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il Rimino - Riministoria

Le ombre di Galileo.
2.Davia e Marsili, viaggi di pace e di guerra

A Parigi nel 1683 il cardinal Cesar d’Estreés invita il frate veneziano Vincenzo Coronelli (1650-1718) per fargli fabbricare due grandi globi di quasi quattro metri di diametro, destinati a Luigi XVI, ora conservati alla Biblioteca nazionale. Coronelli (che si era addestrato nell’arte dell’intaglio a Ravenna fra 1660 e 1665, presso il fratello maggiore Francesco di professione mercante), illustra questi globi ad apertura del suo monumentale Corso geografico universale (Venezia, 1692). Il primo raffigura la posizione astrologica alla nascita del sovrano, definito in lingua francese (nella dedica del cardinal d’Estreés), «il grande, l’invincibile, l’eroe, il saggio, il conquistatore». Il secondo mostra i Paesi che Luigi XIV «avrebbe potuto sottomettere al suo impero, se la sua moderazione non avesse arrestato il corso delle sue conquiste e prescritto dei confini al suo valore più grande anche della sua fortuna».
I due volumi del Corso geografico universale si aprono con un doppio foglio (detto «imperiale») in cui è rappresentata una mappa con l’«Idea dell’Universo»: essa richiama le immagini tolemaiche poste ad inizio delle edizioni scolastiche della Divina commedia, con gli Inferi al centro della Terra, situata a sua volta al centro di tutto. Poche pagine più avanti Coronelli illustra i quattro «sistemi» dei quali si discuteva accesamente ai suoi tempi, quelli di Copernico, Descartes, e Ticone oltre ovviamente al più antico, di Tolomeo.
Se l’«Idea dell’Universo» sembra tranquillizzare il lettore (ed il censore) nella sua maestosa presentazione ad inizio dell’opera, le successive immagini dedicate alle eresie della modernità completano il discorso, lasciandolo in sospeso nel giudizio di chi osserva e studia. Coronelli non si pronuncia, offre semplicemente delle ipotesi, ma nello stesso tempo avverte che l’«Idea dell’Universo» dell’apertura non riassume tutto quello che si sa al momento.
Coronelli visse principalmente presso il Convento di Santa Maria Gloriosa dei Frari a Venezia, dove fondò l'Accademia degli Argonauti, considerata la più antica società geografica del mondo, e fu Cosmografo Ufficiale della Repubblica. Nel 1697 pubblica il resoconto del suo Viaggio d’Italia in Inghilterra, compiuto l’anno precedente al sèguito degli ambasciatori veneti L. Soranzo e G. Venier recatisi a Londra per riconoscere il nuovo re ‘golpista’ Guglielmo d’Orange, a cui Coronelli ha recato in dono due globi di circa 46 cm, con dedica e data (1696).
Come premessa al Viaggio troviamo la sua opinione sulla necessità di visitare terre più o meno vicine. Il viaggiare è per lui una specie particolare di apprendistato culturale e politico: «Un uomo dunque grande, che sia in desiderio d’apprendere l’Istoria, e la cognitione de’ Paesi, dare buona forma ad una Repubblica; d’assumere il governo d’un Principato, divenire prudente Capitano, si disponga ad intraprendere lunghe Peregrinazioni».
Per andare dalla nostra regione a Parigi, come fa Giovanni Antonio Davìa nel 1681, bisogna seguire la via delle Alpi piemontesi. L’itinerario è descritto nel 1698 da un nobile (anonimo) che fa da segretario ad Antonio Farnese, futuro duca di Parma, il quale viaggia in incognito presentandosi come Marchese di Sala. Nelle lettere di questo segretario a Francesco Farnese, fratello del suo «padrone», Parigi è presentata come «veramente grande e degna della fatica e del dispendio di un viaggio».
Un altro viaggiatore, l’aristocratico piacentino Ubertino Landi, qualche anno dopo (1713) descriverà una curiosa cerimonia di corte: il re che si alza, si lava e si veste. Mentre di Londra annoterà che i suoi colti nobili sottomettano il latino alla loro pronunzia, per cui «tibi» diventa «taibai».
La capitale francese nel 1698 ospita il re d’Inghilterra Giacomo II spodestato dieci anni prima con la «pacifica e gloriosa rivoluzione» da suo genero Guglielmo III d’Orange, chiamato dai più rappresentativi uomini politici per evitare una restaurazione cattolica. Gli effetti del cambio della guardia si erano visti: la «dichiarazione dei diritti» del 1689 obbliga il sovrano ad adeguarsi al volere della nazione espresso dal parlamento. Ma l’«atto di tolleranza» riguarda soltanto i protestanti non conformisti, lasciandone fuori i cattolici.
Il segretario di Antonio Farnese non ha lo stesso spirito illuministico di Voltaire che visita l’Inghilterra nel 1726, lasciandoci quelle Lettere filosofiche (1734) che mostrano i benefìci prodotti dalla libertà nella vita di uno Stato. Per l’anonimo emiliano, la libertà è invece all’origine di tutti i mali sociali, compresa la criminalità delle donne che cercano di uccidere il marito, spesso riuscendoci. In pochi mesi a Parigi e nelle province vicine, ci sono stati dieci casi di «simili misfatti, parte eseguiti, parte tentati. Effetti di questa libertà predicata innocente, ma velenosissima».
Tutta l’Europa conosce guai peggiori di tali vicende di cronaca nera. Luigi XIV tra 1679 e 1684 si annette vari territori, mentre l’Austria deve fare i conti con i turchi. Nel 1683 essi giungono sotto le mura di Vienna. La loro sconfitta è celebrata in tutta l’Europa cristiana.
A Bologna, ad esempio, quando il 18 settembre giunge la notizia della liberazione di Vienna, il Legato fa distribuire abbondanti quantità di vino e di pane. Una cronaca registra «un rumore per la Città» che faceva pensare ad «una vera sollevazione». Dopo il solenne Te Deum celebrato in San Petronio, si festeggia per tutta la notte in piazza Maggiore, mentre i poeti danno sfogo alla loro ispirazione anche con poemetti in dialetto, come Lotto Lotti che dedica al conte Alessandro Sanvitali il poemetto giocoso «in lingua popolare» intitolato «Ch’ n’ hà cervel hapa gamb». Il 24 agosto 1684, durante la «festa della porchetta», il Senato fa rappresentare uno spettacolo sull’assedio di Vienna, tema che tornerà al teatro Malvezzi addirittura nel 1736 con un dramma rappresentato per tutto il periodo di carnevale.
A Rimini nel settembre 1683 gli atti pubblici non segnalano nulla circa gli echi dei fatti viennesi, stando a quanto scrive Carlo Tonini: «ci reca meraviglia, che tra i documenti da noi veduti non ne rimanga memoria e che il 1683 sia tra quegli anni, che meno di tutt’altri somministrano materia alla storia nostra». E dire che, aggiunge, la nostra riviera era stata «tanto minacciata» in passato dalle scorrerie dei turchi. (Va precisato che non tutti gli atti dell'archivio comunale, tranne il registro del pubblico consiglio di cui parla Carlo Tonini, sono sopravvissuti sino a noi.)
Le truppe che hanno fermato l’avanzata degli ottomani, mentre il cappuccino Marco D’Aviano predicava la difesa della religione romana, erano guidate da Giovanni Sobieski, re di Polonia.
E proprio in Polonia ritroviamo nel 1696 il vescovo Davìa. Lo abbiamo lasciato a Londra nel 1681. Nel 1684 partecipa come ingegnere alla spedizione militare della Lega santa nella guerra di Morea (Peloponneso). Poi è presente all’assedio della fortezza di Santa Maura a Corfù, conclusasi con la capitolazione turca. Tornato in Italia, si stabilisce a Roma. Nel 1687 Innocenzo XI gli affida l’incarico di internunzio a Bruxelles. Il 21 giugno 1690 è consacrato vescovo da Alessandro VIII, e destinato alla nunziatura di Colonia, da dove nel 1696 è trasferito a quella di Polonia. Il 18 marzo 1698 è nominato vescovo di Rimini. Due anni dopo, il 26 aprile 1700, è promosso alla prestigiosa nunziatura di Vienna, nei momenti difficili della guerra di successione spagnola (1702-1713).
A Rimini si ritira il 25 maggio 1706. Il 18 maggio 1715 è promosso cardinale. Nel 1717, è nominato cardinal legato della Romagna in sostituzione del vescovo imolese Ulisse Giuseppe Gozzadini. Nel 1720 gli subentra Cornelio Bentivoglio.
Tra politica e vita militare si svolge negli stessi anni l’esperienza di un altro «viaggiatore», il bolognese Luigi Ferdinando Marsili: tra 1679 e 1680 viaggia a Costantinopoli al sèguito dell’ambasciatore veneziano presso la Sublime Porta, Pietro Civran. Nel 1681 pubblica la sua prima opera Osservazioni intorno al Bosforo tracio, overo Canale di Costantinopoli, dedicandola alla regina Cristina di Svezia. Si arruola l’anno dopo nell’esercito austriaco. Cade prigioniero, mentre i turchi sono sconfitti a Vienna.
Liberato dietro pagamento d’un riscatto nella primavera del 1684, va militare in Ungheria (a Buda in fiamme conquistata dall’esercito imperiale, raccoglie libri e manoscritti), in Transilvania, in Ungheria (1689-1690), diventa colonnello, partecipa alle trattative con i turchi come osservatore non ufficiale (1691-1692). Lo sospendono dal comando del suo reggimento, in base ad accuse delle alte gerarchie.
Presenzia i negoziati per la pace di Karlowitz del 1698 tra Austria, impero ottomano, Polonia e Venezia. Lo nominano «generale di battaglia». Nel 1704 è destituito perché ha consegnato una fortezza ai francesi durante la guerra di successione spagnola. Clemente XI lo vuole comandante dei soldati pontifici contro le truppe imperiali. Nel 1714 fonda l’Istituto delle Scienze di Bologna. L’anno dopo diventa socio dell’Accademia delle Scienze di Parigi. Nel 1723, di quella di Londra (dove si reca), presentato da Newton. Anche durante il servizio alle dipendenze di Leopoldo I d'Asburgo, Marsili continua nei rilevamenti e nelle osservazioni scientifiche che confluiscono in due opere pubblicate in Olanda nel 1726 e nel 1732. Nel 1725 appare sempre in Olanda il suo testo più celebre, l'Histoire physique de la mer.
Tra 1698 e 1701, per circa due anni Marsili lavora da tecnico e da diplomatico lungo la linea del Danubio per concordare con i rappresentanti turchi una linea di confine tra i due imperi. Per il collega orientale divenuto ormai suo amico, Ibrahim Effendi, Marsili fa costruire uno speciale orologio a sveglia capace di scandire le fasi del Ramadan. Il progetto di Marsili è quello di avvicinare i due imperi lungo il Danubio. Il fiume avrebbe trasferito in Oriente le nuove tecnologie europee, e veicolato in Occidente le ricchezze ottomane.
Marsili denuncia a Vienna il pericolo costituito dal monarca moscovita, pronto a lanciare i cosacchi contro l’Ungheria, per cui suggerisce di fomentare una guerra fra russi e polacchi per distogliere l’attenzione dei primi verso il Mediterraneo ottomano. Per favorire i turchi, secondo il progetto di Marsili, avrebbero dovuto lottare fra loro gli Stati cristiani. Ma proprio il re di Polonia aveva salvato l’Occidente sotto le mura di Vienna, quando Marsili era prigioniero dei turchi. Ora gli fa più paura il regno ortodosso che la fede in Maometto. Come ha osservato Fabio Martelli, da cui abbiamo ripreso queste notizie sul «Marsili diplomatico», il bolognese antepone la logica della Ragion di Stato ad un primato della Tolleranza.
Marsili scrive le sue relazioni più scottanti al governo di Vienna, nel tempo in cui il nunzio apostolico nella capitale austriaca è Davìa.
Ritornato a Rimini, Davìa continua a mantenere i contatti con Marsili e l’Istituto bolognese da lui fondato, a cui nel 1725 dona un orologio, un quadrante, un cannocchiale lungo 13 piedi ed un telescopio riflettore, sul modello di quello di Newton.
Quando Marsili muore a Bologna il primo novembre 1730, Davìa vive a Roma da quattro anni, dopo la rinunzia al vescovato riminese. Nello stesso 1730, come ricorda Montesquieu, è uno dei più forti papabili nel conclave da cui esce eletto Lorenzo Corsini, Clemente XII (1730-1740). Si ripete la storia del 1724, alla scomparsa di Innocenzo XIII, quando fu prescelto Pierfrancesco Orsini, Benedetto XIII. Dalla parte di Davìa stava la corte di Vienna. Nel 1730 fu questione di pochi voti. Il suo nome resta importante nella Curia romana. Presiede la Congregazione dell’Indice e diviene protettore del regno d’Inghilterra. Scompare l’11 gennaio 1740. La storia della sua vita intellettuale è ancora tutta da scrivere, ha osservato Salvatore Rotta: «Manca su di lui un qualunque studio d'insieme. […] È davvero un peccato che […] gli storici del ’700 italiano non gli abbiano ancora prestato la dovuta attenzione».

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Al prossimo capitolo.

Antonio Montanari


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