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    TORINO - AVVIATO IL SEMINARIO
    COSA SCATENA GUERRE, VIOLENZE E CONFLITTI...
      
    Con la lezione di Johan Galtung sulla “Situazione geopolitica mondiale’’ è stato inaugurato martedì 15 febbraio scorso nell’aula magna del Rettorato dell’Università di Torino, il ciclo di seminari dedicati a: “Guerre, violenze e conflitti - La costruzione di culture di pace’’. I seminari sono organizzati dal Centro Studi per la pace dell’Università in collaborazione con il Centro Studi Sereno Regis. 
       L’iniziativa dell’ateneo torinese, d’impegnarsi nella sua qualità di centro di produzione e di divulgazione di cultura, si allinea con analoghe iniziative più presenti in altri Paesi del mondo che non in Italia. Il calendario dei prossimi incontri che si svolgeranno presso l’Istituto Avogadro - Via Rossini, 18 - dalle ore 17,30 alle 19,30 - è il seguente: 24 febbraio: Psicologia dello sviluppo ed educazione alla pace (Silvia Bonino) - 3 marzo: La costruzione della violenza etnica (Marco Buttino). 
       9 marzo: Convivenza: culture e pratiche di attraversamento dei conflitti in una prospettiva di genere (Diana Carminati ed Elisabetta Donini) - 16 marzo: L’etica fondata sulla ahimsa (innocuità) nella tradizione italiana (Alberto Pelissero e Pinuccia Caracchi) - 23 marzo: La violenza culturale ed i suoi meccanismi (Amedeo Cottino) - 28 marzo: Analisi metodologiche delle questioni controverse (Elena Camino e Giovanni Salio). 
       Dopo la presentazione del corso da parte del Rettore, Prof. Rinaldo Bertolino, che ha voluto ricordare che Johan Galtung è già stato insignito dal nostro ateneo della laurea “Honoris causa’’, lo studioso norvegese ha ricostruito lo scenario politico mondiale. Il bilancio complessivo di esso appare ricco di contraddizioni e denso di nubi procellose: l’economia aumenta il divario tra ricchi e poveri, ogni giorno centomila persone muoiono di fame; il divario tra Stato e nazione torna ad essere incandescente: troppe sono infatti le nazioni in cerca di autonomia e di indipendenza; si fa sempre più acuto il contrasto tra le due maggiori religioni del mondo occidentale: cristianesimo ed islamismo. 
       Ma a giudizio di Galtung, il nodo principale dei conflitti che segnano l’attuale situazione geopolitica sta nell’aspirazione all’egemonia mondiale di un solo Paese: gli Stati Uniti. Secondo lo studioso si possono individuare in queste aspirazioni tratti del fondamentalismo. Pur essendo la politica estera americana segnata da questo obiettivo fin dai tempi di Roosvelt, è dal 1996 che il cammino ha subìto un’accelerazione utilizzando in Europa la Germania e nel Pacifico Giappone come teste di ponte l’espansione americana: ciò per quanto riguarda un’analisi essenziale del problema. 
       Che cosa possiamo fare, si chiede Galtung? Innanzitutto scrivere e parlare di tempi di cui non si parla perché i mezzi di comunicazione, salvo qualche rara eccezione sono organici al sistema. Per quanto riguarda l’economia è necessario avere coscienza che l’attuale capitalismo sta distruggendo non solo la solidarietà, ma anche il tessuto sociale e ciò comporta una grave conseguenza: la paralisi di iniziative di resistenza perché non c’è più solidarietà, mentre proliferano la violenza, la corruzione accettata perché stimolo per il mercato, il settarismo come ricerca di una famiglia alternativa allo Stato e il nazionalismo come conseguenza dell’appannarsi del codice politico espresso nelle leggi. 
       Un altro tema è stato affrontato con particolare attenzione da Galtung perché ad esso è stata affidata gran parte della convivenza umana sul nostro pianeta: si tratta del dialogo tra cristiani e mussulmani. Il linguaggio delle bombe, della violenza che contrassegna molte manifestazioni dei cosiddetti fondamentalisti islamici è spesso anche il prodotto dell’ignoranza reciproca del patrimonio culturale storico e religioso di ciascuno dei due gruppi. 
       Essere fondamentalista, secondo Galtung, significa seguire la parola scritta senza nessun rispetto per la realtà empirica, e questo è quindi più che altro un atteggiamento mentale che si applica alla religione come all’economia, alla cultura come alla politica. Ed è proprio in questo atteggiamento mentale, secondo il relatore, che ha guidato gli interventi nella ex-Jugoslavia che si deve cercare la mancata soluzione dei problemi che travagliano quell’area ed il permanere di una situazione sempre incandescente. 

    luisa marucco 

      

     
           
          
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