Demani ed usi civici
Parole
chiave: immagini,
rural landscape history, storia paesaggio agrario, Magna Grecia,
Medioevo, Neolitico, feudalesimo, demani, usi civici, Taranto, Puglia,
Italia Meridionale, masserie
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La possibilità di accedere
alla fruizione delle risorse naturali (come la
legna, l'erba, i frutti
selvatici, l'acqua) o all'esercizio di attività, come ridurre a
coltura ed impiantare
calcare, tagliate o carbonaie,
è stato a lungo regolato da norme
consuetudinarie. La giurisprudenza che ha informato questa materia (la teoria giusnaturalistica degli usi
civici) motivava il possesso di tali diritti ne cives inermem vitam ducere
cogantur.
Appare evidente come, all’interno di una società dominata dalle
attività primarie, l’economia dell’incolto,
garantiva allo stesso tempo una parte consistente delle esigenze di base
delle popolazioni locali ed un complemento indispensabile alla
sopravvivenza della piccola proprietà contadina.
Già
nella tripartizione funzionale del territorio, introdotta dai coloni
greci, la koiné chora costituiva una sorta di
riserva destinata alle esigenze comuni dei cittadini di Taranto.
In età romana va ricordato il
complesso ruolo storico svolto dall'ager
publicus, patrimonio della cittadinanza romana. Allorquando
il Senato stabiliva la deduzione di una colonia e vi destinava una
parte dell'ager, da distribuire in quote (sortes,
accepae) ai coloni, le terre marginali non assegnate in quanto
non coltivabili, definivano il cosiddetto ager
compascuus, destinato alle utilità comuni dei coloni
confinanti.
Poco noti sono i rapporti fra la cittadinza del municipium
ed il suo patrimonio fondiario, ritagliato dall'ager
publicus ed assegnato al nuovo organismo al momento della sia istituzione.
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Alcune
tracce della deduzione della colonia latina di Neptunia in Taranto (123 a.C.) restano
impresse nella toponomastica.
Il caso di Accetta, vasto territorio sulla
quale insiste uno dei più importanti impianti masserizi del Tarantino, è
particolarmente istruttivo. Tale nome deriverebbe dalle acceptae,
termine con il quale si indicavano i
lotti di terre assegnate ai coloni che partecipavano al sorteggio.
La storia della masseria che ne avrebbe mutuato la denominazione è contrassegnata dalle continue lotte per l'affermazione
degli originali diritti vantati dalla città sulle sue terre. Dopo
lunga
diatriba si giunse (agli inizi del '900) ad una transazione con i
proprietari, ma a suggello della sostanziale vittoria del particolarismo
agrario restano le grandiose opere murarie e le monumentali porte di
accesso al bosco, costruite nel corso dell'800 tutt'intorno alle terre contese.
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Il
crollo dell'Impero romano vanificò
anche
tutte le antiche norme che regolavano i diritti delle popolazioni di
accedere allo sfruttamento dell'incolto. Allo stesso tempo, però,
proprio all'interno di quelle strutture quasi del tutto autonome che
andavano costituendosi nei latifundia, intorno all'autorità informale di
pochi potenti,
prendevano forma nuove costumanze (le consuetudines
fundi), legate alle caratteristiche del rispettivo territorio. In base a
queste norme, non scritte
ma unanimemente condivise, i coloni che coltivavano le terre
al loro interno venivano ammessi alla fruizione delle aree
incolte, sia per ridurle a coltura sia per utilizzare i prodotti
spontanei di boschi, pascoli ed acque al fine di soddisfare i bisogni
elementari. E' bene ricordare, tuttavia, che tali diritti venivano
riconosciuti solo in quanto coloni, quindi a titolo individuale e sempre
dietro la corresponsione di parte degli introiti derivanti dal
godimento.
La situazione contribuiva, tuttavia, ad accrescere il
senso di appartenenza ad un comune territorio.
Quando le comunità si videro riconosciuta una propria personalità giuridica
(nel corso del tardo Medioevo) esse fondarono la
pretesa di un proprio
territorio basandosi proprio sull'immemore esercizio consuetudinario di
tali attività.
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Il
Medioevo rappresenta per molti versi il
periodo di massima fioritura dei diritti consuetudinari, grazie
soprattutto ad uno Stato centrale forte, che non esitava a difendere
i diritti delle popolazioni di fronte alle molte tendenze
particolaristiche. Il loro esercizio non contraddiceva, infatti,
il dominio eminente sul territorio da parte del Re.
La nascita delle prime rappresentanze cittadine (le Università), in
età angioina, individuava fra gli elementi posti alla base dei nuovi organismi sia
un distinto territorio dipendente amministrativamente, sia un
particolare demanio universale, di proprietà del corpo civico nel suo
complesso.
Oltre che dalla perpetuazione di ancestrali consuetudini di uso il
demanio poteva derivare anche da una esplicita concessione da parte
dell'autorità pubblica. In questo caso lo Stato rinunciava al suo
dominio superiore sulle terre rispettive. |
La
maggior parte dei contrasti sorti fra feudatari e popolazioni avevano
per oggetto lo svolgimento di attività importanti, come la trebbiatura (a sinistra
l'aia di Masseria Monte Sant'Elia-Massafra), l'utilizzazione delle risorse
dei boschi (a destra la fustaia di
Masseria Martina Franca) e delle poche sorgenti di acqua esistenti (a destra una di queste,
nella Foresta, territorio di Grottaglie). |
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Il libero esercizio
dei diritti comunitari incontrò sempre molti oppositori: lo stesso
Stato,
con i Longobardi e i Bizantini, pretendeva in cambio
il pagamento di tributi.
Fu però soprattutto con la feudalizzazione che sorsero le
prime
serie limitazioni, nonostante nella stessa nozione di feudo fosse
iscritta la libertà dei vassalli di accedere alle sue aree incolte, che
costituiva il cosiddetto demanio feudale.
Uno dei più frequenti attentati perpetrati ai danni delle popolazioni
consisteva, infatti, proprio nella chiusura (completa o solo temporanea)
di parti del demanio feudale.Nacquero così le difese, i
parchi, le
chiusure, e con esse i diritti di fida e di diffida, di
imporre, cioè, una tassa per la sua fruizione ed una multa per i trasgressori.
Oltre che sul pascolo nacquero numerose altre fidae, ciascuna denominata
a seconda della risorsa o dell'attività che si intendeva
sfruttare.
Lo stesso Stato non mancò di erigere proprie difese, soprattutto al
fine di individuare aree riservate all'esercizio della caccia.
Il territorio di Taranto si trovava in una condizione giuridica
particolare, per cui i cittadini (ed in genere tutti gli abitanti del
distretto), godevano dei relativi diritti di uso, ma lo sfruttamento
economico dei pascoli rimaneva di esclusiva pertinenza
regia.
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Nel
passaggio dal Medioevo all'Età
Moderna si assistette ad una vera e propria gara fra i signori di
Taranto e la ricca borghesia agraria di Martina: in palio era il più
ed il meglio delle terre pubbliche. Particolarmente ambite erano soprattutto le
vaste pertinenze delle abbazie di
Santa Maria di
Crispiano, di Santa Maria del Galeso e di San Vito del Pizzo, ma in
genere tutto il territorio che aveva fatto parte della Foresta di
Taranto.
A nulla valsero i reiterati interventi dei supremi tribunali.
Con il progressivo appoderamento, dalle ceneri di un patrimonio e di una cultura
ormai superate nacquero i primi abbozzi delle masserie,
dapprima semplici difese per pascolo
dotate di strutture edilizie molto semplici e destinate ad ospitare le
pecore d'Abruzzo transumanti, poi sempre più complesse
aziende multifunzionali
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La masseria di
San Domenico Soriano (Crispiano), come sospesa fra le selve dei Monti
di Martina e le marine di olivi, sorse in Età Moderna su
territorio demaniale tarantino.
La colonizzazione della Foresta di
Taranto fu attuata prevalentemente
dagli agrari di Martina Franca.
La masseria deve il suo attuale nome all'essere
stata possesso dei Domenicani della città murgiana. |
Le leggi di eversione feudale del 1806 furono concepite nella
speranza
di costruire una nuova rete di piccoli proprietari, destinandovi parte
dei demani comunali e la quota di terre derivanti dalla La suddivisione
di queste terre avrebbe dovuto affrancare i cittadini
più poveri del Mezzogiorno dalla loro atavica povertà
e dall'alea del vivere
quotidiano.
La masseria
La Grotta (Crispiano) ha la forma di un fortino con quattro
torrette cilindriche angolari. La fortificazione
delle masserie nel corso dell' '800 rappresenta la reazione dei galantuomini
alla costante minaccia rappresentata dai contadini datisi al
brigantaggio.
Questo triste fenomeno affonda le sue radici nella delusione per gli esiti della tanto agognata unificazione d'Italia. |
Al contrario gli esiti della definizione della questione demaniale inserirono
ulteriori punti critici nella delicata intelaiatura
sociale del Mezzogiorno. Essi sancirono infatti il
predominio assoluto della classe dei galantuomini e costrinsero la
maggior parte del popolo (privato anche dei suoi antichi diritti) alla marginalità, qui e là interrotta da
singulti di rivolta.Questi furono particolarmente aspri proprio nei
momenti in cui alla speranza covata fece seguito la drammatica
disillusione, cioè nel decennio napoleonico e negli anni postunitari,
quando diede vita, con il doloroso fenomeno del brigantaggio,
a momenti di vera e propria guerra civile.
Il Sud moderno nasceva da un bagno di rancori, rabbia ed impotenza.
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I diritti demaniali della città di Taranto
riguardavano soprattutto le servitù di uso civico che i suoi cittadini
vantavano sulle terre già
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La
gran parte delle pretese del Comune di Taranto in tema di (in alto
il Monte di Sant'Angelo), di Santa
Maria del Galeso (a destra in basso il territorio di Cigliano-Crispiano) e di
San Vito del Pizzo (a sinistra Masseria Comiteo-Crispiano). |
appartenute alle più importanti abbazie
cittadine (Santa Maria di Crispiano, San Vito del Pizzo e Santa Maria del
Galeso).
Queste terre erano state nel corso dei secoli XV-XVIII
colonizzate dagli agrari di Taranto e di Martina Franca,
e a causa di lento ma graduale processo di appadronamento avevano perduto il carattere
intrinseco della demanialità.
Le vertenze fra il Comune e gli
agrari si prolungarono per tutto l'800 e per i primi decenni del '900,
senza pervenire a conclusioni significative, fatta eccezione per alcune
conciliazioni.
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Tranne
che per il comune di Lizzano, che
ereditò una parte significativa dell'ex demanio feudale e lo suddivise
a più riprese fra i suoi cittadini,
la gran parte dei comuni del territorio storico di Taranto fu incapace di far valere i propri diritti.
Dopo secoli di dominio feudale, affiancato in
Età Moderna dalla
prepotenza degli agrari, dopo fasi alternate di
ripopolamento e di
desertificazione si perse il ricordo della natura dei territori, e finì
con il prevalere chi poté imporre lo stato di fatto.
Particolarmente dilaceranti furono le questioni
demaniali relative ai comuni di Leporano e di Pulsano. Dopo una causa
protrattasi per decenni, con un' alternanza di giudizi incredibilmente
difformi, la demanialità dei territori
paralitoranei , per cui i
cittadini dovettero sobbarcarsi oneri finanziari eccezionali in favore dei
Muscettola, loro ex-feudatari.
Riferimenti
bibliografici
A. Perrella: L’eversione della feudalità nel Napoletano. Dottrine che vi
prelusero, storia, legislazione e giurisprudenza, Bologna, 1985 –ed.
anast.
Bussi L: Terre comuni ed usi civici dalle
origini all’Alto Medio Evo, in Storia del Mezzogiorno, III:
L'Alto Medioevo, Roma 1994, pp. 211-256.
Galasso G: Dal comune medievale all’Unità,
Bari, 1971.
Palumbo M: I comuni meridionali prima e dopo
le leggi eversive della feudalità, Bologna, 1979 (ed anast) vol I.
Trifone R: Gli usi civici, Milano, 1963.
Winspeare D: Storia degli abusi feudali,
Napoli, 1883.
Cassandro G: Storia delle terre comuni e degli
usi civici dell’Italia meridionale, Bari, 1943.
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17 dicembre 2001 00:07
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