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Viaggio nella storia del paesaggio agrario del Tarantino

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Le campagne moderne

Parole chiave: immagini, rural landscape history, storia paesaggio agrario, feudalesimo, demani, Taranto, Puglia, Italia meridionale, gravine, masserie, edilizia rurale

La tumultuosa crescita cinquecentesca

L'Età Moderna (secc. XVI-XVIII) esordì con una vertiginosa crescita del volume dei traffici commerciali; da un punto di vista sociale essa fu caratterizzata inoltre da una nuova visione del mondo, conseguenza della rivoluzione culturale in corso e dell'inedito sviluppo delle scienze. 
Nelle nuove direttrici del commercio internazionale entrò anche Taranto, che definì ulteriormente il tradizionale ruolo storico di che comprendeva l'Alta Murgia, La Lucania orientale ed il Salento centro-occidentale. Questa attiva  partecipazione si svolse, tuttavia, nella prospettiva (apparentemente paradossale) di veder accresciuto il divario rispetto alle aree importatrici dei beni prodotti. Insieme al resto del Mezzogiorno, il mondo moderno condannava, infatti,il Tarantino ad un subalterno ruolo di colonia monocolturale, contribuendo a cristallizzare una compagine ed un modello socio-economico-culturale la cui facies territoriale aveva la fisionomia del latifondo dominato dall'associazione grano-pascolo. Nel resto d'Italia, ma già nello stesso Napoletano, andavano concentrandosi invece sia il potere finanziario  (cioè la capacità di investire) sia il potere della tecnologia (e quindi la capacità di introdurre innovazione). 
L'agricoltura ebbe, tuttavia, una forte spinta alla crescita; a sostenerla fu soprattutto la forte domanda (con la parallela lievitazione dei prezzi) dei prodotti mediterranei (grano, olio e lana), perdurata per tutto il '500 e alimentata a sua volta da un trend demografico costantemente positivo. 

L'Età Moderna è segnata dalla affermazione della filosofia del particolarismo agrario, cioè dal passaggio dalla gestione pubblica alla privatizzazione della terra (o almeno delle parti incolte di essa), attuata mediante l'erezione di recinzioni abusive. Al Cinquecento si datano le prime masserie impiantate in quella che era la Foresta di Taranto.
In alto a sinistra uno scorcio della Foresta, nel tratto a cavallo del gradino murgiano, presso Masseria Comiteo; a destra Masseria Tuttulmo (Crispiano), nel territorio dell'Abbazia cistercense del Galeso, oggetto di numerose dispute per la affermazione della sua demanialità
L'altro elemento importante fu la ristrutturazione della rete stradale, ormai polarizzata intorno ai due centri egemoni, Taranto e Martina Franca. Qui il bel lastricato (l'ultimo residuo, presso Masseria Fiascone-Martina Franca) di una delle molte strade che una volta collegavano le due città.
 

Il paesaggio del latifondo 

L'avanzata incontrastata del latifondo centrato sul binomio grano-pecore che caratterizza l'Età Moderna costituì, almeno in parte, il naturale esito della crisi demografica ed urbanistica tardomedievale, che condusse allo spopolamento di vaste plaghe interne e litorali; un grosso contributo fu dato, però, anche dalla liquidazione (attuata mediante concessioni a lungo termine di tipo enfiteutico) dei vastissimi patrimoni fondiari accumulati nei secoli precedenti dalle abbazie tarantine, praticamente ormai inesistenti come istituzioni religiose.  
Naturalmente i beneficiari di questa operazione furono soprattutto i nuovi signori della terra (nobili, baroni, notabili, militari). 
Molti latifondi nacquero (o si incrementarono) anche grazie a progressivi appadronamenti di terre pubbliche.
Nel contempo crebbero le difficoltà dei piccoli e medi proprietari: incapaci di resistere sul mercato, in molti furono costretti dalla spirale debitoria a cedere le rispettive terre, destinate a confluire all'interno dei grandi patrimoni in costruzione
L'Età Moderna contrappose la nuova ideologia del mercato all'ideale dell'autosufficienza, a lungo vagheggiato nell'arco del lungo Medioevo.
Con l'abbandono del modulo policolturale,che aveva informato l'eredità medievale a qualsiasi livello di struttura produttiva, dalla piccola alla grande proprietà, l'organizzazione del paesaggio agrario moderno si avviava verso una fisionomia molto più semplificata rispetto all'apparente caos geometrico medievale.   
Il prototipo di azienda funzionale al nuovo paradigma economico fu la masseria

La crisi seicentesca

Dopo i primissimi decenni del ‘600, che si giovarono ancora del positivo andamento cinquecentesco, sopravvenne una nuovo passaggio congiunturale negativo, causato da una 

Le vicende relative alla masseria di Capocanale (Statte) sono per molti versi paradigmatiche. 
Sorta nel passaggio fra Medioevo ed Età Moderna su un preesistente insediamento rupestre conwpe27954.gif (101023 bytes) il nome di masseria della Noce, nel corso della venne dismessa ed inglobata all'interno della contigua masseria della Felice, grande azienda familiare dei Galeota, famiglia egemone di origini napoletane approdata in Taranto nel corso del '500. Verso la metà del Settecento i Galeota intrapresero una grande politica di miglioramento fondiario, wpe64446.gif (100508 bytes) che previde la ricostituzione della masseria, con l'attuale denominazione. Passata negli anni '60 del 700 in possesso delle monache di San Michele di Taranto, con gli espropri postunitari pervenne nelle mani della borghesia agraria tarantina.

grave crisi finanziaria generalizzata, dal crollo dei prezzi delle merci (comprese le produzioni tipicamente mediterranee), dalla contrazione demografica e da una incredibile serie di calamità naturali: sullo sfondo l'imperversare periodico della peste, che però non colpì direttamente il Tarantino, ma contribuì ad alimentare un endemico clima di incertezza. 
La crisi raggiunse il suo acme intorno alla metà del secolo, ma fece sentire i propri effetti destrutturanti sino ai primi decenni del ‘700. Ne furono conseguenze l' involuzione dei sistemi gestionali e di conduzione delle terre, con una paurosa discesa del prezzo dei fitti e del valore fondiario. L'esito fu ancora una volta verso la creazione di unità fondiarie sempre più grandi
La crisi non intaccò invece gli enti ecclesiastici, favoriti anzi dal generale clima di incertezza: l'accresciuta generosità dei fedeli alimentò per lo più le rispettive dotazioni patrimoniali
La risposta della proprietà di fronte alla crisi fu per lo più scomposta: alcuni scaricarono il  rischio d’impresa sui contadini cui  concessero in enfiteusi parte delle proprie terre, con l'impegno a impiantarvi colture di sicura rendita, come la vite; altri puntarono sull’allevamento, anche a costo di mandare in rovina aziende  che avevano raggiunto una complessa rete organizzativa e strutturale.
L'esito fu verso la ulteriore semplificazione del paesaggio, la crescita a dismisura delle unità aziendali e la loro scarsa produttività.

 

La ripresa settecentesca

Già negli ultimi decenni del '600 l’olivicoltura si avviò ad assumere una inedita importanza all’interno dell’economia agricola tarantina, contribuendo sostanzialmente alla crescita economica che caratterizza larga parte del successivo '700. wpe47530.gif (76673 bytes)
Anche il mercato cerealicolo concorse a stimolare la ripresa, sostenuto dalla lenta, ma costante, crescita demografica che interessò per tutto il ‘700 il Regno e Napoli in particolare, alla cui Annona era destinato parte consistente della produzione ionica. Il trend subì anche una ulteriore accelerazione dopo la grande paura seguita alla carestia degli anni ‘60, ma la messa in coltura di vaste aree ai danni della macchia mediterranea ebbe notevoli ripercussioni sull’assetto geoidrologico di tutta la regione.
wpe26667.gif (92081 bytes)Alla stessa logica mercantile si collega anche l'espansione della cotonicoltura, che sostituì man mano la linicoltura.
L'attività di bonifica di aree già paludose che l'accompagnò si  associava spesso anche all' ulteriore ampliamento delle colture ortofrutticole.
Il notevole
segnò da una parte l'inizio del ridimensionamento di molte masserie dell'immediato hinterland tarantino, dall'altra la ripresa di moti di ripopolamento della campagna, con la nascita di una nuova tipologia residenziale, sino a dar vita a nuovi villaggi rurali, come Talsano e San Donato.  

Le tendenze contemporanee

La rivoluzione istituzionale, sociale, politica ed amministrativa rappresentata dal decennio napoleonico (1806-1815) non ebbe sensibili ricadute nell'economia agricola. Mutarono però i protagonisti del paesaggio sociale, con la progressiva esautorazione degli ormai ex-baroni e della decadente compagine nobiliare, via via sostituiti dai galantuomini, in tutto e per tutto simili ai precedenti quanto a capacità speculatrice ed avarizia nei confronti dei cafoni.
La decadenza della cotonicoltura che fece seguito alla fine dell'esperienza politica napoleonica costituì un importante elemento critico, cui ben presto si aggiunse la progressiva involuzione della cerealicoltura, accelerata a partire dagli anni ‘70 dell'800 dal precipitare dei prezzi dovuto (con il venir meno del protezionismo borbonico) alla concorrenza dei grani americani e russi. 
Le bonifiche, l'espansione dell'oliveto e l'avvio di vastissimi diboscamenti furono alla base della progressiva obsolescenza dell'economia pastorale, altro caposaldo del sistema economico mediterraneo moderno, centrato sulla masseria
La distruzione dei vigneti francesi a fine '800, causata dalla filossera, fornì un temporaneo sollievo agli affanni postunitari. Tale evento drammatico innescò una vera propria corsa alla vite, che andò ad occupare all'inizio del '900 un areale mai più raggiunto. 
La contemporanea nascita dell'industria militare in Taranto svincolò, per la prima volta, il sistema urbano da quello rurale, fornendo una importante risposta alle ansie di un ambiente sociale in cerca di nuovi stimoli. 
Il Novecento è segnato dalla crescente dipendenza dell'agricoltura dai destini dell'industria, e dal massiccio impiego di capitali e di tecnologia, che nel giro di pochi decenni hanno condotto a mutamenti senza precedenti, soprattutto grazie alla diffusione dell'irrigazione.

Il paesaggio agrario contemporaneo connota la (per ora inarrestabile) vittoria della Storia sulla Natura.

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M.A. Visceglia: Territorio, feudo e potere locale, Napoli, 1988. 

17 dicembre 2001 00:07

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