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    Isabella Camera d'Afflitto "Rose d'Arabia" E/o Editore
    Recensione di Gabriella Bona
     

    Che cosa scrivono in Arabia Saudita, in questo paese lontano e ricchissimo, dove la legge impone alle donne di vivere avvolte in veli neri e dove vengono considerate suddite degli uomini, dove soltanto il marito può decidere la fine del matrimonio con il ripudio o il divorzio, dove è ancora frequente la poligamia, dove la popolazione è ancora rigidamente separata in due gruppi: maschi e femmine, con doppie università, doppi ospedali, doppi ministeri, doppie sale d’attesa, doppi ingressi per gli uffici? 
    Isabella Camera D’Afflitto ha incontrato le donne di questo paese arabo, ha ascoltato le voci delle scrittrici, laureate e con dottorati spesso conseguiti all’estero, docenti universitarie e giornaliste, ed ha raccolto i loro racconti in “Rose d’Arabia”, pubblicato dalla casa editrice e/o. 
    Sono le donne nuove, spesso figlie e nipoti di donne analfabete, visto che soltanto negli anni sessanta è stata inaugurata la prima scuola pubblica femminile. Fino a quel momento soltanto pochissime donne, figlie delle famiglie più ricche, avevano avuto un’educazione da insegnanti private. 
    “Da allora si sono fatti passi da gigante in tutto il paese, dove sono sorte scuole e università con sezioni apposite per le donne”, scrive la curatrice del libro e così è stato possibile, in un paese “in cui non esiste ancora una forma di partecipazione politica delle donne”, far diventare “la letteratura […] una partecipazione attiva alla vita del paese, con l’intima convinzione di conseguire diritti ancora negati”. 
    Per le donne dell’Arabia Saudita “l’importante non è come andare vestite, ma piuttosto avere la libertà di potersi realizzare nella vita.  […] L’importante non è tanto la segregazione […] quanto piuttosto l’uso maschilista e misogino che alcuni uomini ne fanno”. 
    Tutto questo emerge chiaramente dai racconti del libro, ventiquattro voci che richiamano l’attenzione del mondo sulla propria difficoltà a farsi sentire. Racconti che parlano di matrimoni combinati, di situazioni di infelicità, di poligamia, di silenzi imposti, di divorzi e di ripudi ma anche di voglia di libertà e di tentativi di ribellione. 
    La mancanza di una tradizione culturale scritta e la giovane età delle autrici è facilmente leggibile in questi racconti un poco immaturi e talvolta scontati ma, come scrive Camera D’Afflitto, “ogni espressione letteraria, seppure meno temprata di altre da secoli e secoli di esperienza, va comunque incoraggiata”. 
    Non è facile il passaggio repentino dalla tradizione orale a quella scritta. Una delle autrici ricorda i racconti della nonna, quando “non erano le storie che ci interessavano, quanto piuttosto il modo in cui la nonna le raccontava”. Queste donne stanno tentando di imboccare strade nuove, tra paure e speranze, maturando una nuova personalità, consce, come scrive una delle autrici, che “la libertà ha un gusto particolare per chi si è visto limare il diritto di avere propri sentimenti, proprie sensazioni e opinioni, perfino batticuori”. 
       
    gabriella bona


 
 
 
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