Nota: sui "Campi Profughi di Gaeta" tratte dal libro 
"I Giuliano-Dalmati a Roma e nel Lazio
"L'esodo tra cronaca e storia (1945-2001)"
del dott. Marino Micich

     Gaeta, importante porto al confine con la Campania, fu l'altro centro laziale che ospitò, subito dopo Latina, un considerevole numero di profughi. Molti di essi però, visto la difficoltà a trovare lavoro in città e nei dintorni vi rimasero poco tempo; grazie infatti all'interessamento dell'Opera per l'Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati riuscirono a trovare lavoro e sistemazione soprattutto nelle città industriali dell'Italia settentrionale.
     Nel 1954 risultavano a Gaeta, circa 150-180 profughi giuliano-dalmati ospitati nel quartiere vecchio di Sant'Erasmo, precisamente nelle ex caserme: "Vittorio Emanuele II", "Cavour", e "Enrico Cosenz". Le Camerate della caserma intitolata al garibaldino Cosenz subirono profonde ma inadeguate trasformazioni, in quanto furono uniformate in piccoli spazi rettangolari; purtroppo molte finestre restavano ancora senza vetri, i servizi igienici erano sudici, maleodoranti e insufficienti, mentre l'acqua d'inverno era gelida e le cucine fumavano più che scaldare. Le batterie di servizi igienici erano in comune e alla turca, con dei battenti corti e volanti. Si poteva vedere la testa e i piedi di chi ne usufruiva. Nelle altre due caserme la situazione non era migliore, in quanto "risentivano" dell'accoglienza data in precedenza agli sfollati di Montecassino e quindi presentavano locali usati e piuttosto malridotti. Il menù nelle caserme gaetane era sempre lo stesso, a parte le variazioni nei giorni di festa. A colazione: un pezzo di pane e una "tazza" di latte in polvere; a pranzo brodo di ceci o lenticchie con contorno di patate lesse o insalata; a cena fagioli lessi, a volte un uovo, un pezzo di pane e un frutto. Il servizio mensa era chiaramente molto scarso e spesso si levavano proteste, ma quasi sempre moderate e dignitose.
     L'amministrazione comunale di Gaeta fu in genere favorevole e sensibile verso i giuliano-dalmati; già nel 1947 l'allora sindaco della città Giovanni Cesarale, ispirato probabilmente dall'esempio di Latina, accogliendoli fraternamente auspicò la nascita di un nuovo quartiere dove far sorgere la nuova Pola. Circa 80 profughi dell'isola dalmata di Lagosta (oggi Lastovo) si stabilirono nell'isola di Ponza, dove continuarono le attività di pesca lasciate nella terra di origine. Alcuni di questi pescatori erano però originari di Ponza, poichè erano stati inviati durante gli anni trenta dall'Italia nell'isola dalmata per dare maggior impulso all'attività di pesca. Questo fu un caso molto interessante di reinserimento che meriterebbe uno studio più approfondito anche di carattere antropologico. A Gaeta, inoltre avvenne un'interessante iniziativa per offrire lavoro a un gruppo di pescatori istriani, ai quali vennero affidate alcune barche da pesca tra cui il peschereccio "Carlo O". Quasi la metà degli esuli presenti nel territorio pontino (in tutto circa 1.500) proveniva da Fiume o dalle isole del Quarnero.
     In quegli anni molti giuliano-dalmati presero la via verso altri paesi, dato che nei campi profughi i disagi erano molto pesanti, a partire dai ritardi nei pagamenti dei già piccoli sussidi alla qualità dei modestissimi pasti, per finire ai servizi sanitari sudici e alla mancanza di brande, di materassi, di lenzuola e di coperte. Per non parlare della scarsità dell'acqua potabile e dei mezzi di riscaldamento. Soprattutto a Gaeta nel 1948 ci furono vibranti proteste da parte dei profughi per le cattive condizioni di accoglienza.
 
 
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