ARMANDO ORLANDO

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COSE DI "CASA NOSTRA"

 

Negli ultimi anni una serie di indagini hanno richiamato la mia attenzione sulla Calabria. Nel corso di quest'articolo cerchiamo di analizzare i risultati più significativi di queste indagini, considerate attendibili perché le ricerche, come vedremo, sono state condotte con rigore scientifico da Enti e Istituti seri e specializzati.

Il primo studio è della Banca d'Italia e fa il punto sulla distribuzione del reddito e della ricchezza delle regioni italiane nel periodo 1995-2000. Ai primi posti figurano Emilia Romagna, Toscana, Lombardia, Trentino e Friuli; agli ultimi troviamo Sicilia, Basilicata e Calabria. Considerando poi la ricchezza pro capite, la Calabria ottiene 54 punti, seguita solo da Basilicata e Campania, contro i 184 punti della prima in classifica, l'Emilia Romagna.

Altro dato evidenziato dai giornali riguarda la spesa media mensile delle famiglie calabresi nell'anno 2000, che è stata di 378 Euro per gli alimentari e di 1.322 Euro per il non alimentare. Al ventesimo posto fra tutte le regioni italiane. Praticamente ultima.

Un altro studio, commissionato della Siemens-Ambrosetti ed illustrato al Forum di Cernobbio, ha delineato i fattori che influenzano le scelte straniere in Italia e la graduatoria per provincia. Il grado degli investimenti diretti esteri in percentuale sul prodotto interno lordo nel periodo 1998-2002 è stato del 3% per Milano (prima in classifica), dello 0,06% per Crotone, dello 0,01% per Cosenza e Reggio e dello zero assoluto per Vibo e Catanzaro. Praticamente negli ultimi cinque anni gli investimenti stranieri in Calabria sono stati inesistenti.

Un'altra ricerca è stata fatta sui costi dei servizi ospedalieri a gestione diretta delle Aziende Sanitarie Locali, che dipendono dalla Regione. La Calabria ha speso in un anno circa 561 milioni di Euro; più del 76% di questa cifra è stata destinata al personale, e solo il 14% all'acquisto di beni sanitari. Le regioni che hanno speso di meno per il personale sono state l'Emilia Romagna (56,2%) ed il Veneto (56,6%); quelle che hanno speso di più per l'acquisto di beni sanitari le Marche (24%) e l'Emilia Romagna (19,5%).

Rimanendo nel campo della sanità pubblica, citiamo i risultati di uno studio del Tribunale dei Malati, che nel 1998 ha monitorato 36 ospedali italiani controllando il livello dell'igiene, lo stato degli impianti, la manutenzione, la segnaletica e l'organizzazione per la sicurezza; 17 ospedali sono stati bocciati e molti altri hanno ricevuto solo la sufficienza. Tanti i punti dolenti: fili elettrici scoperti, vie di fuga ostruite, biancheria e rifiuti abbandonati, gatti, topi, scarafaggi, poche conoscenze delle norme di sicurezza. Le migliori strutture si trovano al Nord, mentre spettano al Sud, ed in particolare alla Calabria, gli ospedali con il peggiore punteggio assegnato. A Catanzaro - ha detto in quell'occasione il segretario nazionale del TdM - è stato addirittura chiesto il sequestro cautelativo di un ospedale.

Un ulteriore esempio di inefficienza viene dai trasporti. Tutti sanno che gli autobus delle autolinee calabresi sono in maggioranza vecchi e decrepiti. I soldi per il ricambio ci sono, ma non si spendono. La Calabria ha fondi residui del 1998, con i quali si potrebbero acquistare 210 nuovi mezzi, ed altri 180 sono stati finanziati dallo Stato. Ebbene, a fronte di 390 autobus da acquistare all'1 settembe 2003 ne sono stati acquistati solo 17.

Ed ancora: la Calabria è la regione con la più alta incidenza di aziende in nero, una su quattro. Nel 2003 l'economia sommersa potrebbe produrre una quota di ricchezza nascosta pari a circa 8.800 milioni di Euro, una cifra pari al 38% del prodotto interno lordo della regione. Un altro primato negativo, che addebbita alla Calabria il 37% di aziende irregolari, seguita solo dalla Campania e dalla Sicilia con il 36%. L'indagine è stata eseguita dall'Eurispes ed anche questi dati si ritengono attendibili. Nella classifica delle province con più dipendenti pubblici, stilata dall'Istituto Tagliacarne e pubblicata sulla rivista dello Svimez, Catanzaro è la seconda città d'Italia con più dipendenti pubblici, preceduta solo da Trieste ed a pari passo con Roma, che è la capitale ed è sede di tutti i Ministeri.

Le note sull'andamento dell'economia in Calabria nel 1999, pubblicate dalla sede regionale della Banca d'Italia, hanno evidenziato una contrazione dell'occupazione che ha raggiunto i livelli più bassi del decennio, ed infatti in quell'anno 87.000 persone hanno lasciato i loro paesi, le famiglie, gli affetti, alla ricerca di un posto di lavoro. Non a caso la Calabria, con un tasso di disoccupazione del 28%, è rimasta il fanalino di coda delle classifiche europee dell'impiego, superata nel 1999 anche dalle regioni spagnole dell'Andalusia e dell'Estremadura, alle quali spettava il record negativo dell'intera Comunità Europea. E la tendenza continua, se si considera che in un anno, a partire dal luglio 2002, la regione ha perso altri mille posti di lavoro, come ha recentemente documentato un'indagine Istat.

In uno studio presentato a Capri qualche mese addietro dal Consiglio centrale dei giovani imprenditori è emerso che a Catanzaro ci vogliono 19 anni per smaltire gli arretrati di cause civili di primo grado, che a Pizzo si attende dal 1959 la fine dei lavori per la costruzione di un ospedale e che nella nostra regione neanche un Comune ha emesso "BOC", buoni di risparmio comunali utilizzati come strumento di auto finanziamento da ben 23 amministrazioni locali nell'Emilia Romagna.

Ed anche nel campo delle infrastrutture la Calabria è il fanalino di coda delle regioni italiane. L'indagine dello Svimez del 1999 presenta una regione con gravi carenze che vanno dal settore idrico a quello dell'istruzione. Mancano strade, acquedotti, linee elettriche e telefoniche, scuole, ospedali, campi sportivi e cinema. Le Aree di Sviluppo Industriale non sono altro che terreni sottratti all'agricoltura, dove mancano acqua, luce, fognature e strade. Dato 100 l'indice generale Italia di dotazione delle varie infrastrutture, la Calabria ha 50 (42 per le infrastrutture economiche e 57 per quelle sociali).

Rocco Marra, presidente dell'associazione culturale franco-canadese Antibes (Francia), nel 2000 ha scritto: "Molti calabresi, costretti a vivere lontano dalla nostra terra e dai nostri affetti, sarebbero disposti ad operare per la rinascita della Regione. Ma è necessario che le istituzioni, da quelle locali a quelle nazionali, si pongano obiettivi realisticamente raggiungibili e soprattutto consoni ai tempi ed alle esperienze".

Nello stesso periodo questa nostra rivista, nel trimestrale autunno/inverno 1999/2000, ha pubblicato un "Addio alla Calabria" firmato da Rocco Caporale, un emigrato nato a Santa Caterina sullo Jonio nel 1927 e diventato ordinario della cattedra di Sociologia e Antropologia presso la St. John's University di New York, dopo una carriera accademica che lo ha visto lavorare pure a Berkley e a Los Angeles. "Dopo vari viaggi in Calabria e numerosi incontri con i rappresentanti politici e culturali - egli scrive - ora comprendo l'abisso culturale che separa anche me dalla mia terra di origine. Gradualmente sono arrivato alla conclusione che, dal punto di vista del progresso sociale e civile, in Calabria non c'è più nulla da fare". Ed ancora: "Inizialmente credevo che, con una profonda azione culturale, i calabresi avrebbero ritrovato la loro dignità sociale. Ma non si superano facilmente secoli di servitù, sfruttamento e servilismo, soprattutto ad opera dei calabresi stessi".

Il pezzo è forte, non c'è dubbio; le espressioni sono crude ed il giudizio è severissimo, ma Caporale non si ferma alla denuncia ed indica una strada: "il rilancio sociale della Calabria può partire soltanto dalla mobilitazione dei suoi figli migliori" e affinchè questo avvenga "occorre un impegno chiaro e deciso da parte della Regione".

Da più parti, dunque, si chiamano in causa le istituzioni. Quelle locali, oggi come ieri, fanno viaggi all'estero e presentano un'immagine della Calabria che, purtroppo, ancora non esiste. E mentre i sindacati proclamano uno sciopero generale per il 5 dicembre 2003 - sottolineando il fatto che il governo regionale "manifesta un'assoluta incapacità di promuovere una seria politica di sviluppo" e mettendo in evidenza "l'inadeguatezza delle risposte ai problemi economici e sociali" - i nostri governanti continano ad apparire sui giornali ed in televisione con la faccia sorridente dopo avere partecipato a feste, premi, congressi, convegni e manifestazioni

mondane.

Sul concorso di Miss Universo del 2003, che secondo alcuni giornali è costato alla Giunta Regionale 650.000 Euro, oltre un miliardo e duecento milioni di vecchie lire, il più noto Promoter calabrese ha osservato: "E' incredibile la sproporzione fra la cifra elargita ed il valore tecnico-artistico-culturale della manifestazione. La finale italiana di Miss Universo è una manifestazione minore, di scarsa importanza, in Italia senza storia e interesse, una manifestazione praticamente sconosciuta...". Ed in una dichiarazione congiunta, altri operatori dello spettacolo hanno aggiunto: "Il contributo elargito è almeno quattro volte superiore a quanto avrebbe meritato una manifestazione del genere... Costi non commisurati alle qualità di un evento costituiscono spreco gratuito...".

E la parola "spreco" si affaccia su un'altra scottante vicenda, sulla quale sono in corso inchieste della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica di Catanzaro: l'acquisto del suolo da parte della Regione per costruirvi la sede della Giunta. Gli inquirenti vogliono verificare se esistono ipotesi di reato e se sussistono elementi per avviare un'azione di responsabilità connessa all'esborso di una cifra (sei milioni di Euro) quasi tripla rispetto a quella indicata dalla commissione tecnica regionale (poco più di due milioni di Euro) quale prezzo congruo per l'acquisto del terreno.

"Anche in Calabria - ha detto Antonio Di Pietro, ex magistrato di "Mani Pulite" - si è insinuato un virus che porta a vedere la cosa pubblica non come il luogo in cui prestare un servizio a beneficio della legalità, ma come un'occasione per soddisfare i propri bisogni". E la criminalità organizzata si infiltra a macchia d'olio nel tessuto impenditoriale del territorio. A Lamezia Terme il Consiglio Comunale è stato sciolto per mafia per la seconda volta in dieci anni, ed i giornali di luglio 2003 hanno riportato una notizia allarmante: la relazione presentata dai Servizi Segreti alla Presidenza del Consiglio dei Ministri rivela che la 'ndrangheta è interessata "nella produzione e nell'imbottigliamento di acque minerali, nonché nei progetti di deindustrializzazione dell'area ex Sir di Lamezia Terme". A sua volta la Commissione Parlamentare Antimafia, dopo una visita di due giorni a Vibo, ha dichiarato che "in questa provincia operano le cosche mafiose economicamente tra le più potenti d'Europa".

Aurelio Misiti, assessore regionale in Calabria e Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici a Roma, nel corso del 2003 ha detto che nella nostra regione le nuove figure stentano ad affermarsi, a raggiungere i vertici in politica, per via della naturale tendenza conservativa delle classi dirigenti attuali; ha detto che il 60% del bilancio regionale è bloccato dalla Sanità ed il resto è quasi tutto spese fisse; che il Piano triennale di opere pubbliche è stato bocciato perché il programma di interventi non faceva distinzione tra amministrazioni comunali di destra e di sinistra. Sono insorti i partiti che governano la Calabria e Misiti è stato sostituito nella carica di assessore regionale. E ciò è avvenuto proprio nel momento in cui il governo nazionale affidava al professore di Reggio l'incarico di Alto Commissario per le opere pubbliche nel Mezzogiorno.

Allora è vero ciò che ormai affermano storici e studiosi autorevoli: il ceto politico calabrese costituisce un tappo che impedisce alla società civile di esprimere adeguate rappresentanze istituzionali.

E a livello nazionale? Il capo del governo italiano parla a New York e per convincere gli americani ad investire nel nostro Paese dice che in Italia oggi ci sono donne bellissime e molti meno comunisti.

Io non sono stato comunista, come Sandro Bondi, coordinatore nazionale di Forza Italia, e come altri sostenitori del partito del Premier. E non ho simpatie per il presidente russo Vladimir Putin, un ex capo dei servizi segreti dell'Unione Sovietica, invitato e festeggiato nella villa privata di Berlusconi in Sardegna, dove per impressionare l'ospite - scrive La Stampa - il Cavaliere ha fatto piantare 450 cactus (invece a Genova, in occasione del G8, aveva fatto cucire i limoni fuori stagione sulle piante di fronte al Palazzo Ducale). Però ricordo che nei rapporti che gli analisti della CIA hanno inviato negli U.S.A. tra il 1976 ed il 1979 si legge testualmente: "Con i comunisti in posizione centrale alcune riforme hanno maggiore possibilità di essere fatte"; "I comunisti hanno operato come parafulmine del governo nei confronti dei sindacati e garantito un cruciale sostegno in Parlamento su questioni chiave"; i comunisti in generale sono più legati di altri politici italiani a "certi valori democratici, come la partecipazione dei cittadini comuni alla politica e al governo, l'ostilità alla gestione elitaria degli affari politici e l'eguaglianza delle opportunità".

Erano gli anni dell'inflazione al venti per cento, di due milioni di disoccupati e del peggiore periodo di andamento dell'economia italiana dal secondo dopoguerra; la Germania aveva prestato soldi all'Italia ed in cambio aveva chiesto ed ottenuto in garanzia l'oro che la Banca d'Italia conservava come riserva monetaria. Era l'epoca in cui il capo del governo Giulio Andreotti partiva in visita ufficiale per gli Stati Uniti con l'aereo di linea dell'Alitalia, perché lo Stato non poteva permettersi la spesa per un volo speciale. Solo una politica di solidarietà nazionale poteva far uscire l'Italia dalla crisi. E nel rapporto che l'agente della Central Intelligence Agency spedì a Washington il 31 maggio 1979 c'era scritto: "Si può sostenere che oggi l'Italia sarebbe in condizioni molto peggiori, se i comunisti fossero rimasti all'opposizione".

Se i lettori sono perplessi dinanzi a queste verità, non hanno che da chiedere, e noi saremo lieti di ritornare su un periodo poco conosciuto della storia italiana, con al centro la morte di Aldo Moro e la fine della solidarietà nazionale.

Ed a proposito dell'annuncio di Wall Street del 24 settembre 2003, siamo sicuri che dopo quelle parole gli investitori stranieri faranno a gara per portare i loro capitali nel nostro Paese, e se prima non lo hanno fatto - ormai è noto - è perché in Italia le donne non erano belle ed in giro c'erano troppi comunisti.

E qui mi fermo. Se conosciamo la storia, se perdiamo l'abitudine di fare propaganda e di dire bugie, se la smettiamo pure di andare in giro per il mondo a raccontare barzellette e se ci occupiamo di cose serie, sicuramente troviamo ancora spazio per la speranza. Per l'Italia e, forse, anche per la Calabria.

 

 

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BLOCCARE IL DECLINO

Mentre in Calabria si discuteva della sorte di 1.000 lavoratori tessili di Praia a Mare, Castrovillari e Cetraro, il Consiglio regionale, nella prima seduta del 2004, approvava a maggioranza un provvedimento che prevedeva l'aumento dell'indennità spettante ai consiglieri stessi, con una maggiorazione di circa quattro milioni di vecchie lire al mese. Un aumento che, da solo, è superiore allo stipendio mensile netto percepito da uno come me che riveste la qualifica di quadro direttivo nel settore bancario e che ha alle spalle 34 anni di lavoro!

Qualche consigliere, in verità, ha votato contro; qualcun altro, pur ritenendo giusto il provvedimento, in un momento di crisi e di difficoltà per la Calabria aveva chiesto il rinvio della votazione. Ma un assessore di Alleanza Nazionale ha parlato di demagogia ed il capogruppo dello stesso partito è stato feroce contro "i falsi moralisti". Ed alla fine l'aumento è stato approvato.

Ho ripreso il colloquio con i lettori partendo da questo argomento, per dire che, tutto sommato, è anche giusto che un consigliere regionale della Calabria percepisca un'indennità che è pari all'80 per cento del compenso dei parlamentari nazionali (18 milioni di vecchie lire al mese). Quello che non è giusto, e che quindi diventa immorale, è il fatto che a scegliere i consiglieri regionali, alla fine, non sono gli elettori, ma i partiti che li presentano e che li candidano nelle varie liste. Alle regionali, poi, il sistema prevede un premio di maggioranza a favore di un "listino" che non è soggetto a votazione, così sei consiglieri regionali occupano il posto senza essere soggetti a votazione, solo perché ha vinto il candidato presidente al quale il listino stesso era aggregato.

Con questo sistema, la qualità del lavoro prodotto da questi signori è sotto gli occhi di tutti. Lo scandalo, dunque, non è nelle cifre mensili percepite, è nel modo di selezionare la classe dirigente pubblica, a tutti i livelli.

Ancora un esempio e poi passiamo ad altro. C'è un signore che in Calabria ha svolto per anni funzioni di amministratore comunale, provinciale e regionale, e per alcuni atti compiuti nel corso del mandato è stato pure costretto a varcare la soglia della prigione. E' stato sottoposto a processi ed un Tribunale ha dichiarato che la vicenda "appare connotarsi di aspetti per nulla improntati al corretto svolgimento dell'attività amministrativa, protesa verso la (auspicata) realizzazione dell'interesse pubblico, rievocando per contro metodi e sistemi tipici di una gestione personalistica o partitica della cosa pubblica". Per la stessa vicenda la Corte dei Conti, dopo un iter lunghissimo e sul quale ha messo la parola fine la prima sezione centrale d'Appello, ha condannato al risarcimento dieci ex amministratori, e fra questi anche il nostro. Ebbene, questo signore oggi è tornato ad essere importante. Travolto dal crollo del sistema determinato da Tangentopoli negli anni Novanta, è rimasto senza partito, ha bussato a varie porte, qualcuno, alla fine, ha aperto e, con l'aiuto degli amici, oggi ricopre incarichi di sottogoverno con il permesso del presidente della Regione.

Qualche giornalista, incauto e distratto, ha definito questo personaggio "manager pubblico" ma, è noto, il giornalismo militante non è molto conosciuto dalle nostre parti, dove il presidente dell'Ordine dei giornalisti della Calabria nel 2002 è stato radiato dall'Albo.

Il fascino del potere è irresistibile, e da questo si salva, naturalmente, qualche rara eccezione. Non per caso le inchieste più importanti sulla realtà calabrese sono fatte da giornalisti di altre regioni e si deve agli articoli di uno di loro, Gian Antonio Stella, la caduta nel 2003 di Paolo Bonaccorsi, assessore regionale esterno scelto da Chiaravalloti e piazzato all'Urbanistica, un assessorato chiamato ad occuparsi pure del ponte sullo Stretto di Messina e del raddoppio dell'autostrada.

Ho voluto ricordare questi fatti non per polemica, ma solo per mettere in evidenza come in Calabria viene scelta la classe dirigente. Forse è anche colpa di questa classe se la nostra terra mostra chiari i segni della sua debolezza e se oggi è la regione più povera d'Italia.

"La Calabria vive una crisi economica e sociale senza precedenti" hanno dichiarato Confindustria e Sindacati in un protocollo d'intesa firmato a Catanzaro con lo scopo di "bloccare il declino della Calabria". Rappresentanti dei lavoratori e delle imprese si sono messi insieme ed hanno siglato un documento dove si parla di bassa crescita del prodotto interno lordo, di aumento della povertà, di alto tasso di disoccupazione, di emigrazione di giovani e di persone qualificate, di calo degli investimenti di imprenditori esterni, di declino morale con conseguente sfiducia dei cittadini, di instabilità amministrativa e altro. Il documento denuncia pure il decadimento costante dell'azione dell'amministrazione regionale, i ritardi nell'attuazione dei programmi, l'inadeguata attuazione del POR Calabria e la non piena assunzione di responsabilità da parte della struttura amministrativa, e tutto ciò conferma la validità delle critiche e delle posizioni che noi stessi abbiamo più volte espresso dalle colonne di questa rivista.

Anzi, imprenditori e sindacalisti sono stati più espliciti dei nostri articoli ed hanno detto che "il presidente della Giunta regionale dipinge una Calabria che non esiste, snocciola dati e indicatori parziali ed errati, minimizza le osservazioni della Corte dei Conti".

"Perché non si dice che si sono persi 60 miliardi di vecchie lire di premialità sulla spesa dei fondi europei ?" si chiede Sbarra, il segretario della CISL, e Filippo Callipo, presidente di Confindustria, a proposito della mobilitazione dei lavoratori calabresi in difesa dei posti di lavoro afferma: "Non dico che faremo lo sciopero con voi, ma condividiamo l'analisi e le motivazioni di fondo".

Se persino Confindustria e Sindacati in Calabria si sono messi insieme e hanno lanciato un grido di allarme, vuol dire che la situazione è veramente drammatica. E gli amministratori locali? Ed i politici calabresi che a Roma occupano le poltrone di deputati e senatori? Nel Consiglio regionale, lo abbiamo documentato più volte, hanno votato provvedimenti che accrescono i loro privilegi e nel 2004, come abbiamo detto prima, si sono aumentati pure lo stipendio. Mentre un senatore, con tutti i problemi aperti, non trova di meglio che lanciare un appello per il Premio Nobel a Berlusconi...

Ha ragione il presidente degli industriali di Crotone, Lumare, quando dice: "Siamo ancora nel feudalesimo, solo che oggi i signorotti locali siamo noi a mandarli al potere".

Come? Con il voto, naturalmente. E allora sorge spontanea una domanda: "Perché i calabresi non si svegliano?"

Forse la risposta la troviamo nel pensiero di Guido Dorso, un intellettuale di Avellino che nel 1925 pubblicò "La rivoluzione meridionale" dopo aver capito che il problema vero del Mezzogiorno è quello della classe dirigente, la quale è risultata colpita da un male endemico: il trasformismo.

Le famiglie meridionali egemoni dopo l'Unità d'Italia realizzata dal regno piemontese si allinearono al potere senza nulla chiedere - scrive Francesco Saverio Festa, docente all'Università di Salerno - se non di continuare a governare le plebi. A causa di tale "compromesso istituzionale meridionale" la sostanza dello Stato non è stata intaccata ed il trasformismo è diventato "la malattia costituzionale del sistema politico meridionale". Dorso, scrive il prof. Festa, aveva ben chiaro quello che poi è avvenuto: ogni progresso delle condizioni di vita delle plebi non ha mai modificato i rapporti di potere. Questo è rimasto concentrato nelle mani di gruppi ristretti, che mirano ad un consenso passivo più che a far funzionare la democrazia.

"Pur di raggiungere l'immobilità della classe politica e assicurare la continuità della sua attuale struttura - diceva Dorso - i politicanti meridionali tentano di evolvere secondo le probabilità di vittoria di ogni singola formula politica", con la conseguenza di creare "una classe dirigente senza idee e senza dignità".

Esattamente come si presenta la classe dirigente calabrese oggi, senza idee e senza dignità. Lo storico Piero Bevilacqua sostiene che il ceto politico calabrese costituisce un tappo che impedisce alla società civile di esprimere adeguate rappresentanze istituzionali. Ed il popolo? I cittadini che sono maggioranza, perché accettano ancora la condizione di sudditi?

 

Armando Orlando