Il primo progetto dellIstituto delle Scienze di Bologna, che nascerà soltanto nel 1714, è di ventinove anni prima. Luigi Ferdinando Marsili lo elabora nel 1685, proponendosi come scopo quello di istruire i nobili, e farli diventare abili soldati. I modelli a cui vuole ispirarsi sono tre maestri della generazione precedente: Giovan Domenico Cassini per le Matematiche, Marcello Malpighi (suo «riverito maestro») per Medicina ed Anatomia, e Lelio Trionfetti «per gli studi naturali». Più giovane di Cassini e Malpighi, nati rispettivamente nel 1625 e nel 1628, Trionfetti (1647-1722) nel 1662 a soli quindici anni si laurea in Filosofia. Nel 1667 a venti inizia ad insegnare allarchiginnasio bolognese. Tra i suoi scolari cè Domenico Guglielmini (1655-1710), che a Bologna insegnerà Matematica a partire dal 1690. Nel 1675 allinsegnamento della Filosofia Trionfetti aggiunge quello della Storia naturale, ed ha lincarico di dimostrare nellorto botanico le piante officinali ai medici. Nel 1680 abbraccia lo stato ecclesiastico.
Luigi Ferdinando Marsili è battuto sul tempo da suo fratello arcidiacono Anton Felice Marsili (1649-1710) che nel 1687 tiene a battesimo nella propria abitazione due accademie, una «aperta per le materie ecclesiastiche», laltra per «le filosofiche sperimentali», come si legge nel programma apparso immediatamente sul «Giornale de letterati» che padre Benedetto Bacchini pubblicava a Parma dallanno precedente.
Il progetto editoriale di Bacchini richiama la massima che «nemo solus satis sapit», e lancia al vero «letterato» un ideale enciclopedico: informarsi affrontando le diverse scienze, mentre in ogni settore culturale si moltiplicano libri, notizie, osservazioni. Quando chiama il Seicento un «secolo eruditissimo», Bacchini ricorre ad una definizione in cui si mostra consapevole del progresso del sapere scientifico prodotto dalla sperimentalismo di Galilei, che egli considera liniziatore della Filosofia moderna. Anche Giuseppe Antonio Barbari dà un giudizio positivo del suo secolo appellandolo «memorabile, e glorioso».
Bacchini, come ha scritto Ezio Raimondi, rifiuta «una filosofia scolastica in cui la severa fede cattolica non può riconoscersi». Ben presto allarga il suo orizzonte «allindagine della storia ecclesiastica, allaccertamento dei fatti e allosservazione del passato». Lungo la stessa linea si muove larcidiacono Marsili con le due accademie che procedono parallele, destinate idealmente a non incontrarsi mai per tenere ben separati i due campi della fisica e della metafisica, e per non mescolare scienza e religione. In pratica la distinzione, se da un canto serve a tener soltanto in apparenza nascoste certe inquietudini intellettuali oltre a scongiurare censure preventive; dallaltro, garantisce la stessa ricerca filosofica da ogni sottomissione alla Scolastica trionfante nellArchiginnaio, seguendo lesempio di Geminiano Montanari che, sulla scia del modello fiorentino del Cimento, aveva introdotto proprio a Bologna quella che un suo biografo, F. Fabroni (1779), delinea come la moderna «optima philosophandi ratio».
Proprio nellAccademia del Cimento ed in quella della Traccia di Montanari aveva preso corpo una «neutralità metafisica» che, secondo Marta Cavazza, se poteva «garantire la coesistenza della nuova scienza sperimentale con limmutato quadro ideologico della Chiesa», tuttavia si mostrava «singolarmente consonante con gli indirizzi prevalenti nella Royal Society inglese».
Quando nel 1687 larcidiacono Marsili istituisce le due accademie, Geminiano Montanari è a Padova da sette anni, e Giovanni Antonio Davìa, ventisettenne, si trova in Belgio come internunzio. Uno storico bolognese, Giovanni Fantuzzi (1718-1799), quasi cento anni dopo (1781, Notizie degli scrittori bolognesi, I, pp. 9-10) accrediterà unaccademia creata anche da Davìa nella propria abitazione. Come ha osservato Marta Cavazza, si tratta probabilmente soltanto di riunioni dellaccademia della «Traccia» di Montanari, dopo il suo trasferimento a Padova nel 1678. Davìa, che era stato allievo di Montanari, potrebbe aver ospitato nel proprio palazzo alcune adunanze: «tuttavia questunica testimonianza dello Zanotti è troppo poco per parlare di unautonoma accademia del Davìa come, sulla sua scia, tradizionalmente si è fatto».
Il piano dellarcidiacono Marsili documenta la complessità del discorso sullenciclopedia del sapere che non può svolgersi storicamente senza coinvolgere anche i temi della fede. A tale discorso Ludovico Antonio Muratori, allievo di Bacchini, porrà loriginale sigillo di una consapevolezza matura, teorizzando i princìpi della nuova erudizione (sono parole di Raimondi) «legata allo spirito critico e nutrita di ragione moderna», così diversa da quella «oratoria o allantica» di stampo umanistico. Nello stesso tempo, come ha osservato ancora Marta Cavazza, la Chiesa dopo la chiusura conseguente alla condanna di Galileo si trova ad affrontare la critica protestante e libertina «che si avvaleva di metodi danalisi storica e filologica tanto più raffinati ed efficaci».
Per la sua accademia di materie «filosofiche sperimentali» larcidiacono Marsili preannunzia che essa si sarebbe occupata delle «opere della Natura, e dentro i limiti della pura Filosofia, e fuori nellestensione delle scienze, che ne derivano», con un programma basato su Anatomia, Botanica, Chimica, e «Matematiche pure, e miste di qualsivoglia sorte». Le riunioni private «per le prove delle sperienze» avrebbero preceduto quelle «pubbliche», nelle quali non vera «obbligatione di altro discorso che di quello, che porterà la casuale naturalezza dellostensione».
Lo scopo della sua accademia era definito dallarcidiacono Marsili nel progetto, di derivazione baconiana, della «tessitura di una istoria naturale, per ispurgare la già fatta dagli Antichi, e per accrescerla in quelle tante parti, in cui ella è manchevole, e stabilire in questa guisa la sicura base alla Filosofia», seguendo lesempio degli studiosi di Londra, Parigi e Firenze.
A Rimini le idee di Bacchini ed i programmi dellarcidiacono Marsili, arrivano attraverso i Padri Teatini, nella cui biblioteca si conservavano i tre volumi del «Giornale de letterati» del periodo 1686-1689, ora in Gambalunghiana dove si trova pure un volume del 1671, le Prose de Signori Accademici Gelati di Bologna (Manolessi, Bologna), tra le quali si legge un saggio di Anton Felice Marsili intitolato Delle sette de filosofi e del Genio di Filosofare (pp. 299-318).
Questo saggio, importante per sé quale documento della scuola sperimentale bolognese che va lentamente costituendosi, interessa anche per comprendere i temi affrontati pochi anni dopo (1678) da Giuseppe Antonio Barbari nella sua Iride. Marsili parla di due modi di filosofare: «Molti giurano in un Filosofo, e voglion quello per guida; altri sciolti di giuramento voglion esser condotti dalla esperienza. Gli uni si muovono dal vero, gli altri studiano di accozzare al vero lautorità».
Anche Barbari parte dalla considerazione dei due modi di filosofare di cui tratta Marsili: da una parte ci sono i «giurati mantenitori delle opinioni di chi che sia», dallaltra colui che pone come «fondamento dogni umano discorso» la «verità del fatto», le «esperienze sensate». Ma Barbari aggiunge unosservazione che scompagina il discorso: «lesperienze sensate, e le apparenze corrispondenti à qual si sia cognizione non possono essere in tanto gran numero, che bastino per conchiuderne la necessità». E proprio a questo punto, Barbari presenta il suo contributo originale, indagando sul concetto di esperienza, di cui mostra tutta la complessità e debolezza nel pretendere darrivare a conclusioni certe e generali. Esiste, egli scrive, «una terza maniera di filosofare», se non rifiuteremo né «approveremo alla cieca le speculazioni, e le fatiche degli antichi, mà facendone essame diligentissimo, cimenteremo li loro detti qualche volta falsi, con lopere della Natura sempre veritiera».
Lo scritto Delle sette de filosofi e del Genio di Filosofare esce lanno dopo che Anton Felice Marsili ha preso gli ordini ed è stato a Roma, dove ha espresso posizioni filosofiche documentabili attraverso le sue «tesi» di studente di poco anteriori (1668-1669): così come hanno potuto accogliere Aristotele, i professori cattolici possono allo stesso modo seguire Democrito ed insegnare latomismo, senza timore che esso implichi la negazione di Dio. Nella posizione marsiliana savverte linflusso dellabate benedettino Vitale Terrarossa (1623-1692), allora lettore di filosofia nello Studio bolognese, che lo aiutò ad elaborare le sue prove universitarie, nelle quali lidea democritea di un mondo composto «e atomis casu congregatis» è riaffermata come non contraria alla religione cristiana.
La riabilitazione di Democrito è al centro anche del saggio pubblicato da Marsili negli atti dellaccademia dei Gelati. Marta Cavazza ne sottolinea «la freschezza dellapologia dellesperienza», la «baldanza» nellattacco ai sostenitori del dogmatismo aristotelico dell«ipse dixit», e la «spregiudicatezza della denuncia delle inesattezze e degli errori degli antichi autori, Aristotele e Plinio in testa, che i moderni hanno finalmente smascherato».
A Terrarossa Marsili si richiama, pur senza nominarlo, quando scrive che «un grande ingegno», a cui deve «obblighi di discepolo», «toglierà linfelice Democrito dal catalogo degli Ateisti, mostrandolo genuflesso a gli altari conoscitore della Deità»: «Le Accademie vedranno imitato S. Tommaso, di cui fù detto, che Aristotelem Christianum fecit, mentre che il zelo di un Monaco Democritum Christianum faciet».
A proposito di Democrito, soffermiamoci sopra un libro gambalunghiano di fine Cinquecento.
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