"L'ARMADIO
DELLA VERGOGNA"
di Franco Giustolisi
(Ed. Nutrimenti)
Recensioni
Pietro
Gargano, Il Mattino 04/10/2004
Libro-rivelazione di Giustolisi. Fenomenologia dell’orrore in un
armadio
Ci sono giornalisti ostinatamente convinti che il nostro mestiere abbia
un senso etico al di là del dovere della testimonianza. Ci sono libri
su un solo argomento che finiscono per raccontare l´evoluzione - l´involuzione
- di un Paese meglio di un articolato saggio storico. Franco Giustolisi,
inviato veterano dell’Espresso, ha speso otto anni di lavoro e di
passione per scrivere L’Armadio della vergogna, appena uscito presso
Nutrimenti: il racconto di un´ingiustizia, di una memoria tagliata.
Nella coda della guerra, dall’agosto 1943 al maggio 1945, nazisti e
fascisti di Salò ammazzarono migliaia di uomini, donne, bambini perfino
in fasce o ancora nel grembo delle madri. Le dissero rappresaglie, erano
eccidi. Finito l’incubo, i carabinieri indagarono e spedirono alla
Procura generale militare fascicoli forse zoppi di grammatica ma densi
di verità, con lunghissimi elenchi di vittime e più brevi di
carnefici. Era la storia e la geografia dell’orrore, era materiale per
la giustizia da fare. Senonché partì un ordine di Stato: nascondete
quelle carte. Così nella sede della Procura militare, in un palazzo del
Cinquecento in via Acquasparta a Roma, i fascicoli furono ammassati in
un armadio con le ante chiuse a chiave e rivolte verso il muro. Un
cancello munito di lucchetto proteggeva quello scandalo. Solo dopo mezzo
secolo, nel maggio 1994, indagando su tutt’altro caso, il magistrato
Intelisano scoprì per fatalità l’armadio oramai tarlato. 2.273
pratiche. Giustolisi ne scrisse subito e si mise a scavare. Scoprì ad
esempio che ogni tanto le ante erano state pur aperte per smistare carte
innocue, su reati minori o ormai prescritti o commessi da aguzzini nel
frattempo morti. Le altre - sul massacro delle Fosse Ardeatine, sulle
stragi in Campania, sugli altri crimini da sud a nord - erano rimaste
sepolte. Il libro racconta tutto quanto, ponendosi e sciogliendo molti
perché. Parte da sedici righe su Evelina, morta a Sant’Anna di
Stazzema, in Toscana, il 12 agosto 1944. Era seduta su una sedia:
"L’avevano sventrata. Il feto di quel piccolo essere mai nato,
ancora legato alla madre dal cordone ombelicale, era in terra. Come
tocco finale gli avevano sparato in testa. Il marito di Evelina era
stato trucidato coi suoi fratelli qualche metro più in là".
Evelina e gli altri 559 massacrati di Stazzema sono tra quelli cui fu
negata memoria e verità. Così come i martirizzati di Marzabotto,
Farneta, Barletta, Matera, Pietransieri, Conca della Campania
dall’erba rossa, La Storta, Sarnano, Leonessa, Capistrello, Gubbio; e
gli onorevoli militari di Cefalonia, Coo, Spalato, Rodi. Solo alcune
citazioni da un’interminabile lista. L’ordine di occultamento partì
all’epilogo dei governi di unità nazionale nati dalla lotta
partigiana. Chi lo diede? Troppo semplice attribuire tutte le
responsabilità ai tre procuratori generali militari del 1945-1974 -
Borsari, Mirabella, Santacroce - come ha fatto l’inchiesta del
Consiglio della magistratura militare. L´ordine fu politico. Dalla
ricostruzione di Giustolisi emergono i nomi dei ministri Martino e
Taviani (che pure fu partigiano), e a margine quello di Andreotti. Ma ce
ne furono altri, prima e dopo. Il silenzio fu deciso forse perché era
cominciata la guerra fredda, "vecchi alleati diventano nuovi
nemici, vecchi nemici diventano nuovi alleati". O forse per
proteggere, in un patto di scambio non dichiarato, i criminali di guerra
italiani fuggiaschi. Meglio l’oblio. In Sudafrica un uomo di nome
Mandela si comportò ben diversamente. Concesse l’amnistia a patto che
i rei delle stragi raccontassero in pubblico le loro colpe. Ora che l´armadio
della vergogna è stato riaperto, qualche processo contro invecchiati
boia è partito, però il flusso di verità è al rallentatore. In un
momento di revisionismi, contano le coscienze. E se il presidente del
Senato, Marcello Pera, dice che "non c´è più ragione oggi di
darsi un’identità in negativo, antifascista e basta", è il
presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, "a tirar fuori dai
meandri di Montecitorio la proposta di legge" per la Commissione
d’inchiesta sulle cause dell’insabbiamento e "a imporne la
discussione conclusasi con voto plebiscitario". È stata una
vittoria anche di Giustolisi e del presidente dell’Anpi, Massimo
Rendina, che si sono battuti per riaprire la pista della verità. Chi
vuole davvero cancellare la scia dell’odio, questo libro dovrebbe
portarlo nelle scuole.
Roberto
Coaloa, Il Sole-24 Ore 29/08/2004
Mosaico di eccidi impuniti
L'area appenninico-emiliana, dopo lo sfondamento del fronte di Cassino
nel maggio 1944, era della massima rilevanza strategica per i nazisti.
Il controllo della zona garantiva un ripiegamento sicuro nel caso di un
crollo della Gotenstellung. Albert Kesserling, comandante della
Wehrmacht in Italia, cercò di rafforzare la Linea gotica, invano; a
settembre fu sfondata e nel corso dell'inverno Kesserling lasciò il
comando a Heinrich von Vietinghoff. Ai nazisti si presentò un complesso
scacchiere, allargato a Liguria, Piemonte e Oltrepò Pavese, dove si
decise di condurre un'energica battaglia contro i partigiani stanziati
in quelle aree. L'Italia del Nord fu denominata da Karl Wolff, capo
delle SS in Italia, come Bandengebiet, "zona delle bande". I
nazisti insieme ai fascisti scatenarono una mostruosa guerra che
coinvolse anche i civili. (...) La fondamentale opera di Giustolisi,
L'Armadio della vergogna, è divisa in due parti: la prima documenta
come si è arrivati a ricostruire il mosaico delle stragi rimaste
impunite e a individuare gli uomini della famigerata Totenkopf; nella
seconda parte si ricordano, in pagine strazianti, gli eccidi di
Fivizzano, Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, Farneta e le stragi dei
militari italiani ritrovate nel registro del cosiddetto "armadio
della vergogna", nascosto, afferma Giustolisi, per proteggere i
carnefici di circa ventimila italiani innocenti, per lo più donne,
vecchi e bambini. (...)
Vasco Pieri
Ardizzone, Il Giornale di Sicilia 28/07/2004
Quelle stragi coperte dall'oblio. Ne L'Armadio della vergogna di
Giustolisi i crimini dei nazifascisti
Può interessare al pubblico una vicenda che si situa tra storia e
cronaca? "Secondo me sì. È quanto è avvenuto ai nostri nonni. Ai
nostri padri. Non riesco a credere che nessuno avverta l'importanza
della memoria". La pensa così Franco Giustolisi, autore del libro
L'Armadio della vergogna (edito da Nutrimenti). Abbiamo parlato con
l'autore del libro, Giustolisi, che è giornalista e inviato
dell'Espresso, che da tempo si batte perché la storia non venga
dimenticata.
"L'Armadio della vergogna". Titolo chiaro. Giustolisi, di cosa
parla il suo libro?
Delle stragi commesse dai nazifascisti in Italia dall'8 settembre del
1943 al 25 aprile del '45. Stragi di civili. Bambini. Donne. Vecchi. A
cui si aggiungono le stragi contro i militari italiani, non quelli
uccisi in combattimento. Ma quelli che furono massacrati dopo che
avevano alzato bandiera bianca. Come accadde a Cefalonia.
Ha fatto ricerche su queste stragi? Ha dei numeri?
Sono almeno ventimila. Ma sono dati che nessuno ha con certezza.
Il suo libro cerca di colmare questa lacuna però.
Esisteva tutto. I fascicoli delle stragi con i nomi degli assassini. Il
loro grado e la loro appartenenza. Si conosceva tutto. C'erano state nel
1945 indagini da parte degli alleati.
E poi?
I nomi dei colpevoli, e i loro fascicoli, finirono nell'armadio della
vergogna.
Il nome non lascia spazio a dubbi.
Stava nel sottoscala di un palazzo cinquecentesco della vecchia Roma.
Era la sede della Procura militare. In un anfratto chiuso da un cancello
con le ante rivolte verso il muro.
Lei ha visto questo armadio?
Nessuno lo ha mai visto. Tranne i magistrati. È sparito. Distrutto.
Nel libro lei spiega anche chi lo ha coperto?
Sì. I procuratori generali militari del dopoguerra. I processi, sebbene
fossero pronti, non furono mai celebrati. Tutto finisce nel silenzio.
Nell'oblio.
Fino a che...
Nel 1994, per caso il procuratore militare di Roma Antonino Intelisano,
mentre cercava documenti per il caso Priebke, trova l'armadio. O meglio
non lo trova. Gli mandano i documenti. Viene sommerso da pile di
fascicoli.
E qui inizia il suo lavoro.
Ci sono elencate le stragi: 695 fascicoli.
Chi aveva coperto dunque?
La procura militare, dicevo, dava la colpa al potere politico del
dopoguerra. E tutto sommato non aveva tutti i torti. Iniziava la guerra
fredda e buttare fango sulla rinascente Germania non conveniva
all'Occidente.
Allora la ragion di Stato poteva avere senso. Ma oggi?
Oggi è doveroso fare luce. Più passa il tempo più le cose diventano
difficili. I colpevoli muoiono. I testimoni sono vecchi. E molte
pratiche rischiano di venire archiviate.
Si è mosso anche il Parlamento, vero?
Sì. Grazie alle pressioni del Comitato Verità e Giustizia dell'ex
sindaco di Stazzema, Giampiero Lorenzoni, la Camera prima ha aperto
un'indagine conoscitiva. E poi nell'ottobre del 2003 viene creata,
finalmente, una Commissione parlamentare d'inchiesta.
Una bella vittoria.
In parte. Non sa quanti mi hanno invitato spesso ad abbassare i toni...
Giustolisi, come finirà? Gli italiani verranno a sapere la verità?
Sono pessimista. La Commissione si muove male. Ha tempi lentissimi. E
credo che si facciano giochi politici: io non faccio uscire le cose
negative della sinistra e tu non fai uscire le cose negative della
destra. Basta giochi politici. È giusto che gli italiani sappiano la
verità sul loro passato.
Fabio Isman,
Il Messaggero 08/07/2004
"Storia". Dentro l'armadio nascosto delle stragi nazifasciste
È assai raro che un giornalista riceva una cittadinanza onoraria a
ragione del proprio lavoro; ed è ancor più significativo se a
conferirgliela è il Comune di Sant'Anna di Stazzema, teatro, nel luglio
1943, d'una tra le peggiori stragi naziste nel nostro Paese, 560 vittime
innocenti. Da tre anni, Franco Giustolisi, una vita al Giorno, e
all'Espresso, è un cittadino di Sant'Anna. Perché la sua più recente
battaglia l'ha dedicata all'Armadio della vergogna: quello dove la
magistratura militare ha nascosto per quasi mezzo secolo (scandalo che
proprio Il Messaggero denunciò per primo, nel 1995) 700 fascicoli sui
crimini nazifascisti compiuti nel nostro Paese. E L'Armadio della
vergogna è ora il titolo di un libro in cui Giustolisi ricostruisce
quella vicenda incredibile; racconta, traendoli proprio da alcuni dei
dossier tanto a lungo sepolti, agghiaccianti episodi per troppo tempo
rimossi, dimenticati. E anche la querelle politica per far nascere
(finalmente esiste: la presiede il deputato Udc Flavio Tanzilli) una
commissione parlamentare che indaghi sull'incredibile
"insabbiamento". È infatti soltanto dopo la scoperta di
quegli atti che in Italia sono iniziati svariati processi per alcune
delle stragi, in cui sono stati uccisi "almeno diecimila civili e
580 bambini": lo calcola lo storico Gherard Schreiber. Ci sono
state anche alcune condanne; ma troppo spesso, ormai, i colpevoli sono
morti, o le indagini divenute impossibili. Proprio per quell'armadio che
non susciterà mai sufficiente vergogna.
Giancarlo
Caselli, L'Unità 23/06/2004
Stragi. Chi ferma la giustizia
L’indipendenza della magistratura, di tutte le magistrature, è un
punto cardine della Costituzione repubblicana (art. 101: i giudici sono
soggetti soltanto alla legge; art. 108: la legge assicura
l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali e del pubblico
ministero presso di esse). La mancata o insufficiente applicazione di
questi princìpi apre la via ad abusi d’ogni tipo. Persino a fatti
vergognosi. Uso scientemente questa parola dopo aver letto L’Armadio
della vergogna, uno sconvolgente libro di Franco Giustolisi (edito da
Nutrimenti). A leggerlo vien quasi da piangere, di dolore e di rabbia,
perché vi è documentato "il capitolo più infame dell’Italia
postfascista e, insieme, il più ignorato". La storia di una
tremenda ingiustizia. Tra il 1943 e il 1945 nazisti e fascisti, Ss e
repubblichini di Salò fecero decine di migliaia di vittime, uccidendo
"gente senz’armi, civili in fuga dalla guerra". "Per lo
più donne, vecchi, bambini. Piccoli ancora in fasce. Altri mai nati. Li
cavarono dal ventre delle madri con le loro baionette e ne fecero
bersaglio delle loro armi". Lunghissimo l'elenco dei luoghi, dal
Sud al Nord d'Italia, che evocano queste barbarie. "Non furono
rappresaglie e, anche se le fecero passare per tali, la loro esatta
definizione è: omicidi". Finita la guerra, i fascicoli delle prime
indagini su quegli eccidi furono concentrati a Roma, nella sede della
Procura generale militare. Fino al giugno 1947 sembrò che le cose
andassero nel verso giusto e le direttive impartite dal procuratore
generale dell'epoca erano univoche e precise. Poi, di colpo, tutto fu
insabbiato. Per cinquant'anni non ci furono né istruttorie né
processi. I fascicoli nei quali erano annotati i nomi delle vittime e
degli assassini responsabili di tante stragi furono nascosti in un
vecchio armadio, "rifilato in un vano recondito... nascosto e poco
frequentato", "alla fine di un corridoio defilato" della
Procura, "protetto da un cancello con tanto di lucchetto", con
"le ante chiuse a chiave, rivolte verso il muro". L'armadio
della vergogna. Vi rimasero chiusi - per cinquant'anni - ben 695
fascicoli, in 415 dei quali "erano riportati i nomi dei
colpevoli". Chi ordinò l'insabbiamento? Fu certamente il potere
politico ad imporre il silenzio e l'oblio. La guerra fredda e la ragion
di stato lo esigevano: per facilitare il riarmo della Germania Ovest e
il suo inserimento nel nuovo sistema di alleanze politico-militari, che
viceversa sarebbero stati a lungo tarpati dalle "enormi palate di
fango rappresentate dalle stragi contro i civili". A decretare il
"macro e macabro occultamento" fu probabilmente il governo in
carica dal 31 maggio 1947 al 12 maggio 1948. Ad eseguirlo furono vari
procuratori generali militari, tra cui lo stesso - di nomina governativa
- che in un primo momento aveva mostrato di voler agire correttamente.
Con un "tentativo maldestro di coprire in parte l'enorme
magagna" fu apposto sui vari fascicoli - nel 1960 - un timbro di
"archiviazione provvisoria": un "istituto sconosciuto in
ogni angolo del mondo e creato per l'occasione, come alibi assurdo e
fragilissimo". A riprova che in un Paese democratico l'indipendenza
della magistratura (soltanto nel dicembre 1988 sarà data attuazione
anche per la magistratura militare all'art.108 della Costituzione,
istituendo il Consiglio della Magistratura militare, omologo in divisa
del Csm) è assolutamente irrinunziabile: se non si vuole che possano
trovar spazio le peggiori nefandezze di un potere politico non
assoggettato ad alcun controllo di legalità, e anzi capace di
controllare e condizionare esso stesso il concreto esercizio della
funzione giudiziaria. Passano gli anni, un bravo procuratore militare,
Antonino Intelisano, quasi per caso scopre, nel 1994, quel che per anni
era stato sepolto nell'armadio della vergogna. Finalmente, l'armadio si
apre e i vari fascicoli vengono inviati alle Procure militari
territorialmente competenti (Bari, Napoli, Padova, Verona, Torino e
soprattutto La Spezia). Scoppia lo scandalo. Il Cmm apre un'inchiesta
che si conclude nel 1999. Giustolisi e pochi altri ingaggiano una
battaglia lunga e difficile (con iniziali resistenze anche a sinistra,
dove "ci furono personaggi assai autorevoli che consigliavano di
procedere con cautela e di abbassare i toni"). Alla fine, dopo
oltre tre anni di articoli, lettere, interventi, incontri,
manifestazioni, dibattiti e petizioni si ottiene - nel 2003 -
l'istituzione di una "Commissione parlamentare d'inchiesta sulle
cause dell'occultamento di fascicoli relativi a crimini
nazifascisti", presieduta da Flavio Tanzilli, deputato Udc.
Intanto, dal vecchio armadio della vergogna, oltre ai fascicoli
"dimenticati da Dio e dagli uomini", esce un grande registro
sul quale erano stati annotati con burocratica diligenza gli estremi di
ogni fascicolo. E "fa un certo effetto (annota Giustolisi, che nel
suo libro riproduce alcuni fogli - davvero impressionanti - di questo
registro degli orrori) vedere nella stessa pagina gli anni delle stragi
(1943-1944-1945) e gli anni dell'avvio, oltre mezzo secolo dopo, di
quella che oggi possiamo definire giustizia negata
(1994-1995-1996)". Giustizia negata anche perché è ovvio che se
si fossero svolte indagini a ridosso dei fatti sarebbe stato facile
individuare se non tutti, quasi tutti gli assassini. Mezzo secolo dopo
l'impresa è fatica inutile. E rappresenta senza dubbio un'eccezione
praticamente irripetibile quanto verificatosi in questi giorni (cfr. La
Repubblica 1/6/04, pag. 24): la confessione di un nazista
"pentito", Ludwig Goering, che il 12 agosto 1944, a Sant'Anna
di Stazzema (vicino a Lucca) partecipò alla strage con cui i tedeschi
massacrarono 560 civili. Una carneficina fra le più feroci, per la
quale è ancora in corso un processo al Tribunale Militare di La Spezia.
La stessa cui Giustolisi dedica la copertina del suo libro: un allegro
girotondo di bambini di Sant'Anna che festeggiano la fine dell'anno
scolastico; saranno tutti uccisi dalle Ss poche settimane dopo, in quel
terribile 12 agosto del '44, con ferocia criminale cui l'armadio della
vergogna ha garantito sessant'anni di turpe impunità. Il dilagare di
ingiustizie e impunità incontra un argine robusto se l'indipendenza
della magistratura scritta nella Costituzione è presidiata da garanzie
effettive e concrete, a partire dal funzionamento di un solido organo di
autogoverno. La dimostrazione che la difesa della Costituzione e
dell'indipendenza della magistratura - oggi di estrema attualità, a
fronte del discusso disegno di riforma dell'ordinamento giudiziario
sostenuto dalla maggioranza - non corrisponde all'interesse corporativo
di una casta di funzionari privilegiati quali sarebbero (come vuol far
credere una pubblicistica embedded) i giudici italiani. È invece una
difesa indispensabile per evitare - nell'interesse di tutti i cittadini,
proprio tutti - che lo stravolgimento della Costituzione, imbrigliando
la magistratura (a partire da quella ordinaria) apra nuovi varchi a
gravi ingiustizie, anche terribili. Come accadeva nel tempo passato: il
tempo degli armadi della vergogna.
Nicola
Tranfaglia, L'Unità 23/06/2004
"Stragi". Chi nasconde la verità
Che cosa è "l'armadio della vergogna", di cui si parla negli
ultimi nove anni, dopo il 23 aprile 1995 quando il procuratore militare
Antonino Intelisano alzò il velo su uno dei troppi misteri che
costellano ancora la storia dell'Italia repubblicana? Si tratta, nella
descrizione del bel libro che ha appena pubblicato Franco Giustolisi
(L'Armadio della vergogna, Nutrimenti editore) "di un vecchio
mobile di tipo ministeriale, marrone scuro, in più parti tarlato. Stava
alla fine di un corridoio defilato della Procura generale militare, in
un andito seminascosto e poco frequentato del magnifico palazzo
cinquecentesco un tempo proprietà della famiglia in via degli
Acquasparta, a Roma. Le due ante rivolte verso il muro, forse perché a
nessuno venisse in mente di aprirlo o, forse, perché, mi venne
istintivo pensare, come per un atteggiamento di vergogna". Questo,
in pochi tratti, il ritratto fisico dell'armadio ma anche un primo
accenno a quel che significa. In quel mobile tarlato c'erano, come
accertò cinque anni fa, nel 1999, dopo un'apposita inchiesta, seguita
agli articoli di Giustolisi e di Alessandro de Feo pubblicati
dall'Espresso tre anni prima, il Consiglio Superiore della Magistratura
695 fascicoli e quattrocentoquindici di essi contenevano nomi e cognomi,
grado e reparto di appartenenza dei responsabili, italiani e tedeschi,
delle stragi consumate in Italia nel 1943-45. Per quarant'anni i
fascicoli erano rimasti, possiamo dirlo ormai, occultati in
quell'armadio e nessun processo ai responsabili di quei crimini era
stato celebrato. La commissione di inchiesta del Csm si limitò a
indicare soltanto nei tre primi procuratori generali militari; Umberto
Corsari, Arrigo Mirabella ed Enrico Santacroce i responsabili del lungo
insabbiamento ma non c'è dubbio che altri magistrati militari abbiano
saputo decidendo di non agire e di lasciare le cose come stavano. Senza
togliere per questo ai giudici militari la loro pesante responsabilità
dalla storia ricostruita da Giustolisi emerge con chiarezza che la
decisione di accantonare i processi e consentire a gran parte dei
responsabili di sfuggire alla giustizia ha una chiara ragione politica.
Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ritiene, e credo abbia
ragione, che la decisione fu determinata dalla guerra fredda giacche la
Germania occidentale, in cui si trovavano i criminali tedeschi, doveva
riarmarsi per far fronte all'interno della Nato contro l’Unione
Sovietica. Il procuratore generale, Umberto Borsari, che era stato
nominato dal Consiglio dei Ministri, come avveniva sempre fino
all'entrata in vigore nel 1958 del Consiglio Superiore della
Magistratura (ma presto succederà di nuovo con la riforma
Berlusconi-Castelli dell'ordinamento giudiziario) eseguì un ordine dei
governo e i ministri allora responsabili della vicenda furono il
liberale Gaetano Martino, titolare degli Esteri, e il democristiano
Paolo Emilio Taviani, responsabile della Difesa, partigiano e presidente
dell'Associazione partigiana volontari della libertà. Ambedue facevano
parte del primo governo del futuro presidente della Repubblica Antonio
Segni che rimase in carica dal luglio 1955 al maggio 1957. Questo è
quello che è stato accertato dal Consiglio Superiore della Magistratura
e che corrisponde, con tutta probabilità, alla realtà storica.
Aggiungerei soltanto sulla base della conoscenza che ho della nostra
storia che, accanto alle ragioni che riguardavano la Germania federale e
lo scontro bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica, sembra probabile
che nella condotta decisa dal governo centrista di Segni ci fosse
un'altra e non minore preoccupazione che riguardava i criminali di
guerra italiani. Giacché in quei fascicoli c'erano, come dimostra lo
stesso Giustolisi nella straordinaria ricostruzione delle principali
stragi che si trova nel suo libro che vorrei consigliare soprattutto ai
giovani di leggere, le pesanti responsabilità dei militari della
repubblica di Salò che furono spesso complici degli eccidi consumati
dalla Wemarcht e dalle Ss naziste. E questo, evidentemente, non andava
bene in un'Italia che aveva ereditato in gran parte nelle istituzioni e
persino in Parlamento, collocati nel Movimento Sociale e nei partiti
monarchici ma anche nel partito cattolico, un numero assai alto di
fascisti riciclati nei primi anni della guerra fredda. Soltanto così si
spiegano i quarant'anni di insabbiamento di una pagina terribile della
seconda guerra mondiale e dell'aspra guerra anche tra italiani che aveva
caratterizzato l’ultimo biennio del conflitto mondiale. Molti altri
documenti che ora stanno venendo alla luce negli Stati Uniti e in Italia
(anche a me è accaduto proprio negli anni scorsi di trovarne e
pubblicarne alcuni) dimostrano l'immediato recupero del personale
fascista che ha luogo subito dopo la guerra sia per il forte
anticomunismo che pervade la destra e i partiti di centro filoamericani
sia per la paura del partito comunista italiano che appare in forte
crescita politica e organizzativa. Una vicenda come questa richiede
peraltro alcune pur sintetiche considerazioni. La prima è che la
scelta, diciamo pure vergognosa, avviene in una fase ancora acuta della
guerra fredda anche se si è alla vigilia del primo sprazzo di luce
distensivo determinato dall'avvento di Kruscev e dagli incontri politici
tra le due superpotenze. Ma quello che stupisce è il mantenimento di
una scelta così ingiustificabile nei decenni successivi quando le cose
cambiano e addirittura oltre la caduta del muro e la fine dell'Unione
Sovietica. Si tratta di una forza di inerzia sospetta che conferma
l'esistenza di quei poteri occulti e di quel sommerso della Repubblica
che più volte chi scrive (ma anche altri studiosi) ha inutilmente
indicato come una chiave di interpretazione che non è possibile
accantonare. Peraltro anche la lentezza del Pci di staccarsi dall'Unione
Sovietica deve aver contribuito a rafforzare un simile comportamento che
suona come un'offesa terribile prima di tutto per le vittime e le loro
famiglie ma anche per tutti gli italiani. E dire che proprio Paolo
Emilio Taviani nel suo libro di memorie, ha scritto qualche anno fa che
i pericoli alla democrazia repubblicana sono sempre venuti in Italia
dalla destra e mai dalla sinistra. Un riconoscimento significativo, mi
pare, da parte di chi la guerra fredda l'aveva combattuta fino
all'ultimo dalla parte del blocco occidentale.
Pasquale
Chessa, Panorama 03/06/2004
"Biblioteca minima". L'Armadio della vergogna
Un vecchio armadio, chiuso da un lucchetto, nascosto in un sottoscala
della Procura militare di Roma in via degli Acquasparta, con le ante
rivolte verso il muro, ha nascosto i segreti sui colpevoli delle più
efferate stragi naziste in Italia: 695 fascicoli (dalle Fosse Ardeatine
a Casalecchio di Reno, da Stazzema a Pedescala, da Marzabotto alla
Storta) per un totale di vittime calcolabile tra i 15 e i 20 mila morti.
Mentre gli storici ne discutono, il giornalista che per primo ha
scoperto il bandolo segreto ne pubblica tutti i documenti.
Bianca Bracci
Torsi, Liberazione 30/05/2004
L'Armadio della vergogna: una ricostruzione storica di Franco Giustolisi
"Un antifascista senza se e senza ma troverà, nei momenti
difficili, i comunisti al suo fianco, un anticomunista finisce prima o
poi, anche suo malgrado, per convergere con i fascisti", è la
conclusione alla quale siamo arrivati Massimo Rendina, partigiano,
giornalista, presidente dell'Anpi di Roma, e io alla fine di un
dibattito sulla incompatibilità fra antifascismo e anticomunismo. Una
dichiarazione certo drastica che trovo confermata, fin dalle prime
pagine, dal prezioso volume nel quale Franco Giustolisi (L'Armadio della
vergogna, editore Nutrimenti) racconta e documenta la lunga e faticosa
battaglia condotta da lui e pochi altri - fra i quali appunto Rendina -
per riportare alla luce e al giudizio dei tribunali, dopo 50 anni di
colpevole silenzio, 695 fascicoli di puro orrore che testimoniano
nefandezze commesse dai tedeschi delle Ss e della Wehrmacht e dai
fascisti repubblichini di Salò contro prigionieri di guerra, renitenti
alla leva, partigiani e "civili", cioè vecchi, donne,
bambini, uccisi per rappresaglia, per rapina, per seminare terrore o
anche per il semplice, sadico piacere di torturare e uccidere. A
Cefalonia, dopo la resa, ufficiali e soldati furono fucilati, gettati in
mare con le mani legate, deportati in Germania; a S. Anna di Stazzema
sventagliate di mitra e bombe a mano uccisero oltre 500 persone, la più
piccola aveva venti mesi ma c'era anche un feto colpito alla testa dopo
lo sventramento della madre; a Vinca una bimba di due mesi fu lanciata
in aria e crivellata di colpi; a Marzabotto i morti furono 955 compreso
il parroco; a Barletta, dove il comandante di piazza coi suoi soldati
resistette insieme al popolo, furono fucilati anche i vigili urbani e i
netturbini; a Godenzo (Treviso) civili furono usati come scudi umani a
protezione dei mitragliamenti alleati e dagli attacchi partigiani e chi
non riusciva più a camminare fu ammazzato lungo la strada; a
Niccioleta, in Val di Cecina, dopo il passaggio dei nazifascisti
restarono solo 51 vedove e 118 orfani. Sono solo alcuni dei fatti citati
nei 695 fascicoli - di cui 415 riportavano le generalità degli
assassini quasi tutti facilmente rintracciabili nel 1947 quando, sotto
la voce improbabile di "archiviazione provvisoria", quel
mucchio di carte fu stipato in un armadio "di tipo ministeriale,
marrone scuro, in più parti tarlato", chiuso a chiave e relegato,
con le ante verso il muro, in un ripostiglio recondito della Procura
generale militare. A salvare gli assassini e a privare le vittime della
giustizia, almeno postuma, non fu la tanto favoleggiata pigrizia e
incuria della burocrazia ma la precisa volontà politica di un governo i
cui componenti erano espressione dei partiti antifascisti che avevano
partecipato alla guerra di Liberazione. Alla estromissione di comunisti
e socialisti, chiesta dagli Usa e prontamente messa in atto, era seguito
un esecutivo di centro destra presieduto da Alcide De Gasperi che
affidava i suoi ministeri a liberali, repubblicani, esponenti di
Democrazia e lavoro ma aveva scelto come collaboratore l'allora
giovanissimo Giulio Andreotti. Tutti antifascisti e tutti anticomunisti,
fedeli agli Usa che, all'inizio della guerra fredda, avevano bisogno di
una Germania ben armata per minacciare l'antico alleato sovietico: come
si poteva gettare fango sul soldato tedesco, oggi difensore della libertà
occidentale? Ma non si trattava solo di tedeschi. In ognuno dei
fascicoli contenuti nell'Armadio della Vergogna erano citati, quasi
sempre per nome e cognome, fascisti italiani che indicavano ai camerati
chi uccidere, partecipavano agli eccidi o ne erano testimoni
consenzienti e entusiasti, oltre a quelli che si erano macchiati di
crimini simili in Albania, in Grecia, in Urss e soprattutto in
Jugoslavia e dei quali veniva chiesta l'estradizione: ma si potevano
consegnare degli italiani alla giustizia comunista? All'ambasciatore
italiano a Mosca, Quaroni, che suggeriva: "Comminiamogli una
trentina d'anni a testa e poi rilasciamoli non appena le acque si
saranno calmate", De Gasperi ribatté con sdegno ma alla versione
purgata della stessa proposta - "guadagnare tempo evitando di
rispondere alla richiesta jugoslava, mantenendo un atteggiamento
temporeggiante" - rispose, a nome del presidente, il
sottosegretario Andreotti: "Concordiamo con le vostre
conclusioni". Era il 1948. Otto anni dopo il padre di uno dei
militari italiani uccisi a Cefalonia chiese che fossero rintracciati e
processati trenta ufficiali tedeschi. Il governo presieduto da Antonio
Segni, dc noto alle cronache per aver dichiarato di preferire una figlia
morta anziché comunista, il ministro degli esteri, Gaetano Martino,
liberale, il ministro della difesa Paolo Antonio Taviani, anche lui dc,
già partigiano, presidente della Associazione volontari della libertà:
a loro spetta la decisione di chiedere al governo di Bonn le generalità
degli accusati. Tutti furono d'accordo nel ritenerlo inopportuno
"nel momento che tale governo compie il massimo sforzo per vincere
le resistenze che incontra in Germania la ricostruzione di quelle Forze
armate di cui la Nato reclama con impazienza l'allestimento". Nel
2000, poco prima della sua morte, l'ormai anziano ex partigiano ed ex
ministro, intervistato da Giustolisi per L'Espresso, dichiara che
"la guerra fredda imponeva scelte ben precise... a guidarmi fu la
ragion di Stato" e cerca di difendere il suo partito per quel che
riguarda l'insabbiamento del '47: "De Gasperi era antifascista come
Mario Scelba, checché se ne dica... Pacciardi, repubblicano, era un
feroce anticomunista, Carlo Sforza, anche lui repubblicano, di
comprovata fedeltà atlantica". Meno di un anno prima lo stesso
Taviani aveva scritto nella prefazione del bel libro di Marisa Musu e
Ennio Polito sulla Resistenza a Roma, pagine acute e appassionate
sull'unità d'intenti dei partiti del Cln che ricordava con nostalgia
"pur nelle sopravvenute divisioni politiche" e concludeva con
l'appello a "che non venga falsata la storia ma soprattutto che non
prevalgano la rimozione, la dimenticanza, l'oblio". Bisognerà
arrivare all'aprile del 1995 perché l'opera del procuratore militare di
Roma, Intelisano, venga alla luce su tre giornali veneti, ma sarà
necessario ancora l'impegno costante di un gruppo di giornalisti,
magistrati, carabinieri e dei sindaci dei paesi teatro delle stragi,
primo fra tutti Stazzema, perché l'armadio sia aperto e si apra - o si
riapra - qualche procedimento. Infine, l'8 ottobre 2003, le due Camere
approvano l'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle
cause dell'occultamento di fascicoli relativi ai crimini nazifascisti.
Giustolisi si è battuto - senza se e senza ma - non solo contro il
revisionismo di destra ma anche contro una sinistra accomodante,
propensa a dimenticare in nome di una "memoria unificata" che
assomiglia alla "ragion di stato" dei governi dc, per la
ricerca di una verità senza la quale non ci può essere giustizia.
Quella verità e quella giustizia in nome delle quali un gruppo di
antifascisti ha vinto la prima, faticosa, battaglia. Spetta a noi tutti
continuare la lotta.
Mirella
Serri, Corriere della Sera Magazine 13/05/2004
Sul comodino di Carlo Azeglio Ciampi
A letto. La mattina molto presto o la sera tardi. Queste le abitudini di
lettura di Carlo Azeglio Ciampi. Il presidente della Repubblica i libri
li considera oggetti di culto. Guai alle matite rosse e blu, nessuna
pagina piegata a futura memoria. Solo un lieve tratto di matita grigio
chiaro. Sul comodino di regola almeno tre-quattro tomi. (...) Scoperta
recentissima L’Armadio della vergogna di Franco Giustolisi
(Nutrimenti). L’armadio, non metaforico, dove furono occultati i
faldoni di centinaia di procedimenti per i crimini dei nazifascisti in
Italia durante l’occupazione tedesca. (...)
Leonardo
Coen, Repubblica.it 10/05/2004
"Blog Trotter". Il Giro e la memoria scomoda
Il Giro oggi arriva a Pontremoli, domani attraversa la provincia di
Lucca, poi quella di Pistoia, risale verso quella di Bologna, raggiunge
Corno alle Scale. Le strade del Giro d'Italia s'intersecano con quelle
della storia d'Italia. E, purtroppo, con quelle di una memoria
frettolosamente, colpevolmente cancellata. La corsa rosa sfiora
Fivizzano, per esempio, e Sant'Anna di Stazzema, e tutto un corollario
di minuscole località che furono teatro di efferati stragi, durante la
fine della seconda guerra mondiale. Nazisti e fascisti, Ss e
repubblichini di Salò massacrarono migliaia e migliaia di vittime.
Gente indifesa, vecchi, donne, bimbi, persino neonati. Altri mai nati,
sventrati nell'utero delle loro madri. Li cavarono con le baionette e ne
fecero bersaglio delle loro armi. Una ferocia senza pari: e senza che i
carnefici venissero puniti. La fecero franca perchè qualcuno, subito
dopo la guerra, ordinò di non inquisirli. Alla sede romanda della
Procura generale militare - in via dell'Acquasparta - affluirono i
fascicoli documentati di quegli eccidi: testimonianze, interrogatori,
documenti, fotografie, verbali di polizia e carabinieri che avevano
fatto il loro dovere ed accertato in gran parte le responsabilità dei
massacri. Tutto venne rinchiuso dentro un armadio, occultato in un vano
nascosto e protetto da un'inferriata con tanto di lucchetto. Fu scoperto
mezzo secolo dopo. Lo chiamarono l'armadio della vergogna. Quei poveri
morti erano morti due volte. Oggi si fa un gran fracasso per ricordare
il sangue dei vinti, nessuno però vuole giustizia per quello delle
vittime delle stragi nazifasciste. Nessuno, tranne un pugno di uomini
giusti che hanno orecchie e cuore per ascoltare quelle urla del
silenzio. Uno di loro è Franco Giustolisi, firma per anni dell'Espresso
con cui ancora collabora. Dal 1996 si batte perché sia fatta giustizia,
perché l'armadio della vergogna sia oggetto di inchiesta parlamentare.
Ha appena scritto un libro che si intitola appunto L'Armadio della
vergogna (pubblicato da Nutrimenti). La sua diventa nostra indignazione.
È una lettura tremenda, indispensabile. La geografia profonda, oscura,
ignobile di un'Italia nera, fascista, che oggi qualcuno sta sdoganando.
Nella sua introduzione Giustolisi cita una frase dello storico Alberto
Asor Rosa (2000): "Avanza in Italia una nuova forma di pensiero
fascista che tende, per ora, cautamente, a ricoleggarsi all'esperienza
storica passata e a giustificarla, a raddrizzarla, a rimetterla sul
piedistallo da cui era caduta; la manovra a tenaglia fra operazione
politica e operazione intellettuale è di giorno in giorno sempre più
evidente. E siamo appena all'inizio". Quattro anni dopo, nel
febbraio di quest'anno, il presidente del Senato, Marcello Pera, ha
detto in un suo intervento: "Non c'è più ragione oggi di darsi
un'identità in senso negativo, antifascista e basta". Il
presidente dell'associazione nazionale partigiani di Roma gli ha
telegrafato: guarda che se tu sei lì, sulla tua altissima poltrona è
perché lo devi all'antifascismo che ha costruito e permesso la
democrazia in Italia. Ecco: il ciclismo del Giro d'Italia, se non altro,
serve almeno a ricordare. A non dimenticare.
Simonetta
Fiori, La Repubblica 03/05/2004
L’Armadio della vergogna. La politica occulta la storia
S’intitola L’Armadio della vergogna l’esemplare saggio che Franco
Giustolisi, firma storica dell’Espresso, ha voluto dedicare a una
pagina oscura della storia italiana. È il racconto del lungo silenzio,
imposto a più riprese dal potere politico, intorno alle stragi
nazifasciste perpetrate nel nostro paese tra il 1943 e il 1945: decine
di migliaia di morti - moltissimi i bambini, i vecchi, le giovani donne
inermi - relegati nel dimenticatoio in nome d’una superiore ragion di
Stato. Ed è anche il racconto dell’ostinato lavoro d’indagine
grazie al quale un giudice militare, Antonino Intelisano, e un
giornalista, Giustolisi, sono riusciti faticosamente a rendere pubblici
i 695 fascicoli nascosti per cinquant’anni in un vecchio armadio di
via dell’Acquasparta, sede della procura militare: sulle carte
segrete, i nomi degli autori italiani e tedeschi delle carneficine. Il
libro non omette i nomi dei responsabili dell’insabbiamento: dai
ministri che negli anni Cinquanta ordinarono l’occultamento di quelle
stragi (in piena guerra fredda la loro divulgazione avrebbe indebolito
la Germania occidentale, preziosa nel fronteggiare l’Urss) - il
titolare degli Esteri Gaetano Martino e il responsabile della Difesa
Paolo Emilio Taviani - ai politici governativi che di recente hanno
tentato di ostacolare la nascita della commissione parlamentare
(esitante, al principio, appare anche la sinistra). Un libro istruttivo,
da suggerire nelle scuole superiori.
AdnKronos
28/04/2004
"Libri". L'Armadio della vergogna di Franco Giustolisi
Un testo che parla della più grande ingiustizia che ha colpito il
nostro Paese, che cerca di rispondere al quesito: "Chi e perché ha
voluto proteggere nazisti e fascisti colpevoli delle mille stragi che
hanno insanguinato l'Italia fra il 1943 e il 1945?". Si tratta del
nuovo libro di Franco Giustolisi L'Armadio della vergogna, edito da
Nutrimenti. L'autore, giornalista dell'Espresso, racconta come in quegli
anni si assiste ad una vera e propria carneficina, una strage di
quindicimila, forse ventimila innocenti che percorre gli annali di
storia e che attraversa i pensieri dei sopravvissuti. Nazisti, fascisti,
SS e repubblichini di Salò causarono decine di migliaia di vittime.
Vittime civili, di ogni età, bambini, donne e vecchi che tentavano di
scappare dall'invenzione più crudele dell'uomo: la guerra. Alcuni
parlano di rappresaglie. La verità è che si deve parlare di omicidi.
Chi ha reso giustizia a queste vittime del terrore? Dopo la liberazione
si conoscevano i nomi degli uccisori e degli uccisi, e i luoghi dove si
consumarono i crudeli eccidi. Ma nulla. Non ci furono né processi, né
istruttorie. Quei documenti detentori della verità sono stati trovati
in quell'"armadio", chiuso a chiave con tanto di lucchetto e
ante rivolte verso il muro. Grazie a quell'armadio gli assassini hanno
goduto sessant'anni di impunità. Oggi gli interrogativi che si
ripropongono sono molteplici: chi dette l'ordine? Quale fu esattamente?
Chi chiederà perdono a nome dello Stato per questa colossale ingiuria?
Secondo Pier Vittorio Buffa, coautore con Giustolisi di altri libri,
"le pagine sono venute da sole. Verbale dopo verbale, testimonianza
dopo testimonianza. Tutto raccolto con scrupolo in voluminose cartelle,
sottolineato, annotato, selezionato. Una lunga sequenza di nomi, di
raffiche di mitra, di ordini assassini, di sangue, di morte".
"Non c'è niente da aggiungere, è tutto qua", afferma Franco
Giustolisi. "Perché - aggiunge Pier Vittorio Buffa - le fredde
parole dei verbali dei carabinieri piuttosto che le testimonianze
sgrammaticate e qualche volta prolisse non hanno bisogno di commenti o
spiegazioni. È il loro essere come sono a ribadire più di ogni altra
cosa l'enormità dell'ingiustizia che ha tenuto tutto nascosto".
Roberto
Bernabò, Il Tirreno 25/04/2004
I governi: niente processi ai nazisti. La ricerca dei responsabili
dell'insabbiamento delle inchieste in un libro di Franco Giustolisi e
nel lavoro della commissione parlamentare d'indagine. Ecco i documenti
sulle stragi insabbiate. Andreotti: ma la politica non sapeva
Giulio Andreotti, la memoria dei segreti del Belpaese, dice di non
sapere: "Mi meraviglia che la magistratura militare, se ha avuto
quest’ordine, che era a mio avviso fuori della legalità, lo abbia
accettato. E che mai nei decenni successivi da essa sia stata presa
l’iniziativa di chiedere al potere politico - parlo di quello che io
avrei dovuto altrimenti conoscere - se rimaneva quella inibizione".
Andreotti non sa e lo dice al Senato - il 25 febbraio 2003 - votando sì
alla commissione parlamentare d'inchiesta che dovrà far luce
sull'armadio della vergogna, scoprire chi decise di insabbiare le
indagini sulle stragi compiute dai nazisti dopo l'8 settembre. Nessun
politico sa, o sembra sapere, lasciando ricadere tutte le responsabilità
sui procuratori militari. Andreotti, però, dice di essere curioso di
sapere la verità, come ha scritto all'onorevole Carlo Carli che gli ha
inviato un ponderoso fascicolo sulla strage di Sant'Anna di Stazzema e
che della commissione d'inchiesta è vice presidente. Il senatore
comunque ha una certezza che nega alla radice il lavoro della
commissione: "Queste iniziative sbagliate non corrispondono, a mio
avviso, ad alcun disegno politico collegato con le nostre
alleanze", disse in Senato. Mentre tutto veniva insabbiato
Andreotti era in posti chiave della Repubblica: sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio tra il 1946 e il 1948 quando il governo discute
di come difendere i criminali di guerra italiani richiesti dalla
Jugoslavia e da altri paesi dell'Est; ancora ad inizio anni Cinquanta
quando il problema è piuttosto di come sostenere la ricostituzione
dell'esercito tedesco. È, infine, ministro della Difesa il 14 gennaio
1960, giorno in cui il Procuratore militare generale Enrico Santacroce
scrive in calce a tutti i fascicoli: "Archiviazione
provvisoria". L'insulto giuridico che segna il definitivo
insabbiamento fino al ‘91, quando l'armadio è ritrovato in un antico
palazzo romano. Perciò, la commissione si attende dal senatore
probabilmente qualcosa di più nella ricerca della verità sui
"mandanti" della Notte della Verità. Anche perché il lavoro
d'inchiesta appassionato e scrupoloso di Franco Giustolisi, giornalista
dell'Espresso, che da dieci anni raccoglie documenti, spulcia archivi,
intervista testimoni, lascia pochi dubbi: ci fu una precisa volontà
politica che portò a non fare i processi. E lo dimostra in L'Armadio
della vergogna, un libro fondamentale, appena pubblicato da Nutrimenti e
che stamani sarà presentato in uno dei luoghi simbolo della ferocia
nazista ma anche della vergogna dell’ingiustizia: Sant’Anna di
Stazzema. Ma la commissione potrà contare anche sugli archivi della
Presidenza del Consiglio e del ministero degli Esteri, che si stanno
aprendo per identificare i soggetti politici che ordinarono o
invitarono, comunque spinsero le Procure militari prima a rallentare le
indagini, poi ad insabbiare tutto. Quel virtuoso armadio della vergogna
che la commissione sta ricostruendo ricevendo in copia dalle Procure
distrettuali i fascicoli avuti nel 1996 sarà insomma decisivo. Mentre a
fine anni Quaranta, nato per meglio coordinare le inchieste, divenne
prestissimo il grimaldello dell'ingiustizia, oggi l'armadio-bis può
riscattare quella brutta storia iniziata il 20 agosto 1945. Quel giorno,
su invito della Presidenza del Consiglio dei ministri, si riuniscono i
vertici della Procura militare, della Cassazione, dell'Aeronautica, del
ministero della Guerra e degli Affari esteri. Che fare delle tante
denunce, delle centinaia di rapporti dei carabinieri sulle stragi
naziste? "II materiale deve essere accentrato presso la Procura
militare che provvederà a esaminarlo e estrarne le denunzie del
caso", viene deciso. Accentrare per indagare con più efficacia e
rispedire poi agli uffici competenti per i processi, è l’obbiettivo
dichiarato. Certo l’impresa appare ardua e il procuratore generale
Borsari dà l'allarme sulle "gravi difficoltà materiali che
comporta tale nuova incombenza che viene addossata al personale della
Giustizia militare in un momento in cui trovasi eccezionalmente
impegnato nel lavoro di istruzione di moltissimi reati". La
decisione è presa e il 7 novembre la Procura generale militare informa
la Presidenza del Consiglio che alle procure distrettuali è stato
chiesto di inviare a Roma tutte le denunce per istituire un archivio
generale "che servirà sia ai fini giudiziari sia allo scopo di
documentare in maniera completa i delitti commessi dai tedeschi".
Le denunce saranno poi trasmesse "ai tribunali competenti per
territorio ai quali saranno date istruzioni per un rapido ed efficace
svolgimento delle indagini". L'armadio si apre e inizia a
fagocitare la verità. Un registro annota in 2.273 voci ciò che
contiene: 695 fascicoli di indagini sui crimini dei nazisti; per 415 con
nomi e cognomi dei responsabili. Un pieno di testimonianze, con tanto di
sigle di reparti e nomi di capi militari che hanno ordinato il massacro
di migliaia di civili. Ma l'attivismo della Procura militare dura poco.
Si blocca praticamente nella primavera del 1947. "Al grido di
‘nessuno tocchi i nostri criminali’, ecco che tutti i criminali si
salvano", sostiene Giustolisi nella sua ricostruzione. In una
relazione del febbraio 1948, il segretario generale del ministero degli
esteri, Vittorio Zoppi, parla infatti dei criminali di guerra richiesti
dalla Jugoslavia e da altri paesi: "I processi contro i presunti
criminali di guerra italiani si svolgerebbero, se fatti ora,
contemporaneamente a quelli contro i presunti criminali tedeschi da
parte dei tribunali militari italiani. E poiché le accuse che noi
facciamo ai tedeschi sono analoghe a quelle che gli jugoslavi muovono
contro gli imputati, si creerebbe una situazione alquanto imbarazzante
sia per i nostri tribunali, sia per i riflessi internazionali che
l’andamento dei processi potrebbe comportare". Dunque meglio
prendere tempo, consiglia Zoppi. La relazione è allegata ad un
documento della Presidenza del Consiglio. "Il presidente del
Consiglio dei ministri concorda sulle conclusioni raggiunte dalla
commissione interministeriale riunitasi presso il Ministero degli Affari
esteri in merito al seguito da dare alle richieste jugoslave di consegna
di presunti criminali di guerra italiani". Firmato? Il
sottosegretario di Stato Giulio Andreotti. La Doppia Impunità matura lì.
E Andreotti forse potrà appagare non solo la sua curiosità ma anche
quella della commissione parlamentare se accetterà davvero di
rispondere, a differenza di quanto fece nel 1999 con il Consiglio
superiore della magistratura militare che doveva stabilire le
responsabilità amministrative dell'insabbiamento dei fascicoli. Il Cmm
finì per indicarne le cause nel clima della guerra fredda che imponeva
di non danneggiare, con i processi ai nazisti, l'immagine della Germania
Ovest che doveva ricostruire il suo esercito e diventare dentro la Nato
un baluardo anti Unione Sovietica. E imputò la colpa, comunque, ai soli
procuratori militari. Ma una traccia in più esce, altrettanto
importante, è già uscita dagli archivi e lo stesso Andreotti,
nell'intervento in Senato, l'ha confermata parlando del "disagio
che si aveva nei confronti di alcuni italiani ingiustamente reclamati
come criminali di guerra (ricordiamo il ministro Marazza)". Umberto
Borsari, Arrigo Mirabella ed Enrico Santacroce, i procuratori generali
che costituirono l'armadio della vergogna e poi lo chiusero girandolo
con le porte verso il muro - per la vergogna, come felicemente scrive
Giustolisi - risposero ad un duplice bisogno politico: prima assicurare
l'impunità dei criminali (o presunti tali) italiani, poi difendere gli
equilibri internazionali. Queste preoccupazioni per i nuovi scenari
internazionali diventano progressivamente fortissime ad inizio anni
Cinquanta. E un carteggio del 1956 tra il ministro della Difesa Taviani
e il ministro degli Esteri Martino le mette nero su bianco. Invitato da
un procuratore militare a chiedere l'estradizione dei capi militari
nazisti autori della strage di almeno 6.000 soldati italiani a Cefalù,
Martino si interroga "sulla sfavorevole impressione che produrrebbe
sull'opinione pubblica tedesca e internazionale una richiesta di
estradizione al governo di Bonn alla distanza di ben 13 anni". Le
implicazioni politiche gli sembrano anche ben più gravi: un'iniziativa
giudiziaria italiana alimenterebbe la polemica "sul comportamento
del soldato tedesco" proprio nel momento in cui "l’attuale
governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione pubblica
il massimo sforzo allo scopo di vincere le resistenze che incontra oggi
in Germania la ricostruzione di quelle Forze armate di cui la Nato
reclama con impazienza l’allestimento". Taviani riceve e annota
in calce a penna: "Concordo pienamente con il ministro
Martino". Necessità storica che non rinnegherà neanche nel 2000,
non molto tempo prima di morire, in un’intervista a Giustolisi. Ma
anche l’Italia era appunto sottoposta alle richieste di Unione
Sovietica, Grecia, Albania e Jugoslavia che pretendevano di giudicare
moltissimi presunti criminali di guerra Un centinaio erano i più
ricercati per reati commessi durante l'occupazione fascista di questi
Stati. In cima alla lista l'ex capo di Stato maggiore Mario Roatta e
l'ex governatore della Dalmazia Giuseppe Bastianini poi diventato
sottosegretario agli Esteri. Gli jugoslavi avevano addirittura richiesto
l'incriminazione del ministro Achille Marazza, ex maggiore, uomo di
punta della Dc. Lasciar passare il tempo fu il consiglio di Zoppi;
concordo con le vostre conclusioni, scrisse il presidente del Consiglio
in una nota a firma Andreotti. Così, "nei confronti di alcuni fu
spiccato un mandato di cattura da parte della magistratura italiana, ma
venne dato a tutti il tempo di mettersi al riparo", hanno
ricostruito gli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer, principali
sostenitori della tesi che la spinta iniziale, almeno temporalmente,
alla lunga Notte della Verità sia stata questa. Un mix micidiale di
valutazioni politiche portò dunque, nel 1960, a sprangare l'armadio
della vergogna con il suo fardello di orrori. Solo negli ultimi anni le
inchieste sono ripartite e qualche processo, come quello per Sant'Anna,
è iniziato. La verità politica è nelle mani della commissione
parlamentare d'inchiesta. In quell'armadio-bis che spulciato cercando la
verità potrà forse emendare anche il suo predecessore e accendere
nuove clamorose luci su questa lunga Notte. Anche se Andreotti dovesse
continuare a non ricordare.
Pier Vittorio
Buffa, Il Tirreno 25/04/2004
L’Armadio della vergogna: il cronista, la passione, il libro
L'Armadio della vergogna di Franco Giustolisi è un libro che, si può
dire, nasce per caso e cresce per impegno e passione. Il caso è una
telefonata all'Espresso del figlio di una delle migliaia di vittime di
una strage nazifascista. Vuol sapere, conoscere, indagare. L'impegno e
la passione sono quelli che Giustolisi, dal 1994 ad oggi, ha dedicato a
ripercorrere la scia di sangue che hanno lasciato dietro di sé le
armate naziste e i loro alleati di Salò. Giustolisi è cronista di
lunghissimo corso. Con lui ho lavorato per anni, abbiamo scritto insieme
un paio di libri e mi ha fatto vedere per una, dieci, cento volte la
tenacia di un cronista. Quando sente l'odore di una notizia non molla
finché non la porta a casa. Non si ferma davanti al bisogno di sonno o
cibo, non lo rallenta la necessità di andare a casa di chicchessia, non
si lascia intimidire dalle titubanze di questo o quel direttore di
giornale. Anche questa volta, quando ha cominciato a occuparsi delle
stragi del 1944, Franco ha sentito l'odore della notizia. Ma un odore
diverso dal solito, più forte e pungente, che non è più riuscito a
togliersi di dosso. Soprattutto quando gli hanno raccontato di
quell'armadio, con le ante rivolte verso il muro, dove era stata
nascosta la verità. È stato lui a battezzarlo l'Armadio della
vergogna, a scriverne sull'Espresso, su Micromega, sull'Unità, sul
Tirreno. Si potrebbe anche dire che, senza la sua caparbietà, non si
sarebbe nemmeno arrivati alla commissione d'inchiesta parlamentare su
quelle stragi. Ma sarebbe ingiusto per tutti quelli ("pochi",
sottolinea sempre ricordando però, in cima a tutti, il sindaco di
Stazzema) che insieme a lui si sono battuti perché si desse corso,
anche dopo così tanto tempo, a un po' di giustizia. Il sistema di
lavoro adottato da Franco per raccontare gli assassinii e puntare il
dito contro gli assassini è quello di sempre. Un pezzetto dopo l'altro.
Parlando con i magistrati, cercando nelle carte, parlando con testimoni
diretti e indiretti. I risultati, preziosi, sono soprattutto due. Il
primo lo si percepisce anche solo sfogliando il libro. Messe una dietro
l'altra quelle raffiche di mitra contro donne vecchi e bambini diventano
un boato che il tempo non può cancellare. Il secondo è nella prima
parte del volume, quella in cui è sintetizzato il risultato delle
indagini condotte per capire chi e perché avesse deciso di non
processare i fascisti colpevoli delle stragi e creare, così, l'Armadio
della vergogna. Ci sono nomi e cognomi di ministri e sottosegretari. C'è
la verità storica e politica che la commissione parlamentare dovrà
accertare: la giustizia è stata negata per opportunità politica.
Questa è la notizia che Franco cercava. L'ha trovata.
Giorgio
Boatti, La Stampa / Tuttolibri 24/04/2004
Le stragi dimenticate
Quante furono le vittime civili, dentro la guerra civile e di
liberazione nazionale, che tra il 1943 e il 1945 scosse la penisola? E
perché - scrutando la carta delle stragi compiute dai nazifascisti
nell’Italia occupata - i luoghi dei massacri si vanno ad addensare nel
cuore dell’Appennino? Perché tutti quei morti lungo vallate e poveri
borghi che nessuno conosceva? Zone di silenzio e di vite appartate.
Anche dalla storia, prima che fossero investite dalla selvaggia reazione
dei corpi speciali e delle armate di Hitler e della Rsi che a
Marzabotto, a Fivizzano, a Sant’Anna di Stazzema cancellarono interi
paesi. Donne, vecchi, bambini: assassinati perché accusati di complicità
con la guerriglia partigiana. A raccontare questo capitolo atroce di
quegli anni e la vergogna della giustizia negata per "ragioni di
Stato" ai sopravvissuti (i carteggi processuali sepolti in un
armadio, per decenni) è ora Franco Giustolisi, nell’indispensabile,
commosso, documentato volume L’Armadio della vergogna (Nutrimenti
edizioni).
Chiara
Valentini, L'Espresso 22/04/2004
Ingiustizia è fatta. Le violenze sui civili italiani tra il ’43 e il
’45. In un libro quei drammatici eventi e il silenzio imposto sulle
stragi
Se qualcuno dubitasse che l’Italia è ancora ben lontana dall’aver
chiuso i conti con la sua storia recente basterebbe questo libro secco e
drammatico di Franco Giustolisi, L’Armadio della vergogna (ed.
Nutrimenti) per costringerlo a ricredersi. In uscita proprio nei giorni
in cui la commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi
nazifasciste ha deciso di desecretare 60 dei 695 fascicoli sugli orrori
e le violenze commessi fra il 1943 e il ‘45 ai danni di 15 mila civili
inermi, L’Armadio della vergogna dimostra prima di tutto che questa
giustizia arriva troppo tardi. Eppure è abbastanza eccezionale la
strada all’accertamento della verità che Giustolisi, firma storica di
questo settimanale, era riuscito a percorrere dal lontano 1994, quando
un tenace magistrato militare, Antonino Intelisano, aveva scoperto, nel
corso del procedimento di estradizione di Erich Priebke
dall’Argentina, l’esistenza di un misterioso armadio alla Procura
generale militare. Come via via era venuto alla luce, in quel vecchio
mobile erano stati sepolti i dossier, ricchi di nomi e testimonianze,
arrivati dopo la Liberazione dai luoghi in cui erano stati commessi
omicidi orrendi, stragi e stupri. Erano le prove preziose di quella
"guerra ai civili", di quei massacri pianificati dall’alto
ed eseguiti dall’esercito tedesco e dalle milizie repubblichine, di
cui alcuni storici hanno recentemente ricostruito le coordinate. Ma
quelle prove, proprio quando la magistratura militare si preparava a
istruire i primi processi, erano state messe sottochiave, pare su input
di uno dei governi democristiani in carica dopo il ‘47. D’altra
parte si è saputo di recente da un libro dello storico Michele Batini
che sulle stragi italiane gli Alleati, nello stesso periodo, avevano
cominciato a istruire una specie di secondo processo di Norimberga, che
però poi era stato abbandonato. La ragione di questi insabbiamenti
paralleli sarebbe stata nella volontà di non esagerare a criminalizzare
la Germania, alleata dell’Occidente nella nascente guerra fredda. E
anche di non aiutare indirettamente la crescita delle sinistre italiane.
Che poi i delitti destinati a restare impuniti fossero fra i più
raccapriccianti doveva essere sembrata una questione secondaria. In
questi anni Giustolisi si è dedicato in particolare al caso di
Sant’Anna di Stazzema (che per riconoscenza gli ha dato la
cittadinanza onoraria). Le 570 vittime del paesino della Lucchesia, fra
cui vecchi, bambini e donne incinte, massacrati in un solo giorno dalle
Ss, per sessant’anni non erano mai state evocate in un’aula
giudiziaria. Adesso, grazie al dossier uscito dall’armadio, sta
finalmente per cominciare un processo. Ma gli imputati (quelli ancora
vivi sono sei, tutti ultraottantenni) saranno giudicati in contumacia,
visto che la Germania non concede l’estradizione. Potrebbero, in
seguito, essere processati in patria, ma data l’età sembra
improbabile che si arrivi in tempo. Ugualmente senza giustizia sono
destinati a restare i più di 500 morti di Fivizzano (Massa Carrara), di
cui una parte impiccati con il filo spinato e abbandonati all’aperto
vicino al cartello "Chi seppellirà i cadaveri sarà passato per le
armi". O i 39 poveri contadini di Conca della Campania, sterminati
in un prato dove, ha raccontato la figlia di uno di loro, fu tanto il
sangue versato che l’anno dopo l’erba spuntò rossa. E intanto sono
morti o irrintracciabili sia assassini che testimoni della strage di 185
civili a Sant’Angelo di Godigo, fucilati dopo essere stati trascinati
per decine di chilometri a fare da scudi umani ai nazisti in ritirata.
Unico aspetto positivo in tanto orrore è che il silenzio è incrinato e
arrivano da molte parti d’Italia testimonianze di altri delitti che
non facevano parte dei dossier dell’armadio. Anche questo materiale
servirà difficilmente alla giustizia. Ma potrà integrare una storia
dove le revisioni, ultimamente, erano arrivate da una parte sola.
Ansa
21/04/2004
"Notiziario libri". L'Armadio della vergogna di Franco
Giustolisi
Un vecchio mobile di tipo ministeriale, tarlato, le ante chiuse a chiave
e rivolte verso il muro: per oltre 40 anni ha custodito fraudolentemente
695 fascicoli e un registro (prima scomparso e poi riapparso) con la
storie e i nomi dei responsabili di eccidi compiuti dai nazi-fascisti in
Italia. A lungo, come ricostruisce Giustolisi, qualcuno ha voluto che
restasse chiuso. Sepolto nella sede della Procura generale militare in
via degli Acquasparta a Roma, l''Armadio della vergogna" è stato
riaperto solo recentemente: ci sono voluti, nel corso del tempo, un
procuratore militare capo, Antonino Intelisano, giornalisti tenaci, come
Giustolisi, e una legge ad hoc che nel 2003 ha istituito la Commissione
parlamentare di inchiesta sulle stragi nazifasciste. Responsabili
''tecnici'' dell'insabbiamento furono tre procuratori generali militari:
Umberto Borsari, Arrigo Mirabella ed Enrico Santacroce, succedutisi dal
1945 al 1997. Per i politici, l'autore del libro indica Gaetano Martino,
liberale, titolare degli Esteri e Paolo Emilio Taviani, democristiano,
responsabile della Difesa, partigiano, presidente dell'Associazione
partigiana volontari della libertà, entrambi ministri negli anni
1955-56. Le ragioni: quelle della guerra fredda e la necessità di
salvaguardare la Wehrmacht della Germania Ovest impegnata a fronteggiare
il blocco sovietico.
Giorgio
Boatti, KatawebBlog 21/04/2004
"Silhouettes italiane". Un filo di fumo
Ho finito adesso di leggere un bellissimo libro di Franco Giustolisi,
L'Armadio della vergogna, Nutrimenti editore. Di che parla? Parla di
quello che è successo dentro la guerra che imperversava in Italia tra
il 1943 e il 1945. Anzi dentro "le guerre": perché c'era la
guerra tra tedeschi e anglo-americani (con rinforzi al seguito di
polacchi, brasiliani, indiani, australiani, etc, tutti ragazzi che per
la bella voglia di Mussolini di farsi una vera guerra, assieme al
camerata Hitler, erano stati catapultati qua da noi e non pochi ci sono
rimasti per sempre). C'era la guerra tra partigiani e nazi-fascisti.
C'era quella tra bombardieri alleati e popolazione civile che era la
nuova moda strategica introdotta, dopo gli esperimenti in Spagna, col
secondo conflitto mondiale. E poi la più spietata e ingiustificabile di
tutte le guerre: quella delle rappresaglie dei corpi militari contro
intere comunità. Giustolisi ricostruisce con rigore e pietas le stragi
compiute dai nazifascisti contro decine e decine di paesi, sperduti
borghi, responsabili di essere retrovia delle azioni partigiane.
Migliaia e migliaia di vittime: donne, vecchi, bambini. Inermi e
innocenti. Di questi crimini - in sessant'anni - pochissimi hanno dovuto
rispondere alla giustizia. La "ragion di stato" ha consigliato
di far sparire in un armadio - "l'armadio della vergogna",
appunto - tutti i documenti che consentivano di aprire dibattimenti, dai
quali far emergere precise responsabilità. Solo con la scoperta
dell'armadio sono stati riaperti i processi: a sessant'anni di distanza.
C'è una cartina - nella seconda di copertina del libro, irrinunciabile,
di Franco Giustolisi. La mappa riporta tutte le decine di luoghi dove i
nazifascisti hanno fatto stragi. Un puntino, una strage. Un punto più
grande: un massacro con centinaia di vittime. C'è un addensamento di
punti e puntini via via che ci si addentra nel cuore del nostro
Appennino. Quello che era il paesaggio più appartato e vero d'Italia,
il più disaccostato dalle metropoli, popolato da semplici che volevano
solo vivere e non entrare nei manuali di storia, è stato lo scenario di
queste efferatezze. Certo, ci passava il fronte. C'era la guerra
partigiana. Ma, soprattutto, si poteva sterminare la gente di poveri
paesi, distruggere case coi loro abitanti dentro, quasi senza che
nessuno - al di là della linea delle colline - se ne accorgesse. Solo
un filo di fumo, dalle case bruciate.
Dario
Olivero, Repubblica.it 15/04/2004
"L'Armadio della vergogna" sulle stragi fasciste impunite
L'armadio della vergogna è un armadio che si trovava nella sede della
Procura militare generale. Messo in un vano recondito, protetto da un
cancello con tanto di lucchetto con le ante chiuse a chiave e rivolte
verso il muro. Che cosa c'era dentro? Quale mostro, fantasma o demone da
suscitare tanta prudenza? Quale passato inconfessabile? C'era in
quell'armadio l'unica cosa che può cambiare il corso delle cose: la
memoria. Un armadio stracolmo di fascicoli, 2.264 fascicoli. Ognuno
un'istruttoria, ognuno un processo, ognuno una storia. Rimasti lì.
Archiviati e nascosti. "Questa è la storia di un'ingiustizia. La
più tremenda ingiustizia che un popolo possa subire: colpì al cuore il
nostro Paese. Fu una carneficina, in quegli anni tra il 1943 e il 1945.
Un esercito straniero aveva invaso l'Italia. Era affiancato da
traditori. Nazisti e fascisti, SS e repubblichini di Salò. Fecero
decine di migliaia di vittime. Gente senz'armi, civili in fuga dalla
guerra. Per lo più donne, vecchi, bambini. Piccoli ancora in fasce,
altri mai nati. Li cavarono dai ventri delle loro madri con le baionette
e ne fecero bersaglio delle loro armi". È l'inizio dell'Armadio
della vergogna di Franco Giustolisi (Nutrimenti). È un altro capitolo
della nostra storia senza fine. È un pugno nello stomaco al
revisionismo. Farà ricominciare l'infinito discorso sulla memoria
storica dell'Italia. Dividerà. Ma una domanda, indipendentemente da
tutto, resta. Perché quell'armadio fu sigillato? Chi e perché decise
che quei processi non andavano fatti? La ragion di Stato vale sempre più
della giustizia e della verità? Sempre?
Jacopo
Iacoboni, La Stampa 08/04/2004
Stragi nazifasciste: cade l’ultimo velo. Da Marzabotto alle Ardeatine:
Priebke a parte pochi hanno pagato, come racconta un saggio di
Giustolisi. La Commissione parlamentare toglie il segreto a sessanta
fascicoli dell’"armadio della vergogna": le prove furono
ignorate, da chi?
Per capire questa storia dovete accendere la televisione della memoria
inserire il dvd e far scorrere le immagini di un filmone anche un po'
impressionante con Gregory Peck e Laurence Olivier, I ragazzi venuti dal
Brasile. È la storia di un mostro, una specie di Josef Mengele, e dei
suoi amici nazisti che a guerra persa si rifugiano grazie a mille
complicità in Paraguay e riescono, da laggiù, a truffare persino il
Destino sognando l'impossibile rinascita per clonazione del nazismo. Al
limite condannati in contumacia, in realtà paf, volatilizzati. Nuove
vite, belle mogliettine, figlioli... praticamente hanno preso solo
Priebke. Il massacratore delle Fosse Ardeatine ormai lo conoscono tutti
ma Helmut Loos? E Albert Piepenschneider? E Franz Stockinger? La cronaca
li ha dimenticati e persino la Storia fa la smemorata, peccato che
questi tipi siano (o siano stati) tra i più sanguinari boia nazisti in
attività nei mesi bui dell'occupazione tedesca in Italia, tra le
vendette del post 8 settembre e una liberazione lontana ancora più di
un anno e mezzo. Ecco: se quei tre l'hanno fatta franca, suona bene che
ieri la Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eccidi nazifascisti
abbia deciso di "declassificare" sessanta fascicoli segreti
della Procura militare di Roma, a suo tempo ignorati: forse i conti con
il male che hai sparso in giro si pagano anche postumi, nella storia o
semplicemente nella memoria di chi l'ha subito. Fa persino sperare che
questo sia un primo passo: in tutto sono 695 i fascicoli
dell'"armadio della vergogna", lo scaffale pieno di carte sui
crimini nazifascisti scoperto nel '94 dal procuratore militare Antonino
Intelisano e custodito tra gli stucchi cinquecenteschi di Palazzo Cesi,
a Roma. E può essere un segnale incoraggiante che su tutti i
procedimenti penali (archiviati "o perché non è stato possibile
identificare l'autore dei fatti, o perché è intervenuta la
prescrizione") siano chiamati a deporre uomini del calibro di
Giulio Andreotti, nel '60 ministro della Difesa, che la Commissione
avrebbe intenzione di sentire. Tutto bene, insomma, anche l'accordo
bipartisan che vede procedere unanime una commissione presieduta da un
Udc (Flavio Tanzilli) e sostenuta indifferentemente da forzisti (come
Pierantonio Zanetti) e comunisti (come Giovanni Russo Spena). Ma di cosa
parliamo quando parliamo di un archivio chiamato "l'armadio della
vergogna"? Di solito già gli armadi, a parte gli scheletri,
contengono poco altro se non vestiti che nessuno metterà mai e
fotografie che non riescono a restituire il passato: ma gli armadi
"della vergogna" sono spesso armi improprie, contengono
rivelazioni di ieri da usare contro i nemici di oggi. La storia usata
per la politica. Ora: non è questo il caso. Se volete una conferma
aprite il bel libro che Franco Giustolisi, storico inviato del Giorno e
oggi collaboratore dell'Espresso, ha chiamato appunto L'Armadio della
vergogna (Nutrimenti). E ascoltate le spiegazioni che fornisce l'autore,
le sue parole rivelano cose interessanti e semi-sconosciute. Chi era
Looss? "Fu quello che ispirò l'assalto all'abbazia di Farneta
conclusosi con l'assassinio di dodici certosini. Al processo tenutosi a
Bologna nel 1951 contro Reder, fu dato per morto sul finire della
guerra. Non era vero, morì indisturbato il 25 novembre del 1988 a
Brema". Chi erano Piepenschneider e Stockinger? "Gli unici due
rimasti vivi dei tre assassini di Marzabotto finora individuati, uno ha
78 anni, l'altro 80 anni". Quello morto, il simpatico Albert Meier,
è anche noto per avere ricostruito con significativi accenni di
pentimento il senso di quella strage: "Abbiamo solo eliminato i
bacilli di sinistra". E a dispetto di questa sprezzante ferocia,
occorre andare a prendere questi vecchietti ovunque siano, come fa
Laurence Olivier nel film facendoci tifare tutti, in quella scena finale
coi dobermann? La Commissione giura, non vogliamo istruire processi
"ma il dato politico è che i crimini di guerra sono
imprescrittibili". Giustolisi nel suo bel libro chiede
"soltanto di sapere, per esempio chi diede l'ordine di ignorare i
documenti dell'armadio della vergogna, e quale fu esattamente
quell'ordine". Okay la pacificazione, dice, ma per la ricostruzione
della "memoria condivisa degli italiani" prima bisogna
raccontare la verità. Nel film il cattivo Gregory Peck muore, e pure
soffrendo. Nella vita i cattivi sono morti, dei moribondi sfuggiti al
Destino abbiate pietà senza dimenticare.
Cesare
Panizza, L'Indice dei Libri settembre 2004
L'Armadio della vergogna
Sarà una commissione parlamentare d’inchiesta a stabilire chi sia
stato politicamente responsabile della decisione di lasciare impuniti i
crimini di guerra commessi ai danni dei cittadini italiani. Le cause
delle manovre di insabbiamento messe in atto dalla Procura militare
generale, come ha riconosciuto lo stesso Consiglio della magistratura
militare, furono infatti essenzialmente politiche. Innanzitutto, e
inizialmente, sottrarre migliaia di criminali di guerra italiani ai
processi che, se estradati, li attendevano nei diversi Paesi occupati
dall’Italia fascista, contribuendo così alla rimozione dalla memoria
italiana, del ruolo di aggressore avuto dall’Italia nel conflitto.
Quindi non infastidire con il ricordo dei crimini tedeschi il riarmo
della Germania democratica all’interno dell’alleanza atlantica. È
impossibile stabilire precisamente, stando alla documentazione
disponibile, quando la ragion di Stato ebbe il sopravvento sul desiderio
di giustizia, inducendo la magistratura militare a occultare la
documentazione raccolta sui crimini tedeschi nell’ormai celebre
"armadio della vergogna", la cui vicenda è ricostruita da
Giustolisi nella prima parte di questo libro. AI centro vi sono 695
fascicoli che, spesso accompagnati dalle generalità dei presunti
colpevoli, e raccogliendo le testimonianze dei sopravvissuti, nonché
gli interrogatori svolti dalle autorità militari alleate, avrebbero
permesso nel 1947, quando cioè avrebbero dovuto essere inoltrate alle
procure militari competenti, di fare giustizia di 2.273 episodi, fra
violenze, stragi e omicidi compiuti dalle truppe di occupazione tedesca,
in molti casi con l’attiva complicità di quelle repubblichine. II
rinvenimento di quelle carte nel 1994, che vengono, pur senza pretesa di
esaustività, analizzate con dovizia nella seconda parte del libro, ha
oggi permesso di avviare, pur tra mille difficoltà, nuove indagini e in
alcuni casi di celebrare finalmente i processi.