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11 Sett. 2001
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MUSICA OPERISTICA

 

  E LA LORO STORIA

 

CARNEVALE

                                                                                        

 

LA COMMEDIA DELL'ARTE

Nel Medioevo il solo teatro ammesso ed appoggiato dalla Chiesa era il teatro sacro, che metteva sulla scena le vicende della Passione di Cristo in composizioni che prendevano il nome di "Misteri". Gli attori, di varie classi e mestieri, si prestavano gratuitamente a personificare i personaggi della vicenda, in rappresentazioni date essenzialmente su palchi improvvisati davanti alle chiese dei padroni della città.

All'affermarsi di questo teatro successe in Italia, alla fine del secolo quindicesimo, il ritorno o meglio l'imitazione di quei capolavori che avevano dilettato i greci ed i latini; imitazione spesso pedestre, dai più biasimata, da cui per reazione doveva ben presto sorgere il nuovo teatro popolare. Per questo bisogno di spontaneità nacquero nel primo cinquecento le farse e le commedie dialettali.

Con i "buffoni" si vennero a formare le prime figure da cui nacquero poi le maschere che daranno vita alla Commedia Italiana o Commedia dell'Arte che ebbe il suo periodo aureo tra la fine del cinquecento e del seicento, con un teatro in cui occorrevano in sommo grado vivacità , ingegno e prontezza.

Il nucleo base della Commedia era formato dai padroni (Pantalone, Il Dottore) e dai servi o zani originari del Bergamasco (Brighella e Arlecchino). Come servi si aggiungeranno poi altre maschere (Pulcinella, Mezzettino, Truffaldino, Pasquino, Tabarrino, Tortellino, Naccherino, Gradellino, Polpettino, Nespolino, Bertolino, Fagiolino, Trappolino, Zaccagnino, Trivellino, Traccagnino, Passerino, Bagattino, Bagolino, Temellino, Fagottino, Pedrolino, Fritellino, Tabacchino). Poi il Capitano, seguono le servette, quindi nasceranno gli "innamorati".

Altri sarebbero da aggiungere, come Scapino, Pirazzetto, Coviello, Burattino, Cola, Flautino, Francatrippa, Buffetto, Stoppino, Meneghino, Finocchio e quel Farfanicchio che cantava correndo per le scene il verbo di tutti gli zani:

Tirintina tirintina

fusse festa ogni mattina!

Ben da bere e da mangiare

e poca voglia di lavorare.

Ecco queste compagnie spargersi per tutta la penisola, su palcoscenici improvvisati con quattro assi e quattro tende, attorniate da spettatori di tutte le classi: popolo minuto e mercanti, soldataglia avida di piaceri grossolani e rumorosi e da paesani accorrenti dai paesi vicini.

E poichè ogni cosa è destinata a finire, nel secolo XVIII la Commedia dell' Arte dava segni di stanchezza e a darle il colpo di grazia nasceva a Venezia Carlo Goldoni il 25 febbraio 1707. Questo nostro grande commediografo ucciderà la Commedia dell' Arte sostituendola con un nuovo tipo di commedia, nella quale attori e maschere debbono attenersi alla parola scritta, e il pregio della quale è la diretta e viva osservazione della natura.

Malgrado però che il genere improvviso abbia molti difensori accaniti e convinti, Goldoni la sua riforma e le sue commedie finiscono per trionfare.

La Commedia dell'Arte snervata e avvilita decade e muore.

PANTALONE

Marionetta Pantalone in legno eseguito da Marco Bertini (mio nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre).

La serie completa comprende 21 marionette

A Pantalone, chiamato alle origini il Magnifico, è toccata la triste sorte di finire come sinonimo di miseria singola e generale, sicchè è consuetudine rappresentare nei giornali satirici un Pantalone curvo e stracciato, sospirante davanti ad una scodella vuota. Questa è la decadenza ultima e defìnitiva del vecchio avaro o prodigo a seconda dei casi, ma che abitualmente godeva di uno stato dignitoso ed autorevole.

E' nel cinquecento che questa maschera si afferma in Venezia, per poi percorrere le strade del mondo; in quell' epoca veste totalmente di rosso, dalla cÌntura gli pende o la borsa o un fazzoletto o un' arma da taglio e i pantaloni (così chiamati per esser calze e braghe di un sol pezzo) terminano con due ciabatte dalla punta rivolta in alto. Allora una lunga zimarra rossa, che gli arrivava fino ai piedi, compIetava il suo abbigliamento, conferendogli l'imponente aspetto del nobile veneziano. Un giorno tuttavia egli muta questo soprabito con un altro di color nero per assoggettarsi al lutto che la Repubblica Veneta ha decretato per la perdita del Regno di Negroponte.

È facile immaginare questa figura segaligna nel suo vestito rosso e nero, durante il secolo XVII o XVIII in Piazza San Marco, mentre se la trotterella con le sue lunghe ciabatte, ascoltando ciance, dicendo peste del prossimo o borbottando con voce catarrosa qualche galanteria, o intento a contrattare con usura un prestito di cento scudi o una merce levantina.

È facile immaginarselo su un palcoscenico di un teatro settecentesco, quando il vecchio bisbetico dà in ismanie o cade fulminato alla vista di un Florindo che scala la finestra della camera, in cui soggiorna la sua «putela» Rosaura, oppure quando autoritario ed intrattabile, fa piangere Isabella, l'altra «putela» perchè vuoI darla in isposa ad un vecchio suo amico ricco di bezzi e di acciacchi. E lo vediamo anche concludere filosoficamente e bonariamente l'epilogo di una lunga vicenda, in cui le figlie Rosaura o Isabella pongono il vecchio davanti al fatto compiuto di un matrimonio con Florindo e con Lelio.


Pantalone però è veramente terribile quando riprende il proprio figlio dissoluto e scavezzacollo; ed allora ecco le sue escandescenze:
« Che sperasti, figlio, nel condurre una vita così licenziosa? Non ti vedi che la mia casa xe in malora?
« Per causa tua le mie casse xe diventae casse di morti, mi hai sbudellato gli scrigni, fatto diventar argento vivo l' argenteria, xe svolae per via d'incanto le tapezzerie, son costretto a dormir sui pavimenti e per le camere se poI ziogar de spadon da due mani. O figlio, è di sta maniera che mi paghi l' esser che t'ho dato, le notti che per ti non ho dormio, i bezi che per ti ho speso, i travagli che per ti ho sopportato. Con sta ingratitudine si paga un padre che per ti tanto ha fatto? No che non ti sarà mio figlio: ti avrà concepito un gatto se tu sgraffi quella mano chè ti liscia e ti accarezza, sarà stata tua madre una tigre se non possono renderti mansueto le moine, sarà stato tuo padre un mulo se tu tiri dei calci a chi ti vuoI domare. Ma già che fai la bestiaccia, ti sian contrarie tutte le bestie del mondo: il gallo ti rompa il sonno, i cani ti rodan gli ossi, i gatti ti sgranfignino le mani, i corvi ti cavin gli occhi, i pidocchi ti mangino la carne e ti svergognino su pel vestito e le pulci le cimici i tafani con i morsegoni e con la spuza, con le punture non te lascino riposar.

Ma sagge, misurate ed accorte sono invece le parole che PantaIone usa nel definire l'arte del governare:
« Chi vuoI alzare l'edifizio della politica el se serva del fondamento della ragione, perchè senza questa andrà per terra tutta la macchina. Il comandare all' orba xe un voler cascare dentro un fuoco di disgrazie: per non star al scuro bisogna aver il moccolo del giudizio ».

 

Agli inizi Arlecchino è il vero personaggio adatto ad un pubblico rumoroso ed incomposto. È l'autentico personaggio che oggi noi troviamo nei circhi coi nomi di pagliaccio, di tony e di clown:
l'acrobata perfetto ed entusiasmante.

Arlecchino ha sempre il « batocio » in mano; perchè è rissoso e manesco; alle volte audace; alle volte poltrone e codardo: bastona ed è bastonato; entra in scena saltando; incespicando; scivolando spettacolosamente; poi improvvisa gli « spropositi» che sono tirate senza capo nè coda; espresse con voce nasale e grottesca; del che Petrolini ci ha fornito un esempio nel suo Fortunello. Parla il bergamasco che poi muterà in seguito nel dialetto veneziano; misto ad idiotismi della sua parlata nativa. Ma la nostra maschera parla tutte le lingue e tutti i dialetti; e in Francia ne formerà una propria nota sotto il nome di « langue d' Arlequin »; misto burlesco di italiano e di francese.
Arlecchino è personaggio troppo sensibile e vario per avere una fisonomia così semplice e primitiva. Egli sa, nel '600, prezioseggiare e baroccheggiare; giungendo perfino, attraverso le interpretazioni del Visentini e del Bertinazzi, a commuovere gli spettatori fino alle lacrime. Salvo poi col finire, poichè Arlecchino è sempre Arlecchino, col prendere in giro il pubblico commosso. Come è elegante quando entra in scena con i piedi in terza posizione e la mano destra appoggiata sul  « batocio »; oppure quando esegue la « riverenza », inchino classico e caratteristico che l' Arlecchino Domenico Biancolelli ha creato per lui! Adesso - siamo nel secolo XVIII - Arlecchino è pieno di eleganza e di virtù sceniche, suona, balla, e Goldoni ce lo fa apparire servo affezionato, meno bugiardo e poltrone che nei secoli precedenti.
Come vestiva Arlecchino? Agli inizi come tutti gli zanni; poi il vestito bianco si copre di pezze colorate poste qua e là in disordine, fino a che esse trovano compostezza ed eleganza nei costumi di poi:
rombi e quadrati disposti a scacchiera decorano la bianca casacca e i calzoni. Negli ultimi tempi il vestito, più attillato e aderente, modella le forme agili ed armoniche di questa maschera. Nella cintura in tutti i tempi porta infilato il famoso « batocio » e qualche volta la scarsella immancabilmente vuota.
Le scarpette di pezza o di cuoio sono senza tacco, e in capo ha un feltro alla Francesco I.
La sua maschera era originariamente di cuoio, grottesca, più da scimmione che da uomo: per occhi non aveva che due piccoli buchi per vederci e sulla fronte un grosso bitorzolo rosso e nero; ciò si andrà modificando in seguito, fino ad assumere, nel secolo XVIII, l'elegante mezza maschera nera che incornicierà il volto rasato dell' Arlecchino della decadenza vergognoso della barbaccia dei secoli precedenti. Il suo costume non deve abbandonarlo mai, e se per caso gli occorre interpretare un personaggio mitologico, sovrappone la tunica o il mantello su quello proprio, lasciandone intravvedere una parte.

Era usanza, quando un Arlecchino moriva o si ritirava dalla scena, trasmettere al suo successore maschera e spatola, e ciò dava luogo ad una cerimonia fatta sul palcoscenico. In una stampa del 1688 si vede Colombina presentare a Mezzettino (Angelo Costantini) la maschera e il « batocio» del fu Domenico Biancolelli, il grande Dominique, di cui si vede sul fondo il monumento funerario.

ARLECCHINO

 

Marionetta Arlecchino in legno eseguito da Marco Bertini (mio nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)

La serie completa comprende 21 Marionette

 

 

 

BRIGHELLA

 

 

Marionetta Brighella in legno eseguito da Marco Bertini (mio nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)

La serie completa comprende 21 Marionette

 

Brighella è il primo zani o servo della Commedia dell'Arte. Come le altre maschere, egli è finito nel paniere del burattinaio, che l'afferra e l'agita alla finestra del suo teatrino, mentre udiamo la sua voce che, in un dialetto tra il veneto e il bergamasco, ci dice: « Sì io sono Brighella cavicchio e gambone, giuocatore di pallone, protettore degli innamorati e sempre pronto in qualunque momento al chiaro e allo scuro, di giorno e di notte, dall' alba al tramonto, d'estate e d'inverno, ad aprire lo scatolino delle furberie per servire chi meglio mi paga; e giacchè mi hanno promesso uno scudo per ogni legnata che somministrerò, con belle maniere, al Cavalier Leandro, - corpo di mia nonna - se non l'ammazzo con una sequela ininterrotta di colpi, potrà dirsi fortunato».
In tal maniera si esprime il nostro Brighella dalla testa di legno, ma non altrimenti cianciava ed agiva fino dalle origini questo personaggio destinato nella Commedia dell'Arte a rappresentare l'intrigo, i bassi servizi, le trappole, le astuzie, volte sempre al danno di qualche suo simile.
Ciarlatano di piazza, proclamava aver scoperta la pietra filosofale, fabbricato specifici di lunga vita, talismani, cabale ed altre negromanzie.
Come Arlecchino, egli è nativo di Bergamo nel secolo XVI, ed in quei tempi egli è lo zani di prima importanza in tutte le rappresentazioni.

Veste nei primi tempi come tutti gli zani, cioè con la larga camicia, calzoni e mantello bianchi, cappello biforcuto con penna, calza pantofole ed ha una borsa ed il « batocio »; la sua faccia mascherata si incornicia di una barbaccia nera, che perderà ai primi del '700.
Questa faccia, o meglio questa maschera, è quella di un torvo soggetto dallo sguardo obliquo ed insolente ad un tempo, fìsonomia terribile del gaglioffo pronto ad intervenire in qualunque faccenda con i mezzi più loschi e più subdoli.
Il suo vestito non cambierà di molto anche in seguito, ad eccezione del cappello, che sarà sostituito da un berretto come usano i nostri cuochi, ma orlato con una guarnizione colorata, generalmente verde, e simile guarnizione orlerà anche il vestito. A tale proposito, Brighella afferma che è bianco, perchè ha carta bianca in tutte le azioni, ed è verde perchè con la sua astuzia tiene sempre verdi le speranze dei suoi clienti.

Antonio Zanoni, ottimo Brighella del '700, raccolse i motti e le tirate brighellesche in un volumetto pubblicato nel 1787. Sentiamo qualcuno di questi motti. che ci permettono di comprendere in pieno il carattere di questo personaggio:
« Corpo de Ziove cornudo, a me dirmi del servitore, a me dirmi che porto la livrea come insegna della miseria e della schiavitù. Io mi chiamo sensale dei matrimoni, mediatore delle rotture amorose, consolatore dei poveri innamorati, protettore delle ragazze abbandonate, avvocato in primo appello delle differenze dei maridadi, arbitro degli intrighi d'amor e quello insomma che favorisce le speranze, soddisfa i desideri dei pazzi innamoradi ».
« El mondo l'è commedia in cui ogni uomo deve fare la sua parte: corteggiare chi spende, adular chi regala, amar chi accorda, seminar dove se raccoglie, finger amicizia dove si gode, dimenticarsi di chi è inutile, promettere a tutti, mantenere a pochi, profittar sempre del verso " rapio rapis ", che non porta altro nome che "meas mea meum"».


« Quando se fa delle furberie, bisogna farne molte, che nelle baronade no ghe vuoI economia, sebbene dice il proverbio che il buon giorno dei furbi sta sotto le scarpe del boia».
« Le busie besogna dirle grosse; le busie, le frittate e le polpette o grosse o niente. Quando la furberia la mi scrive, la si degna di darmi il titolo di fratello ».

« Mi son uomo insigne nelle furberie e le più belle le ho inventate mi e le ho ilustrade. Mi fazzo zirar con nuova maniera il setaccio; mi ho una cabala e una ziffera perchè gli amanti si intendano insieme perfettamente; faccio talismani, pietre triangolari perfette, l'empiastro magnetico, pozioni amatorie; mi ho eredità la favola dei folletti per comodo notturno delle serve innamorade. Ho insegnato le finte convulsioni alle donne maridade per sottrarsi alla collera dei mariti, e con ottica affatto diversa ho indotto gli uomini maridadi che pretendono vedere assai, ad essere di corta vista e disinvoltura, per non accorgersi delle bizzarrie delle mogli e trarne profitto ».

 

Il Dottore sentenzia sempre a proposito ed a sproposito, crede di essere filosofo, scienziato, medico, astronomo ed avvocato e di tutto e su tutto parla a vanvera, confonde personaggi storici, crea anacronismi e, tra paradossi, citazioni greche e latine, è oggetto dei lazzi e delle burle dei suoi servi. Gli si chiede consiglio prima di prendere moglie ed egli risponde: « Se è allegra farà troppo schiamazzo, se è malinconica vi toccherà di piangere per farIe compagnia, se è buona i servitori vi vuoteranno la casa, se è cattiva vi sembrerà di aver vicino il diavolo, se è istruita vorrà sempre sentenziare, se è ignorante stenterete a farvi intendere, se è feconda non resterà nulla ai vostri eredi, se è sterile vi mancherà la consolazione dei figli, se è forte farà la prepotente, se è nobile spesso vi strapazzerà, se è ignobile sarete segnato a dito da tutti, se è ricca sarà piena di pretese, se è povera avrete sempre i parenti in casa, se è savia darà lezione di morale, se è matta sarete lo zimbello dei casigliani, se è giovane non starà ferma un momento e se è vecchia vi farà venire un accidente ».
Ma non bisogna prendere sul serio queste scombiccherature del sentenzioso Balanzone, chè, a dargli retta, tanto varrebbe rimanere eternamente celibi. Perchè di « tirate » egli non può farne a meno. Propertio Talpi ce ne ha lasciate una ventina. Balanzone le intercala nelle azioni, come fa Arlecchino con i lazzi. « Avete un nemico? - dice - vi darò un temperino. Se non sarà buono il temperino, prenderete un coltello; se non sarà buono il coltello ed il temperino, prenderete un pugnale; se non sarà buono il pugnale, il coltello, il temperino, prenderete una spada; se non sarà buona la spada, il pugnale, il coltello, il temperino, prenderete la colubrina, e così con tutte le ripetizioni per l' artiglieria, lo spazzacampagna, la bomba, il cannone, il moschetto, lo schioppo, la pistola, la picca, lo spadone ed il coltellaccio, concludendo che se tutto questo non basta, prenderemo il vostro naso da sbattervi sotto il filo della schiena! ».
Inciampa, ecco un' altra « tirata». « A son scapuzzà, sono inciampato, e inciampandomi potevo farmi male; se mi fossi fatto male sarei andato a letto, al letto sarebbe venuto il medico, il medico mi avrebbe ordinato i medicamenti, i medicamenti si fanno di droghe, le droghe vengono dal levante, dal levante vengono i venti secondo Aristotile », e poichè è andato intorno ad Aristotile è meglio fermarsi poichè disturba tutto lo sci bile umano.

Il Dottor Graziano fa la sua comparsa verso il 1560, vestito completamente di nero, prima alla foggia dei maestri dello studio bolognese, poi, secondo l' usanza francese del' 600, con il cappello alla Don Basilio, il mantello, la giubba serrata alla cintura, da cui pende una borsa di cuoio nero, un fazzoletto e qualche volta un piccolo pugnale.
Porta calze e scarpe a fibbie e intorno al collo un collarino di mussola bianca a pieghe. La sua fisonomia è ora segaligna, ora dell'uomo benportante che volge alla sessantina, con grossi baffi neri e mezza maschera che gli copre solo il naso e la fronte, mentre i capelli sono coperti da una calotta nera. Questa figura prenderà poi in seguito, nelle recitazioni della Commedia dell' Arte, altri nomi: Gerolamo Chiesa lo chiama il Dottore dei Violoni; Pietro Bugliani il Dottore Forbizone, altri Bombarda, Campanari, Spaccastrummolo, fino al definitivo Balanzone.
 

BALANZONE

Marionetta Balanzone in legno eseguito da Marco Bertini (mio nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)

La serie completa comprende 21 Marionette

 

GLI AMOROSI

 

        COLOMBINA            ROSAURA

 

       FLORINDO                 LELIO

Marionette Colombina, Rosaura, Florindo, Lelio in legno eseguiti da Marco Bertini (mio nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta del figlio Bruno (mio padre), il quale li pitturò e fece confezionare i costumi alla moglie Maria Stevanato (mia madre)

La serie completa comprende 21 Marionette

 

 

Nel teatro di oggi, se sono scomparse le maschere, abbiamo però i «ruoli», cioè quelle parti che si addicono a caratteri ben definiti: il padre e la madre nobile, il brillante, il generico, la prima donna, l'attore giovane, l'amoroso, la servetta, tipi tutti ben riconoscibili per l'età, le condizioni, ecc. ecc.
All' epoca della Commedia dell' Arte, abbiamo visto che alcuni di questi caratteri avevano un personaggio a sè: Pantalone, Balanzone, Brighella, Cassandro,Tartaglia, Arlecchino e tutta la compagnia.
Altri caratteri avevano anch'essi un nome fisso e cioè « gli amorosi ». Si chiamavano, se uomini: Cinzio, Fabrizio, Flavio, Lelio; se donne: Angelica, Ardelia, Aurelia, Flaminia, Isabella, Lavinia, Lucilla e nel '700 assunsero nomi nuovi: Ottavio, Lindoto, FIorindo, Rosaura. Si esprimevano in toscano letterario e si esigeva da loro, come qualità essenziale, la bellezza, cosa che spiega come non portassero maschera.
Le servette, care e graziose come le loro padrone, non mancavano di spirito di malizia e si chiamavano: Colombina, Corallina, Diamantina, Franceschina, Pasquetta, Ricciolina, Smeraldina, Turchetta. Anch'esse si esprimevano in lingua toscana. I costumi di tutta questa gente erano quelli dell' epoca: ricchi e fastosi per i padroncini, semplici ed eleganti per le seconde.

Colombina portava nel secolo XVII un vestito bianco con grembiule verde. Lancret però ce la rappresenta, in un suo quadro, vestita da Arlecchinetta, la compagna di Arlecchino, con giubbetta e sottana a scacchi colorati, costume che ella portò per la prima volta nel 1695 nella commedia « La fiera di Bezon ». Noi però l'abbiamo cara nel costume settecentesco rosa col grembiule bianco.
Gli amorosi dovevano dedicarsi con passione e studio alla loro parte, che comportava brani, poesie, chiusette intercalate con naturalezza e ritmo nella vicenda scenica. Pier Maria Cecchini, nei suoi « Consigli a chi recita all'improvviso » (1628), dice: «Coloro, che si compiacciono di recitare la difficile arte dell'innamorato, debbono arricchirsi, prima la mente di una leggiadra quantità di nobili discorsi, attinentisi alla varietà delle materie, che la scena suole apportar seco».
E così pure Andrea Perrucci ci ha lasciato alcuni consigli, battute, dialoghi, chiusette per gli amorosi nel suo « Dell' arte rappresentativa premeditata all' improvviso» (Napoli, 1699). Udiremo così Lelio chiudere uno sproloquio amoroso con questa chiusetta:

                « In vederti, mia cara, il dio d'amore
                  ti consacra in uno sguardo e l'alma e il core ».


Ma Isabella gelosa così concluderà: «Pietà più nel mio cuor non trova luogo, vada il regno d'amore a sangue e fuoco ».


Poichè gli intrecci degli scenari usavano ed abusavano delle peripezie d'amore e dei matrimoni contrastati, si deve comprendere quanta importanza avessero gli amorosi. Tutti questi bei figlioli, il bel Leandro, il bel Florindo, il bel Lelio, battagliavano continuamente con le tenere Isabella, Angelica, Rosaura per ingannare i padri, i custodi ed i rivali, onde giungere al contrastato matrimonio, aiutati dai loro servi Arlecchino, Brighella, ecc. e dalle fide ancelle Colombina e Corallina.
Si può aggiungere che anche i domestici battagliavano egregiamente per giungere a qualche cosa di simile fra di loro.
L'apoteosi di tutto ciò era quindi la conclusione in un felice matrimonio; ed infatti, esaminando una ventina di scenari seicenteschi, si osserva che questi lieti imenei abbondano fino a concludersene tre per commedia; così come nel « Marito » di Flaminio Scala, Orazio si sposa con Isabella, il Capitano con Flaminia, Pedrolino con Franceschina. Altri tre matrimoni si trovano nell' « Arcadia incantata », e pure altri tre nel « Non può essere», cioè Orazio con Violante, Luzio con Cinzia e Rosetta con Policinella. Il quale Policinella tornerà di nuovo a sposare Rosetta mentre Clelia ed Orazio e Luzio e Rosaura faranno altrettanto nello scenario « Le metamorfosi di Pulcinella ».
Però nel « Convitato di pietra» Don Giovanni, grande amatore di fanciulle, non ne sposa nessuna, ed a conclusione di ciò viene spedito all'inferno a far compagnia ai demoni ed a scaldarsi le ossa, per il trionfo della morale e la soddisfazione delle zitelle.

Tartaglia è una maschera è di origine napoletana e fu creata da Agostino Fiorilli, che, usando ed abusando delle balbuzie, si meritò la sua denominazione. È spesso servo astuto, speziale, notaio, pedante, ecc., porta grossi occhiali verdi, ed è vestito con giubba e calzoni di panno verde foderati di bianco a righe gialle, collare bianco a grandi pieghe e calze del medesimo colore, scarpe e cintura gialla e cappello di feltro grigio.

 

Facanapa è una maschera veneta di origine veronese, che risale al secolo XVII, con un carattere affine a quello di PantaIone. Portava grandi occhiali verdi, un cappellaccio con un gran panciotto e un soprabito bianco lungo fino ai piedi. In seguito il nostro Facanapa o Faccanappa o Fraccanapa cambiò nel 1836, attraverso la creazione del marionettista Reccardini, aspetto e cattere e divenne una maschera varia, divertente, dai motti arguti e inaspettati, pronunciati con particolare voce nasale:
« Mi sono Fraccanapa; mi sì che tè pardona, ma speta che te bastona» .

« Scarpa larga e goto pien, e tor el mondo come el vien ».
La sua fisonomia è caratterizzata da un gran naso pappagallesco e da un mento prominente in una faccia rotonda e florida.
È vestito alla foggia settecentesca, con tricorno, giubba bianca o scura con tre grossi bottoni, calzoncini al ginocchio, con una gamba bianca e l'altra nera.

 

TARTAGLIA

FACANAPA

 

Marionette Tartaglia e Facanapa in legno eseguiti da Marco Bertini (mio nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta del figlio Bruno (mio padre), il quale li pitturò e fece confezionare i costumi alla moglie Maria Stevanato (mia madre)

La serie completa comprende 21 Marionette

 

 

PULCINELLA

 

Marionetta Pulcinella in legno eseguito da Marco Bertini (mio nonno), intagliatore in legno di Venezia, nel 1948 su richiesta del figlio Bruno (mio padre), il quale lo pitturò e fece confezionare il costume alla moglie Maria Stevanato (mia madre)

La serie completa comprende 21 Marionette

 

Pulcinella è maschera napoletana e ha la lieta fisonomia di quel popolo favorito dalla luce e dal sole.

Qual'è la sua origine?

Il Baracconi ci dice: « La satira, l'arguzia, il bisticcio e una festevolezza temperata dall'italica severità erano i caratteri delle commediole importate da Atella a Roma nei floridi anni della repubblica.

« Fra gli altri personaggi ridicoli che in esse operavano piacevolissimi riuscivano il Macco ed il Bucco, due tipi di amabili furbi, due dannati ghiottoni, quali ne procrea infaticabilmente la patria napolitana. Essi hanno traversato il Medioevo sulla carretta del ciarlatano o sul palco dei saltimbanchi, per identificarsi alla fine nel moderno Pulcinella, il quale, del resto, col cappuccio e con l’abito, afferma ancora la vecchia origine campana ».

Se dunque i caratteri della nostra maschera sono affini a quelli di Macco, a chi spetta l’averla ricreata ed aver!e dato il nome di Pulcinella? Alterando il nome di Paolo Cinello, tipo ameno del duecento, sarebbe derivato il nome di Pulcinella; con maggiore probabilità però fu Puctio d'Aniello, contadino di Acerra, a dare il nome alla nostra maschera, che Silvio Fiorillo ricreò, introducendola nelle nostre scene.

«Questo gustosissimo uomo ha introdotto una disciplinata goffaggine, la quale, al suo apparire, conviene che la malinconia se ne fugga od almeno si concentri e stia relegata per lungo spazio di tempo. Dissi disciplinata goffaggine, poscia ch'egli fa un assiduissimo studio per passare i termini naturali e mostrar un goffo poco discosto da un pazzo e un pazzo che di soverchio vuol accostare un savio ».

Alle origini, anche Pulcinella è vestito alla moda degli zanni, però gibboso e deforme; porta una barbaccia incolta che esce di sotto alla maschera; in seguito il suo costume subisce altre alterazioni, fino a che nell'ultimo seicento esso perde la gobba i baffi la barba e la daga ed assume un aspetto più riposato. Il suo vestito si riassume nella casacca bianca stretta alla cintola da una corda, negli ampi calzoni, nel berretto a pan di zucchero e nella mezza maschera caratteristica, con il grosso naso pappagallesco. Tale lo troviamo ai nostri giorni, ed è la maschera che ha più conservato l’originario vestito degli zanni. Pulcinella Cetrulo (che vuol dire citrullo), poichè egli ha anche un cognome, trova il suo più antico documento grafico in una stampa del Callot: « Pulliciniello e la Signora Lucrezia nei Balli di Sfessania », ma è ricordato e reso vivo in moltissimi scenari,  di cui uno notissimo a tutti per essere recitato nelle varie regioni d'Italia con maschere del luogo: « Le 99 disgrazie di Pulcinella per prendere moglie ». In questi scenari è servo o padrone, ma quasi sempre è povero e innamorato.

Il suo fine ultimo è il piatto di maccheroni e l’amore della serva, che però non sposerà quasi mai giacchè il carattere di questa maschera è di essere poco padre e poco marito.

 

Antonio Petito fu forse il più grande dei Pulcinlla ed è commovente ricordare come il padre Salvatore trasmettesse la maschera al figlio, cerimonia che, come abbiamo visto per Arlecchino, si faceva generalmente a teatro. Ecco come S. D. Giacomo descrive quella serata memorabile al teatro di San Carlino, nell'anno 1852:
« La piccola orchestra terminò una commovente sinfonia; poi Salvatore Petito, vestito del suo costume abituale e con la maschera sul viso, sortì dalla prima quinta alla destra dello spettatore. Dalla parte opposta, pure vestito da Pulcinella, ma col viso scoperto, apparve Antonio che l'attendeva. Il vecchio Salvatore si tolse il berretto, avanzandosi al proscenio, e con voce tremante d'emozione pronunciò il seguente discorso:
"Rispettabile pubblico, il vestiro servitore devotissimo si è fatto vecchio, egli ha bisogno di riposo e voi non vorrete rifiutarglielo dopo anni nei quali ha fatto tutto il possibile piacervi.
"A partire da questa sera egli lascia la maschera di Pulcinella, e la confida a suo figlio Antonio che ha l'onore di presentarsi a questo rispettabile pubblico e all' inclita guarnigione". Così dicendo il vecchio comico si tolse la maschera, l'applicò alla faccia del figlio, e con le lagrime agli occhi gli augurò: "Per cento anni!" ».
Il pubblico, commosso e sorridente, applaudì e la commedia incominciò.
In un tentativo di sopravvivenza questa maschera si rifugia nel casotto dei burattini: le «guarattelle» napoletane. E lì Pulcinella diviene manesco e bastonatore. Eccolo che bastona il diavolo.

- Babbo, Pulcinella bastona il diavolo!
- Molto bene, perchè il bene trionfa del male.
- Ma babbo, ora il diavolo bastona Pulcinella!
- VuoI dire che anche Pulcinella avrà i suoi peccati;
- No, babbo, ora Pulcinella bastona il diavolo!
L'azione continua, e il babbo, che trova troppo difficile la spiegazione, si allontana col bimbo dal casottino dei burattini.

 

DON BASILIO

IL DIAVOLO

IL RE

LA PRINCIPESSA

IL BRIGANTE

LA GUARDIA

CECCA

LA VECCHIA

PETROLINI COI SALAMINI

FAGIOLINO

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Ultimo aggiornamento:  03-03-07