GRUPPO DI PREGHIERA

"BEATA VERGINE MARIA DI FATIMA"

 

 

TEMPO DI AVVENTO

16. Il deserto.

17. La salvezza promessa ai poveri.

18. Cercare Dio in fede.

 

 

16. IL DESERTO.

« Guidami nella tua verità e ammaestrami, perché tu sei il Dio 

della mia salvezza » (Sl 25, 5)

   1. « Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una  canna squassata dal vento?... Un uomo avvolto di vesti  delicate?» (Mt 11,7-8), così Gesù introduce l'elogio del  suo precursore. Egli non è un debole che fluttua come una  canna al vento né « un borghese » che si gode le comodità della vita: è un uomo forte, saldo nella fede, austero nei costumi, tutto dato a Dio. È un profeta « e più che un profeta» (ivi 9); ha scelto per sua dimora il deserto dove nel distacco da ogni bene terreno, nella preghiera e nella penitenza, si è preparato al compimento della  sua missione: annunciare al mondo il Salvatore e preparargli la via.

    Ogni forma di vita cristiana esige, almeno in una certa misura il deserto ossia la mortificazione, la penitenza, la rinuncia agli agi. L'Avvento, tempo in cui primeggia la figura del Battista, è un pressante richiamo a questo dovere presentato come mezzo indispensabile per disporsi alla venuta del Signore.

    Senza dubbio la prima penitenza è quella interiore: la conversione del cuore; ma la sincerità di questa deve manifestarsi anche attraverso la penitenza esteriore. « II carattere preminentemente interiore e religioso della penitenza... non esclude né attenua in alcun modo la pratica esterna di tale virtù, anzi ne richiama con particolare urgenza la necessità e spinge la Chiesa... a cercare, oltre l'astinenza e il digiuno, espressioni nuove più atte a realizzare... il fine stesso della penitenza... La necessità della mortificazione del corpo appare chiaramente se si considera la fragilità della nostra natura, nella quale, dopo il peccato di Adamo, la carne e lo spirito hanno desideri contrari tra loro » (Paolo VI, Paen. 8). La civiltà moderna offre molti  agi e piaceri sensibili a poco prezzo; accettarli senza alcun limite espone l'uomo a infiacchire la propria volontà, a « imborghesire » la propria vita. È necessario imporsi una disciplina per saper rinunciare a tante soddisfazioni superflue; è necessario resistere alla tendenza a voler tutto vedere, godere, sperimentare. Allora « lo spirito umano, più libero dalla schiavitù delle cose, può innalzarsi più agevolmente al culto e alla contemplazione del Creatore »(GS 57).

    2. La spiritualità del deserto non è fatta solo di mortificazione e rinuncia, ma anche di raccoglimento, di silenzio che rendono l'uomo disponibile a Dio, all'ascolto della sua parola, alla contemplazione dei suoi misteri. Profeta è « colui che ode le parole del Signore » (Nm 24,4) e dopo averle ascoltate le annuncia. Così erano gli antichi profeti, così era il Battista inviato ad annunciare il Messia. Ogni cristiano ha una vocazione profetica, in quanto è chiamato ad ascoltare interiormente la parola di Dio per poi incarnarla nella sua vita e quindi trasmetterla ai fratelli. Ciò suppone silenzio e raccoglimento: tacere con le creature per ascoltare Dio e approfondire la sua parola. Non c'è ascolto senza silenzio; chi chiacchiera non può ascoltare né la voce degli uomini né — e tanto meno — la voce di Dio che è essa stessa silenziosa e si lascia udire solo nel silenzio.

    Se i rapporti tra uomini esigono il dialogo, il discorso, il discorrere però non deve dilagare al punto da rendere l'uomo incapace di tacere e di ascoltare. Del resto il silenzio che conduce alla riflessione interiore rende più capaci di ascoltare, di comprendere gli altri, di saper dire  al momento giusto la parola opportuna, illuminatrice. Non  sono le conversazioni inutili né la loquacità sfrenata che  aprono la via al dialogo intelligente, persuasivo, atto a portare ai fratelli la parola del Signore.

    I rapporti con Dio, poi, l'intimità con lui richiedono in modo speciale il silenzio e non solo quello esteriore,  ma anche quello interiore. Commentando in senso spirituale il versetto del salmo: « Ascolta, figlia, guarda e porgi  il tuo orecchio: dimentica il tuo popolo e la casa paterna » (45, 11), Suor Elisabetta della Trinità scrive: « per udire bisogna dimenticare la casa del proprio padre, cioè tutto quanto concerne la vita naturale... Dimenticare il proprio popolo è più difficile, mi sembra, perché questo popolo è tutto il mondo che fa parte, per così dire, di noi stessi. È la sensibilità, sono i ricordi, le impressioni, insomma il proprio io. Bisogna dimenticarlo, abbandonarlo » (2 R 10). Allora la creatura entra nel silenzio interiore e in quel silenzio Dio le si comunica e si fa conoscere.

    • Signore, ove abiti? 

    Io non dimoro, figlio, lontano da te, io dimoro infinitamente più vicino a te di quel che tu non pensi: io mi chiamo l'Ospite ignorato, io dimoro dentro di te; cercami in purezza di spirito, e tu mi troverai.

    Signore, e come posso io entrare in me in purezza, ché sono tutto aperto nei sensi e versato nell'esteriore?

    Seguimi, vieni dietro a me... verso la insonne preghiera, verso il deserto ove non è né tana, né nido, verso il battesimo della Croce e tu troverai la dimora interiore ove io vivo nascosto in te: perché solo seguendo me puoi entrare in te.           

 G. CANOVAI, Suscipe Domine p 335  

 

    • Sono certo, mio Dio, che verrà un giorno, lontano o vicino poco importa, in cui potrò avere esaurito tutte le mie gioie mondane. Tu solo, mio Signore, sei il cibo capace di saziarmi per l'eternità... Alla tua presenza scorrono torrenti di delizia: chi ne avrà bevuto una volta, non sarà più capace di allontanarsene. Tale è la mia eredità, Signore, ora e sempre.

    Quanto sono lontano, mio Dio, dall'agire in conformità a questa teoria che conosco tanto bene! Il mio cuore si perde dietro ad ombre vane, lo riconosco. Sembra quasi che io preferisca ogni altra cosa all'unione con te; sono sempre disposto ad allontanarmi e spesso anche la preghiera mi è difficile; non c'è neppure una distrazione che io non preferisca al pensiero di te. Dammi la grazia, o Padre, di arrossire di questa mia ripugnanza. Scuotimi dallo stato di indolenza e di freddezza in cui mi trovo e dammi la forza di aspirare a te con tutto il mio cuore. Insegnami l'amore alla meditazione, alla lettura spirituale, alla preghiera. Insegnami ad amare fin d'ora ciò che per tutta l'eternità dovrà avvincere a sé il mio spirito.

                       J. H. NEWMAN, Maturità cristiana p 306-7

 

 

17. LA SALVEZZA PROMESSA AI POVERI.

« II povero t'invoca, Signore, e tu l'esaudisci; lo salvi 

da tutte le sue angosce »(Sl 34,7)

   1. Un giorno Gesù rivolgeva un duro rimprovero ai  farisei e ai capi del popolo: « Si è presentato a voi Giovanni con la via della giustizia e non gli avete creduto;  ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto » {Mt 21,  32). I pubblicani infatti si erano arresi alla predicazione  del Battista, avevano confessato i loro peccati, avevano  chiesto il battesimo di penitenza e avevano domandato:  « cosa dobbiamo fare? » (Lc 3, 12). I farisei, no; non si  sono «pentiti per credere in lui» (Mt 21,32). La superbia li accecava e, come aveva impedito ad essi di credere  al precursore, così li rese chiusi e ostili a Cristo.  Perciò Gesù dirà: « I pubblicani e le prostitute vi precedono nel regno di Dio» (ivi 31). Non sono certo i  peccati in quanto tali che danno il diritto di entrata nel  Regno, ma l'umile pentimento dei peccati, l'umile consapevolezza e la confessione della propria miseria morale, del  bisogno di essere salvati. È l'umiltà che ha aperto i cuori  dei pubblicani e delle peccatrici ad accogliere la salvezza,  e quindi ha dato ad essi la precedenza « nel regno di Dio ».  La posizione dei farisei era diametralmente opposta: non  solo non hanno riconosciuto e confessato il loro peccato,  l'orgoglio, ma si ritenevano giusti, per niente bisognosi di  perdono; la salvezza è passata accanto ad essi ed essi l'hanno  respinta: « i farisei e i dottori della legge hanno frustrato il  piano di Dio su di loro» (Lc 7,30). Un'unica salvezza  è offerta a tutti gli uomini, ma solo gli umili, i poveri,  i piccoli sono atti ad accoglierla.

    La profezia di Isaia che Gesù stesso lesse e applicò a  se stesso nella sinagoga di Nazaret, continua ad attuarsi:  « Lo Spirito del Signore... mi ha mandato ad annunciare  ai poveri la buona novella » (Lc 4, 18). Non si tratta soltanto dei diseredati, di chi soffre la fame, ma soprattutto  di chi avverte la propria insufficienza morale, di chi riconosce la propria povertà spirituale, di chi sente il bisogno profondo di essere salvato, redento, purificato e perciò invoca e attende con tutto il cuore il Salvatore. « II Signore è vicino a chi ha il cuore compunto; salva chi ha lo spirito contrito » (Sl 34, 19).

    2. Per trovare Dio bisogna andare a lui con anima di povero. Dio offre all'uomo la salvezza, lo chiama alla santità, alla comunione con sé; ma tutti questi beni immensi devono essere accolti con cuore umile, convinto di non poter nulla senza l'aiuto divino, poiché da Dio solo viene il potere e il volere. S. Teresa di G.B. diceva: « La santità non consiste in questa o in quella pratica; consiste invece in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli fra le braccia di Dio, coscienti della nostra debolezza e confidenti fino all'audacia nella sua bontà di Padre » (NV 3-VIII). Dalle parole della Sacra Scrittura la santa aveva attinto luce e incoraggiamento nella sua « piccola via » di semplicità evangelica: « i pargoli saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io consolerò voi » (Is 66, 12-13). Dio è disposto a fare tutto per una creatura che lo cerca senza pretese, in vera povertà di spirito, convinta che anche il cercarlo e il desiderarlo è dono, convinta che le sue forze sono assolutamente impari a salvarla, a santificarla, a condurla all'intimità con Dio. E più essa si riconosce impotente, più Dio l'attira a sé.

    Venendo nel mondo il Figlio di Dio ha voluto circondarsi di poveri e di umili: Maria e Giuseppe discendenti dalla casa di Davide ma così ignorati e poveri che per loro non vi è stato posto nell'albergo; i pastori disprezzati come gente di nessun conto e spesso sfuggiti con un senso di  sfiducia e di ripulsa. Nel suo ministero Gesù ha cercato i poveri, gli oppressi, i peccatori, i piccoli e ha detto: « non  sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Mt 9,  13). Chi si ritiene giusto, chi si sente soddisfatto della  propria virtù e forse disprezza gli altri giudicandoli inferiori a sé, non ricaverà alcun frutto dal Natale. Gesù Salvatore viene per tutti, ma in un cuore pieno di sé non c'è  spazio per accoglierlo o per lo meno vi è uno spazio troppo  meschino. Solo chi va a Cristo con cuore di povero gli  offre spazio sufficiente all'invasione della sua grazia e del  suo amore, ed è atto ad accogliere per sé e per tutta la  Chiesa la redenzione, « la consolazione d'Israele » (Lc  2,25).

   • La mia anima si gloria in te, o Signore; ascoltino gli  umili e ne gioiscano... Io ti ho ricercato, Signore, e tu mi  hai risposto... Questo misero ti ha invocato e tu l'hai esaudito; l'hai salvato da tutte le sue angosce...

    Gustate e vedete come è buono il Signore; beato l'uomo che si rifugia in lui... I potenti impoveriscono e soffrono la fame; quanti ricercano il Signore non mancheranno di nulla...

    Il Signore è vicino a chi ha il cuore compunto; salva chi ha lo spirito contrito. Molte sono le tribolazioni del giusto; ma da tutte lo libera il Signore... Il Signore redime l'anima dei suoi servi; non hanno nulla da scontare quanti si rifugiano in lui.                   

Salmo 34, 2-11. 19-20. 23

    • Se le nostre iniquità testimoniano contro di noi, Signore agisci per amore del tuo nome! Sì, sono state molteplici le nostre infedeltà, abbiamo peccato contro di te... Eppure  tu sei in mezzo a noi, Signore, e il tuo nome è stato invocato sopra di noi; non abbandonarci!...

    Noi riconosciamo, Signore, le nostre iniquità... poiché abbiamo peccato contro di te. Ma a causa del tuo nome non abbandonarci, non rendere spregevole il trono della tua gloria! Ricordati, non annullare il tuo patto con noi... Non sei tu, Signore, il nostro Dio? In te speriamo.

                                       Geremia 14, 7. 9. 20-22  

• O Signore Gesù Cristo, che sei venuto in questo mondo a cercare e salvare ciò che era perduto, se io, uomo, non mi fossi perduto, tu Figlio dell'uomo, non saresti venuto; ma, essendomi perduto io uomo, sei venuto tu Dio e uomo, ed io uomo fui ritrovato. Mi ero perduto io uomo con la mia libera volontà; sei venuto tu, Dio e uomo, con la grazia liberatrice. La superbia perdette il primo uomo... e dove sarei io, se non fossi venuto tu, secondo uomo?                             

S. AGOSTINO, Sermo 174, 2

 

 

18. CERCARE DIO IN FEDE .

« Signore, aumenta in me la fede » (Lc 17, 6)

     1. « E beato colui per il quale io non sarò d'inciampo! » (Lc 7, 23). Queste parole del Signore contengono   un grande insegnamento. Venendo nel mondo, Gesù si è   presentato non come un salvatore potente e glorioso, ma  come un umile, un povero, un mite. Quel suo apparire   tanto modesto, semplice uomo come tutti gli altri, è   stato d'inciampo per molti, i quali non sapendo oltrepassare l'elemento umano, non hanno riconosciuto in Cristo   il Messia promesso. Più che alla parola di Dio rivelata   attraverso i profeti, più che ai miracoli compiuti da Gesù,   hanno preferito credere al loro corto intendimento giudicando assurdo che il Salvatore del mondo si identificasse   con un uomo in tutto simile a loro.

     Per accogliere Cristo e credere in lui, per cercare e   trovare Dio è necessaria la fede. La fede è « l'argomento   delle cose che non si vedono» (Eb 11,1}. Essa non si  basa su dati sensibili o comunque controllabili dalla creatura, ma sulla parola di Dio, su quanto egli nel suo amore  ha rivelato di sé e dei suoi misteri. « A Dio che rivela  è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo si   abbandona a Dio tutt'intero liberamente, prestandogli il   pieno ossequio dell'intelletto e della volontà e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da lui » (DV 5). La fede non dà l'evidenza delle realtà divine,   ma ne dà la certezza fondata sulla parola di Dio-Amore.  La fede dice che Gesù di Nazaret, ritenuto dai suoi conterranei «il figlio di Giuseppe» (Lc 4, 22), è il Figlio di Dio, il Salvatore promesso. Quanto più la fede è viva,   tanto più l'uomo nell'amore accoglie Gesù, accetta fino in   fondo la sua persona di Uomo-Dio, accetta il suo messaggio e su di esso fonda la propria vita.

      Gesù ha detto: « Se uno mi ama... il Padre mio l'amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv l4,23); la fede dà la certezza di questa sublime verità, la quale tuttavia sfugge al controllo dei sensi e dell'intelligenza umana. La fede dice che il mistero dell'inabitazione della Trinità nel battezzato è una realtà infinitamente più vera di tante verità caduche verificabili dalla scienza umana, e quando una creatura ne è pienamente convinta diventa capace di porre questa divina realtà al di sopra di tutte le realtà terrene.

  2. All'uomo desideroso di Dio, Giovanni della Croce dice: « ascolta una parola ricca di sostanza e di verità inaccessibile: cercalo con fede e con amore, senza cercare  soddisfazione in cosa alcuna » (C 1, 11). La vita di unione con Dio non può essere basata sul sentimento; essa si fonda     unicamente sulle virtù teologali. Bisogna quindi imparare a cercare Dio prescindendo da ogni gusto e consolazione, sia pure spirituale, per camminare nella via della « fede pura ». La fede, molto più di qualsiasi esperienza sensibile, di qualsiasi cognizione e ragionamento, mette l'uomo in contatto diretto con Dio. Soltanto la fede « è mezzo prossimo e proporzionato per l'unione dell'anima con Dio, poiché vi è tanto grande somiglianza fra questa virtù e Dio da non esservi altra diversità di quella che può intercorrere fra il vedere e il credere in lui » (G.C. S II, 9, 1).

    La fede propone Dio quale egli è; non lo fa vedere, ma lo fa credere nella sua realtà essenziale e così mette l'intelletto dell'uomo a contatto con Dio. « In tal modo solo per mezzo della fede Dio si manifesta all'anima nella luce     divina, la quale sorpassa ogni intelletto e perciò quanto più intensa è la fede che l'anima possiede, tanto maggiormente è unita a Dio » (ivi). La fede unisce l'uomo a Dio, anche se questi non ne gode alcuna esperienza consolante; anzi spesso Dio priva coloro che lo cercano di ogni gusto spirituale perché nei rapporti con lui non si appoggino al sentimento, ma alla fede, e crescano in essa. «Chi si accosta a Dio deve credere» (Eb 11,6).  

      A misura che l'uomo vive di fede, si avvicina a Dio, si unisce a lui e crede al suo amore. « Qui sta il grande atto della nostra fede », dice Suor Elisabetta della Trinità: credere nell'amore di Dio e credervi in modo incrollabile anche in mezzo alle prove e alle oscurità. Allora la creatura « non si ferma più ai gusti e ai sentimenti, poco le importa di sentire Dio o di non sentirlo, poco le importa che le dia la gioia o la sofferenza. Essa crede al suo amore » (1 R 6,1). Ma per giungere a questa «fede incrollabile» bisogna esercitarsi in essa, bisogna pregare: — Signore, « aumentaci la fede! » (Lc 17, 6).

     • O Signore Gesù Cristo, io credo in te, ma fammi credere in modo che ti ami. Il vero credere in te è amarti: non come credevano i demoni, che non amavano, e quindi benché credessero, dicevano: « Che abbiamo noi a fare con  te, Gesù, Figlio di Dio? ».  Deh! ch'io creda in modo da credere in te amandoti  e non già dicendo: « Che ho io a fare con te?», ma dicendo piuttosto: « Tu mi hai redento, e io voglio essere  tuo» (In Ps 130,1).

    Voglio invocarti; ma tu aiutami a non mandar fuori  solamente il suono della voce, restando muto nella vita...  Voglio invocarti col disprezzare il mondo. Voglio invocarti  col calpestare i piaceri della terra. Voglio invocarti dicendo non con la lingua, ma con la vita: Il mondo è a me  crocifisso, e io al mondo. Voglio invocarti dando largamente ai poveri (Sr 88, 12).

     Unirò al ben credere il ben vivere, per dar gloria a  te con le parole dicendo il vero e con le opere vivendo  bene (Sr 183, 13).                             

S. AGOSTINO

     • Allorché un'anima sa credere al « troppo grande amore  che è su di lei », di lei si può dire quello che è detto di  Mosè: « Era incrollabile nella sua fede come se avesse  visto l' Invisibile ».

     O Signore, che io non mi fermi più ai gusti ed ai sentimenti; poco mi importi di sentirti o non sentirti,  poco mi importi che tu mi dia la gioia o la sofferenza.  Io credo al tuo amore.

     Più è provata, più la fede cresce perché sa andare al  di là di tutti gli ostacoli per riposarsi nel seno dell'Amore  infinito che non può fare che opere di amore. A quest'anima tutta vigilante nella sua fede, la tua voce, o Maestro,  può dire nell'intimo quella parola che rivolgevi un giorno  a Maria Maddalena: « Va' in pace, la tua fede ti ha salvata >>              

ELISABETTA DELLA TRINITÀ, 1 Ritiro 6,1  

 

 

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Aggiornato il: 05/03/2003