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LETTERA SUI DUE VIAGGI FATTI PER IL SERENISSIMO RE DI PORTOGALLO

Di: Amerigo Vespucci

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Di Amerigo Vespucci fiorentino lettera prima, drizzata al magnifico M. Pietro Soderini, gonfaloniere perpetuo della magnifica ed excelsa signoria di Firenze, di due viaggi fatti per il serenissimo re di Portogallo.


Del porto detto Beseneghe; dove un giovene dell'armata sceso in terra fu dalle donne ammazzato a tradimento e arrostito; del luoco detto Capo di Santo Agostino; dell'isole degli Azori.
Stando in Sibilia, riposandomi da molte mie fatiche ch'in duoi viaggi fatti per il serenissimo re don Fernando di Castiglia nell'Indie occidentali avevo passate, e con volontà di ritornare di nuovo alla terra delle perle, quando la fortuna, non contenta de' miei travagli, fece che venne in pensiero a questo serenissimo re don Manuello di Portogallo volersi servire di me; e stando in Sibilia fuori d'ogni pensiero di venire a Portogallo, mi venne un messaggiero con lettere di sua real corona, che mi comandava ch'io venisse qui a Lisbona a parlarli, promettendo farmi molte grazie. Io fui consigliato di non partirmi allora, e però espeditti el messaggiero dicendogli ch'io stava male, e che quando fussi risanato, e che sua altezza si volesse pur servir di me, che farei quanto mi comandasse. Laonde che, visto sua altezza che 'l non mi poteva avere, deliberò di mandare per me Giuliano di Bartolomeo del Giocondo, stante qui in Lisbona, con commissione che in ogni modo mi conducesse. Venne el detto Giuliano a Sibilia, per la venuta e prieghi del quale fui forzato a venire; e fu tenuta a male la mia partita da quanti mi conoscevano, per essermi partito di Castiglia, dove mi era fatto onore e il re mi teneva in bona reputazione: peggio fu che mi parti insalutato ospite. E appresentatomi innanzi a questo re, mostrò aver piacere della mia venuta, e pregommi ch'io andassi in compagnia di tre sue navi, che stavano in ordine per andar a discoprir nuove terre: e perché un priego d'un re è comandamento, ebbi a consentire a quanto mi comandava.
E partimmo di questo porto di Lisbona tre navi di conserva adí X di maggio 1501, e pigliammo nostro pareggio diritti all'isola della Gran Canaria, e passammo senza posare a vista di essa. E di qui fummo costeggiando la costa d'Africa per la parte occidentale, nella qual costa facemmo nostra pescaria, d'una sorte pesci che si chiamano pargos, dove ci tenemmo tre giorni. E di qui fummo nella costa d'Etiopia a un porto che si dice Beseneghe, che sta dentro dalla torrida zona, sopra la quale alza el polo del settentrione 14 gradi e mezo, situato nel primo clima: dove stemmo 11 giorni pigliando acqua e legne. E perché mia intenzione era di navigare verso ostro per el golfo Atlantico, partimmo di questo porto di Etiopia e navigammo per libeccio, pigliando una quarta di mezzodí, tanto che in 67 giorni arrivammo a una terra che stava dal detto porto 700 leghe verso libeccio. E in quelli 67 giorni avemmo el peggior tempo che mai avesse uomo che navigasse el mare, per le molte pioggie, tempeste e fortune che ci dettono, perché fummo in tempo molto contrario, a causa che 'l forzo della nostra navigazione fu di continuo gionta con la linea dell'equinoziale nel mese di giugno, ch'è inverno, e trovammo el dí con la notte essere eguale, e trovammoci avere l'ombra verso mezzodí di continuo. Piacque a Dio mostrarci terra nova, che fu il 17 agosto, dove surgemmo a mezza lega e buttammo fuori li nostri battelli; poi andammo a veder la terra se era abitata da gente e di che sorte, e trovammo essere abitata da genti ch'erano peggiori ch'animali, come V.S. intenderà.In questo principio non vedemmo gente, ma ben conoscemmo ch'era populata, per molti segnali ch'in quella vedemmo. Pigliammo la possessione di essa per questo serenissimo re, la quale trovammo esser terra molto amena e verde e di buona apparenza: stava oltra della linea equinoziale verso ostro 5 gradi. Poi ci ritornammo alle navi, e perché tenevamo gran necessità d'acqua e di legne, accordammo l'altro giorno di ritornare a terra per proveder delle cose necessarie. E stando in terra, ci vedemmo una gente nella sommità d'un monte, che stavano mirande e non osavano discendere a basso: erano nudi, e del medesimo colore e fazione ch'erono gli altri passati scoperti per me per il re di Castiglia. E stando con loro travagliando perché venissino a parlare con noi, mai non gli potemmo assicurare, non volendosi fidar di noi; e visto la loro ostinazione, e di già essendo tardi, ce ne tornammo alle navi lasciando loro in terra molti sonagli e specchi e altre cose a sua vista: e come fummo larghi al mare, discesono dal monte e vennono per le cose che gli lassammo, faccendosi di esse gran maraviglia. E per questo giorno non ci provedemmo se non d'acqua; l'altra mattina vedemmo dalle navi che la gente di terra facevono molte fumate, e noi, pensando che ne chiamassino, andammo a terra, dove trovammo ch'erano venuti molti populi: e tuttavia stavano larghi da noi e ne accennavano che fossimo con loro drento per la terra, per onde si mossono dua nostri cristiani a domandare al capitano che desse lor licenzia, che si volevano mettere a pericolo di voler andare con loro in terra, per vedere che gente erano e se ne tenevano alcuna ricchezza o spezieria o drogheria. E tanto pregorono che 'l capitano restò contento, e messonsi a ordine con molte cose di riscatto, si partirono da noi con ordine che non stessino piú di cinque giorni a tornare, perché tanto gli aspettaremmo, e pigliorono il lor cammino per la terra, e noi nelle navi aspettandogli. E quasi ogni giorno veniva gente alla spiaggia, ma mai non ne volsero parlare.
E il settimo giorno andammo in terra e trovammo ch'avean menato con loro le sue donne; e come saltammo in terra, gli uomini della terra mandarono molte delle lor donne a parlar con noi, dove, vedendo che non si assicuravono, deliberammo di mandar a loro un uomo de' nostri, che fu un giovine che molto faceva il gagliardo. E noi per assicurarlo entrammo nei battelli, e lui si fu per le donne; e come gionse a esse, gli feciono un gran cerchio intorno: toccandolo e mirandolo si maravigliavono. E stando in questo, vedemmo venire una donna dal monte che portava un gran palo nella mano, e gionta donde stava el nostro cristiano gli venne per adrieto e, alzato el bastone, gli dette cosí gran colpo che lo distese morto in terra: e in un subbito l'altre donne lo presero per i piedi e lo strascinorono verso 'l monte, e gli uomini saltorono verso la spiaggia, e con loro archi e saette a saettarne; e messono la nostra gente in tanta paura, essendo surti con i battelli sopra le secche che stavano in terra, che per le molte freccie ch'essi tiravano nei battelli nessuno ardiva di pigliar l'arme. Pure disparamo loro quattro tiri di bombarda, e non accertorono, salvo che, udito el tuono, tutti fuggirono verso 'l monte, dove erano già le donne, facendo pezzi del cristiano: e a un gran fuoco che avevon fatto lo stavano arrostendo a vista nostra, mostrandoci molti pezzi e mangiandoseli, e gli uomini faccendoci segnali, con loro cenni, come avevan morti gli altri dua cristiani e mangiatoseli. Il che ci pesò molto, vedendo con i nostri occhi la crudeltà che facevano del morto: a tutti noi fu ingiuria intollerabile, e stando di proposito piú di quaranta di noi di saltare in terra, e vendicare tanta cruda morte e atto bestiale e inumano, el capitan maggiore non volle consentire. E si restarono sazii di tanta ingiuria, e noi ci partimmo da loro con mala volontà e con molta vergogna nostra, per cagione del nostro capitano.
Partimmo di questo luogo e cominciammo nostra navigazione fra levante e sirocco, che cosí corre la terra, e facemmo molte scale, e mai trovammo gente che con esso noi volessino conversare. E cosí navigammo tanto che trovammo che la terra faceva la volta per libeccio, e come voltammo un cavo, al quale mettemmo nome el Capo di Sant'Agostino, cominciammo a navigare per libeccio: ed è discosto questo cavo dalla predetta terra che vedemmo, dove ammazzorono i cristiani, 150 leghe verso levante, e sta questo cavo 8 gradi fuori della linea equinoziale vers'ostro. E navigando avemmo un giorno vista di molta gente, che stavano alla spiaggia per vedere la maraviglia delle nostre navi; e cessando di navigare, fummo alla volta loro e sorgemmo in buon luogo, e fummo coi battelli a terra, e trovammo la gente esser di miglior condizione che la passata, e ancor che ci fosse travaglio di domesticargli, tuttavia ce gli facemmo amici e trattammo con loro. In questo luogo stemmo cinque giorni, e qui trovammo cassia fistola molto grossa e verde e secca in cime degli arbori. Accordammo in questo luogo levar un paio di uomini, perché imparassino la lingua, e cosí vennono tre di loro volontà per venire a Portogallo; e partimmo poi di questo porto, sempre navigando per libeccio a vista di terra, di continuo faccendo di molte scale e parlando con infinita gente. E tanto andammo verso l'ostro che già stavamo fuori del tropico di Capricorno, donde el polo antartico s'alzava sopra l'orizonte 32 gradi, e di già avevamo perduto del tutto l'Orsa minore, e la maggiore ci stava tanto bassa che apena si mostrava al fine dell'orizonte, e ci reggevamo per le stelle dell'altro polo dell'antartico, le quali sono molte e molto maggiori e piú lucenti che quelle di questo nostro polo: e della maggior parte di esse trassi le lor figure, e massime di quelle della prima magnitudine, con la dechiarazion di lor circuli che facevan intorno al polo dell'ostro, con la dechiarazion de' lor diametri e semidiametri, come si potrà veder nel sommario delle mie navigazioni. Corremmo di questa nostra costa appresso di 750 leghe: le 150 dal Cavo di Sant'Agostino verso el ponente, e le 600 verso el libeccio. Volendo raccontare le cose ch'in questa costa viddi e quello che passammo, non mi bastarebbono altretanti fogli: e in questa costa non vedemmo cosa di profitto, eccetto infiniti arbori di verzino e di cassia, e altre maraviglie della natura che saria lungo raccontare.E di già essendo stati nel viaggio ben dieci mesi, e visto ch'in questa terra non trovammo cosa di minera alcuna, accordammo di espedirci di essa e andarci a commettere al mare per altra parte, e fatto nostro consiglio fu deliberato che si seguisse quella navigazione che mi paresse bene, e tutto fu rimesso in me il comandare dell'armata. E allora comandai che tutta la gente e armata si provedessi di acqua e di legne per sei mesi, che tanto giudicorono gli ufficiali delle navi che potevamo navigare con esse. Fatto nostro provedimento di questa terra, cominciammo nostra navigazione per el vento sirocco, e fu il 15 di febraio, quando già el sole s'andava appressando all'equinozio e tornava verso questo nostro emisperio del settentrione. E tanto navigammo per questo vento, che ci trovammo tanto alti che 'l polo antartico ci stava alto fora del nostro orizonte ben 52 gradi, e di già stavamo discosti dal porto di dove partimmo ben 500 leghe per sirocco: e questo fu il 3 d'aprile. E in questo giorno cominciò una fortuna in mare tanto forzosa che ne fece amainare del tutto le nostre vele, e correvamo con arbero secco con molto vento, ch'era libeccio, con grandissimi mari e l'aria molto fortunevole: e tanta era la rabbia del mare che tutta l'armata stava con gran timore. Le notti eron molto grandi, che notte tenemmo il 7 d'aprile che fu di 15 ore, perché il sole stava nel fine di Aries e in questa regione era lo inverno, come ben può considerare V.S.. E andando in questa fortuna, adí 7 d'aprile avemmo vista di nuova terra, della quale corremmo circa di 20 leghe e la trovammo tutta costa brava, e non vedemmo in essa porto alcuno né gente, credo perch'era tanto el freddo che nessuno dell'armata ci poteva remediare né sopportarlo. Di modo che, vistoci in tanto pericolo e in tanta fortuna, ch'a pena potevamo aver vista l'una nave dell'altra, per i gran mari che facevono e per la grande oscurità del tempo, accordammo con el capitano maggiore far segnale all'armata ch'arrivasse, e lasciammo la terra e se ne tornassimo al cammino di Portogallo: e fu molto buon consiglio, che certo è che, se tardavamo quella notte, tutti ci perdevamo. Per il che pigliammo il vento in poppa, e la notte e il giorno sequente crebbe tanto la fortuna che dubitammo perderci, e avemmo di far peregrini e altre cerimonie, com'è usanza di marinari per tali tempi. Corremmo 5 giorni con il vento in poppe con il trinchetto solo, e questo ben basso; e in questi dí navigammo 250 leghe, e tuttavia appressandoci alla linea dell'equinoziale, e in aria e in mari piú temperati: e piacque a Dio scamparci di tanto pericolo. E la nostra navigazione era per el vento infra tramontana e greco, perché nostra intenzione era di andare a riconoscere la costa d'Etiopia, che stavamo discosto da essa 1300 leghe per el golfo del mar Atlantico: e con la grazia di Dio a' 10 di maggio fummo in essa, a una terra vers'ostro che dicesi la Serra Liona, dove stemmo 15 giorni pigliando nostro rinfrescamento. E di qui poi partimmo navigando verso l'isole degli Azori, che sono discoste da questo luogo della Serra circa di 750 leghe, e giongessimo a esse isole nel fine di luglio, dove stemmo altri 15 giorni pigliando alcuna recreazione.Dapoi partimmo da esse per Lisbona, perché stavamo piú all'occidente 300 leghe, ed entrammo per questo porto di Lisbona il 7 di settembre del 1502 a buon salvamento, Dio rengraziato sia, con solo due navi, perché l'altra ardemmo nella Serra Liona perché non poteva piú navigare. Stessimo in questo viaggio cerca 15 mesi e giorni undeci, e navigammo senza veder la stella tramontana o l'Orsa maggiore e minore, che si dice el Corno, e si reggemmo per le stelle dell'altro polo. Questo è quanto viddi in questo viaggio, fatto per el serenissimo re de Portogallo.

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Edizione HTML a cura di:
toniolo@iol.it
Ultimo Aggiornamento:
06/03/99 12.48

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