G R E P P I A   I T A L I A 

 

INDULTOPOLI ◄  (Si scrive indulto, si legge insulto! Come ha votato il tuo deputato o senatore?)

DEMOCRAZIA SCIPPATA ◄  (L'inchiesta sulle elezioni "taroccate" dell'aprile 2006. L'Unione tace?)

GRANDE FAMIGLIA RAI ◄  (Figli, mogli, fratelli e parenti tutti assunti, ovviamente, per merito...)

OCCHIO AL T.F.R. ◄  (Tutto sul tentativo di distogliere la liquidazione e destinarla a...)

STORIA DI UNO SCEMPIO ANNUNCIATO ◄  (Autostrada Tirrenica, scuola di sprechi e danni)

 

 

 

 

 

 

 

LA VERGOGNA DI QUESTO INDULTO

Come hanno votato i nostri dipendenti parlamentari:

CAMERA (Selezionare la Legge n. 241 e poi cliccare “Ricerca votazione”)

SENATO (Considerare la votazione finale ovvero la n. 23, ottava colonna)

 

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ECCO IL NOSTRO FILM. DICE LA VERITÀ: NON SCAPPATE

Le elezioni del 9/10 aprile '06 sono state truccate. Guardate i numeri, osservate un re nudo e dite la vostra

Venerdì prossimo nelle edicole allegato a Diario ci sarà il nostro film Uccidete la democrazia! Memorandum sulle elezioni di aprile. I novanta minuti del dvd sono stati realizzati in sei mesi di riprese e montaggio dalla stessa squadra di Quando c’era Silvio (la regia di Ruben H. Oliva, la musica di Carlo Boccadoro) e si avvale, con molto piacere per noi, della partecipazione degli attori Elena Russo Arman, Alessandro Genovesi ed Elio De Capitani, autore del monologo finale. Se sarà «strepitoso», deciderete voi. Per noi lo è.
Il dvd esce con la ristampa del libro "Il Broglio", un instant book di «fantapolitica» pubblicato all’indomani del voto di aprile e che per la prima volta inquadrò i retroscena delle elezioni più pazzesche della storia della Repubblica.
È un thriller, con finale a sorpresa. Bisogna rivelarlo, dire subito il nome dell’assassino? Vecchio problema. I brasiliani, quando vogliono marcare la loro superiorità culturale sui portoghesi, li ridicolizzano perché il film Psycho a Lisbona lo intitolarono O homen que mató a sua mae.
Non è vero, è solo una storiella, ma introduce agli affari nostri, ovvero ai contenuti di un docu-thriller democratico. Perché le schede bianche e nulle nelle elezioni di aprile crollarono per la prima volta dopo sessant’anni? Perché il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu si allontanò furtivamente dal Viminale per andare a casa di Berlusconi nei momenti cruciali dello spoglio?
Perché i terminali della prefettura di Caserta si bloccarono per tre ore e ripresero a funzionare solo dopo che una nutrita «delegazione» dei Ds occupò l’ufficio del neonominato prefetto?
Quale «mano invisibile» o «disegno intelligente» ha fatto sì che le schede bianche in tutta Italia, dalle grandi città ai più piccoli paesi, si fermassero improvvisamente tutte tra l’uno e il due per cento?
Perché, a distanza di sette mesi, nessuna istituzione è in grado di comunicare il risultato definitivo delle elezioni, così come ogni Paese democratico usa fare? C’è forse un problema a mettere un nome, una firma, sotto un elenco di cifre che non sono onestamente presentabili?
Il film che sta per uscire ha già ricevuto udienza sui giornali e in televisione. «Preventivamente» Forza Italia ha fatto sapere, con una dichiarazione del portavoce di Silvio Berlusconi, che si tratta di un ammasso di calunnie e falsità e che l’intera équipe di avvocati del partito è pronta a chiedere le nostre ossa.
Molto meno battagliero, quasi un canchescappa, è invece l’ex ministro dell’Interno Pisanu (uno dei protagonisti assoluti del film) che ha già fatto sapere che non sporgerà querela preventiva: una simpatica prudenza. Quando, nel marzo scorso, Diario scrisse che in un appalto a trattativa privata per il conteggio elettronico del voto in quattro Regioni – 38 milioni di euro di commessa – era stata scelta una ditta americana (la Accenture, protagonista di scandali nel voto in Florida) di cui il figlio del ministro è uno dei partner, Pisanu annunciò ai giornali, vibrante di sdegno, una querela che non ci è mai arrivata. (Nel frattempo tutta la miliardaria organizzazione per il conteggio elettronico del voto, per cui sono stati assunti per tre giorni 18 mila neofiti, non ha dato più notizia di sé: volatilizzata nel nulla senza produrre un solo dato). A questo punto vorremmo davvero che l’ex ministro facesse valere le sue ragioni contro di noi in un’aula di tribunale. Noi siamo ovviamente tremanti per il suo potere, ma pronti. E se ci sarà il confronto – quando saremo vecchissimi – ricorderemo la vittoria con la stessa commozione dei reduci della battaglia di San Crispino. Il quadro delle reazioni «preventive» al film che troverete venerdì prossimo in edicola non può non segnalare infine la simpatica freddezza con cui i politici del centrosinistra, che pure sono testimoni cruciali della notte fatale, oggi lo osservano. In effetti, il precario quadro parlamentare del governo Prodi non si presta a grandi dichiarazioni di rottura. Comprendiamo e non comprendiamo, come si dice parlando in intimità: capisco e non capisco. Anche perché a tutti è chiaro che in questi sette mesi che sono trascorsi dalle elezioni, l’unico ad aver parlato di brogli, ad aver previsto brogli, ad aver evocato brogli, ad aver chiesto riconteggi è stato Silvio Berlusconi, che ha costantemente associato oscure minacce e apocalittiche rivelazioni alla proposta di un governo di unità nazionale. Ovvero, con una mano accusava quelli del centrosinistra di essere dei ladri, con l’altra chiedeva loro di fare un accordo per il bene del Paese. E possibilmente del suo.
Come tutti sanno questa strategia è ancora all’ordine del giorno, la maggioranza in Senato è appesa a un filo e larghe intese, cambi di casacca, volenterosi si affollano nei corridoi dei palazzi e sulle colonne dei giornali.
Il film racconta delle storie, il ritmo e i misteri di una notte, presenta dei numeri. Con la vanità tipica degli autori che credono di aver trovato qualcosa di molto importante, noi chiediamo che un’istituzione ci dica se quei numeri sono veri o falsi. Se sono falsi (e naturalmente non lo sono) ci cospargeremo il capo di cenere; se sono veri qualcuno ci dovrà spiegare perché sono stati occultati per sette mesi. (I dati compaiono nel film e sono contenuti per una visione più ragionata e tranquilla nella sezione «contenuti speciali»).
Le istituzioni che possono rendere pubblici questi dati sono, a nostra notizia, solo due: il ministero dell’Interno, oggi retto da Giuliano Amato, al quale spetta la responsabilità di comunicare i risultati del ministero precedente, quello di Giuseppe Pisanu; e la «giunta delle elezioni», la commissione parlamentare di garanzia che si occupa dei contenziosi che seguono alla proclamazione degli eletti nelle elezioni politiche.
Diversi membri della commissione delle elezioni hanno protestato preventivamente per il nostro film, e per le anticipazioni che ne hanno fatto il Corriere della Sera e l’Unità. Ci hanno accusati di «depistaggio» e di «operazione mediatica». Siamo sicuri che rilasceranno immediatamente i dati di cui noi siamo in possesso da mesi, e che li confermeranno. Se non lo dovessero fare, sarebbe grave e della questione dovrebbero occuparsi i magistrati.
Nella locandina che presenta il film, c’è scritto: «Non importa chi vota, ma chi conta i voti». L’abbiamo scelto perché ci sembra un tema molto pratico. È il problema attuale delle democrazie ed è soprattutto il problema futuro di questa istituzione. Chi controlla nelle elezioni lo spoglio delle schede elettorali? Noi, che siamo tutti di pelle spessa, sappiamo bene la storia delle elezioni in Italia e abbiamo pure messo nel codice il reato di «voto di scambio»; noi sappiamo in che condizioni si vota a Corleone, valutiamo lo sguardo di chi sta appoggiato mollemente al muro di fronte al seggio di Scampia, sappiamo che cosa succede nei seggi quando le schede sono contestate, sappiamo della prova del videtotelefonino e che a Catania un voto vale trenta euro, ma che se ne porti cento scatta un bonus. Ma forse non siamo ancora preparati alle enormi possibilità che l’elettronica offre per truccare le elezioni. Si va dallo scandalo americano delle macchinette che registrano il touch screen, ma non permettono la verifica, alla manipolazione possibile da quando la povera vecchietta deposita il suo voto a quando lo stesso viene conteggiato. Noi ci crediamo. Certo, ci facciamo una risata quando Fidel Castro o Saddam Hussein vincono con il 98 per cento dei voti, ma non facciamo una piega quando ci dicono che Bush ha vinto la decisiva Florida per circa quattrocento voti.
Noi deleghiamo un po’ troppo a chi conta i voti. Pensateci. Siamo nella situazione in cui tutti votiamo – finalmente uguali, poveri e ricchi, neri e bianchi, maschi e femmine – ma non siamo noi a dire chi ha vinto.
Qualcuno lo dice per noi. Lo ha detto in Italia. Lo ha detto in Messico e ha provocato proteste di mesi. Lo ha detto in Ucraina ed era falso. Lo ha detto in Canada e ha smentito tutte le previsioni. Lo ha detto a Baghdad e come era bello vedere il dito nell’inchiostro!
Il film parla un po’ di tutte queste cose. Secondo noi, il risultato delle ultime elezioni politiche è stato falsato, a danno del centrosinistra. La storia delle notte elettorale e i dati finora nascosti che presentiamo lo provano. Falsare, come raccontiamo, è molto facile.
Dopo questo film arriveranno molte notizie . Già ce ne stanno arrivando. Tutto sommato, è bello vivere in un Paese in cui si possono fare domande. Se ne avete: www.uccidetelademocrazia.com. Se volete mettere una scritta su una maglietta bianca, consigliamo: «Abuse of power comes as no surprise», che si traduce in vari modi ma anche con «attenti al lupo».

 

di Beppe Cremagnani e Enrico Deaglio

Fonte da cui è tratto ]

 

GLI IMBROGLIONI

 

A sei mesi dal film “Uccidete la democrazia!”, che ha provocato polemiche nel mondo politico, un’inchiesta giudiziaria ha portato al riconteggio dei voti e alla sospensione dei progetti di voto elettronico, gli autori Beppe Cremagnani ed Enrico Deaglio continuano la loro inchiesta e propongono “Gli imbroglioni”.
Questo è il titolo del nuovo film sui brogli elettorali che è arrivato a scoprire fatti gravissimi.
Che ci fosse la possibilità di truccare i dati elettorali con un software al ministero degli Interni è confermato. Non solo. La nuova inchiesta prova che ci furono almeno tre intrusioni informatiche durante la notte dello spoglio, e che ci fu un maneggio dei dati.
A garantire la sicurezza informatica del Viminale in quella notte fu schierato il tiger team Telecom, ovvero il gruppo di esperti informatici oggi in carcere per hackeraggio assieme ad un alto esponente dei servizi segreti.
Il film racconta ancora come nei tre giorni seguenti l’11 aprile l’Italia corse il rischio di un moderno colpo di Stato.
“Gli imbroglioni” dimostra che durante il voto sono stati commessi più reati, che il voto degli italiani è stato tenuto in scarsa considerazione e che le leggi e i regolamenti elettorali, compresi i poteri di controllo della magistratura, sono da ridiscutere profondamente perché è in gioco il destino della democrazia.
Intanto “Uccidete la democrazia!” è stato denunciato per diffusione di notizie false, esagerate, tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico. Gli autori sono stati rinviati a giudizio, ma non è ancora stato fissato un calendario di udienze. Il ministro Pisanu ha avviato inoltre una causa civile per danni chiedendo un risarcimento di 5 milioni di euro.
Il film esce in edicola e nelle librerie con un’edizione monografica di Diario. Lo speciale raccoglie i documenti inediti e riservati su cui si fonda l’inchiesta, e il lungo racconto di come si è arrivati a comporre tassello dopo tassello l’impressionante mosaico di questa vicenda.

 

di Beppe Cremagnani e Enrico Deaglio

Fonte da cui è tratto ]

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LA CONIGLIOLAIA RAI

 

Controlla se anche tu hai un parente in Rai, potrebbe sempre tornare utile…!!!

Dopo aver visualizzato una pagina Web, è possibile ricercare una parola specifica al suo interno scegliendo “Trova (in questa pagina)” dal pulsante “Modifica” sulla barra in alto. Quindi scrivere nel campo “Trova:” la parola stessa e cliccare su “Trova successivo” fino a che non si individua il termine cercato.


Figli (f):
Tinni Andreatta, responsabile fiction di Raiuno, (f) dell'ex ministro dc Beniamino. Natalia Augias, Gr, (f) del giornalista e scrittore Corrado. Gianfranco Agus, inviato, (f) dell'attore Gianni. Roberto Averardi, Gr, (f) di Giuseppe, ex deputato Psdi. Francesca Barzini, Tg3, (f) dello scrittore e giornalista Luigi junior. Bianca Berlinguer, conduttrice del Tg3, (f) di Enrico, segretario del Pci. Barbara Boncompagni, autrice, (f) di Gianni. Claudio Cappon, direttore generale, (f) di Giorgio, ex direttore generale dell'Imi. Antonio De Martino, Gr, (f) dell'ex ministro socialista Francesco. Antonio Di Bella, direttore Tg3, (f) di Franco, ex direttore del "Corriere della Sera". Claudio Donat-Cattin, capostruttura Raiuno, (f) dell'ex ministro democristiano Carlo. Jessica Japino, programmista regista delle edizioni di "Carramba", (f) di Sergio. Giancarlo Leone, amministratore delegato di Rai Cinema e responsabile della Divisione Uno, (f) dell'ex presidente della Repubblica Giovanni. Marina Letta, contrattista a tempo determinato, (f) di Gianni, sottosegretario alla Presidenza a Palazzo Chigi. Pietro Mancini, Gr, (f) del socialista Giacomo. Maurizio Martinelli,Tg2, (f) del giornalista Roberto. Stefania Pennacchini, Relazioni istituzionali Rai, (f) di Erminio, ex sottosegretario Dc. Claudia Piga, Tg1, (f) dell'ex ministro dc, Franco. Francesco Pionati, notista politico del Tg1, (f) dell'ex sindaco di Avellino. Alessandra Rauti, redattore del Gr, (f) di Pino, segretario del Movimento Sociale-Fiamma Tricolore. Silvia Ronchey, autrice e conduttrice di programmi, (f) di Alberto, ex ministro dell'Ulivo ed ex presidente di Rcs. Paolo Ruffini, direttore Gr, nipote del cardinale e (f) di Attilio, ex deputato e ministro dc. Sara Scalia, capostruttura di Raidue, (f) della giornalista Miriam Mafai. Maurizio Scelba, Tg1, (f) di Tanino, ex portavoce del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Mariano Squillante, ex corrispondente da Londra, poi a RaiNews 24, (f) dell'ex giudice Renato. Giovanna Tatò, Raitre, (f) di Tonino, consigliere di Enrico Berlinguer. Carlotta Tedeschi, Gr, (f) di Mario, senatore Msi. Daniel Toaff, capostruttura e autore della ‘Vita in diretta’, (f) dell 'ex rabbino di Roma, Elio. Stefano Vicario, regista di Giorgio Panariello, (f) del regista cinematografico Marco. Stefano Ziantoni Tg1 (f) dell' ex presidente dc della Provincia di Roma Violenzio. Rossella Alimenti, Tg1, (f) di Dante, ex vaticanista Rai. Paola Bernabei, Ufficio stampa, (f) dell'ex direttore generale della Rai, Ettore, proprietario della società di produzione Lux. Giovanna Botteri, Tg3, (f) di Guido, ex direttore sede Trieste Rai. Manuela De Luca, conduttrice Tg1, (f) di Willy, ex direttore generale Rai. Giampiero Di Schiena, Tg1, (f) di Luca, ex direttore dc del Tg3. Annalisa Guglielmi, sede Rai di Milano, (f) di Angelo Guglielmi, ex direttore di Raitre. Piero Marrazzo, conduttore di ‘Mi manda Raitre’, (f) dello scomparso giornalista Giò. Simonetta Martellini, Raiuno, (f) di Nando, radiocronista sportivo. Luca Milano, dell' ufficio contratti, (f) di Emanuele, ex direttore Tg1 ed ex vice direttore generale. Barbara Modesti, Tg1, (f) dell'annunciatrice Gabriella Farinon e del regista Rai Dore. Monica Petacco,Tg2, (f) di Arrigo, storico e consulente di programmi Rai. Andrea Rispoli, Raidue, (f) del conduttore Luciano, ex Rai. Fiammetta Rossi, Tg3, (f) di Nerino, ex direttore del Gr2, e moglie del ex segretario dell'Usigrai, Giorgio Balzoni, caporedattore al politico del Tg1. Cecilia Valmarana, (f) di Paolo, uno dei padri del cinema coprodotto dalla Rai, nella struttura di RaiCinema. Paolo Zefferi, (f) di Ezio, giornalista, è a Rainews 24.

Fratelli (fr) e sorelle (s):
Angela Buttiglione, direttore dei Servizi Parlamentari, (s) di Rocco, segretario del Cdu. Nicola Cariglia, sede Rai di Firenze, (fr) di Antonio, ex segretario del Psdi. Silvio Giulietti, telecineoperatore nella sede Rai di Venezia, (fr) di Giuseppe, uomo Rai e Usigrai, ex responsabile dell'informazione dei Ds. Max Gusberti, vice di Stefano Munafò a Raifiction, (fr) di Simona, capostruttura di Raidue. Sandro Marini, Tg3, (fr) di Franco, ex segretario del Ppi. Giampiero Raveggi, capostruttura di Raiuno, (fr) dell'ideatore del programma "Odeon" Emilio Ravel (nome d'arte). Antonio Sottile, programmista regista di "Linea Verde'', (fr) di Salvo, portavoce di Gianfranco Fini. Maria Zanda, capo della segreteria di Roberto Zaccaria, (s) di Luigi, ex responsabile dell'Agenzia del Giubileo.

Mogli e mariti (m):
Milva Andriolli, sede Rai di Venezia, è l'ex (m) di Silvio Giulietti, fratello di Giuseppe. Anna Maria Callini, dirigente alla segreteria di Raidue, (m) di Gianfranco Comanducci, vice direttore della Divisione Uno. Roberta Carlotto, direttore Radiotre, (m) dell'ex esponente Pci Alfredo Reichlin. Sandra Cimarelli, Palinsesto Raidue, (m) di Franco Modugno, direttore dei Servizi immobiliari Rai. Antonella Del Prino, collaboratrice a "La vita in diretta", (m) del giornalista Oscar Orefice. Simona Ercolani, autrice di programmi Rai, (m) del giornalista Fabrizio Rondolino, ex portavoce di Massimo D'Alema. Paola Ferrari, conduttrice, (m) di Marco De Benedetti. Anna Fraschetti, vice del capo ufficio stampa Bepi Nava, (m) di Mario Colangeli, vice direttore Tg3 e sorella di Luciano, quirinalista Tg3. Giovanna Genovese, compagna di Sergio Silva, padre della ‘Piovra’ è delegata alla produzione. Ginevra Giannetti, consulente Rai International, (m) di Altero Matteoli, ministro dell'Ambiente, An. Giuseppe Grandinetti, Gr, (m) della senatrice verde Loredana De Petris. Francesca Manuti, produttrice di "Sereno variabile" di Raidue, (m) di Paolo Carmignani, vicedirettore Raidue. Lucia Restivo, capo struttura Raidue, (m) di Sergio Valzania, direttore Radiodue. Anna Scalfati, Tg1, conduttrice di programmi, (m) di Giuseppe Sangiorgi, membro dell'Authority ed ex portavoce di De Mita. Cristina Tarantelli, Servizi Parlamentari, (m) di Carlo Brienza, RaiSport. Daniela Vergara, anchorwoman del Tg2, (m) del conduttore Luca Giurato.

Nipoti (n), cognati (c) e vari:
Ferdinando Andreatta, dirigente di Rai- Way, (n) di Nino. Guido Barendson, conduttore Tg2, (n) di Maurizio. Aldo Mancino, dirigente RaiWay (n) dell'ex presidente del Senato, Nicola. Giuseppe Saccà, (n) di Agostino, direttore di Raiuno, nell'orchestra del programma di Raiuno ‘Torno sabato-La lotteria'. Adriana Giannuzzi, ufficio Diritti d'autore, (c) dell'ex senatore ed ex membro del Csm Ernesto Stajano e moglie del vicedirettore della Divisione Due Luigi Ferrari. Alfonso Marrazzo, Tg2, cugino di Piero. Marco Ravaglioli, Tg1, marito di Serena Andreotti, figlia di Giulio. Tommaso Ricci, Tg2, (c) di Angela e Rocco Buttiglione. Carlotta Riccio, regista, (c) di Claudio Cappon direttore generale Rai. Luigi Rocchi, dirigente area Business&development, genero di Biagio Agnes. Laura Terzani,Tg3, nuora di Antonio Ghirelli.

Richiesta di integrazione: Milva Andriolli è entrata in RAI per concorso (bandito dall'azienda nel '88) e ha incontrato il futuro e poi ex marito Silvio (e futuro e poi ex cognato Beppe) solo nel '92 con l'assunzione presso la sede di Venezia il 2 marzo 1992 (il matrimonio il 26 agosto 1992).

 

[ Fonte da cui è tratto ]

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LÌ DOVE FINISCE IL TFR

 

Leggiamo letteralmente la notizia così come riportata dal sito "Nigrizia.it" il 1 febbraio 2007.  1)

"E’ stato costituito un apposito Fondo per le esigenze di investimento per la difesa, nell’ambito del ministero della Difesa, con uno stanziamento di 1.700 milioni di euro per il 2007, di 1.550 per il 2008 e di 1.200 milioni per il 2009. Il Fondo realizzerà programmi di investimento pluriennali per la difesa nazionale, per un totale di 4.450 milioni nel triennio 2007-2009 … (omissis) … Inoltre, una parte del trattamento di fine rapporto (TFR) che i lavoratori dipendenti delle aziende private con più di 49 addetti non destineranno alla previdenza complementare sarà dirottato ad un nuovo fondo statale che finanzierà anche un fondo per le spese di funzionamento della difesa, per un ammontare di 160 milioni nel 2007, di 350 milioni nel 2008 e di 200 milioni nel 2009… (omissis)…".

Altro che previdenza complementare!

Come volevasi dimostrare, a conferma dei molti dubbi già espressi recentemente da più parti, il TFR degli italiani se ne va da tutt’altra parte. Strano e preoccupante è anche il fatto che una notizia di questo genere non venga riportata in nessuna testata a diffusione nazionale. In altri tempi, anche recenti, sarebbero già state annunciate manifestazioni, scioperi, interrogazioni parlamentari, e i media sarebbero stati pieni di cronache relative a risse politiche, verbali e non. Invece nulla.

Che il gran can can di natura pseudo calcistica scatenato sabato scorso a Catania sia stato orchestrato per fornire ai media un pretesto al fine di occupare letteralmente le pagine dei giornali e le cronache televisive e non dare il dovuto risalto (leggasi nascondere) a queste informazioni? Ciò però avvalorerebbe l’amara e scomoda tesi che tutta o quasi l’informazione italiana sia orchestrata da un’unica regia.

Non solo. Ragionando così ne deriva che anche tutta la politica italiana sia orchestrata da un’unica mano a nostra insaputa. Infatti né dai cosiddetti "radicali di sinistra" né dall’opposizione di destra, né tantomeno dalle forze sindacali, è arrivata alcuna reazione. Sulle associazioni sindacali possiamo sorvolare. Con la sinistra al governo non hanno mai contato nulla. E questa è storia. Ma per i politici, come la mettiamo? Dai, non è possibile che siano tutti d’accordo; più si è e più si parla. Un accordo di questo tipo sarebbe prima o poi uscito tra le righe. In fondo c’è una destra e una sinistra, c’è una opposizione e una maggioranza. Ci sono da un lato la Lega e dall’altro i radicali e l’estrema sinistra a garantire la pluralità politica e di opinione. Chi è mai riuscito a zittire Bossi o Pannella? E’ solo un caso se queste notizie sono state nascoste da tutte le testate giornalistiche e da tutte le TV nazionali.

In fin dei conti non muore un poliziotto tutti i giorni. Ed è legittimo che i giornali si occupino di questo. Ah già: ma neanche tutti i giorni portano via il TFR agli italiani. Si è vero; ed è anche vero che quasi mai, quando muore un poliziotto, i giornali e le istituzioni prestano tutta questa attenzione. Una attenzione mediatica di questo tipo ci porta direttamente indietro a fatti quali la morte di Papa Giovanni Paolo II o i delitti Falcone e Borsellino. E queste ultime erano stragi. Però i giornali non sono in mano alla stessa organizzazione. Ciò infatti porterebbe a supporre un controllo non dichiarato, cioè occulto, ad esempio un controllo di tipo massonico, sui media. Vorrebbe dire, seguendo questo esempio, che Tronchetti Provera, Berlusconi, Cordero di Montezemolo, De Bortoli, Mieli, Costanzo, ecc… sono tutti in qualche modo legati alla Massoneria. E che, sempre per fare un esempio, questa organizzazione "suggerisca" direttamente o indirettamente cosa dire e cosa no.

Allora si che ci sarebbe da preoccuparsi. Ma figuriamoci; non vogliamo neanche pensarci, non è possibile. Lo stesso vale per i nostri politici. Prodi e Berlusconi, ad esempio; come si fa a pensare che possano, anche solo lontanamente, fare parte di una medesima organizzazione? Sui giornali e in TV li si vede sempre litigare tra loro; sono come il diavolo e l’acqua santa. Se fossero d’accordo non succederebbe. Non ingannerebbero mai in questo modo gli italiani; ricordiamoci che sono persone per bene. Fanno tanti bei discorsi e quando succede qualche cosa sono sempre lì in prima fila, a portare conforto e aiuto ai malcapitati di turno e a rappresentare le istituzioni, costi quel che costi. E’ si, così si fa: non accetterebbero mai di frodare i lavoratori italiani scippando il loro TFR per finanziare le spese della difesa. Prima ne chiederebbero il consenso attraverso un libero e legittimo dibattito parlamentare. In fin dei conti sono lavoratori anche loro. E che lavoratori: con quello che guadagnano! E’ quindi fuori discussione che si prestino ad una tale subdola manovra.

E poi c’è la sinistra radicale, vero baluardo dei diritti dei lavoratori. E qualora non bastasse, c’è sempre il presidente della repubblica. E’ un ex comunista, è fuori discussione che si presti a questi giochetti, che diamine. Arriva anche lui diritto diritto dal partito dei lavoratori e più volte è stato considerato un esempio di moralità e correttezza politica. Si è vero, quando era a Bruxelles ha avuto un piccolo incidente di percorso su alcuni rimborsi spese per così dire "richiesti impropriamente", ma suvvia, a chi non capita. Tutti abbiamo fatto degli errori di algebra nella vita. A proposito: non ricordiamo più il nome della prima località che l’attuale presidente della repubblica ha visitato subito dopo la sua nomina. Ci sembra, se non ci sbagliamo, che abbia dato i natali o vi abbia trovato eterno riposo un importante esponente del passato di qualche loggia. Ovviamente è una coincidenza. Come si può anche solo immaginare che un esponente dell’ex PCI possa avere avuto a che fare con la Massoneria? E’ sciocco e ridicolo. Sarebbe come pensare, tanto per fare un esempio altrettanto astruso e ridicolo, che la rivoluzione comunista in Russia sia stata organizzata e realizzata da parte di persone che per l’80 % circa erano di religione ebraica, o pensare che nonostante le acclarate persecuzioni contro gli ebrei da parte dei sovietici, l’80% dei componenti del Politburo o dei Commissari del Popolo siano stati ebrei. Tutte stupidaggini. Bene hanno fatto, negli USA, a vietare queste affermazioni prevedendo condanne penali per chi le fa.

La storia è storia è non si deve mettere in discussione. Con i tempi che corrono ci manca solo che dobbiamo ricomprarci i libri di storia. E bene ha fatto l’onorevole Mastella a proporre una norma analoga nei confronti di chi pensi di negare l’olocausto.

Tutta l’Italia ne sentiva un gran bisogno. Quindi smettiamola con questa dietrologia maligna. E diamo atto che chi scrive probabilmente è solo un peccatore che non conta nulla, almeno secondo una delle più celeberrime massime dell’onorevole Giulio Andreotti: "... a parlar male si fa peccato. Ma spesso ...".

Claudio Bianchini

[ Fonte da cui è tratto ]

 

 

1)  Articolo integrale :

Una legge Finanziaria 2007 positiva per l’industria militare. Saranno utilizzati anche i soldi del TFR per finanziare la Difesa. Il volo delle lobby delle armi – 1/2/07 – di Luciano Bertozzi – Nigrizia

 

E’ stato costituito un apposito Fondo per le esigenze di investimento per la difesa, nell’ambito del ministero della Difesa, con uno stanziamento di 1.700 milioni di euro per il 2007, di 1.550 per il 2008 e di 1.200 milioni per il 2009. Il Fondo realizzerà programmi di investimento pluriennali per la difesa nazionale, per un totale di 4.450 milioni nel triennio 2007-2009. Dal 2010 ulteriori stanziamenti saranno stabiliti dalle successive leggi finanziarie. Sempre nell’ambito del predetto ministero è stato introdotto un fondo per esigenze di mantenimento della difesa, con la dotazione di 350 milioni di euro nel 2007 e 450 milioni per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per un totale di 1.250 milioni nel triennio 2007- 2009.

In particolare il Fondo finanzierà interventi di sostituzione, ripristino, manutenzione ordinaria e straordinaria di mezzi, materiali infrastrutture ed equipaggiamenti, anche in funzione delle operazioni internazionali di pace.

E’ previsto anche il rifinanziamento di investimenti nel settore aerospaziale, elettronico e per la produzione del caccia Eurofighter, da realizzare in base ad una coproduzione fra aziende italiane, inglesi, tedesche e spagnole. Per il biennio 2007-2008 lo stanziamento è pari a 520 milioni di euro e di 310 milioni per gli anni successivi. Nel disegno di legge è contenuto anche il fondo per le missioni militari all’estero con una dotazione di un miliardo per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009.

Inoltre, una parte del trattamento di fine rapporto (TFR) che i lavoratori dipendenti delle aziende private con più di 49 addetti non destineranno alla previdenza complementare sarà dirottato ad un nuovo fondo statale che finanzierà anche un fondo per le spese di funzionamento della difesa, per un ammontare di 160 milioni nel 2007, di 350 milioni nel 2008 e di 200 milioni nel 2009. Anche lo stanziamento per le navi FREMM non è stato toccato, nonostante si tratti di circa 2 miliardi di euro, scaglionati fra il 2007 ed il 2010 compreso. E’ previsto anche un fondo di 25 milioni di euro per bonificare i poligoni militari e le navi, per la tutela del mare e del territorio ed un altro fondo di 15 milioni per interventi sanitari a favore dei militari italiani all’estero e delle popolazioni civili dove sono presenti missioni internazionali. A fronte di tutti questi soldi per le armi non c’è nessuno stanziamento per la riconversione produttiva dal militare al civile; gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo sono elevati a circa 650 milioni per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, misura peraltro insufficiente ed il fondo per lo sminamento umanitario è stato di poco ridotto rispetto alla misura 2006 (circa 2,2 milioni di euro annui, dimezzato rispetto allo stanziamento di qualche anno fa).

Allo stesso modo l’esecutivo non ha tenuto fede agli impegni presi in sede di G-8 sul fondo globale per la lotta all’Aids, alla TBC ed alla malaria. L’esecutivo Prodi ha ceduto alla lobby delle armi ed ha autorizzato un rilevante programma di investimenti. Anche se in parte, sono rifinanziamenti di programmi già decisi in precedenza, tutto ciò appare ancor più grave, ove si consideri che il governo Berlusconi era stato costretto ad operare, suo malgrado, delle riduzioni. Il governo si è mostrato poco sensibile alle richieste di parte del suo elettorato e di decine di parlamentari della maggioranza che hanno chiesto un drastico taglio delle spese militari, per dirottarle verso quelle sociali, di aumentare i fondi della cooperazione e di stanziare risorse per la riconversione produttiva verso il settore civile. Nel corso del travagliato iter parlamentare la finanziaria, sugli investimenti militari, ha subìto tagli minimi, mentre ad esempio sono stati ridotti i fondi per la ricerca e la scuola. Allo stesso modo l’esecutivo non ha ancora dato attuazione al programma elettorale dell’Unione che ha previsto la diminuzione delle spese militari.

 

 

Estratto – 16/5/07 – di Maso Notarianni – Peacereport

 

Ad integrazione di quanto sopra. Il succo delle conclusioni che si possono legittimamente trarre è irritante: i tagli delle spese per lavoro o educazione (leggi spese di pace) servono per finanziare la polizia internazionale (leggi guerra), dategli un'occhiata anche perché crediamo che tale accostamento, LECITO DEL RESTO, sia sfuggito anche a voi.

 Circa 25 milioni di euro. La stessa cifra che il governo Prodi ha tagliato dai finanziamenti alla scuola pubblica per il corrente anno scolastico, ora li investe per finanziare i rinforzi al contingente militare italiano schierato in l’Afganistan. Il ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha annunciato davanti alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato l’invio di otto carri armati ‘Dardo’, cinque elicotteri da attacco A-129 ‘Mangusta’, dieci blindati ‘Lince’ e 145 militari di equipaggio e supporto tecnico e logistico. Costo complessivo, calcolato solo fino a fine anno: 25,9 milioni di euro. "La relativa copertura finanziaria – ha spiegato Parisi – d’intesa con la presidenza del Consiglio e con il ministero dell’Economia e delle Finanze verrà apprestata in sede di adozione del disegno di legge di assestamento del bilancio per l’anno 2007". I soldi per l’istruzione non ci sono, ma per la guerra si trovano.

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LA 'TIRRENICA', UNA VERA AUTOSTRADA... DI SPRECHI E DI DANNI

 

L’Autostrada Tirrenica venne immaginata nei primi anni sessanta, dall’Ingegner Mario Bruni, accanito sostenitore della mobilità su gomma come volàno per lo sviluppo economico, e famoso progettista di varie autostrade italiane (tra cui le toscane Sestri Levante-Livorno e la Viareggio-Lucca). Nel 1969 fu costituita la Società Autostrada Tirrenica (SAT) avente come oggetto sociale esclusivo la costruzione di un’autostrada a pedaggio tra Civitavecchia e Livorno; si trattava di una società di proprietà del gruppo Autostrade, allora interamente a capitale pubblico: la strada statale Aurelia, gestita dall’Anas, era ancora tutta a due corsie (e tale sarebbe rimasta fino alla fine degli anni ottanta, fino al “raddoppio” della cosiddetta “variante Aurelia”). Per anni, nelle mappe della Toscana, è stato visibile l’ ipotetico tracciato autostradale: il percorso, soprattutto a sud di Grosseto, era previsto piuttosto interno, tra le colline della Maremma; nel Lazio attraversava la zona archelogica di Vulci (dietro Montalto) e si andava a ricongiungere con l’autostrada a Civitavecchia, passando sotto la città di Tarquinia. Un impatto di non poco contro. Iniziò così una discussione lunga quasi quaranta anni.

Mancava tuttavia un progetto tecnico ufficiale. Dopo che la Commissione Parlamentare Oddorisio nel 1976 aveva constatato, a seguito di un’attenta analisi economico-finanziaria, che le opere pubbliche allora previste in Italia (tra cui la Livorno-Civitavecchia) avrebbero portato alla bancarotta lo Stato, l’ipotesi di autostrada tirrenica fu congelata, e reinserita nel piano delle infrastrutture pubbliche solo nel 1982. In quell’era allegra del craxismo, delle spese pubbliche senza freno, della “nave che va”. Era allora presidente della SAT il professor Sergio Scotti Camuzzi, discepolo di Bruni e autore di un importante libro sulle autostrade italiane (Le concessioni autostradali, Profili giuridici, Nardini Editore, Firenze, 1987).

Non c’erano, in quegli anni,  particolari valutazioni tecniche sulle opere proposte: le scelte erano soprattutto politiche. Fu così che alla fine degli anni ottanta, la SAT costruì la prima tratta costiera tra Livorno e Rosignano (per chilometri e chilometri appoggiata su piloni giganteschi in mezzo a splendide colline). Nel frattempo fu istituito il Ministero dell’Ambiente (era il 1987) soprattutto per insistenza di Giorgio Ruffolo, che da subito ricoprì la carica di Ministro. Per le grandi opere, ad imitazione dei paesi civili, fu finalmente prevista una particolare procedura cautelare scientifica, la valutazione di impatto ambientale (VIA), cioè una particolare verifica multidisciplinare degli impatti dell’opera sull’ambiente. Detta verifica si faceva (e si fa tutt’oggi) sullo Studio di Impatto Ambientale (SIA), consegnato dal proponente assieme al progetto. La commissione, composta da consulenti del Ministro dell’Ambiente, può chiedere per tutta la fase istruttoria alla società proponente integrazioni, modifiche, chiarimenti, ecc. fino alla produzione di un documento consultivo (per il Ministro) in cui esprime un parere tecnico sull’opera.

Il progetto di autostrada tirrenica era decisamente mal confezionato (alcuni tratti erano progettati dalla Rocksoil di Pietro Lunardi come risulta dal sito web della Rocksoil), e fu così che nel 1990 la tratta tra Rosignano e Civitavecchia fu bocciata dalla Commissione VIA di Giorgio Ruffolo, e dichiarata insostenibile per un’infinità di ragioni paesaggistiche, idrogeologiche, economico-finanziarie, progettistiche, ecc. (si può trovare il documento integrale di bocciatura nel sito web del Ministero dell’Ambiente, nelle pagine sulle VIA). Era la prima bocciatura di un’importante opera pubblica in Italia e la cosa ebbe grande eco nel mondo scientifico e politico poiché segnava un crinale storico nella concezione della qualità progettuale, di sostenibilità e di razionalità. 

Alla bocciatura del Ministero dell’ambiente, seguì poco dopo la stagione di Mani Pulite,  con l’arresto dei vertici Anas, del Ministro dei Lavori Pubblici Prandini e di vari imprenditori, e con lo scoperchiamento del pentolone infernale degli appalti delle opere pubbliche italiane; per alcuni anni non si parlò più di costruire nuove infrastrutture.

Nel 1996 fu fatto ministro dei lavori pubblici proprio l’ex magistrato Antonio di Pietro con lo scopo di contenere i ladrocinii che per anni avevano dissanguato lo Stato con la realizzazione (spesso a metà) di piccole e grandi opere senza senso, appaltate sotto la bandiera della corruzione, della concussione e del peculato. Nel 1997 la SAT era a un passo dal portare i libri contabili in tribunale: l’autostrada tra Rosignano e Livorno era assai poco transitata e mai e poi mai si sarebbe potuto pensare di ammortizzare l’investimento fatto con una concessione di soli trent’anni. La società stava quindi clamorosamente fallendo.

Con decisione meramente politica (Finanziaria 1998, governo D’Alema) fu deciso da una parte di aumentare il capitale di partecipazione pubblica all’opera - fino all’80% dell’investimento complessivo per la tratta Livorno-Rosignano, già costruita ma economicamente disastrosa- (per la precisione furono “regalati” – come dice l’ex Ministro dell’Ambiente Gianni Mattioli - alla SAT 172 miliardi e 500 milioni di allora) - e dall’altra di sospendere (sospendere, e non revocare) la concessione alla SAT per la realizzazione della restante tratta tra Rosignano e Civitavecchia.

Tale atto conferì all’operazione (dare soldi alla SAT e sospendere al contempo la concessione di realizzare la tratta successiva) un sapore “risarcitorio” per il danno che la SAT avrebbe subìto dallo Stato italiano, che non si poteva più impegnare finanziariamente nel completamento l’opera (lo Stato infatti concorre al finanziamento sempre tra il 60% e il 90% del costo). Ma, come è stato giustamente osservato da giuristi e dagli ambientalisti, il progetto SAT del 1990 era stato bocciato, quindi lo Stato non era tenuto ad alcuna prestazione o ad alcun risarcimento.

Da qui l’anatema dell’ex ministro Gianni Mattioli che parla di pubblica regalia.

Sottosegretario ai lavori pubblici con delega alle Autostrade era allora il parlamentare diessino Antonio Bargone, avvocato pugliese, amico storico e uomo di Massimo D’Alema (la famosa cena dalemiana del risotto, quella in cui si decisero le sorti del paese, fu fatta a casa di Bargone).

Messo ufficialmente da parte il progetto di Autostrada, Regione Toscana, Regione Lazio, Anas e Governo Amato firmarono il 5 dicembre 2000 l’accordo per l’ammodernamento dell’Aurelia: trasformare cioè l’intera Aurelia in una strada a 4 corsie, più corsie d’emergenza, ed eliminare tutti i punti pericolosi esistenti. In pratica una autostrada. In finanziaria 2001 (Governo Amato, appunto) furono stanziati come prima tranche 600 miliardi di vecchie lire e l’Anas si mise subito al lavoro e in pochi mesi elaborò un progetto. Ma dei 600 miliardi per l’opera, che sarebbero stati stornati pochi mesi dopo verso altri sconosciuti comparti dal Governo Berlusconi, si è perduta traccia da subito.

L’ Ammodernamento dell’Aurelia però presto scomparve letteralmente nel nulla: l’Anas elaborò nel 2001 un buon progetto (sostenuto anche da WWF, Italia Nostra e altre associazioni ambientaliste indipendenti) e la Commissione ministeriale della VIA, presieduta dalla Professoressa Maria Rosa Vittadini, l’approvò quasi integralmente (erano stati solo richiesti ai tecnici dell’Anas – su sollecitazione del Sindaco di Orbetello, Di Vincenzo, che vedeva quel tracciato in contrasto col suo progetto di Piano Strutturale - approfondimenti di studio su eventuali tratte alternative all’altezza di Orbetello Scalo, approfondimenti che non giunsero mai al ministero).

Come noto, il nuovo ministro, Lunardi pre-pensionò, a suon di svariati miliardi pubblici, tre membri del Consiglio d’amministrazione Anas (tra il cui presidente Giuseppe D’Angiolino) e mise alla presidenza l’amico personale, già presidente della RAV, Vincenzo Pozzi. Incidentalmente, Pozzi non aveva i requisiti di legge e il curriculum per fare il Presidente dell’Anas, ma Lunardi, per la bisogna, cambiò il regolamento modellandolo su misura per il suo uomo. Il progetto di ammodernamento dell’Aurelia non fu mai integrato malgrado vi fosse un accordo vigente. Solo nel 2004 l’Anas fece un brevissimo comunicato stampa in cui dichiarava decaduto quel progetto.

Nel 2001 Lunardi e Berlusconi erano andati da Vespa e con un pennarello nero, nella giornata più buia della storia della televisione italiana, avevano ricoperto il paese di autostrade (piazzando Pescara al posto di Verona) e insultato l’intelligenza e il pudore degli italiani. Fu così che il vecchio progettista Lunardi, divenuto ministro, resuscitò, tra le altre, anche la vecchia autostrada tirrenica, con un tracciato identico a quello già bocciato dal ministero di Ruffolo. Poteva anche sembrare una vendetta personale: ora che decido io si fa il mio vecchio progetto.

Con la Legge sulle Grandi Opere (cd. Legge Obiettivo) ed altre, di fatto si azzeravano i controlli scientifici sulla qualità delle opere, e si tornava ad una situazione precedente al 1987.

Il sopracitato diessino e sottosegretario ai lavori pubblici con delega alle autostrade, Antonio Bargone, che aveva avuto un ruolo nel salvataggio della SAT,  invece, non fu rieletto al Parlamento (e la sua trombatura pugliese fu rumorosa) ma divenne consulente, tra le altre regioni, della Toscana e in particolare di Riccardo Conti, Assessore ai lavori pubblici e infrastrutture. La Regione Toscana, anziché difendere quando sostenuto fino al giorno prima sulla sensatezza di mettere in sicurezza l’Aurelia, improvvisamente disse ai suoi cittadini che l’idea governativa di un’autostrada maremmana era un’ottima pensata, solo che andava fatta accanto all’Aurelia, lungo la costa,  e non sulle colline di Scansano e Pitigliano.

Mentre i politici toscani organizzavano pubblici pianti greci sulla devastazione eventuale della colline maremmane, esaltavano con vigore un progetto che avrebbe ulteriormente sconvolto la fascia litoranea, già attraversata, appunto, dalla statale 1. Un doppio nastro di asfalto avrebbe quindi separato il mare dall’immediato entroterra, e, tra svincoli, caselli, ponti, piloni, avrebbe dato un colpo definitivo al delicato ambiente circostante (si pensi solo alle prezionissime lagune, al Parco Nazionale dell’Uccellina, ai boschi, a tutti i siti archeologici….)

Lo sconcerto tra gli studiosi e tra le associazioni ambientaliste di fronte all’atteggiamento della Regione fu grande. La Toscana, poi, se da una parte impugnava davanti alla Corte Costituzionale la legge obiettivo laddove non prevedeva l’accordo con la regione per le opere di interesse regionale (ricorso che avrebbe vinto con sentenza dell’ottobre 2003, che riaffermava la necessità di un accordo ex art. 117 della Costituzione), dall’altra si dichiarava “vittima” del Governo nella scelta autostradale, nel senso che interpretava questo accordo tra Stato e Regione sull’opera, previsto dalla Costituzione italiana, solo in relazione al tracciato e non alla tipologia stradale (cioè sul fare o meno un’opera, sul fare un’autostrada o una superstrada o sul potenziare la ferrovia, ecc.): interpretazione costituzionale (quella di Riccardo Conti) che non ha mai trovato il supporto di alcun decente giurista. Insomma, la giunta Martini voleva mani libere.

 Il suddetto Antonio Bargone, intanto, oltre che consulente dell’assessore Riccardo Conti, era anche entrato a far parte del consiglio d’amministrazione (guardacaso!) della SAT (la società che aveva ricevuto 172 miliardi e 500 milioni quando lui era sottosegretario) e vi furono entro il 2003 almeno due interrogazioni in Consiglio Regionale (una di Forza Italia e una dei Verdi) sul palese conflitto di interessi di questo signore. E’ interessante, per chi lo voglia, andare a leggere le repliche difensive di Riccardo Conti nel sito web ufficiale della Regione. Ma non basta. Il 1 agosto 2003 “Tonino” (come Conti chiama pubblicamente Bargone) divenne il presidente della SAT.

Nella finanziaria del 2004, imperante ancora Lunardi al ministero delle infrastrutture, fu revocata la sospensione della titolarità della concessione alla SAT per la realizzazione dell’Autostrada Tirrenica (quindi niente appalti, niente trasparenza, niente restituzione dei 172 miliardi e 500 milioni, nessuna valutazione o analisi comparativa costi-benefici, nessuna argomentazione sui costi pubblici, ecc. malgrado le durissime interrogazioni parlamentari della senatrice verde Anna Donati): la SAT presieduta da Antonio Bargone fu reintegrata nel diritto di progettare, realizzare e gestire l’autostrada tirrenica.

Riassumiamo brevemente: la SAT ottiene (dopo aver sbagliato ogni previsione) miliardi a fondo perduto da un ministero nel quale Bargone è sottosegretario; Bargone diventa consulente della Regione Toscana per le opere pubbliche; la Toscana vuole a tutti i costi l’autostrada maremmana; Bargone diventa consigliere d’amministrazione e poi presidente della SAT; alla SAT viene dato l’incarico di costruire l’autostrada maremmana, collinare o costiera che sia.

La Regione Toscana, a sua volta, raggiunto forse il punto più basso di credibilità della sua storia, nel tentativo di recuperare un po’ di dignità, aveva subito commissionato all’urbanista Bubi Campos Venuti e all’economista Paolo Leon, una proposta definitiva di possibili tracciati autostradali, che erano stati ufficialmente presentati ad Alberese, vicino Grosseto, nel 2003. Campos Venuti e Leon hanno poi ampiamente ammesso di non aver fatto né studi comparativi col progetto Anas di ammodernamento dell’Aurelia,  né studi approfonditi sulle loro proposte, precisando di aver lavorato gratis e solo per dare un amichevole contributo culturale al dibattito (la Regione infatti non ha alcuna titolarità nella progettazione di autostrade). I due studiosi non si sono così accorti da una parte di aver di gran lunga abbassato il livello del dibattito (hanno preso posizione senza studiare seriamente) dall’altra di aver prestato il loro nome a rozze speculazioni politiche sulla meritevolezza o meno dell’opera (la Regione si difende ancor oggi dicendo che si è rivolta a noti studiosi).

Alla fine, la SAT -nel 2005- presentava  un progetto (guardacaso!) ricalcato su quello della Regione (che, sotto scacco, non poteva certo ora bocciarlo con i suoi uffici di VIA, visto che era identico a quello di Campos Venuti uscito ufficiosamente da quegli uffici stessi) e la farsesca Commissione ministeriale di Altero Matteoli , toscano anche lui, di Alleanza Nazionale, approvava, a sua volta, a Roma, il progetto SAT. Così si esauriva la vicenda con una perla finale: Lunardi, da parte sua, smise di insistere sul progetto collinare e con un accordo generale si concluse anche quella penosa stagione passata col nome di guerra dei tracciati (guerra tra Regione e Governo), in realtà un teatrino, una provinciale tragi-commedia delle parti.

Gli ambientalisti, gli intellettuali, gli studiosi, i sindaci di Capalbio, Manciano, Montalto di Castro e Cellere, non stavano con le mani in mano di fronte allo scandalo. Recuperavano uno studio scientifico del 2003 dell’Università Cattolica di Milano (prof. Marco Ponti) e del Politecnico di Milano (prof. Andrea Boitani) dove si dimostrava che i costi di un’ammodernamento dell’Aurelia erano di gran lunga inferiori rispetto a quelli di un’autostrada costruita ex novo. Dimostravano altresì (lo studio è sul web) che la scelta autostradale era irrazionale sotto vari punti di vista (consumo di territorio, impatto, riassetto della viabilità, costi maggiori per la comunità, ecc.).

L’aspetto più grottesco del progetto regionale-Sat è costituito dal fatto che per togliere potere concorrenziale all’Aurelia (che oggi è tutta a quattro corsie, salvo 16 chilometri prima del confine col Lazio, ed è a percorrenza gratuita), la Regione e la SAT, dovranno smontarla e ridurla – con costi elevatissimi – a due corsie. Riportandola alla situazione  degli anni ’70. Il fatto che per ammodernarla e raddoppiarla siano stati spesi miliardi, pare non importare nulla a nessuo. In Italia siamo a questo punto: smontare le strade pubbliche per favorire il privato.

In breve, il quadro attuale

Di Pietro vuole l’autostrada ma non ha i soldi per la parte pubblica. La Regione Toscana si gongola dell’opinione di Di Pietro. Bargone si strofina le mani, e promette ingenti capitali in arrivo. Gli ambientalisti e i comuni di Capalbio, Manciano, Montalto di Castro, Cellere giurano che non cederanno mai.

Una nota finale di carattere generale: il garante del finanziamento delle opere pubbliche, nel caso del venir meno dei capitali privati, è lo Stato. E’ facile essere costruttori e gestori di autostrade, in Italia. E’ facile trovare banche che sostengano le opere, se lo Stato, è comunque garante in ogni caso, incluso il coprire i debiti, il sobbarcarsi le variazioni di costi (come sempre accade i costi aumentano in modo imprevisto ed esponenziale) e il sobbarcarsi lo stesso rischio imprenditoriale (c’è sempre una sovrastima dei flussi di traffico futuro). Ha sempre pagato, paga e pagherà comunque lo Stato. Cioè, per chi non se lo ricordasse, noi cittadini. Socializzare i debiti e privatizzare gli utili: qualcuno si arricchirà, tutti gli altri ci perderanno.

 

Gianmarco Serra

[ Fonte da cui è tratto ]

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