Antonio Montanari

Le fresche memorie di Armido [1999]
Importante autobiografia del pittore Della Bartola


Il pittore Armido Della Bartola ha scritto un nuovo libro. Il titolo è come quello di un film della Lina Wertmüller, «Arcurd ad viaz sla testa te sàc, sla voja ad zoca zàla, e sa quela de zàcul». Per i forestieri, l'autore stesso traduce, «Ricordi di viaggio fra incoscienza e sogni di gloria, ma senza ipocrisia». La consistenza del volume è pari a quella del gustoso titolo. E' la storia di una lunga vita iniziata a San Mauro, figlio di un calzolaio in un paese di calzolai, in quello che era allora un piccolo borgo: «Nelle botteghe si lavorava alacremente e si smetteva quando il campanone, e solo allora, suonando il mezzogiorno, ovvero suonava l'ora per andare a casa a mangiare».
Di qui parte il suo intelligente, fresco amarcord che guizza fra gli angoli della memoria e della storia: «Ai miei tempi, quando la miseria era autentica e tanto spessa da poterla tagliare con un coltello, la piada si poteva fare con la sola farina di granoturco a volte mescolata con un po' di quella di grano».
Il bello di questa complessa fatica di Armido Della Bartola è di averci lasciato una testimonianza che sarà preziosa per quegli studiosi che vorranno ricostruire, attraverso le fonti e non le fantasie, le vicende di questo secolo. Vediamo tramontare il mondo patriarcale dal quale proviene la mamma, la cui famiglia «viveva nella bovaria della Torre ed era molto unita». A San Mauro, aggiunge, «oggi trovi la gente più ricca», però non è più felice di quella così scanzonata e godereccia (con niente)» del suo «tempo». C'è poi la fase «ridicola» della premilitare: «Era il 1938 e la guerra era ormai alle porte, anche se noi giovinastri eravamo assai lontani dalla triste realtà che avevano preparato per noi». E quindi, il servizio militare, la guerra: «Gli otto milioni di baionette, d'accordo, facevano, a dir poco ridere i polli... Ma potevano servire le baionette contro i carri armati?».
Così, con storielle personali e fatti collettivi, si arriva ai nostri giorni, e finalmente anche all'arte di Armido, un pittore che in città conoscono tutti, un vero personaggio romagnolo per il suo gusto del conversare, per l'arguzia delle sue parole, anche per certi giudizi che offrono sincerità e pizzicotti senza risparmio.
Il ricco apparato fotografico permette di ripercorre le tappe del suo cammino artistico. Le spiegazioni che Armido Della Bartola allega illustrano le varie tecniche che egli ha sperimentato, documentandoci un interesse verso le novità che non tutti hanno.
Il volume si apre con una presentazione di Liliano Faenza che si sofferma «sui momenti comuni di un sodalizio che non aveva a comune humus la pittura», ma il lavoro nelle Ferrovie, e non pretende di avviare nessun discorso critico. Ma nonostante quest'avvertenza, Faenza esprime un suo giudizio che vale la pena di riportare: «La scuola (pardon) il gruppo riminese dei pittori di questo secolo non ha prodotto lavori di grido, è vero; non ha lasciato né lascia cose di alto respiro né capiscuola. [...] Ha tuttavia pittori che hanno cercato, come Della Bartola, di essere fedeli a una vocazione, sforzandosi di esprimere il meglio di sé sia pure attraverso tentativi ed erramenti».

All'articolo L'Armido che dipinge la pace. Della Bartola e la Rimini distrutta nel 1944 [2003].

Antonio Montanari [1999]
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