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Collettiva d'Arte Contemporanea - Capranica, Viterbo

Stefano Iatosti

 

“Dopo un iniziale percorso dedicato alla fotografia e al video, Andrea Sterpa ha focalizzato la sua ricerca sul volto femminile. Il suo tratto è veloce, essenziale, la caratterizzazione affidata a pochi elementi, la gamma cromatica ridotta. Con mezzi dunque volutamente poveri, affidandosi a un disegno stilizzato, a un’assoluta bidimensionalità, l’artista coglie e sintetizza il dato fenomenico e al tempo stesso la tonalità di fondo di un’espressione, in un processo identificativo nervoso e delicato, sempre pronto a riprendere il suo corso”

  

 


3 Ore e 15 Minuti

Collettiva d'Arte Contemporanea - Associazione Culturale Civica, Piazza Venezia, Roma

Stefano Iatosti


“Tre ore e quindici minuti”, al tempo stesso il tema di una mostra e la sua durata effettiva. Il tempo dell’esposizione s’identifica con quello, effimero, del vernissage. Ma qual è il tempo che dedichiamo a un’opera d’arte, da spettatori? Le continue sollecitazioni cui i nostri organi di senso -e la vista in primo luogo- vengono sottoposti quotidianamente finiscono per creare un flusso percettivo, un rumore di fondo da cui emergono frammenti di messaggio il più delle volte casuali e incoerenti. La babele iconica propinata dagli schermi televisivi sollecita il nostro sguardo in modo talmente invasivo da influenzare lo stesso processo di selezione degli stimoli che il nostro cervello mette in atto, di giorno e di notte. Le modalità della visione, i tempi di attenzione si modificano rapidamente e ciò non può non avere conseguenze sullo sguardo rivolto a un’opera d’arte. Nell’epoca di Daguerre un ritratto imponeva tempi di posa lunghissimi e persino un apparecchio per tenere immobile la testa del modello. In base a varie testimonianze letterarie, un’opera d’arte veniva contemplata a lungo, secondo una nozione del tempo e dello sguardo a noi ormai del tutto estranea. Furono gli Impressionisti, a introdurre l’immediatezza e il senso dell’effimero nell’occhio dello spettatore. Più tardi l’illusione del movimento restituita dallo scorrere dei fotogrammi accelerò i tempi di risposta e di attenzione del pubblico, ma è stata la tecnica pubblicitaria, con la sua capacità di attrarre sguardi abitualmente confusi e distratti, a infondere alle modalità della visione un’ulteriore rapidità di focalizzazione. La domanda che sorge spontanea è: siamo ancora in grado di guardare il tempo necessario, di soffermarci su un quadro, una scultura, una fotografia osservando da diverse prospettive, muovendoci dall’insieme al singolo dettaglio, gustando la costruzione formale, la tessitura, la materia, le variazioni timbriche o tonali, i piani e i volumi, il rapporto dell’opera con lo spazio? In ogni mostra d’arte contemporanea la domanda viene riproposta, sia pure in modo implicito. In fondo la sperimentazione è in primo luogo la ricerca di un nuovo punto di vista, di una nuova modalità dello sguardo, un’interrogazione sull’opera o anche solo sul progetto dell’opera che solleciti la vista in modo inaspettato, creando corti circuiti, evidenziando ciò che è negato o non percepito, ma anche l’atto stesso del percepire. Ha scritto Umberto Eco che ogni opera d’arte impone percorsi ripetuti, ma solo alcune eleggono questo principio a base della propria poetica. Di sicuro il tempo di percorso è una componente ineliminabile, come tempo necessario alla lettura, alla decodifica e interpretazione. Ci sono opere che giocano sulla loro complessità per imporre un’attenzione prolungata e altre in cui è proprio l’icasticità del segno a colpire, opere in cui l’artista suggerisce il percorso esecutivo e altre in cui l’uso della citazione fa leva sulla competenza e sulla memoria iconica del fruitore. Il tema della mostra circoscrive il tempo a una misura precisa, ma è proprio questo limite, a sollecitare interpretazioni tanto varie. Si va dall’ironia apocalittica di Mario Verta, con la sua citazione dickiana, alla parodia dell’efficienza militare di Pier Maurizio Greco, dalla fredda e al tempo stesso morbosa allusività di Consuelo Mura a quella tenue e preziosa di Manuela Alampi. Il meccanismo associativo è reso di volta in volta più oscuro, nell’invilupparsi della forma di Adriana Cappelli, fino a farsi cifratura informale di emozioni in Antonella Catini o sfociare nel simbolismo arcaizzante di Paola Giacon. Per Claudio Lia invece la pittura è testimonianza diretta, affidata all’insorgere dei colori; una diversa strutturazione del tempo è riscontrabile nella torsione del marmo in Isabella Nurigiani, un gioco di luce e ombra che articola lo spazio circostante. Serena Meggiorini propone i suoi riflessi, le sue atmosfere da impressionismo astratto, laddove Anna Costantini, dietro l’apparente casualità del gesto, si affida a sottili rispondenze di tessiture e di toni. La ricerca personale di ogni artista e l’opera che ne è il risultato sono articolazioni del tempo, tempo dell’ideazione e dell’esecuzione, che s’interseca con i percorsi diacronici e sincronici dei visitatori, con quelli della memoria, stratificarsi impercettibile d'immagini, pronte ad affacciarsi per suggerire nuovi svolgimenti, nuove elaborazioni. Ecco allora la stilizzazione del segno di Andrea Sterpa a fianco della partitura geometrizzante di Rosella Barretta, gli sfalsamenti luministici e temporali di Claudio Orlandi accanto alla composizione di tracce e orlature di Gabriele Simonetti, registrazione paradossale dell’effimero, del transeunte. E cosa di più labile di sfuggente, di un paesaggio colto dal treno, come mostra Giuliano Pastori? Nell’opera di Antonietta Campilongo la percezione dello scorrere del tempo è scandita dal ritmo architettonico, elemento di costanza nell’entropia progressiva dei sentimenti. In altri casi il tempo è fermato e ricomposto in un volto, come in Angela Vinci o, con vigore espressionistico, in Andrea Cardia. Se Massimiliano Doria evoca la precarietà con lo sfibrarsi del tessuto, in Giovanni Novi s’impone l’urgenza espressiva del colore acceso. Un’altra urgenza è percepibile nel livore anatomico di Rosanna Fedele, mentre l’impassibilità combinatoria è la cifra ironica di Paola de Santis. Vincenza Spiridione, infine, riconduce l’excursus temporale al suo significato tragico di lotta per la sopravvivenza. Come si vede, ogni singola opera suggerisce una visione del tempo, sia esso percepito come istantaneità, ritmo, durata o memoria. Le tre ore e i quindici minuti destinati a questa mostra rappresentano una sfida per chi espone e chi osserva, un laboratorio del tempo e dello sguardo, affinché si torni a guardare, a scrutare nella superficie, nella tessitura, negli interstizi di una struttura e ci si veda riflessi, si ritrovi un distacco, una visione che non scivola davanti alle cose, ma alle cose dell’arte restituisce il tempo, tutto il tempo che ci vuole."

        

 

3 Ore e 15 Minuti

Contemporary Art Exhibition  by  Civica Cultural Association in piazza Venezia, Rome

Stefano Iatosti

 

“Tre ore e Quindici Minuti”, at the same time an art exhibition topic and its actual duration. Exhibition duration is ephemeral like the short-lived vernissage. But how much time we dedicate in watching an art work? Everyday continuous pressing on our sensible organs – first of all our eyesight – create at the end a perceptive flow, a background sound from which comes out fragments of a message most of the times casual and incoherent. The iconical babel  sent by television screen stress our sight in a so intrusive way that the main stimulus selective process that our brain activate day and night, it is influenced by it. Our way of visualize and our attention span are rapidly modified and that of course should have consequences on the way we look at an art work. In  Daguerre’s time to make a portrait required very long exposure time and even and even an head-holding-support for the model. As stated by various  literary testimonies, an art work was contemplated for a long time, according to a sense of time totally extraneous from ours. The impressionists, for the first time,  brought in the eye of the audience the sense of immediacy and ephemerality. Later on the moving illusion made by the running of frames  accelerated the attention span of the public, but it has been the advertising technique  and its capability to capture commonly distracted and confused audience to enable us to be even more and more rapid on focusing on things. The consequent question is: Are we still able to look at a painting, a sculpture, a picture, as long as it is necessary, observing from different prospective, from the whole matter to the single detail? enjoying the  formal construction, the texture, the material, the timber and the tone color variations, the planes and the volumes, the relation between the object and the space? Every contemporary exhibition implicitly asks this same question. At the end experimentation in first of all the research of a new point of view, of a new way of watching, an asking about the art work or even just about the project itself if it is able to stimulate the sight in an unexpected way, creating short circuits, underlining what is denied or what in not perceived, but even the perceiving act itself.  Umberto Eco wrote that every art work imposes to repeat some courses, but only some of them choose this principle as basic for their poetics. Certainly the time for a course is not removable, as needed time for the reading,  the decoding and the interpretation. There are some  works that use their complexity in order to impose a prolonged attention on them. Whereas what impresses of other art works is the representativeness of the sign, works in which the artist suggest the executive course and others in which the use of quotations stimulate the knowledge and the iconical memory of the audience. The topic of the exhibition restrict the time to a precise measure, but it is this very limit that stimulate so various interpretations. From the apocalyptic irony of Mario Verta and his dickian quotation, to Pier Maurizio Greco’s  parody of military efficiency..from the cold and at the same time morbid Consuelo Mura’s allusions to the Manuela Alampi’s one rarefied and precious…the process of association is rendered time by time darker, through the wrapping of figures of Adriana Cappelli up to become emotions informal coding with Antonella  Catini or flowing in to Paola Giacon archaizing symbolism. For Claudio Lia painting is, instead, direct testimony entrusted to the colors arising; a different way to structure the time is findable in Isabella Nurigiani marble’s torsions, lights and shadow splitting up the space all around. Serena Reggiolini presents her glares, her abstract impressionist atmosphere, whereas Anna Costantini, behind a apparently casual sign, trust in rarified correspondences of weaving and tones. The personal search of every artist the work that is the result of it, are articulations of the time: ideation and execution time, that intersects itself with the diachronic and synchronic course of visitors, with the one of the memories. They are the imperceptible stratification of images, ready to appear in order to suggest new development, new elaborations. Then we have the stylization of Andrea Sterpa’s sign close to Rossella Barretta’s  geometrizing score; Claudio Orlandi’s luminarist deflection near to Gabriele Simonetti’s composition of traces and edges, paradoxical ephemeral and transient registration. And what is more fleeting, more transient than a view of a landscape caught from a train, like the one shown by  Giuliano Pastori? In the work of Antonietta Campilongo the perception of the running of time is scanned by the architectonical rhythm, constant element in the progressive entropy of sentiments. In other cases the time is stopped and remade in a face, like with Angela Vinci o, with expressionistic vigor, with Andrea Cardia. If Massimiliano Doria calls forth the precariousness through the defibration of the material; in Giovanni Novi’s works it is imposed the expressive urgency of strong colors. Another urgency it is perceived in Rosanna Fedele anathomic spite, whereas the combinatorial impassibility is Paola de Santis  ironical figure.  Vincenza Spiridione, at last, brings back the temporal excursus to his tragic meaning of fighting for survival. Us you can see, every single work suggests a time view, perceived as instantaneousness, rhythm, durance or memory. The three ours and the fifteen minutes destined to this exhibition represent a challenge for the exhibitors and the observers, a laboratory of time and sight, in order that we come back to observe, to delve into the surface, into the textile, into the narrow space of a structure so that we see our reflection, we find a distance; a vision that does not slip in front of things, but to the art works gives back the time, all the time that is needed.”

 

 


Viaggio nell'interpretazione

Collettiva d'Arte Contemporanea - D'Art Visual Gallery, Menaggio, Como

Davide Dell'Acqua

 

“La particolarità dell'artista è il riuscire a vivere l'arte e l'esperienza artistica al di fuori di schemi statici. Una visione apparentemente semplice, ma che racchiude in se una varietà di interpretazioni che ci pone di fronte ad una diversa percezione della vita”

 

  


 Natività 2006

Collettiva d'Arte Contemporanea - Museo V. Crocetti, Roma

Merhan Zelli (storico e consulente d’arte)

 

“Giunta alla sua VI^ edizione La Natività, da un progetto dell’associazione culturale Hermes 2000 nella persona di Ippolita Molinari ed il curatore Elisabetta Palmioli, l’evento si divide tra la Torretta Valadier di Ponte Milvio e la Fondazione del Museo Venanzo Crocetti, che si arricchisce di nomi illustri della pittura moderna e contemporanea, senza trascurare giovani talenti e artisti meritevoli di attenzione che abbiano già mosso dei passi importanti sul loro percorso artistico.

Presso la Fondazione del Museo Crocetti leggiamo tra le 15 opere che catturano l’attenzione:

i grandi maestri della prima e della seconda Transavanguardia: Mimmo Paladino, con un’opera di ricerca originale e un Bruno Ceccobelli dalla grande personalità; non può mancare la scuola di Piazza del Popolo, con l’eleganza di Franco Angeli e la sintesi di Renato Mambor; la forma e la firma di un cangiante di Turcato e, tra le pieghe dell’informale un raro sudario di Giorgio Celiberti ed un materico dono di Salvatore Emblema.

Un vibrante Finzi con la sua architettura del colore in nero ci rimanda al solare Luca Dall’Olio che incanta con  il colore dei sogni e il calore dei segni.

Il talento di Paola Romano e il suo Nuovo Concettualismo attraverso la ricerca del movimento offre delle certezze di un artista di grandi capacità creative ed espressive, la pittura di Michele Cardone espressionista autodidatta, oltre la raffinatezza e il senso delle cose senza tempo di Giorgio Cavalieri, la stessa pittura ad olio delle velature di Alessandra Rosini, giovane artista da seguire, come da seguire sono Lino Cairo e Andrea Sterpa, artisti inquieti ma sensibili e di grande comunicazione.

Alla Torretta Valadier di Ponte Milvio espongono invece artisti che si cimentano sul tema, alle loro prime mostre ed esperienze artistiche, una esposizione varia e che cerca di aprire le porte a talenti nel settore delle arti visive.”

  

 


Dolcerosa

Collettiva d'Arte Contemporanea - Museo V. Crocetti, Roma

Loredana Raciti (artista)

 

“Dolce Rosa di Andrea Sterpa, è un lavoro intenso e intimistico. Rosa è una donna di oggi, con lo sguardo immobile sulle sue domande. Gli occhi vogliono piangere, liberandosi dalle incognite future e gli assillanti doveri quotidiani ma non riescono a farlo, e con purezza trattengono quel fiume in piena, dai sottili argini. Sembrano vibrare nel loro reprimere lo sfogo benefico, che soffocato dilaga in una immensa dolcezza, disarmante. Lei è lì sola ad esplorare le sue richieste alla vita ma non condanna, né tanto meno ne è vittima, benché incapace di agire ora.

La donna lo ha fatto tante volte, come un’eroina senza voglia e certezze, ecco perché è l’eroina indiscussa, una Madonna del Pilar,  ma quale donna non lo è, anche nelle sue profonde ombre segrete e nere.

Guardando Dolce Rosa, la luce nel suo volto si fa tenue e irradiante, i colori chiari usati da Andrea Sterpa, toglie ogni dubbio di oscurità statica e dolore non risolto. Nessuna supplica nel viso di Rosa ma una semplice e fortissima dolcezza, continuerà a scalare senza rimpianti e impavida la sua vita.

Nel tratto certo e sicuro di Andrea Sterpa, benché spigoloso e volutamente spezzato, in tutti i suoi lavori trapela la morbidezza, la rotondità dell’accoglienza che denota con sottile raffinata eleganza, che ogni volta una sua opera si illumina, di quel racconto positivo, dove non cancella mai né la consapevolezza né la speranza.

Semplicemente le sospende nella sola certezza dell’uomo, che è nato per imparare, nonostante l’incapacità molte volte di farlo. Questo delicato e al tempo stesso vibrante lavoro di Andrea Sterpa, realizzato su tavola, a tecnica mista (matite, olio, smalto e acrilico su carta) cm.70 x cm.70, lascia spazio al mondo delle riflessioni e non solo al femminile, l’opera nasce da un uomo che con profonda sensibilità si rispecchia nel volto-icona, legato all’immaginario collettivo quando ne respira l’infinita tenerezza naturale e vi si abbandona totalmente.”

 

 


Homo Ludens

Collettiva d'Arte Contemporanea - NeoArtGallery, Roma

Valeria S. Lombardi (consulente d’Arte Contemporanea)

 

“In un solo lavoro Andrea Sterpa ci mostra tutto il suo fulcro artistico. Il suo modo di far arte è come se si avvalesse dei medesimi ingannevoli modi e giochi di questa odierna consumistica, globale società, dove tutto deve essere grande, scintillante, vincente. Ma utilizza questo inganno, come dipingere con smalti luccicanti le parti drammatiche, proprio per esaltarne la sola e vera ambiguità, la generale amoralità; ormai siamo indenni a tutto, tutto ci passa indifferente, dalla sparatoria, alla bomba, ad un bambino che non ha nulla di cui vivere. Andrea Sterpa gioca dando un monito, una riflessione; ecco perché la figura sulla destra del dipinto è solo disegnata, questo non è per mancanza di capacità tecniche o per accidia, ma per dare, cercare di dare un monito: siamo arrivati al limite di noi stessi. Ogni giorno ci sentiamo dire “porgi l’altra guancia”, ed “aiuta il prossimo”, ma ormai siamo in balia di un gioco più grande di noi, perché avanti a sangue, flutti di sangue, tutto ciò non verrà mai preso con serietà, sgomento e volontà necessari per cambiare, ma sarà un “SOS Contemporary Games” dove tutto verrà inglobato, masticato e considerato del tutto normale, senza però evitare che da lì a poco si arrivi all’implosione del mondo.”

 

 


Impossibile. Perfettamente Impossibile. L’Arte in bilico fra Realtà e Sogno

Ventuno artisti italiani interpretano l'impossibilità

Caterina Provenzano (giornalista e critico)

 

“Impossibile, perfettamente impossibile. Viene in mente Jacques Derrida. La metafisica privilegia la parola, espressione diretta della verità, e svaluta il segno scritto, intesa come assenza. Ma l’impossibile può essere possibile per autoreferenzialità? La realtà è solo “ciò che è”, affermava Parmenide cinque secoli prima di Cristo. Ma si può immaginare l’impossibile, perfettamente impossibile? Ci proveranno ventuno artisti italiani fra i più noti nel panorama mondiale. Si sono dati appuntamento a Roma il 28 ottobre presso la Neoartgallery per una collettiva d’Arte contemporanea curata da Antonietta Campilongo.

Angelo Ribezzi, Riccardo Paolucci, Adriana Cappelli, Giovanni Camponeschi, Gabriele Simonetti, Maria Cecilia Camozzi, Luigi Cipollone, Antonella Catini, Giuseppe Siciliano, Carlo Capone,Giampaolo Ghisetti, Andrea Sterpa, Pier Maurizio Greco, Maddalena Marinelli, Antonietta Campilongo, Consuelo Mura, Luca Soncini, Flaminia Mantegazza, Maurizio Baccanti, Francesco Gentile, Manuela Alampi proveranno ad immaginare l’impossibile, perfettamente impossibile. Niente retorica o giri di pennellate e scalpelli. Gli artisti con la loro arte e la loro visione immaginano l’impossibile con materiali e tecniche diverse. Interpretano l’impossibilità, quella totale, veramente impossibile.

Dov’è l’impossibile, perfettamente impossibile? In una città bella e ordinata? In un mondo avvolto in un abbraccio di mamma, caldo, soffice, totale?  Dov’è l’impossibile? Tra il sogno e la realtà dell’uomo vitruviano? Nella negazione o nell’ affermazione? Nella presenza o nell’assenza? Bisognerebbe avere una concezione decadente della vita per poter rispondere. E chi è artista lo sa. La risposta la dà con la penna, con lo scalpellino o con il pennello.

L’impossibile è presente nella realtà, se per impossibile intendiamo ciò che in essa non dovrebbe esistere: crudeltà, omicidi di carne e di spirito, cattiva salute ambientale, dimenticanza… Può essere, però, anche un sogno non realizzato, un amore non vissuto, una vita negata. Tutti conoscono l’impossibile, quantomeno si percepisce. Solo Dio non può incontrare l’impossibile, direbbe Jean Luc Marion. All’uomo non rimane che la sua impossibilità possibile e, allo stesso tempo, la sua possibile impossibilità.”

 

 


Immaginare l'impossibile. Perfettamente impossibile

Collettiva d'Arte Contemporanea - NeoArtGallery, Roma

Francesco Giulio Farachi (critico)

 

“Pochi colori e pochi tratti usa Andrea Sterpa per rappresentare i volti, per liberare alla superficie del visibile l’estendersi vasto delle sfere intime. Attraverso gli occhi, enormi, sempre dolcissimi e pronti, occhi che guardano ed assorbono luce, che si spalancano sul mondo ad invadere e ad essere invasi, le figure di Sterpa esaltano la ricchezza delle passioni, la denunciano in un alito di pacificato controllo, la mostrano in quella definitezza e limpidità che son proprie della coscienza, della consapevolezza di sé. Si possono toccare allora i sogni impossibili, vederli come in una proiezione sul muro, mitigarne i contorni e le misure, adeguarli allo sguardo, al senso vero di ogni vita.”

 

 


WEB NO VIP

12 OTTOBRE 2006

Valeria S. Lombardi (consulente d’Arte Contemporanea)

 

Chi crede di dover stroncare l'arte di Andrea Sterpa, non ha compreso nulla di quello che ci vuole così sagacemente trasmettere.

Chi poi storce il naso od addirittura sbotta perchè vede dei lavori come non finiti (perchè i visi rappresentati sono solo delineati a matita), oppure non abbastanza dipinti, (perchè solo coperti quasi da una asettica striscia di colore) quasi da pensare che sia un accidioso artista, anche qui bisogna trarre l'idea che il fruitore che ha mosso tali sentenze sia un anziano, pur magari avendo solo trent'anni...Questa tremenda posizione è mossa invece perché si è fortemente davanti a qualcuno, per di più un'artista autodidatta che è riuscito, nuovamente a superare non solo i limiti dell'arte contemporanea, ma che riesce proprio nel Suo unico modo di procedere a trasmetterci un valore universale: che anche in una persona sconosciuta può diventare famosa, se messa "sotto le luci giuste", espresso nella Sua attuale ricerca definita Web no Vip.

Plaudo questo modo di far Arte perchè è come se Andrea Sterpa guardasse questo odierno e quotidiano  nostrano accanimento a voler apparire e divenire così famosi ed importanti senza magari veri meriti, per poi come dare a questi sconosciuti quell’attimo di celebrità tanto voluta, ma la sublimità della Sua Arte sta, che i visi vengono sempre poi trascritti dai medesimi segni della Sua mano, rendendo così opere che non sono ricollegabili ad un tal viso, ma che invece hanno universale nel loro tratto una valenza.”

 

 


La donna animale, il mistero terreno della femminilità

Collettiva d'Arte Contemporanea – Capranica, Viterbo

Francesco Giulio Farachi (critico)

 

“I visi di Andrea Sterpa si volgono dolcissimi e quasi spauriti, innocenti per occhi enormi e limpidi di un mondo interiore commosso. Ed insieme forti, come la sottile essenzialità del tratto grafico, decisi nel loro minimalismo quasi infantile. Soprattutto le donne, come umanissime e laiche Madonne fanciulle, sono creature appena sbocciate, eppure già consce di ineludibili pene e di necessario coraggio, già partecipi e pronte all’altro, destinate ad amare, a sorreggere il peso della vita. La purezza lirica di queste anime supera ogni pathos di maniera, ogni indulgenza al compiacimento di sé, ma abbraccia negli occhi fondi e dilatati una realtà vera, effettiva, solo intessuta di lieve malinconia e di ancor più lievi sorrisi.”    

 

 

Animal-Woman - Earthly mystery of femininity

Collective Exhibition – Capranica, Viterbo

Francesco Giulio Farachi (critico)

 

“Andrea Sterpa’s faces turn in a sweet and almost scared way, innocent with enormous and limpid eyes in to a inner heart-felt world. And at the same time they are, like the tiny essentiality of his graphic line, decisive in their own minimalism, almost childish. Especially the women, like “girls-Madonna” very human and lay, they are creatures who have just blossom, but already conscious of inescapable pains and of the needed courage, already partaking and ready to the rest, destined to love, to sustain the weight of life. The lyric purity of these souls overcomes any pathos of manner, any indulgency at a self-pleasantness, but embrace in the deep eyes a different, true, effective reality just woven of light melancholy and of more and more lighter smiles.”

 

 


Il territorio in cui viviamo

Presentazione del video “Paesaggio De-Contaminato", Roma

Merhan Zelli (storico e consulente d’arte)

 

“Gli artisti Lino Cairo e Andrea Sterpa attraverso una performance ambientale, ironica e concettuale, danno una prova di carattere con la loro espressione d’arte, frutto di ricerca, sperimentazione e talento. La natura crea, l’uomo distrugge e l’artista lascia una traccia di speranza.”

 

 


Arè Arte – L. Cairo e A. Sterpa

Pocket n. 2, febbraio 2003

Cristina Buonamano (giornalista)

 

“Nelle opere di Lino Cairo e Andrea Sterpa la casualità, le trasparenze, la materia, il movimento apparente di superfici statiche, le immagini, la fotografia, il bianco e nero.”

 

 


L’Exploit: Colori in Pittura Digitale

LuissInformazione, Roma, 2000

Roberta Giangiorgi (giornalista)

 

“La sezione ispirata alle correnti di arte moderna è quella che più colpisce […] il primo quadro, realizzato da Andrea Sterpa, rappresenta due cuori in volo: colpisce il movimento impresso ai soggetti come a sottolineare la volatilità dei sentimenti e insieme la forza di questi con l’utilizzo del rosso molto acceso.”

 

http://www.gospark.it/magazine/index.asp?Sez=02&Ord=5&Cod=214&SubSez=02&PageType=art&LastClick=3