei Francescani. Progressivamente i feudi della Campagna Romana interesseranno sempre più i signori in cerca di prestigio personale. All’inizio del millennio le antiche famiglie della Campagna Romana, Conti Tusculani, Crescenzi, Pierleoni, Bellushomo che possedeva il castellum Martiniani, Curtabraga che possedeva il castellum Stirpacappa, ed altri, sono molto potenti, ma nel Basso Medioevo se ne perde traccia e poche famiglie riescono ad imporre il nome della loro casata. Fino al XII secolo alcune famiglie non usarono alcun cognome, e per essere distinte le une dalle altre era consuetudine di aggiungere al proprio nome quello del padre o dell’avo. Nei documenti del XIII secolo vengono citate le prime casate baronali che ritroveremo ricche e potenti nei secoli successivi: Cesarini (che si vantavano d’essere i discendenti di Giulio Cesare), Colonna, Caetani, Savelli, Orsini, ma anche Conti, Ceccano e Annibaldi, i tre d’origine germanica (si suppone che Riccardo Annibaldi fosse discendente di Annibale). In alcuni casi tra le casate estinte, menzionate sopra, e quelle dei secoli successivi esistevano legami di parentela e quindi la successione dei domini. Nel XII secolo la Campagna Romana fu divisa tra i baroni, appoggiati dall’aristocrazia germanica, che prendono castella e territori sotto la loro protezione. Fino alla metà del XIII secolo, se il signore era in pieno possesso della sua giurisdizione, il Comune di Roma non interveniva nelle questioni tra signore e vassalli. Brancaleone d’Andalò, eletto Senatore di Roma nel 1252, combatte il baronaggio, rivendica l’ingerenza nella Campagna Romana e mette il Comune di Roma in possesso del monopolio del sale e del focatico. Nel 1263, con Bolla del 10 dicembre, il papa Urbano IV proibisce ai baroni, milites, baronissae et mulieres de militari, di vendere e “distrarre” castelli, feudi, uomini, vassalli, terre, case e vigne. Per conseguenza si stipulano i primi statuti, conventiones, tra il popolo ed il signore. Tra il 1270 e il 1271 si stipula lo Statuto di Campagnano ma bisogna, a questo punto, situare questo atto nel contesto politico e storico dell’epoca: dalla fondazione della comunità di Campagnano, attorno all’anno Mille, periodo in cui si formarono i primi comuni come associazioni spontanee, volontarie ed indipendenti, fino all’epoca del nostro statuto, i documenti ci insegnano che i castra e castella erano sotto il controllo dei monasteri benedettini; ciò finì per generare aspri conflitti tra gli abati e i baroni romani che intendevano affermare la loro potenza politica ed economica in queste città fortificate ormai sovrappopolate dopo il “boom” demografico del secolo XII. Last but non least! L’Italia medioevale, dal XI al XIV secolo, è lacerata dalla guerra assassina chiamata “guerra dei Baroni”, nata dalla formazione di due fazioni attive: il partito dei guelfi (che sostiene il Papato) e il partito dei ghibellini (che sostiene il Sacro Romano Impero). Il cardinal Riccardo Annibaldi, considerato il capo dei guelfi, grazie alla sua longevità e alla sua esperienza, distilla sapientemente i suoi consigli a ben nove papi. Oltre ad essere cardinale, è anche diacono di Sant’Angelo in Pescheria, arciprete di San Pietro e rettore di Campagna e Marittima, tutte cariche che gli procuravano ampi poteri economici, politici e militari. Attorno all’anno 1265, grazie alla sua fortuna personale, si sforzerà di favorire la candidatura al trono di Sicilia e di Napoli del suo amico Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, Luigi il Santo; era forse un’astuzia politica perché Carlo non era quindi né guelfo né ghibellino. Ma non avventuriamoci troppo nei particolari della storia politica medioevale che necessiterebbero più vaste considerazioni ma che ci porterebbero troppo lontano dal nostro discorso. Torniamo quindi nel 1270, anno in cui inizia la compilazione dello Statuto di Campagnano: la chiesa non ha un papa poiché il famoso conclave di Viterbo per l’elezione di Gregorio X durerà quasi tre anni (1268-1271) - malelingue sussurravano che questa interminabile “prigioneria” era opera di Riccardo Annibaldi, che non riuscì mai ad essere eletto pontefice (sic!). In questo clima di fine secolo, non è sorprendente che gli abitanti di Campagnano chiedono protezione al cardinal Riccardo Annibaldi in cambio della promessa di fedeltà. Le convenzioni, riviste, corrette ed ampliate nell’arco di un anno sono contenute nello statuto di Campagnano: il 18 settembre 1270 è la data dei patti stipulati tra il cardinal Riccardo Annibaldi e il sindaco di Campagnano Angelo Pancrazi, concordati a Viterbo dove si trovava il cardinale per l’interminabile conclave iniziato nel 1268 e l’atto, redatto nella chiesa di San Giovanni di Campagnano, menzionata per la prima volta, venne accolto da tutto il popolo radunato in piazza, al suono delle campane; la seconda parte dello statuto riguardante le norme circa la giurisdizione di Campagnano è datata 12 Ottobre 1270; infine l’ultima parte è redatta in presenza del cardinal Riccardo Annibaldi con la data del 14 ottobre 1271. Questo documento di eccezionale importanza, uno dei primi nella Campagna Romana, è quindi redatto tra gli uomini del Castello (i boni homines che sono persone esperte e di riconosciuto prestigio sociale, chiamate a presenziare per la loro autorevolezza ad un atto) e il cardinal Riccardo Annibaldi. Riccardo era uomo potente e ricchissimo ed era in grado di difendere e governare gli abitanti. Come si potrà vedere dall’analisi geniale e scrupolosa di Filippo Passeri, l’atto della comunità di Campagnano con il cardinale garantiva la libertà agli sudditi e la podestà del padrone era limitata alla giurisdizione del castellum per mezzo di ufficiali scelti da lui stesso (la Curia), la quale poteva emettere bandi e leggi ma doveva governare tenendo conto della comunità e del suo sindaco Angelo Pancrazi. Infatti Riccardo Annibaldi non ebbe mai l’investitura di Campagnano, né dall’Imperatore, né dal papa e quindi era diventato suo feudo soltanto sul piano politico e non sul piano economico. Nel 1276, papa Giovanni XX, detto XXI, conferisce l’arcipretura di San Pietro, resa vacante dalla morte recente del cardinal Riccardo Annibaldi (erroneamente riportata nei documenti post-medievali nel 1276, è accertato che egli morisse in Lione nel 1274) nuper obitum Richardi S. Angeli Diac. Card. a Latino e Giordano Orsini, i nemici giurati di Riccardo. Nel 1286, il nipote del cardinale, Pietro di Annibaldo degli Annibaleschi, Proconsole Romano e Signore di Campagnano (segno che ne era feudatario vero e proprio e non solo politicamente, contrariamente a suo zio), stipola nella sua dimora del Colosseo, un privilegio nel quale si concede ai vassalli di castellum Campaniani di poter vendere i loro beni stabili purché si faccia in buona fede. Similmente il detto signore, a petizione degli uomini e donne del medesimo castello, suoi vassalli, concede che: se una moglie portasse in dote a suo marito 20 Lire di provisini del Senato ed anche più, possa ricuperare la sua dote, sopra i beni mobili del marito o del suocero, e se questi non bastassero, sopra gl’immobili. Se la dote fosse di minore somma, non abbia diritto che sopra i mobili. Nel 1296, il lodo di Bonifacio VIII sulla divisione dei beni degli Annibaldi segnala infatti Campagnano come loro feudo. I discendenti di Pietro governeranno il castellum fino alla fine del XIV secolo. Alla fine del XIII secolo, la potente famiglia Annibaldi aveva molte proprietà nel castellum ma già dal 1315 iniziò a cederne alcune agli Orsini ed ad altri. Nel 1343 le sorelle Annibaldi vendono i loro beni e le loro ragioni sul Castello di Campagnano a Giacomello Orsini per 8000 fiorini d’oro. Nel 1353 i Conservatori di Roma cioè i magistrati dell’amministrazione pubblica del Comune di Roma che esercitano una politica contro le nobili famiglie romane, si dichiarano protettori di Campagnano. Il 12 settembre 1363 Paola e Bartolomea Annibaldi, figlie del fu Nicola di Pietro Annibaldi, per 8000 fiorini d’oro, vendono al milite Rinaldo Orsini i loro beni, diritti e ragioni su Campagnano, confinante con le terre della Civitas di Nepi e le terre di castrum Galeria. Il 1 settembre 1369 Marsibiglia, figlia di Pietro de Sabello (Savelli) e vedova di Paolo di Nicola Annibaldi, dona a Matteo di Paolo dell’Isola Conversina il Castello di Campagnano, la Torre di Baccano con il lago e il Castello del Sorbo. Due giorni più tardi, il 3 settembre Matteo di Paolo dona ad Alessio di Buccio Romani de Venturinis, genero di Marsibiglia, totum et integrum castrum Campagnani. Il 9 settembre 1370, durante la “cattività avignonese” dei papi, gli uomini (boni homines) e il Comune di Campagnano giurarono fedeltà e vassallaggio al Popolo Romano. Campagnano rimarrà feudo di Roma per quarant'anni fino all'anno 1410. L’atto del 1370 ratifica la dedizione in vassallaggio degli uomini e del Comune del castellum Campangianum, fatta da Cecco Velli Verroccio, sindaco del detto castello e da altri rappresentanti, da Silvestro Muti, sindaco generale del Popolo Romano, da Cecco Giordanelli Buccabelle, uno de’ caporioni di Roma e da Giovanni di Giacomo notaro, commissari del detto Popolo Romano, Lello Velluccio di Pietro Luce, notaro del detto castello. Le principali condizioni con le quali “il comune di Campangianum (sic!) si dà al comune e popolo di Roma sono primieramente che esso si dà col dominio cum mero et mixto imperio, e ogni jus e giurisdizione di esso, appartenenti al detto castello, eccettuato il molino per lo quale promette di pagare alla Camera Capitolina trenta rubbia di buon grano annue. Il Popolo Romano non può obbligare il Comune di Campangianum alla "cavalente" (spedizione di guerra) ma però chi ha cavalli vada, e così in tempo di guerra, chi non avesse armi ne sia provveduto dal Popolo Romano. Il Comune di Campangianum chiede di essere esonerato dalle tasse del sale e del focatico e che il Popolo Romano assumi a se la pensione dovuta alla signora Marsibiglia vedova di Paolo degli Annibaleschi, che sia liberato dal pagamento di quattromila fiorini dovuti alla moglie di Alessio di Buccio e che in tutto sia trattato come il Popolo Romano.” Il 27 novembre 1370, nel suo testamento, Alessio di Buccio Romani di Bonaventura de Venturinis dispose che tutti i suoi diritti in castrum Campagnani andassero a Jacoba sua moglie e a Marsibiglia sua suocera e vedova di Paolo Annibaldi. Gli atti sono firmati da Antonio Scambi Notaro. Nel 1410, i Conservatori della Camera del Senato vendono la città e il territorio a Gentile Orsini poiché suo padre aveva prestato una gran somma di denaro al Comune di Roma, emettendo una ipoteca su Campagnano quando Roma ne era allora feudataria. Un anno dopo, nell’anno 1411, Giovanni XXIII, antipapa, concede allo stesso Gentile il vicariato del castellum di Campagnano fino alla “terza generazione maschile”, con tutti i diritti, giurisdizioni e vassalli. Nel 1427 Giordano Orsini autorizza la costruzione di un monastero per i frati di Monte Carmelo al Sorbo. Nel XV secolo papi, cardinali e nobili di alto rango con le loro corti vennero in villeggiatura prolungata a Campagnano, fuggendo la peste che infuriava a Roma. Nella corrispondenza del cardinal Ammannati (1465), sono descritti i prodotti peculiari di questa terra come il pane sciapo, il buon vino, i meloni, le cipolle nonché l’aria pura e le acque freschissime. Campagnano, durante il periodo di gloria degli Orsini e specialmente con Paolo Giordano sul finire del XVI secolo, conobbe grandi trasformazioni sul piano urbanistico ed artistico con le opere di Giacomo Del Duca e di Francesco De Gnocchis. Proprio in quest’epoca si apre il Borgo Paolino, oggi Corso Vittorio Emanuele II. Attorno all’anno 1540 Francesca Sforza, sorella del cardinal Guido Ascanio, assume la carica di tutrice e generale administratrice delle Terre degli Orsini, tra le quali Campagnano, in seguito alla condanna a morte di suo marito Girolamo Orsini. Nel 1553 il cardinal Guido Ascanio Sforza, zio e tutore degli eredi di Girolamo Orsini, e particolarmente di Paolo Giordano che perdette suo padre Girolamo in giovane età, scrive di suo pugno i capitoli dello Statuto di Bracciano. Nel 1560 Pio IV, in seguito al matrimonio di Paolo Giordano Orsini, Conte di Campagnano (titolo ereditato dal suo avo Virginio, nominato Conte di Campagnano da Pio II, nell’anno 1481), con Isabella de’ Medici celebrato nel 1558, erige il feudo di Bracciano a ducato al quale verrà incorporato anche Campagnano ed altri castelli, accordando per la prima volta a Paolo Giordano Orsini il titolo di Duca e anzi, per fargli cosa grata, che ogni suo primogenito abbia il titolo di Marchese dell’Anguillara. Nel 1585 nasce il Governo Baronale di Campagnano per amministrare gli affari della città. Nel 1588, Papa Sisto V istituisce 15 congregazioni fra cui la Sacra Congregazione del Buon Governo per gestire l’amministrazione delle comunità dello Stato Pontificio, la quale avrà un reale potere a Campagnano dall’anno 1633 all’anno 1846. Nel 1662, Alessandro VII Chigi, derogando alle costituzioni dei suoi predecessori, autorizza con chirografo la vendita della città in favore di Flavio Chigi, suo nipote. Dal XVII al XIX secolo, sotto il controllo della Congregazione del Buon Governo, si avviano i restauri dei monumenti antichi della città, la costruzione di nuovi edifici, la demolizione di altri, il tracciato di nuove strade e la bonifica dei laghi paludosi di Stracciacappa e di Baccano. Coinvolta come tutte le altre città dello Stato Pontificio nel vortice politico che regnava in tutta Italia, nel 1870 Campagnano sarà annessa al Regno d’Italia. 1 - Nascita e declino di Capracorum, l'incastellamento e la nascita di castrum Campaniani Dopo la caduta dell’Impero Romano, nel V secolo, si susseguono le invasioni barbariche: prima i Goti poi gli Arabi, i Franchi, i Longobardi, i Saraceni, gli ungheresi devastano i territori della penisola portando la distruzione in molte città. Le lotte terribili e la carestia riducono drasticamente la popolazione. In Etruria, i popoli trovano rifugio nelle antiche città etrusche note per le loro difese naturali. Nel VII secolo, dopo l’invasione dei Longobardi, le Autorità Pontificie intraprendono la riorganizzazione del territorio intorno a Roma. Nel VIII secolo (741-752), nella Campagna Romana, dove esistevano già dei centri abitati con chiesa e molino sotto la protezione della Chiesa, il papa Zaccaria inizia la formazione delle domuscultae. Molteplici sono le motivazioni: estendere il programma di cristianizzazione, ripopolare la Campagna Romana e raggruppare le popolazioni sparse, sviluppare l’agricoltura per fornire cibo e derrate alla popolazione di Roma e alla Chiesa, provvedere alla sicurezza del territorio con la costruzione di opere difensive. Attorno al 780 Adriano I, di nobile famiglia, creò sei domuscultae con parte delle terre provenienti dalla donazione di Carlomagno per formare il nucleo dello Stato Pontificio. La più nota per la sua estensione fu Capracorum. A proprie spese Adriano I erige chiese, casali e fattorie ed amplia gli edifici per la produzione artigianale, come la ceramica, essenziale all’autonomia e alla sopravvivenza. Il papa arricchisce la domusculta con altre tenute e organizza le terre di Capracorum in più raggruppamenti fondiari separati fra loro, tra Veio e Nepi. Gli studiosi situano il centro della domusculta a circa tre chilometri dal centro di Veio, nell’area di una villa romana del III secolo, dove Adriano I fece edificare la magnifica chiesa detta di Santo Cornelio per i martiri Cornelio, Lucio, Felice e Innocenzo, costituita da tre navate con un battistero. Nel secolo XI, dopo il declino della domusculta, la chiesa sarà trasformata in monastero benedettino con un chiostro, una cripta e un portico. Per frenare l’invasione dei Saraceni, nel IX secolo, Leone IV edifica le fortificazioni attorno al Vaticano, la cosiddetta Città Leonina. Gli uomini della militia della domusculta Capracorum contribuirono con le loro braccia alla costruzione delle Mura Leonine: nel sedicesimo secolo, sotto il pavimento della chiesa di San Giacomo alla Lungara, a ridosso del colle dedicato a Giano, il Gianicolo, e vicino alla porta di Settimio Severo, chiamata Settignana dai Romani, sarà rinvenuta una lapide marmorea in cui è menzionato Capracorum: Hanc turrem - et pagine una f - acta a militiae -Capracorum - Temp(ore) dom.Leonis, quar(ti) pp. ego agatho e ... La lapide marmorea sarà poi spostata nel 1634 per ordine di Papa Urbano VIII ed incastonata dove la possiamo ancora vedere oggi cioè nell’Arco Vaticano che s’incontra dalla strada di Porta Angelica per entrare sotto il colonnato di S. Pietro. Ai tempi della domusculta Capracorum, l’agricoltura e gli allevamenti erano essenziali per la sopravvivenza di Roma e della Campagna Romana. Il biografo di Papa Adriano I nel suo scritto Liber Pontificalis, e Ciaconio nelle Vitae et regestrae Pontificum Romanorum, ci danno una descrizione esaustiva del tipo di cultura e di allevamento nella domusculta: vigne, oliveti e cultura di leguminose, come fave e piselli ma anche orzo, avena, grano duro e miglio. Si allevavano polli, ma anche suini, macellati sul posto poi trasportati a Roma, e ovini, soprattutto per la produzione di lana; inoltre è descritto accuratamente come venivano immagazzinati nel Laterano tutti questi prodotti per sfamare il popolo di Roma. Aggiungiamo ancora che i luoghi detti « Pastina » o « Pastine » e « Cese » con tutte le sue derivazioni come Cesette, Cesano ecc. testimoniano l’attività di disboscamento a partire dal IX secolo. Nei luoghi chiamati Pastine al posto della fitta selva venne piantato la vite, mentre le Cese indicano un territorio dove lo sradicamento definitivo della foresta lasciava ormai spazio alla semina di grani. In genere l’usufrutto e in seguito la proprietà di tali terreni andavano di diritto alla comunità che aveva prestato i suoi uomini alla dura opera di disboscamento. Le incursioni saracene del IX secolo sono uno dei motivi del declino della domusculta; una prima indicazione del declino risiede nel fatto che la Militia di Capracorum impegna i suoi uomini a Roma per edificare le Mura Leonine. Il fenomeno dell'incastellamento che durò dall'inizio del X secolo a tutto il XI secolo contribuì allo smembramento della domusculta, accennato all'inizio. Un terzo motivo è che, alla fine del X secolo, queste fattorie erano mal viste dalla nobiltà romana (e signori ecclesiastici), interessata a recuperare i territori che asserivano aver donato alla Chiesa, dando inizio alla loro dominazione feudale. La domusculta Capracorum si vede smembrare in : - Curtis Capracorum poi Plebs Capracorum, confinante con il territorio di Selva Candida, distante da Roma XX miglia cioè 34 km; la località Prato la Corte all’uscita di Formello verso Roma ne è ormai l’ultima testimonianza (Bolla di Giovanni XIX (1027 e poi 1037 / Marini G., I papiri diplomatici, pag.73-75). - Monastero benedettino di Santo Cornelio nel XI secolo sul posto dell’antica chiesa edificata da Adriano I, distante da Roma XV miglia ossia 26 km (Bolla del 3 febbraio 1035, ASR, Collezione pergamene, 13/41). - Castrum Capracorum con la chiesa di San Giovanni del Treja, distante da Roma XXVII miglia cioè 46 km (Bolla di Leone IX del 1053 nel Bullarium Vaticanum, I, pag.29-33) la quale chiesa diruta, cioè in rovina e quindi abbandonata in favore di un’altra chiesa in un altro sito fortificato, sarà stranamente citata in ben 5 bolle successive (Bolla di Adriano IV del 1158 nel Bullarium Vaticanum, I, p.58 ; Bolla di Urbano III nella Bulla Magnum III, II, p.64; Bolla di Innocenzo III del 1205 nel Bullarium Vaticanum, I, p.85; Bolla di Innocenzo III del 1211 nel Bullarium Casinense, II, p.242-243 ; Bolla di Gregorio IX del 1228 Bullarium Vaticanum, I, p.114). L’abate Antonio Coppi asserisce nel suo discorso su Capracoro dell’anno 1838 che il sito del castrum Capracorum, dopo attente ricerche sul posto, fosse vicino alla Mola Maggiorana, tra il luogo detto Cese e il fosso del Treja. “Il castello di Capracoro fu, come tanti, distrutto o abbandonato; gli Antiquari disputarono sul luogo della sua situazione. Il Torrigio ed il Mazzocchi lo credettero nell’odierna terra di Caprarola (Vejo difeso, part. IV, pag. 101-102). Il Nardini lo collocò nella tenuta di Santa Cornelia (L’Antico Vejo, cap. VIII). Gli Editori del Bollario Vaticano (Tomo I, pag. 33 annotazione G) e Gaetano Marini (I papiri diplomatici,pag. 240, n°48) si limitarono ad accennare che non lo credevano in Caprarola. Io sono del parere che Capracoro esistesse nell’odierno territorio di Campagnano, ai confini del nepesino.” Rammenta il Coppi le due bolle successive di Leone IX del 1053 su castrum Capracorum, i suoi fondi e la chiesa di S. Giovanni del Treia, poi l’istromento dell’anno 1180 della concessione del fondo Maiorano confinante con il castrum e finalmente la conferma di Innocenzo III, nel 1211, al monastero benedettino di Nepi del fondo Linianum con il molino del Treia e la metà di quell’acqua del luogo detto Mazzano sino alla porta del Castello di Capracoro. Continua il Coppi: “Questo luogo dunque esisteva sulla Treja presso il territorio nepesino, ed aveva nelle vicinanze un molino, le contrade dette la Cesa, Maggiorano e Mazzano. E tale luogo si trova appunto nel territorio di Campagnano, al confine del nepesino. Avvi colà una regione, che tuttora si chiama Maggiorana. Scorre a settentrione di essa la Treja, ..., passa presso la contrada delle Cese, attraversa la Cassia poco dopo il vigesimo primo miglio, e dove appunto comincia la carrareccia nepesina. Divide quindi il territorio di Campagnano da quello di Nepi; somministra l’acqua ad un molino appartenente ora alla Comunità di Campagnano, e passa di poi presso Mazzano. Io fui in quel sito nell’ottobre 1814. Vidi un’antica torre sopra quel molino, e non molto distante, alcuni muri, detti volgarmente le casaccie della mola, ed osservai rottami di fabbriche sparsi pei campi. Con tali documenti e monumenti mi sembra dimostrato il sito di Capracoro”. Tomassetti commenta “Coppi aveva indovinato che Macerano indicatoci dai documenti, prima come parte, poi come confinante di Capracoro, corrisponde all’odierna maggiorana, ch’è sulla destra della via Cassia, poco prima di Sette vene. Anzi giova ch’io qui ripeta essere quella parte del gran tenimento Macera l’unica che ha mantenuto più o meno l’antico nome, mentre quello dell’altra parte è stato sopraffatto da S. Cornelio. Aveva Coppi riconosciuto la contrada Cese, che conserva tuttora il nome, appresso alla Maggiorana; aveva esattamente ravvisato il Tregia, col fondo Tracquata nel fiume Treia, che nasce al di sopra del lago di Stracciacappe col nome di fosso del Pavone, attraversa presso Sette Vene la via Cassia, entra nel territorio di Patreschiata, descrive una curva tra Mazzano e Campagnano, ove riceve un confluente (...) Aveva infine Coppi ritrovato il molino più volte accennato nei documenti ma credette che appartenesse a Campagnano (Tomassetti interpreta il molino di Montegelato, mentre Coppi accenna alla Mola Maggiorana); nondimeno egli ha colto nel segno dicendo che la torre sovrastante al molino, le casacce della mola, i rottami di fabbriche, ci ricordano la ragguardevole domoculta (...) Questo è il monte di Capricoro col sottocampo detto ancora Crepacore ch’è una sezione, ossia uno dei quarti della tenuta Montegelato. Il monte è attraversato da un’antica via romana, diverticolo della via Cassia, e che io tengo per certo essere la disputa via Amerina, della quale apparvero i poligoni di lava basaltina quando s’incominciò a muovere la terra, nel 1875. Numerosissimi frammenti di marmi spinsero il ministro del principe del Drago, il signor Giorgi, a nuove ricerche. Egli trovò una cappella cristiana presso i piloni di un ponte romano diruto sul Treia, con un piccolo sotterraneo (4mX3,50m), una croce latina di ferro; e presso la cappella un sepolcreto cristiano con tegoloni antichi, orecchini d’oro e balsamari di vetro. Non è questo il solo indizio di abitazione in questo luogo; imperocché due torri cadute, un altro sepolcreto formato di loculi scavati nel tufo, donde la contrada trasse il nome di scifelle (altro quarto di Montegelato); una vena d’acqua eccellente e innumerevoli avanzi di stoviglie più o meno rozze bastano a convincere, insieme col nome rimasto al sito, che quello fu il primitivo fondo Capracoro, il nucleo della ricca domoculta.” Tralasciamo le altre considerazioni del Coppi, del Tomassetti e di altri autori del XIX secolo, sulle memorie che legano Capracoro e Campagnano, qualche volta ritenute oggi fantasiose come “quando cessano le memorie di Capracoro iniziano quelle di Campagnano”. Veramente i documenti che menzionano il castrum Capracorum (1053) sono della stessa epoca di castellum Campaniani (1076) e della curtis Macorano (1053), e cioè nel periodo del "boom" dell’incastellamento alla metà del XI secolo. Dopo il declino della domusculta, le plebs e le curtes dotate di una piccola chiesa rurale nelle quali gli abati e i monaci esercitano le loro funzioni religiose saranno progressivamente abbandonate in favore di siti fortificati controllati dai monasteri benedettini che hanno ottenuto il diritto di incastellare. I monasteri possedevano immensi territori nelle campagne attorno a Roma : nel 1005, il monastero dei SS. Cosma e Damiano annoverava moltissimi beni sia in Roma che nella Campagna Romana; nel 1053, la basilica di S. Pietro era in possesso di oltre 7.500 ettari sulla sola via Cassia e il monastero di S. Andrea possedeva, oltre ad altri numerosi fondi, la Massa Clodianam che si estendeva su 9.500 ettari e comprendeva tutto il territorio del Soratte e la valle di Baccano; il monastero di S. Paolo nel 1074 possedeva il dominio e le rendite sopra 18.500 ettari nella Campagna Romana. In questo contesto, nel X secolo, nasce il castellum Campaniani, affiancato, da un lato, dai beni del monastero dei SS. Cosma e Damiano con la chiesa di Santa Maria del Prato, dall’altro lato il monastero di S. Andrea, sito sul monte omonimo con la chiesa dei SS. Tiburzio e Valeriano e, tra i due, il castellum con la curtis dove erano immagazzinati i viveri e tutto ciò che i contadini-artigiani producevano per il consumo e l’autosufficienza. Dopo questi preliminari e grazie ai trattati del XX secolo a disposizione, sarebbe quindi ormai fantasioso affermare che il popolo di Campagnano si fosse elevato come « popolo libero » come ancora oggi alcuni asseriscono. L’incastellamento è un termine con il quale gli storici si sono messi d’accordo per definire il fenomeno che si estende dal IX al XI, epoca in cui si formano castra e castella; sorgono quelli di Formello, Mazzano, Sacrofano, Campagnano e tanti altri. Formello prende il suo nome dalle antiche forme (acquedotti) che fornivano l’acqua alle ville antiche di Vejo; Mazzano dalla gens Matia, nobile famiglia romana che prende il suo nome da Matius, amico di Giulio Cesare; Sacrofano dalla leggenda antica di una scrofa; Campagnano probabilmente dalla gens Campania, come attestano due epigrafe repertoriate da Gustav Wilmanns. Infatti, l’etimologia stessa di castellum Campaniani, cioè di Campania come anche per castellum Mazzani di Matia, rinvia a un nome proprio. L’ipotesi sull’origine del nome verrebbe quindi dalla famiglia Campania e più direttamente da Benedictus detto Campaninus vissuto nella prima metà del X secolo, rettore della Sabina, vice del principe Alberico e fondatore del monastero dei SS. Cosma e Damiano. Il suo nome proviene dalla regione Campania, dove si producevano le prime campane (vasi campani) in Italia grazie alla gran qualità del bronzo. Benedetto Campanino è il capostipite dei potenti comites Campaniae (i conti di Campania) poi i conti di Champagne francesi.
Nel X secolo, i castelli sono in piena formazione e organizzazione. A partire dal XI secolo, come già accennato, i pochi documenti giunti fino a noi attestano che sono controllati dai monasteri benedettini: nel 1069 Odemondo, abate del monastero dei SS. Cosma e Damiano, dona una terra a Maria Bona, nobildonna dell’epoca; nel 1076 il cardinale Falcone, rettore e dispensatore dello stesso monastero, concede ad Azzone due case con terreno ed orto, poste in Campagnano nel luogo detto Posterula; nel 1093 Giovanni detto “De Leo de presbiter Tedimari” dona alla chiesa di Santa Maria “a prato” la sua parte di una casa nel borgo Baccano. Nel 1130 l'antipapa Anacleto II (monaco di Cluny) conferma il possesso di castellum Campaniani al monastero di San Paolo, primo feudatario di Campagnano. Progressivamente i feudi interesseranno sempre più i signori in cerca di prestigio personale e particolarmente i vescovi, esclusi dal fenomeno dell'incastellamento.
2 - Il panorama urbanistico ed artistico di Campagnano dal XI secolo al XIX secolo Nel IX secolo inizia la formazione di piccoli borghi fortificati (dove continuerà ancora a vigere il « sistema curtense » cioè chiuso ed economicamente autosufficiente) edificati a partire fai grandi fondi con o senza oratorio e denominati (qui dicitur) nei primi testi del XI secolo castrum come castrum Capracorum e castrum Sorbum, oppure castellum come castellum Martiniani e castellum come castellum Campaniani dagli omonimi fondi rispettivi; la scarsità dei documenti non ci permettono di affermare se fosse esistito una curtis Campaniani come la curtis Capracorum o la curtis Macerano (Maggiorana). Mi sembra importante sottolineare questo fatto in modo che non ci sia fatta confusione circa l'inventario della Curtis Campaniani dell’anno 1505 (da dove deriva il nome della piazza della Corte "in Monte San Giovanni, dinanzi alla Rocca", la quale piazza prenderà il nome di Piazza Garibaldi e dove c'è tuttora la torre della Curia del XII secolo); infatti il termine curtis dopo l'incastellamento cambierà significato: indicherà sia il cortile dove erano immagazzinati i viveri e tutto ciò che i contadini-artigiani producevano per il consumo e l’autosufficienza, sia l'insieme dei beni del feudatario. La pergamena nella quale è menzionato per la prima volta Campagnano è dell’anno 1076 quando la città è già in forte espansione sia demografica che urbanistica: è un contraato d'enfiteusi emanato dal cardinal Falcone, rettore e dispensatore del monastero dei SS. Cosma e Damiano, ad Azzone, virum honestum cioè contadino-artigiano allodiale, di due case nel castellum Campaniani per un prezzo di dodici denari annui da versare il giorno della festività dei SS. Cosma e Damiano, situate nel luogo detto Posterula (termine latino che significa porticina posteriore e che, a volte, si usava per smaltire i rifiuti). La prima casa donata in affitto, domus solarata scandolicea, indica una casa con solario (quindi a due piani) e con tetto di tegole ; l’altra casa, domus terrinea, indica una casa situata al confine della Terra, cioè sulle fortificazioni, con un orto e una grotta. In Monte Sant’Andrea, vi era il monastero di Sant’Andrea che “guardava” l’altro monastero di Sant’Andrea del Soratte, con la sua cella, citata nelle carte antiche come chiesa dei SS. Tiburzio e Valeriano oggi conosciuta come chiesa della Pietà la quale cambierà più volte nome nel corso della storia (chiesa di Gonfalone per esempio) ; un documento dell’anno 1409 indica che Sant’Andrea in Acquericciaris è governato dall’abate commendatario di Lavello ed possiede vasti territori in Campagnano; in un documento dell’anno 1501 è segnalato che i beni di Sant’andrea in Acquericciaris passa alla chiesa di Santa Maria della Pace di Roma; nel XVI si susseguono i documenti sulla parrocchia e la rettoria Sant'Andrea di Campagnano. In seguito al rimaneggiamento della struttura muraria del monastero, tra le due chiese di Sant'Andrea e della Pietà, la piazza Sant'Andrea con una fontana al centro o l'antico pozzo d'acqua del monastero fu soprattutto abitata da maestri muratori e fabbri che vi avevano aperto le loro botteghe. Nei catasti antichi del 1485, del 1577 e del 1616, sono elencate le proprietà di Sant’Andrea di Campagnano. In Monte San Giovanni, da tempi remoti, vi era il quartiere residenziale e commerciale di Campagnano con l'osteria, le botteghe dei speziali, dei "pizzicaroli" che vendevano ogni genere alimentare ma anche chiodi, fune, pali di ferro, degli orafi come il signor Credenzieri, dei tappezzieri che vendevano i tessuti di lino e di canapa tipici di questa città e dei sarti. Queste botteghe erano affiancate l'una dall'altra lungo la contrada San Giovanni. Questo quartiere aveva due forni al tempo degli Orsini dei quali abbiamo notizie certe sul forno detto "di mezzo". L'edificio più importante era la chiesa di San Giovanni della comunità e dove si svolgevano anche le funzioni pubbliche e le elezioni dei priori. E' difficile affermare sorgeva su un antico santuario ma è molto probabile. Prima delle antichissime menzioni della chiesa San Giovanni, nello statuto di Campagnano del 1270-1271 all'epoca degli Annibaldi poi nella ratifica di vassallaggio del popolo di Campagnano al popolo di Roma, abbiamo notizia di un oratorio di San Pietro nel molto attendibile elenco del 1192 di Cencio Camerario, futuro papa Onorio III, oratorio che era tributario della Santa Sede. In un testo del 1379 il nome attribuito alla chiesa è quello che conosciamo oggi: chiesa di San Giovanni Battista, la collegiata e chiesa principale di Campagnano.
In Montis Carbonaris già citati nello statuto di Campagnano del 1270-1271, sorgeva la rocca primitiva di Campagnano, probabilmente edificata all’epoca dell’incastellamento. La rocca di pianta quadrata ospitava anche i carceri e i soldati ed era in grado di accogliere il signore e gli abitanti in caso di assedio. Era difesa dal torrione edificato su progetto di Francesco di Giorgio Martini commissionato da Virginio Orsini, nominato conte di Campagnano nel 1484, e dal rivellino della Porta Vecchia (vicolo del Tifo) citato nel catasto del 1616 e dai fossi della Carbonara (dal latino carbonariae: fossi) e della Rocca. In questa zona militare vi erano le strutture indispensabili per la sopravvivenza in caso di assedio della città: la cisterna ipogea, ubicata in via San Giovanni sotto il palazzo di Filippo Paroncini (sul quale torneremo più avanti), i pozzi "da grano" e il forno "da capo" che oltre a cuocere il pane poteva eventualmente servire a cuocere mattoni e tegole (nel catasto del 1505, risulta che il Conte Orsini possedeva quattro forni e quattro pozzi da grano dentro de la Terra). Inoltre vicino al Torrione vi era l'Ospedale di Sant'Antonio citato nel catasto del 1577. Una parte della rocca fu demolita nel 1726 per la costruzione del palazzo del Governo, all'epoca del principe Chigi, per le funzioni pubbliche ed ospitava la cancelleria (che finora era contigua alla collegiata), la scuola, il macello e i granai della comunità; un ala fu in seguito aggiunta al palazzo per ospitare le carceri delle donne. L'antica torre quadrata dei carceri primitivi fu ammodernata nel 1818 dall’ingeniere Giuseppe Valadier come lo attesta il suo progetto delle Carcere Nuove di Campagnano. Anche se parte delle fortificazioni di Campagnano sono state irrimediabilmente perse, il catasto comunale del 1577 offre alcune indicazioni sulla fortezza: si evocano le porte antiche della città (la Porta Vecchia, la Porta delli Monti di Pietro, la Porta la valle, la Porta da capo e la Porta dinanti a Santo Antonio).
Nel XVI secolo, come per dimenticare la pagina medievale di guerre, saccheggi e calamità, e in concomitanza con il periodo di gloria degli Orsini, esplode in Campagnano l'arte del Rinascimento e del Barocco. I Fratelli Zuccari abbelliscono con affreschi la chiesa Parrocchiale di Sant’Andrea, che aveva quattro cappelle (del Santissimo Sagramento, dello Spirito Santo, del Santissimo Rosario e dell’Epifania) e profonde sono le trasformazioni nella Collegiata di San Giovanni Battista: in un manoscritto del 1708, si legge: dalle poche memorie rimaste in Cancelleria di essa Comunità da secoli passati solo nel secolo dell’anno 1503 si trova che dovendosi ampliare la Chiesa sudetta fu proposto in Conseglio la spesa, et Architetto, et altre spese che si dovevano fare per quel effetto e fu risoluto da quei Consiglieri l’ampliatione sudetta, et il tutto si reggeva dalla Communità, e Priori; dell’erettione poi di essa Chiesa non se ne trova memoria alcuna se fosse Collegiata in detto tempo, o no, e se fosse provista di Canonici, o altri Priori semplici. Nel 1582, per il Coro, il Soffitto e la sistemazione del Presbiterio della chiesa, Paolo Giordano Orsini ricorre all’opera dell’allievo di Michelangelo, Giacomo Del Duca. Nel 1592 si intraprende la demolizione del vecchio campanile per edificarne uno nuovo (1602) ma che tre anni dopo nel 1605 sarà colpito da un fulmine. Il restauro avverrà soltanto attorno all’anno 1632.
Nei
secoli XVII e XVIII si edificano i bei palazzi nobili della contrada Rocca e della
via Paolina che formerà il cosiddetto
Borgo Paolino: il Palazzo del Governo, il Palazzo Baronale Chigi nell’odierna piazza Leonelli, i
Palazzi Chiatti, Spagna, Sforza-Cesarini. Ma, dai documenti si nota anche
l’inizio della crisi dell’edilizia pubblica: si devono riattare i
vecchi fontanili dove manca l’acqua, i condotti che la perdono, selciare
le strade interne della città che sono fangose, finire i lavori della
Porta Maggiore che sono interminabili. Anche le antiche chiese hanno
bisogno di restauri urgenti, e innumerevoli sono le suppliche alla Sacra
Congregazione del Buon Governo per finanziare i lavori della chiesa di
Santa Maria del Prato, del convento nel quale Antoniazzo Romano aveva
affrescato l’Ultima Cena nel XV secolo e del campanile crollato nel
1719. Nel
1717, il Governatore Silvestro Bucci chiede alla Sacra Congregazione che
la Cancelleria Priorale, contigua alla Collegiata, sia trasferita nel
Palazzo del Barone sulla piazza pubblica perché la
Porta della Cancelleria si trova attaccata alla Porta principale di detta
Chiesa; e tanto per entrare, come per uscire dalla medesima Cancelleria
conviene salire, et uscire dalla detta Chiesa. Monsignor
Vai, nel 1725, costata che Havendo
visitata la Cancelleria, habbiamo riconosciuto, che nella festa di Santa
Croce di Maggio i priori fanno cucinare nella detta Cancelleria
angustissima e contigua all’Archivio e per conseguenza con pericolo di
dar fuoco ai libri, e scritture della Communità. Nel
1726 è edificato il Palazzo del Governo per le funzioni del Consiglio,
ospitante anche la scuola pubblica, il macello e i granai sotterranei
(l’edificio e le Carceri saranno
demoliti alla fine del XIX, dopo votazione dei Consiglieri). In questo
stesso anno si segnala che il patrimonio archivistico contenente le
antiche memorie di Campagnano necessita della urgente trascrizione e
descrizione perché corre l’incombente pericolo d’essere
definitivamente rovinato dall’umidità e dagli incendi. Anche
il Convento dei Cappuccini, fondato nel 1606, necessita di lavori urgenti
a partire dal 1730, ma non potendo affrontare l’enorme spesa dei lavori
di restauro, sarà definitivamente abbandonato nel 1810.
Nel
XVIII secolo alcuni devoti di Campagnano fanno edificare nuovi luoghi di
culto: una chiesa in Monte Razzano detta del Sorbo (1735), rappresentata
in disegno da Carlo Zanchi ne Il Vejo Illustrato (1768), e la
chiesa della Madonna della Vittoria presso il Convento dei Cappuccini
(1743). Nel 1741, si fa riparare l’orologio del campanile sulla piazza
pubblica. Nel 1745 circa è edificata la chiesa dedicata alla Madonna
della Consolazione. Nel 1752 gli “zelanti” di Campagnano chiedono il
restauro della fontana sulla medesima piazza che sarà effettuato nel 1753
per volontà del Principe Augusto Chigi e, sempre nel 1752, si segnala che
la Collegiata necessita anch’essa di restauri
urgenti del soffitto, per il quale si teme il crollo imminente, e del
Presbiterio; la riparazione dell’orologio del campanile sarà effettuata
dall’esperto inglese Pietro Witell (1754). Nel 1766, il Governatore di
Campagnano espone l’urgenza del restauro della Porta Maggiore
della Collegiata; nel 1793, essendosi rotta la campana dell’omonima
chiesa, i Canonici e il Popolo di Campagnano chiesero il permesso di
rifonderla; nel 1827, si è per poco evitato l’irreparabile:
l’imbiancatura dell’interno della chiesa principale di Campagnano,
evitata con lettera “riservata” alla Sacra Congregazione del Governo
da Pietro Piazza, evocando l’unicità degli affreschi e del soffitto. Nel 1757 si decise la demolizione di un edificio importante, appartenente a Filippo Paroncini, situato in Monte di San Giovanni all’altezza dell’odierno numero civico 2 di via San Giovanni, a fianco a Palazzo Galli, perché occupava gran parte della strada maestra, impedendo il passaggio delle processioni. Una leggenda narra che, pochi anni dopo l’edificazione di questo sito, qualcuno sognò per tre notti la Madonna che gli consigliava di andare nel sotterraneo; venne così scoperta un’antica cisterna d’acqua che poteva far temere il crollo dell'edificio: così nacque il culto per la Madonna del Buon Consiglio e la sua effigie testimonia ancor oggi di questo avvenimento e dell’esistenza della cisterna ipogea sottostante; probabilmente è stata demolita soltanto una parte del palazzo perché tuttora si può leggere sullo stemma del portone: IMS FP 1757.
Nel
1770 il Popolo di Campagnano, per fare buona accoglienza al giovane
principe Chigi, sostenne le spese per l’erezione di un Arco con i denari
della Comunità. Due anni dopo, il Cardinale Chigi ottenne la reliquia del
corpo intiero
coll’ampolla del sangue di San Celestino Martire per collocarlo sotto l’altare maggiore della
Collegiata di San Giovanni Battista. Nel 1789 sussisteva ancora il
problema dell’antico archivio e la trascrizione dell’antico statuto di
Campagnano diventato ormai quasi
del tutto illeggibile. Nel XIX secolo si effettuarono i lavori della Fontana Secca (1804) e i restauri delle chiese di San Sebastiano e San Rocco, e della Madonna del Sorbo a Monte Razzano (1808). Sotto l’Impero Francese, nel 1812, gli infelici orfanelli e ragazze rimaste abbandonate alla strada per morte dei propri Genitori vengono rifugiate nel Ritiro Pio di Sant’Andrea. Nel 1813, il Principe Chigi vende l’antica ed unica osteria situata nel comune di Campagnano e che ab immemorabili ha servito ad uso di Albergo ai forastieri, e della Depositaria de’ Bestiami dove erano incarcerati gli animali danneggianti e considerata da sempre di pubblica necessità; siccome il nuovo proprietario aveva l’intenzione di trasformare i locali per altro uso, il Sindaco Cappelli si mise in cerca di un edificio sufficientemente ampio per ospitare un’osteria e una Depositaria de’ Bestiami per la comodità degli abitanti e propose un edificio di proprietà del Comune, adibito a cascina e granaio e non ancora terminato (probabilmente la fabbrica detta di Scarnicchia).
Nel
1817 un esposto segnala che, malgrado l’ordine dato, non sono ancora
stati effettuati i lavori delle Carceri e nel 1818 si chiede
all’ingegnere Giuseppe Valadier di progettare le Carceri Nuove. Si
suppone che il suo progetto fu realizzato perché prima, nelle carceri di
Campagnano, non vi era la cappella; Valadier riuscì ad inserirla nel suo
progetto e nel 1829, nell’inventario della consegna delle carceri, vi
sono elencati gli arredi sacri della cappella. Nel 1818, per ordine del
Sindaco Francesco Venturi, vengono effettuati i lavori per trasformare la Fabrica
Communitativa detta di Scarnicchia
in una caserma per la Brigata dei Carabinieri Pontifici a cavallo ed è
l’edificio attuale che ospita gli uffici del Parco Regionale di Veio,
dell’A.V.I.S. e del Centro Anziani (Vedi Catasto Gregoriano, contrada
Ponte). Nel 1820, la Compagnia delle Sacre Stimmate supplica alla Sacra
Congregazione del Buon Governo la riparazione dell’Oratorio dopo il
disastroso passaggio delle truppe. Nel 1827 i devoti di Campagnano
supplicano onde
venga riparata la ruina che minaccia la chiesa rurale di Santa Lucia
e chiedono una sovvenzione per i restauri urgenti da fare nella chiesa di
Sant’Andrea Apostolo, invocando i preziosi affreschi dei fratelli
Zuccari. I catasti antichi sono meravigliosi mezzi di investigazione per chi voglia approfondire la storia di una città e il primo catasto attualmente conosciuto fu redatto nel 1485 ed elenca i beni di Virginio Orsini e dei singoli possessori dei fondi esistenti in Campagnano. Sullo stesso modello, vale a dire un registro nel quale il proprietario dichiara di avere e possedere tale bene stabile con sommarie descrizione ed ubicazione, saranno redatti i tre catasti comunali giunti fino a noi degli anni 1577, 1616 e 1628. Sul finire del XVII secolo i catasti si rivelarono indispensabili allo Stato Pontificio per determinare e quantificare le tasse dei vari proprietari e delle comunità. Questa operazione iniziò con Papa Alessandro VII che ordinò nel 1660 un catasto (detto appunto Alessandrino), compilato al fine di una precisa imposizione della Taxa viarum e per la realizzazione della mappa tutti i proprietari, in vista del catasto, erano tenuti a presentare le piante e i disegni dei casali, mole, tenute e feudi. In realtà, la suggestiva mappa Sviluppo della strada fuori di Porta del Popolo da Roma sino a Viterbo non è un catasto vero e proprio ma si può considerare come l’antenato dei futuri catasti particellari. Lo stesso papa commissionò a Francesco Esquinardi una “carta topografica delle tenute dell’Agro Romano”, il quale aveva un estimo catastale diverso rispetto ad altri territori alle porte di Roma e aspre erano state le controversie per definire i confini dell’Agro Romano. La morte del papa nel 1666 impedì questo progetto. Servendosi del materiale raccolto dall’Esquinardi e visitando personalmente tutto il territorio della Campagna Romana, Giovanni Battista Cingolani della Pergola realizzò nel 1692 la monumentale carta intitolata Topografia dell’Agro Romano, considerata all’epoca come l’unico catasto dell’Agro Romano al fine di imporre le gabelle che baroni e comunità erano restii a pagare. Nel 1777 la maggiore operazione catastale affidata al Buon Governo fu quella della compilazione del Catasto Piano (promosso da Pio VI) in tutto lo Stato Pontificio, e il Catasto Piano di Campagnano è composto di tre registri di formato eccezionalmente grande. Nel 1816 inizia la laboriosa compilazione del Catasto Gregoriano, ispirato al Catasto Napoleonico: è il primo catasto particellare dello Stato Pontificio, commissionato da Papa Pio VII, ma, vista la complessità dei rilievi e delle nuove unità di misura da adottare, fu attivato soltanto nel 1835 durante il pontificato di Gregorio XVI. Di tale catasto si propone la trascrizione quasi completa dei “brogliardi”. Sul modello del Catasto Gregoriano saranno realizzate le cinque mappe catastali (Campagnano, Valle di Baccano, Pavone, Monterazzano e Selva Grossa) e anche il Catasto Rustico del 1860, rimasto in vigore fino all’anno 1952. 3 – Campagnano: Signoria degli Annibaldi, Contea degli Orsini e Baronia dei Chigi All’inizio del millennio le antiche famiglie della Campagna Romana, Conti Tusculani, Crescenzi, Curtabraga ed altri, sono molto potenti, ma nel Basso Medioevo se ne perde traccia e poche famiglie riescono ad imporre il nome della loro casata. Fino al XII secolo alcune famiglie non usarono alcun cognome, e per essere distinte le une dalle altre era consuetudine di aggiungere al proprio nome quello del padre o dell’avo. Nei documenti del XIII secolo vengono citate le prime casate baronali che ritroveremo ricche e potenti nei secoli successivi: Cesarini (che si vantavano d’essere i discendenti di Giulio Cesare), Colonna, Caetani, Savelli, Orsini, ma anche Conti, De Ceccano e Annibaldi, i tre d’origine germanica (si suppone che Riccardo Annibaldi fosse discendente di Annibale). In alcuni casi tra le casate estinte, menzionate sopra, e quelle dei secoli successivi esistevano legami di parentela e quindi la successione dei domini. Nel XIII secolo la Campagna Romana fu divisa tra i baroni, appoggiati dall’aristocrazia germanica e la dinastia angoina, che prendono città e territori sotto la loro protezione. Per conseguenza si stipulano i primi statuti, conventiones, tra il popolo ed il signore. Lo statuto di Campagnano, uno dei primi nella Campagna Romana, è redatto nel 1270 tra gli Uomini del Castello e il cardinale Riccardo Annibaldi, ed è anche sottoscritto dai Curtabraga padre e figlio e nel 1286 Pietro di Annibaldo degli Annibaleschi, Proconsole Romano e Signore di Campagnano concede ai suoi vassalli il privilegio di poter vendere i loro beni immobili. Fino alla metà del XIII secolo, se il signore era in pieno possesso della sua giurisdizione, il Comune di Roma non interveniva nelle questioni tra signore e vassalli. Era il caso di Campagnano. Brancaleone d’Andalò, eletto Senatore di Roma nel 1252, combatte il baronaggio, rivendica l’ingerenza nella Campagna Romana e mette il Comune di Roma in possesso del monopolio del sale e del focatico. Nel 1263, con Bolla del 10 dicembre, il papa Urbano IV proibisce ai baroni, milites, baronissae et mulieres de militari, di vendere e “distrarre” castelli, feudi, uomini, vassalli, terre, case e vigne. Durante tutto il XIV secolo il territorio di Roma corse il pericolo di diventare un gruppo di piccole sovranità: l’allontanamento dei papi in Avignone con la loro corte di vescovi e cardinali generò una grave crisi economica e le famiglie nobili romane, i Colonna, gli Orsini, i Caetani, i Savelli, lottarono fra loro per il dominio delle città dello Stato Pontificio, prive del controllo papale. Attorno all’anno 1350 vassalli e signori erano in lotta e il Comune di Roma doveva a tutti i costi impedirla, sopratutto nell’interesse dell’agricoltura. Cola di Rienzo sottomise con le armi i baroni più potenti che seminavano disordine e saccheggiavano la Campagna Romana. Impedì le esportazioni di grano che i baroni facevano per mare, sottraendolo al consumo del Popolo Romano. Un avvenimento drammatico illustra la tensione che poteva regnare in quest’epoca: nel 1352 il senatore Bertoldo Orsini fu lapidato in Campidoglio dal Popolo Romano per aver favorito l’esportazione di grano via mare. Nel 1353 i magistrati della pubblica amministrazione di Roma, i Conservatori, si dichiarano protettori della città di Campagnano e più tardi gli statuti di Roma del 1363 stabiliscono i patti con i comuni del territorio, anno in cui Paola e Bartolomea Annibaldi vendono a Rinaldo Orsini i loro beni, diritti e ragioni su Campagnano; nel 1369 Marsibiglia, vedova di Paolo di Nicola Annibaldi, dona il Castello di Campagnano, la Torre di Baccano con il lago e il Castello del Sorbo a Matteo di Paolo dell’Isola Conversina che li dona due giorni più tardi ad Alessio di Buccio Romani. Nel 1370 gli uomini e il comune di Campagnano si promettono in vassallaggio al Comune e al Popolo di Roma, chiedendogli di assumersi la pensione dovuta a Marsibiglia e d’essere liberati dal pagamento di quattromila fiorini dovuti alla moglie di Alessio di Buccio e d’esser trattati come il Popolo Romano. Alla fine del XIV secolo i Prefetti di Vico, d’origine normanna, sono spossessati delle terre di Bracciano che passa alla famiglia Orsini, già possidente di molti territori in Campagnano, Formello e Sacrofano. Nel 1410, i Conservatori della Camera del Senato vendono la città di Campagnano a Gentile Orsini e questo atto sarà di fondamentale importanza quando gli Orsini inizieranno a vendere alcuni censi su Campagnano nel 1630. Il XV secolo è un periodo di gloria per gli Orsini che ottengono dal Re Ferdinando di Sicilia di aggiungere il cognome d’Aragona al proprio nome. Nel 1535 è redatto il nuovo statuto di Campagnano, come attesta un manoscritto del Governatore di Campagnano (1708), nel quale dice: L’anno poi 1535 fu fatto il statuto in detta Terra et in quello ordinato che li Priori eleggano due Santesi sopra l’amministratione della Fabrica di detta Chiesa (San Giovanni Battista), e quelli dovessero render conto fedele alli Priori, e Communità e stare ad eletione di medemi anche levarli, et in questa forma si è sempre praticato continuamente con tutta osservanza gratia, senza alcun pagamento, e recognitione a medemi, come anche di presente s’osserva. In quell'epoca il Cardinale Guido Ascanio Sforza è nominato tutore degli eredi di Girolamo Orsini (condannato in contumacia per l'uccisione del fratello Napoleone nel 1534), sposato con Francesca Sforza che assume la carica di tutrice e generale amministratrice delle Terre degli Orsini. Nel 1553 il Cardinale Guido Ascanio Sforza, tutore di Giordano Orsini, scrive di suo pugno i capitoli dello statuto di Bracciano, esteso a Campagnano. Nel 1560 Papa Pio IV conferisce a Bracciano il titolo di Ducato, assoggettandogli Campagnano ed altri castelli. In un documento del Governatore Ambrosini (Vedi Seconda parte, Capitolo 1, anno 1712, 11 settembre), si evoca lo statuto redatto nel 1577, approvato dal Duca Paolo Giordano Orsini: lo statuto locale dà l’autorità al Barone d’eleggere ogni sei mesi sei Priori come al capitolo 28 si dispone nel quale anche si legge che tale carica debba durare sei mesi. Nell’anno 1577, alli 18 di maggio furono in publico Consiglio eletti ventiquattro consiglieri qual Consiglio poi venne approvato dalla felice memoria del Duca Paolo Giordano Orsini di quel tempo Padrone di Campagnano, anzi da esso sottoscritta tale elezzione, e permutato il nome de massari in quello de Priori, e che questi dovessero essere quattro. Nel 1585 nasce il Governo Baronale di Campagnano per amministrare gli affari della città e del territorio. Nel 1588, con bolla Immensa Aeterni Dei, Papa Sisto V istituisce 15 congregazioni per il governo spirituale della Chiesa e temporale dello Stato Pontificio, fra cui la Sacra Congregazione del Buon Governo che era uno dei due rami della nona congregazione detta degli Sgravi. La Sacra Congregazione del Buon Governo, dall’anno 1633 all’anno 1846, ha avuto un reale potere a Campagnano: ne gestiva l’amministrazione che aveva un Consiglio e un Magistrato comunale; i Consiglieri della comunità erano di tre tipi, generale, pubblico e particolare. Le comunità avevano dei doveri ben precisi verso la Congregazione che doveva a sua volta far fronte a grandi spese per l’amministrazione dello Stato: - La “Communità” era tenuta a riportare sulla tabella di ogni anno le principali entrate e uscite, sia camerali che "communitative", dando i dettagli sia nella natura che nella destinazione. Dopo esame della tabella, il Monsignore “visitatore” redigeva una relazione e i nuovi decreti da rispettare (Vedi la visita di Monsignor Vai nell’anno 1725, proposta integralmente). Le prime visite, dette economiche, furono effettuate a gruppi di comunità per fare ispezioni (Vedi la visita di Magliano Pecorareccio, Scrofano, Cesano, Formello e Campagnano di Monsignor Loni nel 1716). I visitatori venivano inviati in tre modi: dalla Congregazione del Buon Governo ex officio, in virtù delle sue ordinarie facoltà, dalla Congregazione del Buon Governo “con l’oracolo pontificio”, dal Pontefice per breve (in questo caso, i visitatori erano detti “Visitatori Apostolici” come Monsignor Vai, ed avevano amplissimi poteri). Durante le visite si effettuava anche il censimento della popolazione: al pari dei catasti, la Congregazione del Buon Governo doveva formare teoricamente ogni decennio “lo stato delle anime”, necessario a regolare la ripartizione dell'imposizione, la fornitura coattiva del sale, ecc. La prima numerazione generale dello Stato Pontificio si ebbe nella Pasqua del 1656 ed era affidata ai parroci. Nel 1704, Campagnano contava 1600 anime (vedi visita di Monsignor Lecce) e nel 1769 contava 1557 anime: 1514 per la parrocchia di S. Giovanni Battista e 43 per la parrocchia di S. Andrea. - La Congregazione gestiva anche le imposte come la colletta, che poteva essere reale, personale o mista, e la gabella, che era di due tipi: camerale, il cui ricavato andava alla Reverenda Camera Apostolica, cioè allo Stato Pontificio, e communitativa che era a favore del comune. Dal pagamento dei pesi communitativi erano esclusi gli ecclesiastici e gli altri “privilegiati”. Esisteva anche la tassa delle galere, istituita da Sisto V nel 1588, che rimase in vigore fino al 1801 (Vedi Memoriale dell’auditore civile A. Cavalli alla Sagra Congregazione del Buon Governo con nota delle spese che gravavano annualmente la Comunità di Campagnano). Per l’amministrazione delle strade e delle acque, la Congregazione dovette istituire tasse per la manutenzione delle strade partenti dalle porte di Roma; inoltre, ripartiva le spese per le riparazioni straordinarie effettuate in occasione degli Anni Santi o del passaggio di sovrani stranieri od in seguito a necessità improvvise. All’inizio del XIX secolo la Congregazione del Buon Governo assunse compiti e funzioni ancora più vasti di quelli svolti nei due secoli precedenti, specialmente con l’attribuzione ad essa dell’amministrazione delle strade dello Stato Pontificio e con la dismissione del debito delle comunità. - La Sacra Congregazione del Buon Governo doveva anche sostenere molte spese, come le spese militari, sia durante le guerre sia in seguito ai danni arrecati dal passaggio di numerosi eserciti stranieri nella prima metà del secolo XIX, durante il periodo napoleonico. C’erano anche le spese di polizia (birri, carabinieri, lotta al brigantaggio) e dei soldati Corsi che costituivano una milizia arruolata per mantenere l’ordine pubblico all’interno dello Stato Pontificio. Un altro corpo di polizia era costituito dai birri di campagna, per “servizio della giustizia”. Ad essi erano somministrati “utensili” (olio, aceto e sale per l’insalata, un lume per la notte, un pagliericcio per dormire e fieno per i cavalli) e le pattuglie erano formate da un caporale e da cinque uomini. - La Congregazione del Buon Governo creò anche numerosi Monti, che erano prestiti pubblici con cartelle del valore di 100 scudi e il capitale ottenuto per mezzo del Monte veniva impiegato a scopi diversi: guerre, lavori pubblici, ecc. A Campagnano, in favore dei poveri, furono creati i Monti dell’Abbondanza e del Frumentario, grazie alla donazione di grano del Principe Chigi nel 1744. - All’inizio del XIX secolo la Congregazione dovette istituire un organismo speciale per la lotta contro le locuste: le invasioni di insetti erano frequenti nel Territorio Romano e la legislazione pontificia ripeté più volte provvedimenti diretti a combattere il flagello: “Si sollevarono insetti in volo, riuniti in innumerevoli sciami, e tragittando il Tevere, passarono ad infestare 125 tenute e 22 comuni sino ad Anguillara e Bracciano”. Per la lotta contro le locuste furono spesi, nel solo Agro Romano, sotto la sorveglianza della Polizia, scudi 27.323,88 nel 1809. Nel 1812, le tenute infestate furono 91 e i comuni 11 fra cui Campagnano. -
Presso molti comuni v’erano catasti antichissimi e l’uso
di nuovi catasti divenne indispensabile quando si stabilì un sistema
tributario statale, con imposizioni permanenti, ripartite per Aes et
libram. Innocenzo XI, sentito il parere del Buon Governo, ordinò con
chirografo del 30 giugno 1681 diretto al Cardinale Cybo, prefetto della
Congregazione, la formazione di nuovi catasti. La compilazione fu fatta
mediante “assegne” (denunzie) da parte dei proprietari ed erano
obbligatorie per tutti, compresi ecclesiastici e privilegiati. Nel 1708 il
Cardinale Imperiali ordinò l’aggiornamento dei catasti in tutte le
comunità dello Stato Pontificio. La maggiore operazione catastale
affidata al Buon Governo fu quella della compilazione del Catasto Piano
(promosso da Pio VI) in tutto lo Stato Pontificio. Nel 1816 il nuovo
catasto voluto da Pio VII seguì il metodo napoleonico e fu adottato il
sistema metrico decimale in tutto lo Stato Pontificio. La Congregazione
del Buon Governo istituì gli “Stati dei beni” che, per ogni comunità,
dal 1821 al 1828, comprendevano le seguenti indicazioni “stato dei beni
urbani, molini e valchiere”, “stato dei beni rustici, pascoli e
macchie”, “stato dei censi attivi e frutti compensativi”.
L’attuazione del nuovo catasto, chiamato Catasto Gregoriano, non fu però
affidata alle cure del Buon Governo, ma a quelle di un apposito organismo:
la Presidenza Generale del Censo. Il
XVI secolo, che vide la formazione delle congregazioni, e nonostante le
nuove misure amministrative prese per la gestione delle comunità dello
Stato Pontificio, fu il secolo della grande crisi economica per il Papato
e l’antica aristocrazia romana, che tentiamo di riassumere: -
Le
guerre del XVI secolo recavano onore e titoli ma non per questo erano
sempre redditizie sul piano economico e sono una delle cause principali
dell’indebitamento dei potenti. Gli Orsini, oltre ad impegnarsi nelle
guerre della Penisola, non esitavano a fornire validi capitani anche alla
Francia e alla Germania. Nel suo scritto, Biografie di Ingegneri
militari italiani dal secolo XIV, Carlo Promis riporta uno tra i tanti
episodi di guerra: “Nel 1543 Virginio Orsini, Conte dell’Anguillara,
essendosi portato con quattro galere al servizio della Francia, fu fatto
Luogotenente dell’Ammiraglio e il Re se ne volse valere per una
spedizione che meditava fare contro Barcellona.”
- Dopo il Sacco di Roma (1527), la Città Eterna deve essere ricostruita e il XVI secolo ne cambierà radicalmente la fisionomia: l’unica ossessione dei potenti è di abbellirla. Si fa a gara per edificare il più bel palazzo, arricchito da cortili con reperti archeologici comprati a peso d’oro e si ricorre all’arte dei più famosi “frescanti”, pittori, scultori ed architetti del tempo: i fratelli Zuccari, Michelangelo, Bramante, Antonio da Sangallo il Giovane, Martino Longhi il Vecchio, Giacomo della Porta, il Vignola e molti altri.
-
Figli
e nipoti del Papa attingevano direttamente alle casse dello Stato
Ecclesiastico e i nobili aspiravano ad entrare nella famiglia papale.
Nella speranza di combinare matrimoni per le proprie figlie dovettero
mantenere alto il loro tenore di vita, indebitandosi: il Cardinal Orsini,
nel suo palazzo di Roma, nutriva 200 “bocche” tra membri della sua
famiglia, protetti, servitori e segretari (rif. ASC, Fo, II, tomo
n°1808), mentre il palazzo del papa ne
contava in tutto 700, e nel 1568 la dote delle ragazze Orsini ammontava
alla somma colossale di 30.000 scudi, pari a 900 chilogrammi d’argento
fino.
-
I
patrizi romani avevano la passione per il gioco d’azzardo e
scommettevano somme astronomiche sull’elezione di questo o quel papa o
sulla creazione dei cardinali. Alcune famiglie si rovinarono completamente
e i banchieri dell’epoca furono coinvolti in queste speculazioni vietate
poi da Sisto V, ma invano, e poi da Gregorio XIV che ingiunse a tutti i prìncipi
cattolici, sotto minaccia della scomunica, di proibire le scommesse nei
loro stati.
-
Fino
al XVII secolo l’aristocrazia s’interessava poco all’industria e
preferiva procurarsi rendite acquistando cariche e titoli fondiari o di
prestito e “monti non vacabili” (Vedi glossario); ma i guadagni troppo
facili distolsero la borghesia e l’aristocrazia dall’industria e dal
commercio. Tutti aspiravano a vivere da prìncipi e il lusso costava caro!
Nell’anno 1550 le finanze di Paolo Giordano Orsini d’Aragona, Conte di
Campagnano, diventano disastrose: lo zio materno, Guido Ascanio Sforza,
dovrà firmare innumerevoli quietanze, pagate ai banchieri lombardi
Olgiati, genovesi Pinelli e Giustiniani, ed altri. Alla fine del XVI
secolo gli Orsini avevano 70.000 scudi di rendita ma 400.000 di debiti.
Furono costretti a vendere terre e palazzi e a cedere ai nuovi venuti il
rango che avevano mantenuto così a lungo nell’aristocrazia romana e
furono ridotti all’impotenza politica. La crisi covava da molto tempo,
ma ebbe il suo culmine sotto Papa Sisto V. Il suo governo tentò di
aiutare i baroni romani e li autorizzò ad emettere prestiti garantiti
dallo Stato, ma poiché ricusavano di pagare gli interessi, lo Stato li
costrinse a vendere i loro beni per liberarsi dai debiti. Nonostante tali
misure la situazione dei baroni romani continuava ad aggravarsi, e i
pontefici si preoccuparono di tutelare innanzi tutto i creditori delle
famiglie nobili. Sisto V lancia l’idea di un grande prestito detto
“Monte de’ Baroni”; i primi beneficiari sono gli Orsini, i Savelli,
i Cesarini, gli Sforza, i Colonna. Il monte rendeva un interesse annuo del
6,5%, non “vacabile” e perpetuo, garantito completamente con rendite
di beni fondiari. Ma i nuovi debiti per liberarsi di quelli vecchi
costrinsero i signori romani a vendere parte del loro patrimonio. Papa
Clemente VIII, invocato dagli innumerevoli reclami dei creditori, decise
di assumersi tutti i debiti “legittimi” delle grandi casate a
condizione che garantissero il rimborso attraverso il loro patrimonio
familiare. Molti aristocratici furono colpiti da questa misura,
principalmente i Savelli e gli Orsini. Una commissione di cardinali, la
“Congregazione de’ Baroni”, organizzava la vendita all’asta delle
tenute sequestrate. Questo movimento fondiario di fine XVI secolo non
aveva permesso di liquidare del tutto l’enorme passivo dei debiti
accumulati in un secolo dall’aristocrazia romana, ed è per questo che,
ancora alla fine del XVII secolo, i Savelli vendono Ariccia ai Chigi. Per
pagare i molti creditori, Ferdinando e Flavio Orsini, nel 1653, iniziano a
vendere alcuni censi di Campagnano ai Colonna e ai Chigi. Con chirografo del 4 settembre 1660, scritto dal Palazzo Apostolico di Monte Cavallo (Quirinale), confermato con un altro chirografo del 3 settembre 1661, Papa Alessandro VII Chigi, derogando alle costituzioni dei suoi predecessori Sisto V, Clemente VIII, Paolo V, Urbano VIII e Innocenzo X, autorizza la vendita di Campagnano dal Cardinale Virginio Orsini, Flavio Orsini Duca di Bracciano e Lelio Orsini suo fratello, a favore di Flavio Chigi, nipote del pontefice che nello stesso anno prende il titolo di Principe di Campagnano. L’esecuzione dei mandati ebbe luogo nel 1662. L’epoca chigiana di Campagnano, diventata Baronia dei Chigi e amministrata dal Governo Baronale, dal XVIII al XIX secolo, sarà inevitabilmente presa nel vortice politico che regnava allora in Italia e in tutta l’Europa: nel 1798 Napoleone proclamò la Repubblica Romana e le sue truppe occuparono Roma; Campagnano vide il passaggio di questi soldati che seminarono distruzione e rovina danneggiando anche alcuni monumenti, come il convento dei Padri Minori Osservanti di S. Maria del Prato. Durante la Repubblica Romana (1798-1799) lo Stato Pontificio cessò di esistere e la Congregazione del Buon Governo fu soppressa; lo Stato fu diviso in 8 Dipartimenti (Roma fu chiamata Dipartimento del Tevere), divisi in Cantoni e quest’ultimi in Municipalità. Sia durante la Repubblica Romana che durante il periodo napoleonico, alla denominazione “Comunità” fu sostituita quella di “Comune” (di genere femminile). Nel 1805 Napoleone I, Imperatore di Francia, si incoronò Re di Roma e nel 1809 annette Roma e il Lazio alla Francia, e Campagnano, dall’anno 1809 all’anno 1814, è amministrata dai prefetti e sotto-prefetti di Roma, scelti da Napoleone. Il Governo Provvisorio, che amministrava le Province unite all’Impero Napoleonico, cessò la sua attività l’11 maggio 1814 quando il Presidente del Consiglio Generale dell’Amministrazione ne fece la cessione a Monsignor Rivarola, delegato di Pio VII. Il 2 luglio 1814, riprese a funzionare regolarmente la Congregazione del Buon Governo con tutti i suoi uffici ma le province romane saranno rese a Papa Pio VII soltanto nel 1815. Dopo il periodo napoleonico e la Restaurazione, il motuproprio del 6 luglio 1816 indicò le norme relative alla riorganizzazione dell’Amministrazione Pubblica, e nel Lazio, caso unico rispetto alle altre province, furono ripristinate le giurisdizioni baronali. Il Consiglio di ciascuna “Comune” era composto di un numero variabile da 18 a 48 consiglieri e la magistratura era composta da un Gonfaloniere (Vedi Francesco Venturi nel 1818) e da 2, 4, o 6 Anziani. L’Editto del 5 luglio 1831 segnerà la fine di gran parte delle attribuzioni del Buon Governo, le cui attività ed autorità sull’amministrazione di Campagnano cesseranno definitivamente nel 1846. Il 31 dicembre 1847 è l’ultimo giorno di vita del Buon Governo nello Stato Ecclesiastico. L’anno successivo, il 14 marzo 1848, Papa Pio IX concede la Costituzione per lo Stato Pontificio, primo passo verso la democratizzazione. I Francesi ristabilirono a Roma il potere temporale e l’autorità del papa nel 1849, anno della proclamazione della Repubblica Romana. Il 2 ottobre 1870 Roma e il Lazio saranno per ultimi uniti al Regno d’Italia, segnando la fine anche del Governo Baronale di Campagnano.
Stemma
con la rosa, emblema della famiglia Orsini, innestato con le armi
d’Aragona (1487) L’origine della storica famiglia romana degli Orsini risale al X secolo, ma la sua importanza storica e politica si affermò nel XII secolo con Orso di Bobone, discendente dei Bobi o Boboni ovvero Boveschi: nel Medioevo, molte famiglie pur essendo rinomate ed autorevoli, non avevano ancora adottato un cognome stabile, ed è accertato che il primo antenato della nobile famiglia Orsini fu Bobo il quale ebbe un figlio, Orso che visse nel 1150 circa; i discendenti di Orso di Bobone si chiamarono figli Ursi ed i loro successori Ursini. Alla fine del XII secolo la famiglia Bobone ebbe tre cardinali ed un papa, Celestino III 4 (Vedi pag. 39). Il Bobone, abate del monastero dei SS. Cosma e Damiano, del quale abbiamo una pergamena del 1186, fu creato cardinale nel 1188 5 (Vedi pag. 40). Più tardi, nel 1272, Angelo di Paolo Bobone redige il suo testamento ed elenca le sue proprietà in Campagnano. Nel XIII secolo, Matteo Rubeo (Rosso) Orsini, figlio di Orso di Bobone e nipote di Papa Celestino III, fu l’artefice della fortuna della sua famiglia. Fu Senatore di Roma e Signore di Vicovaro ed estese il suo dominio su altre città nei dintorni di Roma. Il figlio di Matteo Rubeo, Giangaetano, fu eletto pontefice nel 1277 con il nome di Niccolò III. Nel XI secolo, con la presa di posizione con il Papato e le guerre incessanti tra guelfi (partito degli Orsini) e ghibellini (partito dei Colonna), parte della famiglia Orsini fu costretta ad allontanarsi da Roma per rifugiarsi in Francia e in Germania, dove il nome della casata esiste tuttora. Dagli Orsini rimasti a Roma, si formeranno sette rami che formeranno diverse famiglie. Al terzo ramo appartengono i Duchi di Gravina e Conversano. Il quarto ramo è quello che c’interessa di più per la storia locale: sono i Conti di Tagliacozzo. Furono essi Principi dell’Aquila e Conti d’Anguillara, Signori d’Alba e Duchi di Bracciano, e Giordano Orsini fu Conte di Campagnano, Marchese di Trevignano e Signore di Piombino. I discendenti di Giordano otterranno il titolo di Duchi d’Aragona. Dopo il ritorno dei Papi a Roma nel 1377, dopo la loro cattività in Avignone, gli Orsini riconfermarono al Papato la loro profonda fedeltà e devozione. Alla fine del XIV secolo i Prefetti di Vico, d’origine normanna, sono spossessati delle terre di Bracciano che passarono alla famiglia Orsini, già possidenti di molti territori in Campagnano, Formello e Sacrofano. La vendita della città di Campagnano agli Orsini avvenne nel 1410. Il primo ottobre 1481 Papa Pio II nomina Virginio, Conte di Campagnano. Il XV secolo è un periodo di gloria per gli Orsini, validi capitani militari: nel 1485 il Duca di Milano, Giovanni Galeazzo Sforza, dona la facoltà a Gentile Virginio Orsini di portare nelle sue bandiere le Insegne dell’illustre famiglia Sforza per aver difeso con gloria il Re Ferdinando di Sicilia contro i suoi nemici, e nel 1487 lo stesso Re Ferdinando gli concede di aggiungere il cognome d’Aragona al proprio nome. Durante il Sacco di Roma nel 1527 tentarono di difendere l’Urbe contro gli atti vandalici di Carlo V. Nel 1534 Girolamo Orsini è condannato in contumacia per l'uccisione di suo fratello. Sua moglie, Francesca Sforza, sorella del Cardinale Guido Ascanio, assume la carica di tutrice e generale amministratrice delle terre degli Orsini. Nel 1560, in seguito al matrimonio di Paolo Giordano Orsini (figlio di Girolamo Orsini e di Francesca Sforza), con Isabella de’ Medici, Papa Pio IV erige il feudo di Bracciano a ducato al quale verrà incorporato anche Campagnano ed altri castelli. Subito dopo la morte di Isabella, nel 1577, Paolo Giordano, Duca di Bracciano, assunse al suo servizio architetti, come ad esempio Francesco De Gnocchis e Giacomo Del Duca in grado di ammodernare i suoi feudi. In Campagnano, De Gnocchis ebbe l’incarico di edificare un oratorio, una porta, un acquedotto e una fontana (1577-1579) e Giacomo Del Duca ebbe l’incarico di abbellire la Collegiata di San Giovanni Battista (il Soffitto, il Coro e la sistemazione del Presbiterio), l’osteria e forse anche la residenza principale di Paolo Giordano e parte delle fortificazioni (1582). Nel 1625 Ferdinando di Austria, Imperatore de’ Romani, nomina Principe Imperiale Paolo Giordano Orsini e i suoi discendenti. Dopo la grave crisi economica che colpì molte famiglie patrizie di Roma nel XVI secolo e perdurò fino a tutto il XVII secolo, il Cardinale Virginio Orsini, Flavio Orsini Duca di Bracciano e Lelio Orsini furono costretti a vendere i castelli di Campagnano, Formello e Sacrofano a Flavio Chigi (1662). Dopo
la morte di Flavio Orsini, nel 1698, si estinse il ramo Orsini dei Duchi
di Bracciano. Stemma
della famiglia Chigi, ramo di Roma, disegnato da Innocenzo Mattei (1671),
con i colli di Roma sormontati dalla stella La storia della Famiglia Chigi è complessa per la segretezza e la scarsa divulgazione del patrimonio cartaceo del casato e, in ogni modo, esula dai limiti di questa ricerca che ha solo l’intenzione di capire chi erano i Chigi, prìncipi di Campagnano, nel loro contesto storico e familiare. I Chigi ebbero un ruolo importante nella città e per i monumenti che sono sotto i nostri occhi giornalmente, come la fontana dei Delfini nell’odierna piazza Cesare Leonelli restaurata nel 1753 per volontà di Augusto Chigi, il Palazzo Baronale e i Granai Chigi a Baccano. La famiglia Chigi, che asserisce discendere da un ramo dei Conti dell’Ardenghesca, signori di Macereto nel contado senese, era già nel XIII secolo una famiglia di banchieri ed acquistò nobiltà nel 1377 tenendo anche pubblici uffici. Il beato Giovanni da Lecceto, eremita (1300-1369), mirabile soccorritore di appestati, e la beata Angela (1400) anch’essa eremita, diedero lustro alla famiglia con la loro santità. Nel XV secolo la famiglia si divise nei due rami di Mariano e di Benedetto. Mariano (1439-1504) fu banchiere famoso e ambasciatore di Alessandro VI; ricostruì il Palazzo di via del Casato in Siena, commissionò al Perugino la celebre tavola del Crocefisso per l’altare di famiglia in S. Agostino. Il primogenito di Mariano, Agostino il Magnifico, nato nel 1465 e morto a Roma nel 1520, fu appaltatore di saline e dell’allume della Tolfa e tesoriere della Chiesa. Dalla sua casa di Roma annodò relazioni commerciali con tutta l’Europa: ebbe ventimila dipendenti, raccolse un capitale di oltre 800.000 ducati e sovvenne alle imprese guerresche di Cesare Borgia, all’esilio dei Medici e alle prodigalità di Papa Leone X che fu testimone alle sue nozze e al suo testamento nel 1519. Agostino fu amico del Bembo e dell’Aretino; aprì una tipografia a Roma nella quale fece stampare il Pindaro, primo libro greco stampato a Roma (1515); commissionò a Raffaello, al Peruzzi e al Sodoma la decorazione della celebre villa fuori di Porta Settimiana, acquistata nel 1579 dai Farnese, conosciuta come villa della Farnesina; fece decorare da Raffaello la cappella di S. Maria della Pace e gli affidò la realizzazione dei dipinti della Cappella di S. Maria del Popolo, dove fu sepolto. Sigismondo (1479-1525), altro figlio di Mariano, genero di Pandolfo Petrucci e autorevolissimo in Siena, adornò il palazzo della città con i dipinti del Sodoma ed eresse la principesca Villa delle Volte. La crisi economica del XVI secolo che colpì il Papato e l’aristocrazia romana non risparmiò la famiglia Chigi, ricchissima e potentissima. Il banco Chigi fu chiuso nel 1528; il capitale accumulato fu sperperato e questo ramo della famiglia decadde. I Chigi si ritrassero in Siena, dove tuttavia i discendenti di Sigismondo continuarono ad avere uffici e onori. Ne risorse la fortuna di Fabio, cardinale, che nel 1655 fu eletto papa col nome di Alessandro VII. I più stretti congiunti del pontefice vennero a Roma ed abitarono il maestoso palazzo di Piazza Colonna (oggi sede del Governo); qui furono raccolte con cura dal pontefice stesso e dai nipoti la ricca pinacoteca e la biblioteca, dette chigiane. Flavio (1631-1693), nipote del papa, fu nel 1657 creato cardinale; nel maggio 1656, un altro nipote, Agostino, ebbe la carica di Castellano di Castel Sant’Angelo prendendo in moglie nel 1658 Maria Virginia Borghese, nipote di Paolo V e figlia della ricchissima Olimpia Aldobrandini (coniugata Borghese); successivamente Agostino, a seguito di una serie di significative operazioni immobiliari favorite dallo zio Pontefice, accentrò nelle sue mani un vasto latifondo, costituente un vero e proprio stato pontificio, tra la Cassia e la Flaminia, assumendo il titolo di Principe di Farnese (1658), di Principe di Campagnano (1661) e di Duca di Ariccia (1662); ebbe la Signoria delle terre di Cesano, Formello, Sacrofano, cui si aggiunse l’ambita nomina dell’Imperatore Leopoldo a Principe del Sacro Romano Impero (ottobre 1660). Discesero da lui il ramo dei Chigi di Roma. Sigismondo (1649-1677), fratello di Agostino, fu creato cardinale all’età di diciotto anni e ricevette il Cavalierato di Malta di cui divenne Gran Priore. Augusto di Agostino (1662-1744) fu creato da Clemente XI nel 1712 maresciallo della Chiesa e custode perpetuo del conclave, la quale dignità divenne ereditaria della famiglia; Agostino (1710-1769), suo figlio, sposò nel 1735, Giulia Albani di famiglia patrizia veneziana; appartennero alla linea Chigi Albani, Flavio (1711-1771) cardinale, Sigismondo (1736-1793), Agostino (1771-1855) autore di un prezioso diario romano in 21 volumi per gran parte inedito; Flavio (1810-1885) che fu prima ufficiale della guardia nobile e poi nunzio a Monaco e a Parigi, e cardinale nel 1873; Agostino (1858-1896) caduto valorosamente ad Adua. Gli altri rami sono i Chigi di Siena che discesero da Benedetto (XV secolo) che formeranno nel XIX secolo il casato dei Chigi Saracini Lucarini, i Chigi Zondadari di Siena e i Chigi Montoro di Viterbo che discendono da Francesco Chigi (1469-1519), fratello di Agostino il Magnifico.
|
Le Carte Antiche della Magnifica Terra di Campagnano
autore Salomè Schmit 2004 Vecchiarelli Editore Roma SIAE 401338 tutti i diritti riservati |