Dicono di me


Giuria del "Premio Internazionale di Poesia "Roseto Capo Spulico: Città di spume e di castelli" sulla poesia "Notturno" (2° classificato)

Il componimento poetico addita, come chiave di lettura, un passo dell'opera di Johann Wolfgang Goethe, a cui fornisce, esso stesso, un'originalissima interpretazione. La scelta dell'appellativo "macchina morbosa" per definire l'uomo ci suggerisce un parallelismo fra crisi del razionalismo illuminista (con conseguente impossibilità di integrazione del poeta con la realtà) e omologazione della cultura di massa nella denuncia del postmoderno. Le "variopinte figure" e i "numerosi panorami", di cui siamo prigionieri, altro non sono, oggi, che i simulacri delle immagini diffusi dalla cultura consumistica, subentrata allo sviluppo economico della nostra società telematica ed informatica. La cultura di massa appare universale, omogenea, centralizzata, ma al tempo stesso vuota e ripetitiva, intesa anch'essa come materiale di consumo e dominata da un linguaggio unico, economico e pubblicitario. La fine delle avanguardie novecentesche, delle filosofie e delle ideologie "forti" ha fatto sì che l'arte e la letteratura di questo mondo industriale e tecnologico si sganciassero da ogni possibilità di invenzione del nuovo, riciclando e combinando forme già consumate. È impossibile trovare verità trasparenti e autentiche, dato che ogni momento della vita è dominato dall'apparenza. Ed ecco che "Notturno" propone una "guida a fari spenti", un cambiamento necessario ad "oscurare" il già visto per riaccendere speranze. In questo mondo, dominato dalle immagini e dalla loro simultaneità, il nostro poeta vuole esaltare la notte come momento di sana e dignitosa sensorialità, avulsa però dall'ipocrisia degli sguardi e dal gioco di specchi che ripropone infiniti riflessi. La notte che "ricuce infaticabile gli squarci fra le ombre" e "nasconde senza inganni" palesa almeno la volontà di ricostruire nell' "oceano senza traguardi" del presente una nuova coscienza, poiché solo dalla notte "si destano le luci", le anime sopite... Paolo Volponi intitola una sua opera "La macchina mondiale". In essa ricercava, forse utopisticamente, un cambiamento proponendo il suo sistema pseudoscientifico che prevedeva un uso positivo della scienza e della tecnica e descriveva gli uomini come macchine che possono perfezionarsi in virtù del loro lavoro.


Giuria del "Premio Internazionale di Poesia "Roseto Capo Spulico: Città di spume e di castelli" sulla raccolta "Psicodramma notturno computerizzato" (3° classificato)

Lo stile mostra un'interessante tensione verso forme sperimentali apprezzabili e moderne, sebbene permanga di fondo una certa disomogeneità fra i componimenti. Le tematiche sono attuali e accattivanti. Emerge lo spaccato di una società del progresso informatizzata e tecnologizzata che paga il "fio" alla perdita di valori e di poetica e in cui la comunicazione vede "sensi e parole agonizzare sparpagliati". Prorompono nevrosi dilaganti, bioritmi accelerati, una cultura di massa omologata e dominata da falsi miti e dai simulacri delle immagini. Molto bella la metafora dei pesci nella rete che si sentono protetti perché uniti, ma ignari della loro fine imminente. L'autore delinea l'incapacità dell'uomo di relazionarsi agli altri e di formulare un concetto positivo di esistenza che così definisce: "l'essere non è una volontà / è un mistero che ci incatena / entriamo e usciamo gli uni dagli altri / siamo ovunque esuli senza nessuna colpa". Inoltre nella morte dei poeti si avverte la perdita di quella "affettività intellettiva" che determina per l'umanità un vuoto e una solitudine profondi. Manca il "desiderio di desiderare". Tutto ci viene tolto o imposto subdolamente e "l'urlo" è l'ultima traccia di noi, prima del silenzio.