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E LA LORO STORIA |
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CARNEVALE
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LA COMMEDIA DELL'ARTE
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Nel Medioevo il solo teatro ammesso ed appoggiato
dalla Chiesa era il teatro sacro, che metteva sulla scena le vicende
della Passione di Cristo in composizioni che prendevano il nome di
"Misteri". Gli attori, di varie classi e mestieri, si prestavano
gratuitamente a personificare i personaggi della vicenda, in
rappresentazioni date essenzialmente su palchi improvvisati davanti
alle chiese dei padroni della città.
All'affermarsi di questo teatro successe in
Italia, alla fine del secolo quindicesimo, il ritorno o meglio
l'imitazione di quei capolavori che avevano dilettato i greci ed i
latini; imitazione spesso pedestre, dai più biasimata, da cui per
reazione doveva ben presto sorgere il nuovo teatro popolare. Per
questo bisogno di spontaneità nacquero nel primo cinquecento le
farse e le commedie dialettali.
Con i "buffoni" si vennero a formare le prime
figure da cui nacquero poi le maschere che daranno vita alla
Commedia Italiana o Commedia dell'Arte che ebbe il suo periodo aureo
tra la fine del cinquecento e del seicento, con un teatro in cui
occorrevano in sommo grado vivacità , ingegno e prontezza.
Il nucleo base della Commedia era formato dai
padroni (Pantalone, Il Dottore) e dai servi o zani originari del
Bergamasco (Brighella e Arlecchino). Come servi si aggiungeranno poi
altre maschere (Pulcinella, Mezzettino, Truffaldino, Pasquino,
Tabarrino, Tortellino, Naccherino, Gradellino, Polpettino, Nespolino,
Bertolino, Fagiolino, Trappolino, Zaccagnino, Trivellino,
Traccagnino, Passerino, Bagattino, Bagolino, Temellino, Fagottino,
Pedrolino, Fritellino, Tabacchino). Poi il
Capitano, seguono le servette, quindi nasceranno gli "innamorati".
Altri sarebbero da aggiungere, come Scapino,
Pirazzetto, Coviello, Burattino, Cola, Flautino, Francatrippa,
Buffetto, Stoppino, Meneghino, Finocchio e quel Farfanicchio che
cantava correndo per le scene il verbo di tutti gli zani:
Tirintina tirintina
fusse festa ogni mattina!
Ben da bere e da mangiare
e poca voglia di lavorare.
Ecco queste compagnie spargersi per tutta la
penisola, su palcoscenici improvvisati con quattro assi e quattro
tende, attorniate da spettatori di tutte le classi: popolo minuto e
mercanti, soldataglia avida di piaceri grossolani e rumorosi e da
paesani accorrenti dai paesi vicini. E poichè ogni
cosa è destinata a finire, nel secolo XVIII la Commedia dell' Arte
dava segni di stanchezza e a darle il colpo di grazia nasceva a
Venezia Carlo Goldoni il 25 febbraio 1707. Questo nostro grande
commediografo ucciderà la Commedia dell' Arte sostituendola con un
nuovo tipo di commedia, nella quale attori e maschere debbono
attenersi alla parola scritta, e il pregio della quale è la diretta
e viva osservazione della natura. Malgrado però
che il genere improvviso abbia molti difensori accaniti e
convinti, Goldoni la sua riforma e le sue commedie finiscono per
trionfare. La Commedia dell'Arte snervata e
avvilita decade e muore. |
PANTALONE
Marionetta Pantalone in legno eseguito da Marco Bertini (mio
nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta
del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece
confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre).
La serie completa comprende 21 marionette |
A Pantalone, chiamato alle origini il
Magnifico, è toccata la triste sorte di finire come sinonimo di
miseria singola e generale, sicchè è consuetudine rappresentare
nei giornali satirici un Pantalone curvo e stracciato,
sospirante davanti ad una scodella vuota. Questa è la decadenza
ultima e defìnitiva del vecchio avaro o prodigo a seconda dei
casi, ma che abitualmente godeva di uno stato dignitoso ed
autorevole.
E' nel cinquecento che questa maschera si
afferma in Venezia, per poi percorrere le strade del mondo; in
quell' epoca veste totalmente di rosso, dalla cÌntura gli pende
o la borsa o un fazzoletto o un' arma da taglio e i pantaloni
(così chiamati per esser calze e braghe di un sol pezzo)
terminano con due ciabatte dalla punta rivolta in alto. Allora
una lunga zimarra rossa, che gli arrivava fino ai piedi,
compIetava il suo abbigliamento, conferendogli l'imponente
aspetto del nobile veneziano. Un giorno tuttavia egli muta
questo soprabito con un altro di color nero per assoggettarsi al
lutto che la Repubblica Veneta ha decretato per la perdita del
Regno di Negroponte.
È facile immaginare questa figura segaligna
nel suo vestito rosso e nero, durante il secolo XVII o XVIII in
Piazza San Marco, mentre se la trotterella con le sue lunghe
ciabatte, ascoltando ciance, dicendo peste del prossimo o
borbottando con voce catarrosa qualche galanteria, o intento a
contrattare con usura un prestito di cento scudi o una merce
levantina.
È facile immaginarselo su un palcoscenico di
un teatro settecentesco, quando il vecchio bisbetico dà in
ismanie o cade fulminato alla vista di un Florindo che scala la
finestra della camera, in cui soggiorna la sua «putela» Rosaura,
oppure quando autoritario ed intrattabile, fa piangere Isabella,
l'altra «putela» perchè vuoI darla in isposa ad un vecchio suo
amico ricco di bezzi e di acciacchi. E lo vediamo anche
concludere filosoficamente e bonariamente l'epilogo di una lunga
vicenda, in cui le figlie Rosaura o Isabella pongono il vecchio
davanti al fatto compiuto di un matrimonio con Florindo e con
Lelio.
Pantalone però è veramente terribile quando riprende il proprio
figlio dissoluto e scavezzacollo; ed allora ecco le sue
escandescenze:
« Che sperasti, figlio, nel condurre una vita così licenziosa?
Non ti vedi che la mia casa xe in malora?
« Per causa tua le mie casse xe diventae casse di morti, mi hai
sbudellato gli scrigni, fatto diventar argento vivo l'
argenteria, xe svolae per via d'incanto le tapezzerie, son
costretto a dormir sui pavimenti e per le camere se poI ziogar
de spadon da due mani. O figlio, è di sta maniera che mi paghi
l' esser che t'ho dato, le notti che per ti non ho dormio, i
bezi che per ti ho speso, i travagli che per ti ho sopportato.
Con sta ingratitudine si paga un padre che per ti tanto ha
fatto? No che non ti sarà mio figlio: ti avrà concepito un gatto
se tu sgraffi quella mano chè ti liscia e ti accarezza, sarà
stata tua madre una tigre se non possono renderti mansueto le
moine, sarà stato tuo padre un mulo se tu tiri dei calci a chi
ti vuoI domare. Ma già che fai la bestiaccia, ti sian contrarie
tutte le bestie del mondo: il gallo ti rompa il sonno, i cani ti
rodan gli ossi, i gatti ti sgranfignino le mani, i corvi ti
cavin gli occhi, i pidocchi ti mangino la carne e ti svergognino
su pel vestito e le pulci le cimici i tafani con i morsegoni e
con la spuza, con le punture non te lascino riposar.
Ma sagge, misurate ed accorte sono invece le
parole che PantaIone usa nel definire l'arte del governare:
« Chi vuoI alzare l'edifizio della politica el se serva del
fondamento della ragione, perchè senza questa andrà per terra
tutta la macchina. Il comandare all' orba xe un voler cascare
dentro un fuoco di disgrazie: per non star al scuro bisogna aver
il moccolo del giudizio ».
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Agli inizi Arlecchino è il vero personaggio
adatto ad un pubblico rumoroso ed incomposto. È l'autentico
personaggio che oggi noi troviamo nei circhi coi nomi di
pagliaccio, di tony e di clown:
l'acrobata perfetto ed entusiasmante.
Arlecchino ha sempre il « batocio » in mano;
perchè è rissoso e manesco; alle volte audace; alle volte
poltrone e codardo: bastona ed è bastonato; entra in scena
saltando; incespicando; scivolando spettacolosamente; poi
improvvisa gli « spropositi» che sono tirate senza capo nè coda;
espresse con voce nasale e grottesca; del che Petrolini ci ha
fornito un esempio nel suo Fortunello. Parla il bergamasco che
poi muterà in seguito nel dialetto veneziano; misto ad idiotismi
della sua parlata nativa. Ma la nostra maschera parla tutte le
lingue e tutti i dialetti; e in Francia ne formerà una propria
nota sotto il nome di « langue d' Arlequin »; misto burlesco di
italiano e di francese.
Arlecchino è personaggio troppo sensibile e vario per avere una
fisonomia così semplice e primitiva. Egli sa, nel '600,
prezioseggiare e baroccheggiare; giungendo perfino, attraverso
le interpretazioni del Visentini e del Bertinazzi, a commuovere
gli spettatori fino alle lacrime. Salvo poi col finire, poichè
Arlecchino è sempre Arlecchino, col prendere in giro il pubblico
commosso. Come è elegante quando entra in scena con i piedi in
terza posizione e la mano destra appoggiata sul « batocio
»; oppure quando esegue la « riverenza », inchino classico e
caratteristico che l' Arlecchino Domenico Biancolelli ha creato
per lui! Adesso - siamo nel secolo XVIII - Arlecchino è pieno di
eleganza e di virtù sceniche, suona, balla, e Goldoni ce lo fa
apparire servo affezionato, meno bugiardo e poltrone che nei
secoli precedenti.
Come vestiva Arlecchino? Agli inizi come tutti gli zanni; poi il
vestito bianco si copre di pezze colorate poste qua e là in
disordine, fino a che esse trovano compostezza ed eleganza nei
costumi di poi:
rombi e quadrati disposti a scacchiera decorano la bianca
casacca e i calzoni. Negli ultimi tempi il vestito, più
attillato e aderente, modella le forme agili ed armoniche di
questa maschera. Nella cintura in tutti i tempi porta infilato
il famoso « batocio » e qualche volta la scarsella
immancabilmente vuota.
Le scarpette di pezza o di cuoio sono senza tacco, e in capo ha
un feltro alla Francesco I.
La sua maschera era originariamente di cuoio, grottesca, più da
scimmione che da uomo: per occhi non aveva che due piccoli buchi
per vederci e sulla fronte un grosso bitorzolo rosso e nero; ciò
si andrà modificando in seguito, fino ad assumere, nel secolo
XVIII, l'elegante mezza maschera nera che incornicierà il volto
rasato dell' Arlecchino della decadenza vergognoso della
barbaccia dei secoli precedenti. Il suo costume non deve
abbandonarlo mai, e se per caso gli occorre interpretare un
personaggio mitologico, sovrappone la tunica o il mantello su
quello proprio, lasciandone intravvedere una parte.
Era usanza, quando un Arlecchino moriva o si
ritirava dalla scena, trasmettere al suo successore maschera e
spatola, e ciò dava luogo ad una cerimonia fatta sul
palcoscenico. In una stampa del 1688 si vede Colombina
presentare a Mezzettino (Angelo Costantini) la maschera e il «
batocio» del fu Domenico Biancolelli, il grande Dominique, di
cui si vede sul fondo il monumento funerario. |
ARLECCHINO
Marionetta Arlecchino in legno eseguito da Marco Bertini (mio
nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta
del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece
confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)
La serie completa comprende 21 Marionette
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BRIGHELLA
Marionetta Brighella in legno eseguito da Marco Bertini (mio
nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta
del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece
confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)
La serie completa comprende 21 Marionette
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Brighella è il primo zani o servo della
Commedia dell'Arte. Come le altre maschere, egli è finito nel
paniere del burattinaio, che l'afferra e l'agita alla finestra
del suo teatrino, mentre udiamo la sua voce che, in un dialetto
tra il veneto e il bergamasco, ci dice: « Sì io sono Brighella
cavicchio e gambone, giuocatore di pallone, protettore degli
innamorati e sempre pronto in qualunque momento al chiaro e allo
scuro, di giorno e di notte, dall' alba al tramonto, d'estate e
d'inverno, ad aprire lo scatolino delle furberie per servire chi
meglio mi paga; e giacchè mi hanno promesso uno scudo per ogni
legnata che somministrerò, con belle maniere, al Cavalier
Leandro, - corpo di mia nonna - se non l'ammazzo con una sequela
ininterrotta di colpi, potrà dirsi fortunato».
In tal maniera si esprime il nostro Brighella dalla testa di
legno, ma non altrimenti cianciava ed agiva fino dalle origini
questo personaggio destinato nella Commedia dell'Arte a
rappresentare l'intrigo, i bassi servizi, le trappole, le
astuzie, volte sempre al danno di qualche suo simile.
Ciarlatano di piazza, proclamava aver scoperta la pietra
filosofale, fabbricato specifici di lunga vita, talismani,
cabale ed altre negromanzie.
Come Arlecchino, egli è nativo di Bergamo nel secolo XVI, ed in
quei tempi egli è lo zani di prima importanza in tutte le
rappresentazioni.
Veste nei primi tempi come tutti gli zani,
cioè con la larga camicia, calzoni e mantello bianchi, cappello
biforcuto con penna, calza pantofole ed ha una borsa ed il «
batocio »; la sua faccia mascherata si incornicia di una
barbaccia nera, che perderà ai primi del '700.
Questa faccia, o meglio questa maschera, è quella di un torvo
soggetto dallo sguardo obliquo ed insolente ad un tempo,
fìsonomia terribile del gaglioffo pronto ad intervenire in
qualunque faccenda con i mezzi più loschi e più subdoli.
Il suo vestito non cambierà di molto anche in seguito, ad
eccezione del cappello, che sarà sostituito da un berretto come
usano i nostri cuochi, ma orlato con una guarnizione colorata,
generalmente verde, e simile guarnizione orlerà anche il
vestito. A tale proposito, Brighella afferma che è bianco,
perchè ha carta bianca in tutte le azioni, ed è verde perchè con
la sua astuzia tiene sempre verdi le speranze dei suoi clienti.
Antonio Zanoni, ottimo Brighella del '700,
raccolse i motti e le tirate brighellesche in un volumetto
pubblicato nel 1787. Sentiamo qualcuno di questi motti. che ci
permettono di comprendere in pieno il carattere di questo
personaggio:
« Corpo de Ziove cornudo, a me dirmi del servitore, a me dirmi
che porto la livrea come insegna della miseria e della
schiavitù. Io mi chiamo sensale dei matrimoni, mediatore delle
rotture amorose, consolatore dei poveri innamorati, protettore
delle ragazze abbandonate, avvocato in primo appello delle
differenze dei maridadi, arbitro degli intrighi d'amor e quello
insomma che favorisce le speranze, soddisfa i desideri dei pazzi
innamoradi ».
« El mondo l'è commedia in cui ogni uomo deve fare la sua parte:
corteggiare chi spende, adular chi regala, amar chi accorda,
seminar dove se raccoglie, finger amicizia dove si gode,
dimenticarsi di chi è inutile, promettere a tutti, mantenere a
pochi, profittar sempre del verso " rapio rapis ", che non porta
altro nome che "meas mea meum"».
« Quando se fa delle furberie, bisogna farne molte, che nelle
baronade no ghe vuoI economia, sebbene dice il proverbio che il
buon giorno dei furbi sta sotto le scarpe del boia».
« Le busie besogna dirle grosse; le busie, le frittate e le
polpette o grosse o niente. Quando la furberia la mi scrive, la
si degna di darmi il titolo di fratello ».
« Mi son uomo insigne nelle furberie e le più belle le ho
inventate mi e le ho ilustrade. Mi fazzo zirar con nuova maniera
il setaccio; mi ho una cabala e una ziffera perchè gli amanti si
intendano insieme perfettamente; faccio talismani, pietre
triangolari perfette, l'empiastro magnetico, pozioni amatorie;
mi ho eredità la favola dei folletti per comodo notturno delle
serve innamorade. Ho insegnato le finte convulsioni alle donne
maridade per sottrarsi alla collera dei mariti, e con ottica
affatto diversa ho indotto gli uomini maridadi che pretendono
vedere assai, ad essere di corta vista e disinvoltura, per non
accorgersi delle bizzarrie delle mogli e trarne profitto ».
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Il Dottore sentenzia sempre a proposito ed a
sproposito, crede di essere filosofo, scienziato, medico, astronomo
ed avvocato e di tutto e su tutto parla a vanvera, confonde
personaggi storici, crea anacronismi e, tra paradossi, citazioni
greche e latine, è oggetto dei lazzi e delle burle dei suoi servi.
Gli si chiede consiglio prima di prendere moglie ed egli risponde: «
Se è allegra farà troppo schiamazzo, se è malinconica vi toccherà di
piangere per farIe compagnia, se è buona i servitori vi vuoteranno
la casa, se è cattiva vi sembrerà di aver vicino il diavolo, se è
istruita vorrà sempre sentenziare, se è ignorante stenterete a farvi
intendere, se è feconda non resterà nulla ai vostri eredi, se è
sterile vi mancherà la consolazione dei figli, se è forte farà la
prepotente, se è nobile spesso vi strapazzerà, se è ignobile sarete
segnato a dito da tutti, se è ricca sarà piena di pretese, se è
povera avrete sempre i parenti in casa, se è savia darà lezione di
morale, se è matta sarete lo zimbello dei casigliani, se è giovane
non starà ferma un momento e se è vecchia vi farà venire un
accidente ».
Ma non bisogna prendere sul serio queste scombiccherature del
sentenzioso Balanzone, chè, a dargli retta, tanto varrebbe rimanere
eternamente celibi. Perchè di « tirate » egli non può farne a meno.
Propertio Talpi ce ne ha lasciate una ventina. Balanzone le
intercala nelle azioni, come fa Arlecchino con i lazzi. « Avete un
nemico? - dice - vi darò un temperino. Se non sarà buono il
temperino, prenderete un coltello; se non sarà buono il coltello ed
il temperino, prenderete un pugnale; se non sarà buono il pugnale,
il coltello, il temperino, prenderete una spada; se non sarà buona
la spada, il pugnale, il coltello, il temperino, prenderete la
colubrina, e così con tutte le ripetizioni per l' artiglieria, lo
spazzacampagna, la bomba, il cannone, il moschetto, lo schioppo, la
pistola, la picca, lo spadone ed il coltellaccio, concludendo che se
tutto questo non basta, prenderemo il vostro naso da sbattervi sotto
il filo della schiena! ».
Inciampa, ecco un' altra « tirata». « A son scapuzzà, sono
inciampato, e inciampandomi potevo farmi male; se mi fossi fatto
male sarei andato a letto, al letto sarebbe venuto il medico, il
medico mi avrebbe ordinato i medicamenti, i medicamenti si fanno di
droghe, le droghe vengono dal levante, dal levante vengono i venti
secondo Aristotile », e poichè è andato intorno ad Aristotile è
meglio fermarsi poichè disturba tutto lo sci bile umano.
Il Dottor Graziano fa la sua comparsa verso il
1560, vestito completamente di nero, prima alla foggia dei maestri
dello studio bolognese, poi, secondo l' usanza francese del' 600,
con il cappello alla Don Basilio, il mantello, la giubba serrata
alla cintura, da cui pende una borsa di cuoio nero, un fazzoletto e
qualche volta un piccolo pugnale.
Porta calze e scarpe a fibbie e intorno al collo un collarino di
mussola bianca a pieghe. La sua fisonomia è ora segaligna, ora
dell'uomo benportante che volge alla sessantina, con grossi baffi
neri e mezza maschera che gli copre solo il naso e la fronte, mentre
i capelli sono coperti da una calotta nera. Questa figura prenderà
poi in seguito, nelle recitazioni della Commedia dell' Arte, altri
nomi: Gerolamo Chiesa lo chiama il Dottore dei Violoni; Pietro
Bugliani il Dottore Forbizone, altri Bombarda, Campanari,
Spaccastrummolo, fino al definitivo Balanzone.
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BALANZONE
Marionetta Balanzone in legno eseguito da Marco Bertini (mio
nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta
del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece
confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)
La serie completa comprende 21 Marionette
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GLI AMOROSI
COLOMBINA ROSAURA
FLORINDO
LELIO
Marionette Colombina, Rosaura, Florindo, Lelio in legno eseguiti da Marco Bertini (mio
nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta
del figlio Bruno (mio padre), il quale li pitturò e fece
confezionare i costumi alla moglie Maria Stevanato (mia madre)
La serie completa comprende 21 Marionette
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Nel teatro di oggi, se sono scomparse le
maschere, abbiamo però i «ruoli», cioè quelle parti che si addicono
a caratteri ben definiti: il padre e la madre nobile, il brillante,
il generico, la prima donna, l'attore giovane, l'amoroso, la
servetta, tipi tutti ben riconoscibili per l'età, le condizioni,
ecc. ecc.
All' epoca della Commedia dell' Arte, abbiamo visto che alcuni di
questi caratteri avevano un personaggio a sè: Pantalone, Balanzone,
Brighella, Cassandro,Tartaglia, Arlecchino e tutta la compagnia.
Altri caratteri avevano anch'essi un nome fisso e cioè « gli amorosi
». Si chiamavano, se uomini: Cinzio, Fabrizio, Flavio, Lelio; se
donne: Angelica, Ardelia, Aurelia, Flaminia, Isabella, Lavinia,
Lucilla e nel '700 assunsero nomi nuovi: Ottavio, Lindoto, FIorindo,
Rosaura. Si esprimevano in toscano letterario e si esigeva da loro,
come qualità essenziale, la bellezza, cosa che spiega come non
portassero maschera.
Le servette, care e graziose come le loro padrone, non mancavano di
spirito di malizia e si chiamavano: Colombina, Corallina,
Diamantina, Franceschina, Pasquetta, Ricciolina, Smeraldina,
Turchetta. Anch'esse si esprimevano in lingua toscana. I costumi di
tutta questa gente erano quelli dell' epoca: ricchi e fastosi per i
padroncini, semplici ed eleganti per le seconde.
Colombina portava nel secolo XVII un vestito
bianco con grembiule verde. Lancret però ce la rappresenta, in un
suo quadro, vestita da Arlecchinetta, la compagna di Arlecchino, con
giubbetta e sottana a scacchi colorati, costume che ella portò per
la prima volta nel 1695 nella commedia « La fiera di Bezon ». Noi
però l'abbiamo cara nel costume settecentesco rosa col grembiule
bianco.
Gli amorosi dovevano dedicarsi con passione e studio alla loro
parte, che comportava brani, poesie, chiusette intercalate con
naturalezza e ritmo nella vicenda scenica. Pier Maria Cecchini, nei
suoi « Consigli a chi recita all'improvviso » (1628), dice: «Coloro,
che si compiacciono di recitare la difficile arte dell'innamorato,
debbono arricchirsi, prima la mente di una leggiadra quantità di
nobili discorsi, attinentisi alla varietà delle materie, che la
scena suole apportar seco».
E così pure Andrea Perrucci ci ha lasciato alcuni consigli, battute,
dialoghi, chiusette per gli amorosi nel suo « Dell' arte
rappresentativa premeditata all' improvviso» (Napoli, 1699). Udiremo
così Lelio chiudere uno sproloquio amoroso con questa chiusetta:
« In vederti, mia cara, il dio d'amore
ti consacra in uno sguardo e l'alma e il core ».
Ma Isabella gelosa così concluderà: «Pietà più nel mio cuor non
trova luogo, vada il regno d'amore a sangue e fuoco ».
Poichè gli intrecci degli scenari usavano ed abusavano delle
peripezie d'amore e dei matrimoni contrastati, si deve comprendere
quanta importanza avessero gli amorosi. Tutti questi bei figlioli,
il bel Leandro, il bel Florindo, il bel Lelio, battagliavano
continuamente con le tenere Isabella, Angelica, Rosaura per
ingannare i padri, i custodi ed i rivali, onde giungere al
contrastato matrimonio, aiutati dai loro servi Arlecchino,
Brighella, ecc. e dalle fide ancelle Colombina e Corallina.
Si può aggiungere che anche i domestici battagliavano egregiamente
per giungere a qualche cosa di simile fra di loro.
L'apoteosi di tutto ciò era quindi la conclusione in un felice
matrimonio; ed infatti, esaminando una ventina di scenari
seicenteschi, si osserva che questi lieti imenei abbondano fino a
concludersene tre per commedia; così come nel « Marito » di Flaminio
Scala, Orazio si sposa con Isabella, il Capitano con Flaminia,
Pedrolino con Franceschina. Altri tre matrimoni si trovano nell' «
Arcadia incantata », e pure altri tre nel « Non può essere», cioè
Orazio con Violante, Luzio con Cinzia e Rosetta con Policinella. Il
quale Policinella tornerà di nuovo a sposare Rosetta mentre Clelia
ed Orazio e Luzio e Rosaura faranno altrettanto nello scenario « Le
metamorfosi di Pulcinella ».
Però nel « Convitato di pietra» Don Giovanni, grande amatore di
fanciulle, non ne sposa nessuna, ed a conclusione di ciò viene
spedito all'inferno a far compagnia ai demoni ed a scaldarsi le
ossa, per il trionfo della morale e la soddisfazione delle zitelle.
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Tartaglia è una
maschera è di origine napoletana e fu creata da Agostino Fiorilli,
che, usando ed abusando delle balbuzie, si meritò la sua
denominazione. È spesso servo astuto, speziale, notaio, pedante,
ecc., porta grossi occhiali verdi, ed è vestito con giubba e calzoni
di panno verde foderati di bianco a righe gialle, collare bianco a
grandi pieghe e calze del medesimo colore, scarpe e
cintura gialla e cappello di feltro grigio.
Facanapa è una maschera
veneta di origine veronese, che risale al secolo XVII, con un
carattere affine a quello di PantaIone. Portava grandi occhiali
verdi, un cappellaccio con un gran panciotto e un soprabito bianco
lungo fino ai piedi. In seguito il nostro Facanapa o Faccanappa o
Fraccanapa cambiò nel 1836, attraverso la creazione del
marionettista Reccardini, aspetto e cattere e divenne una maschera
varia, divertente, dai motti arguti e inaspettati, pronunciati con
particolare voce nasale:
« Mi sono Fraccanapa; mi sì che tè pardona, ma speta che te bastona»
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« Scarpa larga e goto pien, e tor el mondo come el vien ».
La sua fisonomia è caratterizzata da un gran naso pappagallesco e da
un mento prominente in una faccia rotonda e florida.
È vestito alla foggia settecentesca, con tricorno, giubba bianca o
scura con tre grossi bottoni, calzoncini al ginocchio, con una gamba
bianca e l'altra nera.
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TARTAGLIA
FACANAPA
Marionette Tartaglia e Facanapa in legno eseguiti da Marco Bertini (mio
nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta
del figlio Bruno (mio padre), il quale li pitturò e fece
confezionare i costumi alla moglie Maria Stevanato (mia madre)
La serie completa comprende 21 Marionette
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PULCINELLA
Marionetta Pulcinella in legno eseguito da Marco Bertini (mio
nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta
del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece
confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)
La serie completa comprende 21 Marionette
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Pulcinella è maschera napoletana e ha la lieta
fisonomia di quel popolo favorito dalla luce e dal sole.
Qual'è la sua origine?
Il Baracconi ci dice:
« La
satira, l'arguzia, il bisticcio e una festevolezza temperata
dall'italica severità erano i caratteri delle commediole importate
da Atella a Roma nei floridi anni della repubblica.
« Fra gli altri personaggi ridicoli che in esse
operavano piacevolissimi riuscivano il Macco ed il Bucco, due tipi
di amabili furbi, due dannati ghiottoni, quali ne procrea
infaticabilmente la patria napolitana. Essi hanno traversato il
Medioevo sulla carretta del ciarlatano o sul palco dei saltimbanchi,
per identificarsi alla fine nel moderno Pulcinella, il quale, del
resto, col cappuccio e con l’abito, afferma ancora la vecchia
origine campana ».
Se dunque i caratteri della nostra maschera sono
affini a quelli di Macco, a chi spetta l’averla ricreata ed
aver!e dato il nome di Pulcinella? Alterando il nome di Paolo
Cinello, tipo ameno del duecento, sarebbe derivato il nome di
Pulcinella; con maggiore probabilità però fu Puctio d'Aniello,
contadino di Acerra, a dare il nome alla nostra maschera, che Silvio
Fiorillo ricreò, introducendola nelle nostre scene.
«Questo gustosissimo uomo ha
introdotto una disciplinata goffaggine, la quale, al suo apparire,
conviene che la malinconia se ne fugga od almeno si concentri e stia
relegata per lungo spazio di tempo. Dissi disciplinata goffaggine,
poscia ch'egli fa un assiduissimo studio per passare i termini
naturali e mostrar un goffo poco discosto da un pazzo e un pazzo che
di soverchio vuol accostare un savio
».
Alle origini, anche Pulcinella è vestito alla moda degli zanni,
però gibboso e deforme; porta una barbaccia incolta che esce di
sotto alla maschera; in seguito il suo costume subisce altre
alterazioni, fino a che nell'ultimo seicento esso perde la gobba i
baffi la barba e la daga ed assume un aspetto più riposato. Il suo
vestito si riassume nella casacca bianca stretta alla cintola da una
corda, negli ampi calzoni, nel berretto a pan di zucchero e nella
mezza maschera caratteristica, con il grosso naso pappagallesco.
Tale lo troviamo ai nostri giorni, ed è la maschera che ha più
conservato l’originario vestito degli zanni. Pulcinella Cetrulo (che
vuol dire citrullo), poichè egli ha anche un cognome, trova il suo
più antico documento grafico in una stampa del Callot:
« Pulliciniello e la Signora
Lucrezia nei Balli di Sfessania »,
ma è ricordato e reso
vivo in moltissimi scenari, di cui uno notissimo a tutti per essere
recitato nelle varie regioni d'Italia con maschere del luogo:
« Le
99 disgrazie di Pulcinella
per prendere moglie
». In
questi scenari è servo o
padrone, ma quasi sempre è povero e innamorato.
Il suo fine ultimo è il
piatto di maccheroni e l’amore della serva, che però non sposerà
quasi mai giacchè il carattere di questa maschera
è di essere poco padre e poco
marito.
Antonio Petito fu forse il più grande dei
Pulcinlla ed è commovente ricordare come il padre Salvatore
trasmettesse la maschera al figlio, cerimonia che, come abbiamo
visto per Arlecchino, si faceva generalmente a teatro. Ecco come S.
D. Giacomo descrive quella serata memorabile al teatro di San
Carlino, nell'anno 1852:
« La piccola orchestra terminò una commovente sinfonia; poi
Salvatore Petito, vestito del suo costume abituale e con la maschera
sul viso, sortì dalla prima quinta alla destra dello spettatore.
Dalla parte opposta, pure vestito da Pulcinella, ma col viso
scoperto, apparve Antonio che l'attendeva. Il vecchio Salvatore si
tolse il berretto, avanzandosi al proscenio, e con voce tremante
d'emozione pronunciò il seguente discorso:
"Rispettabile pubblico, il vestiro servitore devotissimo si è fatto
vecchio, egli ha bisogno di riposo e voi non vorrete rifiutarglielo
dopo anni nei quali ha fatto tutto il possibile piacervi.
"A partire da questa sera egli lascia la maschera di Pulcinella, e
la confida a suo figlio Antonio che ha l'onore di presentarsi a
questo rispettabile pubblico e all' inclita guarnigione". Così
dicendo il vecchio comico si tolse la maschera, l'applicò alla
faccia del figlio, e con le lagrime agli occhi gli augurò: "Per
cento anni!" ».
Il pubblico, commosso e sorridente, applaudì e la commedia
incominciò.
In un tentativo di sopravvivenza questa maschera si rifugia nel
casotto dei burattini: le «guarattelle» napoletane. E lì Pulcinella
diviene manesco e bastonatore. Eccolo che bastona il diavolo.
- Babbo, Pulcinella bastona il diavolo!
- Molto bene, perchè il bene trionfa del male.
- Ma babbo, ora il diavolo bastona Pulcinella!
- VuoI dire che anche Pulcinella avrà i suoi peccati;
- No, babbo, ora Pulcinella bastona il diavolo!
L'azione continua, e il babbo, che trova troppo difficile la
spiegazione, si allontana col bimbo dal casottino dei burattini.
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