le voci che corrono

Viola Di Grado

Settanta acrilico trenta lana, e/o, 2011

(L’Editore) Camelia vive con la madre a Leeds, una città in cui «l'inverno è cominciato da tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c'era prima», in una casa assediata dalla muffa accanto al cimitero. Traduce manuali di istruzioni per lavatrici, mentre la madre fotografa ossessivamente buchi di ogni tipo. Entrambe segnate da un trauma, comunicano con un alfabeto fatto di sguardi. Un giorno però Camelia incontra Wen, un ragazzo cinese che lavora in un negozio di vestiti e che le insegna la sua lingua. Saranno proprio gli ideogrammi ad aprire un varco di bellezza e mistero nella vita di Camelia, attribuendo nuovi significati alle cose. Camelia si innamora di Wen, ma lui la respinge nascondendogliene il motivo. E c'è anche il bizzarro fratello di lui, ossessionato dall'oscura morte di Lily, un'altra studentessa di Wen… Viola Di Grado ha ventitré anni. È nata a Catania, si è laureata in lingue orientali a Torino e studia a Londra.

 

(Giovanni Pacchiano, Il Sole 24Ore”, 6 febbraio 2011)È un libro fatto di segni del destino il notevolissimo romanzo d’esordio di Viola Di Grado, Settanta acrilico trenta lana. In quest’inizio d’anno, mentre gli editori puntano molto sugli esordienti, ingolositi dai grandi slam di Giordano e della Avallone, lei, i romanzi dei suoi concorrenti, li eclissa.”

 

(Claudia Spadoni, “Marie Claire”, 19 gennaio 2011) Non l'avessero già usato per la promozione di un altro chiacchierato esordio dell'anno scorso, si potrebbe dire che Settanta acrilico, trenta lana di Viola Di Grado è un romanzo "potente". Che ti fa venir voglia di abbracciare la protagonista, la ventenne Camelia da Leeds, un padre morto in un incidente stradale con l'amante e una madre che sa solo fotografare buchi e (non) parlare con gli sguardi; e dirle che sì, questa non sarà «una storia d'amore, anche se vorrebbe tanto esserlo, darebbe dieci paragrafi per esserlo», ma va bene così, va bene trucidare i vestiti, vomitare parole per strada, violentare il silenzio di Wen, il ragazzo orientalecon l'ex fidanzata morta e il fratello strano, che poi la chiave di tutta la storia, come fosse un ideogramma cinese appena inventato, alla fine in qualche modo si trova. E che questa non è una storia con «le farfalle che volano», si capisce (ancora meglio) nelle ultime spiazzanti pagine.

La "nota sull'autrice" in fondo al libro racconta poco di Viola di Grado, che «ha 23 anni, è nata a Catania, si è laureata in Lingue Orientali a Torino e studia a Londra». Così le abbiamo girato qualche domanda.

Perché hai scelto di ambientare il romanzo proprio a Leeds?
Perché Leeds non è una città qualsiasi, è un palcoscenico ambiguo, magico, pieno di gente di tutto il mondo che per strada si traveste, beve, vomita e canta. Era una tentazione irresistibile trasformarla in un buco che ingoia tutte le parole, renderla apocalittica.

Camelia è un alter ego di Viola?
No, io sono diversa da Camelia. Sia come persona che nelle esperienze. Ho scelto questo nome perchè Camelia trucida i fiori con un coltello, io/Viola faccio del male a Camelia assegnandole una vita tragica, e Lily (giglio) è morta (ma non posso dirvi come). È un gioco perfido di fiori che fanno del male ad altri fiori.

Scrivi la tua autobiografia in max venti parole.
Scrivo da quando avevo 5 anni, suono il flauto traverso, raccolgo da terra oggetti perduti per farci delle collane.

Il libro che ti ha cambiato la vita?
Mrs Dalloway.

C'è stato un momento in cui ti sei detta "sono una scrittrice"?
Sì, a cinque anni, quando ho scritto il mio primo racconto.

Scrittori di riferimento?
Lewis Carroll e le cortigiane giapponesi dell’anno mille.