< Chi non sognava

Chi non sognava, un secolo fa, quel periodo dell' anno in cui era possibile darsi alla pazza gioia al piacere dell' imprevisto, alla gaiezza folle, sbrigliata, senza reticenze, al bisogno di divertirsi mascherandosi, capovolgendo l'ordine naturale delle cose ed introducendovi la fantasia, a dispetto del buon senso e delle regole inesorabili a cui dobbiamo sottostare tutti i giorni?
Che gioia quando arrivava il carnevale! Il buon borghese si travestiva da Arlecchino o da gran Turco, ripromettendosi le più assurde avventure; la sartina, all'insaputa del fidanzato, si travestiva da Colombina; la signora del droghiere, da gran marchesa, e sognava per un momento di essere veramente nobile e riverita; mentre la servetta, mascherata da persiana, ribelle per qualche ora alla scopa e al lavandino, rifaceva in falsetto, con aria di dileggio, la voce della padrona.
Queste liete feste dei nostri nonni sono dimenticate e scomparse; ora il carnevale agonizza trascinandosi seco le maschere: sopravvive solo nei corsi di Nizza, Venezia e di Viareggio. Non faremo qui la storia del carnevale, ma ne scriveremo per quello che può avere attinenza con le figure della Commedia dell' Arte.
Nel Rinascimento i magnifici e fastosi cortei di Firenze, Roma, Milano destavano l'entusiasmo degli stranieri, che ne ripetevano gli echi, in corsi simili, in Francia, Spagna e Portogallo, ma fu la Venezia settecentesca che fece accorrere da ogni parte del mondo i forestieri entusiasti per questo classico avvenimento. Certamente nessuna città si prestava più di questa, con i suoi palazzi marmorei, con la sua immensa piazza San Marco a questo spettacolo unico ed impreveduto.
Cullate dalle onde e dal suono delle chitarre e delle mandole, migliaia di maschere, su gondole ricche di lampioncini, di festoni, di drappi animavano la laguna, mentre nelle calli ed in Piazza San Marco, la folla si abbandonava alla frenesia del carnevale, mescolandosi alle maschere, in mezzo alle quali spiccavano le bautte, tipico costume dei veneziani del '700.
La bautta consisteva in un mantelletto di seta nera o di velluto ed in un cappuccio che copriva completamente la testa e le spalle, salvo un foro sul davanti per il volto, che veniva occultato da una maschera; sopra il cappuccio si poneva il tricorno. Questo insieme, uomini e donne lo indossavano sul proprio vestito, che per gli uomini consisteva generalmente in un lungo mantello.
Giambattista Tiepolo ha eternato questi carnevali in quadri superbi di movimento e di fantasia, dove i Pulcinella, gli Arlecchini e Pantaloni vivono nella loro atmosfera di spirito, di grazia e di lieto delirio.
I fasti del carnevale di Venezia dovevano trovare concorrenza in quelli del carnevale di Roma, che, iniziatosi nel 1466, durante il papato di Paolo II, continuò con diversa fortuna sino all'800.
Certo che Paolo II dovette essere molto entusiasta di questa festa rumorosa se uno scrittore dell'epoca così ci dice:
« Lo ditto Paolo II, volendo fare cosa grata alli romani se ne venne ad habitare al Santo Marco e ampliò la festa del carnevalare et fece che lo lunedì dinanzi allo carnevalare se corresse per li garzoni un palio e lo martedì per li Iudei se corresse l'altro; lo mercoledì quelli delli vecchi; lo zovedì se giva al Nagoni; lo venerdì se stava in casa; lo sabbato alla caccia; la domenica ricorrevano li tre palii consueti; lo lunedì correvano li buffali e lo martedì li asini et di queste cose lui si pigliava piacere ».
E così i cortei carnevaleschi sfilavano per le vie di Roma, acclamati da una folla vociferante che vi si entusiasmava anche perchè concorrevano a rendere attraenti le scene, i costumi ed ogni aspetto della mascherata, i migliori artisti della Corte papale, quali Raffaello, che dipinse le scene per una rappresentazione organizzata da Leone X, e Gian Lorenzo Bernini che nel 1658 disegnò la mascherata delle arti liberali. Non basta: la voga del carnevale romano doveva crescere fìno al punto che Papa Alessandro VII fece demolire l'arco di Portogallo affinchè i carri potessero transitare senza ostacoli attraverso il Corso. I Meo Patacca, i Rugantini, ecc. si rivolgevano alla folla, dicendo:
« Povera gente mia, sete affannata, volete aiuto? averete consiji! Avete fame? Embè, povera gente, è segno di salute; non è gnente! ».­
Magnifico fu pure il carnevale milanese con i famosissimi cortei di carri e di maschere; ma il 18 nevoso, anno della Repubblica, un editto promulgato, in Milano così ordinava:
« Restano assolutamente proibite le cosidette maschere del Teatro Italiano, cioè Brighella, Arlecchino, Pantalone; ecc. ».
Povere maschere, trattate ingiustamente; esse, vere espressioni del carattere popolare, trattate alla stregua dei nobili e degli aristocratici!
È passato mezzo secolo; siamo nel 1850. Un altro carnevale ha acceso gli entusiasmi degli spensierati: il carnevale parigino. Esso si iniziava con la famosa « Discesa delle Courtille », corteo di carri mascherati che si prendevano dai boulevards « esteriori» per sfilare nel centro della città: la « Discesa delle Courtille » è rimasta celebre nei fasti carnevaleschi. Un inglese, Lord Seymour detto « Milord l'Arsouille » guidava la carovana, di centinaia di vetture, dall'alto di un veicolo tirato da sei cavalli inglesi, fiancheggiato da cavalieri in abito di caccia che suonavano grandi trombe. Ecco la vettura dei signori Franconi, direttori del famoso circo che portava il loro nome; sull'imperiale dodici musicisti suonavano l'« ouverture» del Guglielmo Tell. Su altri carri e carrozze, incredibilmente colmi, maschere, donne più o meno vestite, e uomini ubriachi lanciavano grida ed ingiurie, ricevendo in cambio del fango dai monelli e da altri mascherotti. La strada apparteneva completamente a questi vociferatori scatenati, a questi energumeni del carnevale.
Gavarni, celebre caricaturista del tempo, ne era l'animatore, creava nuovi costumi, creava nuove maschere, creava quelle figure grottesche ed eleganti che furono i « débardeurs », i quali erano uomini costumati con corazze, elmi, stivaloni, nasi posticci, baffi violenti, sgangherate caricature di gendarmi e pulcinella, oppure donne vestite con calzoni rossi a bande colorate, con camiciole di seta bianca ferme alla cintola da una fascia di seta, recanti in testa un berrettino da vivandiera sui capelli nascosti o raccolti da una parrucca o rete bianca.
Gavarni, dittatore acclamato di tutti i veglioni e di tutte le feste, trionfa sopratutto nei famosissimi balli dell'Opéra; là le nostre maschere della Commedia dell' Arte, si incrociavano con Rossini, Alessandro Dumas, Eugenio Sue, Balzac, Enrico Monnier, Emilio Augier, che amano questo mondo di fantasia sbrigliata ed accesa, con débardeurs, colombine, domino, cavalieri, ecc. in una bufera di coriandoli, di stelle filanti e di confetti.
L'orchestra conduce la danza in un baccano infernale e trascina la folla in un vortice: Arlecchino afferra una Pierrette e le dice in un soffio: « Ti conosco, mascherina...».