PORTOGALLO

PROGRAMMA e ITINERARIO 

PARTECIPANTI

 

 

 COMMENTI TECNICI

Agronomi e forestali bellunesi in Portogallo (G.Pellegrini)

 ALTRE NOTIZIE

Cenni Storici

Cenni di Economia

 

 

PROGRAMMA e ITINERARIO
5/10 Arrivo a Lisbona e breve visita della città.

6/10 Trasferimento ad Obidos ( città circondata da mura ) e Nazarè famosa per la sua spiaggia ed il porto di pescatori. Visita a Bathala e Fatima. Proseguimento per Porto.
7/10 In mattinata visita alla città di Porto, pomeriggio proseguimento per la zona di produzione del vino porto con visita ad una tipica azienda di produzione viticola. 
8/10 Trasferimento all’interno del Portogallo verso Viseu città ai confini del Parco Nazionale di Esterela dove è situata la montagna più alta del Portogallo. Visita nel pomeriggio ad una azienda di montagna
9/10 Trasferimento in pullman all’interno del Parco di Esterela con visita alla scuola di agricoltura di Belmonte. Proseguimento per Lisbona via Guarda,Fundao, Castelo Branco, Sintra e la costa atlantica
10/10 In mattinata visita ad una realtà zootecnica della provincia di Ribatejo con pranzo presso l’azienda.
11/10 Giornata dedicata alla visita di Lisbona, pranzo libero. Pomeriggio tempo libero
12/10 Rientro in Italia

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PARTECIPANTI

ANDRICH ORAZIO DALLA GASPERINA BARB. ROFFARE LAURA
BARATTIN ALDO DE MARIO RENZO SIEF LINO
BARATTIN ANTONIO DE ROCCO LUCIANO SLONGO ANGELA
BELLI SISTO DONAZZOLO FRANCESCO SLONGO FILOMENA
BORDIN  LUCIA FENT PAOLO SLONGO LUIGI
BRIDDA ENZO FRAGOLA VALERIO SOCCAL MARINO
CESCATO ELDA GHEDINA LODOVICO TURRIN RENATO
COLLA MARIA GHEDINA STEFANO VACCARI MAURO
CORSO GIANNA LUCIA RITA XAIS MARIA
DA DEPPO FLAMINIO MANFROI  GIORGIO ZALLOT ANDREINA 
DAL PAN FRANCESCO PAULETTI RINALDO ZENTILE MARIA
DAL ZOTTO ALDO PELLEGRINI GIUSEPPE
DAL FARRA ALIDA PIZZOL SILVIO

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Agronomi e forestali bellunesi in Portogallo

(Giuseppe Pellegrini)

Anche quest'anno l'iniziativa promossa dall'Associazione degli Agronomi e Forestali di Belluno per approfondire le tematiche agricolo-ambientali di uno dei paesi dell'Unione Europea, ha riscosso notevole successo. Il programma prevedeva una visita in Portogallo. Il gruppo di circa 40 persone, costituito da numerosi allevatori guidati dal presidenre e vice presidente della Lattebusche, da tecnici agronomi e forestali e dal Presidente della Comunità Montana Centro Cadore, ha potuto visitare nella zona centro settentrionale del paese le aziende vitivinicole dove viene prodotto il famoso vino "Porto", una cooperativa ortofrutticola, una scuola agraria nel Parco naturale di Esterela ed un'azienda demaniale. La prima impressione è stata quella di un paese in piena espansione economica caratterizzato da una laboriosità ed impegno nel proprio settore produttivo. La possibilità di avere un clima caldo dà grandi potenzialità al settore agricolo. Nel nord del paese la viticoltura occupa gran parte delle imprese nella produzione dell'uva destinata a produrre il vino "Porto"; questi vitigni vengono coltivati a gradoni lungo le scoscese sponde del fiume Tago ad un'altezza di circa 500-600 metri dove il terreno, formato da abbondante scheletro siliceo, assorbe durante il giorno elevate quantità di calore che viene restituito alla pianta durante la notte, creando un microclima ideale per la maturazione di un'uva ad elevato valore zuccherino. Il prodotto una volta raccolto e vinificato nella medesima zona viene trasportato su barche lungo il fiume fino nei sobborghi di Porto dove, in cantine particolari, c'è la maturazione e l'invecchiamento. Definito come il paese del verde, il Portogallo trova una delle più importanti attività economiche nella coltivazione forestale basata sull'eucalipto, il pino marittimo e la quercia da sughero. L'eucalipto, pianta con forti fabbisogni idrici trova la ragione del successo nella brevità del ciclo; in 10-15 anni l'azienda che ha investito in questa coltura può realizzare una elevata produzione commercializzata prevalentemente per la pasta di cellulosa. Il pino marittimo viene coltivato per la produzione industriale di legname da lavoro e della resina per l'industria farmaceutica. Alcuni proprietari affittano interi boschi a compagnie specializzate che provvedono alla raccolta della resina nel periodo aprile-ottobre predisponendo degli appositi recipienti nei quali, dopo opportune incisioni sulla corteccia, cola il prodotto. In questi casi il ricavo medio può arrivare a circa L.1.000/pianta. La quercia da sughero, coltivata prevalentemente nel centro sud, è rimasta produzione quasi esclusiva all'interno della UE. Attorno a questa coltura si è creato un indotto notevole soprattutto nel nord del paese dove sono localizzate, anche per l'abbondanza di acqua necessaria per queste lavorazioni, numerose industrie per la trasformazione i questo particolare prodotto. L'esperienza del gruppo è stata interessante ed ha permesso di conoscere alcuni aspetti della realtà agricola e forestale di questo paese dove convive la tradizione antica, sempre affascinante, e l'aspetto della modernità indice di un paese che vuole progredire e migliorare la qualità delle proprie produzioni.

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Cenni Storici

Come gli altri Stati cristiani della Penisola Iberica, il P. nasce e si afferma nel quadro della secolare lotta per la Riconquista, cioè guerreggiando contro i Musulmani. Nasce però più tardi degli altri regni: e ciò per comprensibili ragioni geografiche, le stesse che avevano fatto della Lusitania e della Gallaecia le ultime (in ordine di tempo) province romane. La sua posizione di “balcone” sull'oceano ignoto e temuto (finis terrae) e la scarsa fertilità dovuta al terreno prevalentemente accidentato (salvo che nella parte merid., dalla valle del Tago in giù) lo rendevano molto meno “appetibile” di ogni altra regione della penisola. Gli Svevi che vi giunsero nel sec. V, alla caduta dell'impero, non scesero a sud del Douro, facendo della Gallaecia l'epicentro del loro regno (con capitale a Braga e porto fortificato a Portus Cale, ossia Porto); e quasi due secoli più tardi i Visigoti, pur eliminando il regno svevo, riconobbero una certa autonomia a quello stesso ridotto nord-occid. della penisola. Non è quindi strano che l'invasione araba (sec. VIII) estesasi a macchia d'olio nel sud-est e nel centro, fino ai Pirenei, fosse meno solida e insistente nel remoto angolo di nord-ovest; lo stesso, appunto, in cui si manifestò, et pour cause, la prima resistenza cristiana, concretatasi nella creazione del regno delle Asturie. Parte integrante di questo divenne presto il nord del P. fino al Douro, chiamato nei documenti più antichi (sec. IX) terra o comitatus portucalensis, dal nome del suo centro politico-commerciale di Porto (Braga rimase soprattutto la capitale ecclesiastica); e la sua autonomia si rafforzò nel sec. X grazie a una potente famiglia comitale, uscita da un conte Ermenegildo (nome di origine visigota) e dalla famosa Mumadona. Quando perciò, nel sec. XI, Alfonso VI di Castiglia creò “ufficialmente” la contea di P. per il genero Enrico di Borgogna (marito di sua figlia illegittima Teresa), valido collaboratore del re castigliano nella Riconquista, non fece che consacrare un “dato di fatto” preesistente. Il figlio di Enrico, Alfonso, compì l'ultimo passo verso l'indipendenza, proclamandosi re dopo la battaglia di Ourique (1139),combattendo contro la propria madre Teresa e il cugino Alfonso VII di Castiglia e portando avanti per proprio conto la riconquista sui Musulmani (presa di Lisbona, 1147). Con lui comincia la dinastia borgognona, che doveva regnare fino al 1383, gettando le basi dell'unificazione del Paese lungo due direttive principali: riconquista sui Mori (e difesa dai loro contrattacchi) e diffidenza nei riguardi della Castiglia, che nel suo impetuoso cammino verso il dominio sull'intera penisola doveva necessariamente considerare il piccolo P. come uno Stato “vassallo” e tentare di fagocitarlo, come di fatto tentò più volte (riuscendovi solo nel 1580, troppo tardi cioè per poterlo ridurre a una semplice “provincia” spagnola). La battaglia di Aljubarrota (1385), in cui Giovanni I di P. sconfisse l'omonimo re castigliano, fu l'episodio più clamoroso di questa secolare lotta fra Portoghesi e Spagnoli; ma non certo l'unico. Fra tutti i re borgognoni emerge (oltre a quella del “fondatore” Alfonso I) la figura di Dionigi (1279-1325), uomo politico, legislatore, colonizzatore (Rei lavrador), creatore della marina portoghese (col genovese Pessagno, suo primo ammiraglio), fondatore della prima università (fondata a Lisbona nel 1290 e trasferita nella sua sede di Coimbra nel 1308), umanista e persino poeta “alla maniera dei provenzali”. Il P. comincia così, per merito suo, a uscire dall'età medievale. La grave crisi dinastica del 1383-85 (che vide i Castigliani alle porte di Lisbona) portò sul trono, col pieno favore popolare e malgrado l'opposizione dell'aristocrazia (filocastigliana), il Gran Maestro di Aviz, Giovanni I, bastardo di re Pietro I; e fino al 1580 il P. visse un'età di vero splendore, per l'acquisita solidità delle strutture interne, codificate nelle Ordenações alfonsinas, l'energica personalità di sovrani quali Giovanni II, il “Principe perfetto” (1481-95), ed Emanuele I (1495-1521), e soprattutto le grandi scoperte e colonizzazioni d'oltremare, rese possibili dal genio divinatore del principe Enrico il Navigatore (1415-60), che lanciò i suoi piloti lungo le rotte atlantiche. Nel giro di pochi decenni il P. acquistò un immenso impero su tre continenti (Africa, Asia, America), teatro di meravigliose imprese degne di essere cantate, come lo furono, da un poeta epico (Camoes); ma per la sua stessa enormità – specie in rapporto con la piccolezza della madrepatria e l'esiguità della sua popolazione (1 milione di abitanti) – causa altresì di guerre interminabili di difesa, oggetto di cupidigie senza fine e infine motivo (fino ai nostri giorni) di preoccupazioni e angosce. L'impero diede al P. ingenti ricchezze (dalle spezie dell'India, all'oro e allo zucchero del Brasile) e gli consentì di aprire vie nuove al commercio mondiale, ma lo inchiodò a un destino superiore alle sue forze, inducendolo anche a orribili misfatti come la tratta dei negri, e favorendo l'assolutismo monarchico, l'intolleranza religiosa e, in definitiva, la decadenza politica e morale del Paese. Segno della fine della breve stagione “imperiale” fu la drammatica scomparsa della dinastia Aviz, nella persona dell'ormai anacronistico re Sebastiano, ucciso dai Mori, col fiore della nobiltà portoghese, nella battaglia di Alcazarquivir, in Marocco (1578). Due anni dopo, Filippo II riuscì nell'impresa che i suoi avi castigliani non avevano mai potuto compiere: sottomettere il P. alla Spagna. Il dominio spagnolo si prolungò per 60 anni (1580-1640); e sebbene, in principio, rispettasse una certa autonomia del P., andò facendosi sempre più pesante e odioso con l'accentuarsi della decadenza politica della stessa Spagna. Il dispotismo guerrafondaio e maniaco di Olivares aggravò la situazione, annullando gli scambi commerciali con l'Inghilterra e la Francia, di vitale importanza per il Portogallo. Alla fine, dopo vari tentativi falliti, riuscì la rivolta del 1640, che ridiede al P. l'indipendenza instaurando la nuova dinastia di Braganza nella persona di Giovanni IV (1640-56). Questi fu, in complesso, un buon sovrano; ma la dinamica della storia europea e l'affermarsi di pericolosi rivali in Asia e in America (Olanda e Inghilterra) lo costrinse ad assumere poteri sempre più assoluti, appoggiandosi all'alta aristocrazia. I suoi deboli successori si lasciarono dominare da onnipotenti ministri (Castelo Melhor, Ericeira), che tentarono di combattere la decadenza economica finendo con infeudarsi all'Inghilterra (Trattato di Methuen, 1703). Ciò determinò una certa “apertura” culturale del P. all'Europa, all'epoca di Giovanni V (1706-50), ma anche, a lungo andare, un aggravarsi della crisi economica, che l'importazione di forti quantità d'oro dal Brasile non risolse affatto, causando anzi rivolte popolari, per l'aumento dei prezzi e l'inflazione, senza contare la crescente indignazione per i costumi corrotti e il lusso della corte e dell'alto clero. La storia portoghese della seconda metà del sec. XVIII è dominata dalla figura del marchese di Pombal, ministro dell'inetto Giuseppe I e uomo politico di rilievo europeo. Le riforme di Pombal furono molte e importanti, nel campo amministrativo, fiscale, economico, scolastico e culturale, religioso (espulsione dei gesuiti, 1759; sottomissione dell'Inquisizione al governo, 1772), e tutte di senso “illuminato” e modernizzatore. Suo merito fu anche la ricostruzione di Lisbona, dopo il terribile terremoto del 1755. Ma i suoi metodi di governo duri e crudeli frustrarono, in buona parte, i risultati positivi della sua azione politica. Dopo la crisi storica dell'epoca napoleonica (durante la quale il P. venne occupato dai Francesi e fu teatro di un'aspra guerra), le lotte, spesso violente e cruente, fra conservatori e liberali, e, dopo la sconfitta degli assolutisti dell'usurpatore Michele I (1834), fra moderati e rivoluzionari, portarono a un'endemica instabilità politica, punteggiata da continue sommosse, colpi di Stato, guerre civili, ridda di “Carte costituzionali”, crisi economiche. Lo spirito “liberale” però andò progredendo, sia pure faticosamente, concretandosi in misure come l'abolizione della tratta degli schiavi (1836), l'istruzione primaria gratuita, la libertà di stampa, la costruzione di strade e ferrovie, la riforma della legislazione (Codice Civile del 1867), ecc. La vita culturale fiorì largamente per merito di varie generazioni di insigni scrittori; la lenta industrializzazione portò con sé i primi movimenti di organizzazione operaia; la popolazione, rimasta stazionaria per secoli (1 milione e mezzo all'inizio del secolo), superò i 4 milioni e mezzo nel 1890. Ma il peggioramento costante della situazione economica e finanziaria e le sommosse sfociarono infine nell'assassinio del re Carlo I (al quale succedette Emanuele II, 1908) e nella rivoluzione del 1910, che instaurò la Repubblica. Questa però non risolse i problemi, anzi li esasperò, screditando il regime parlamentare, incapace di porre termine al caos politico-sociale e al deficit cronico dei bilanci dello Stato. Dopo vari tentativi di colpi di Stato autoritari, si giunse così alla rivolta militare del 1926, che portò al potere il generale Oscar Carmona (1928-51). Questi chiamò accanto a sé, come ministro delle Finanze, il professor António de Oliveira Salazar, che, divenuto anche capo del governo (1932), instaurò una dittatura “corporativa” e paternalista, chiamata Estado Novo. Il “fascismo in borghese” di Salazar sopravvisse al suo fondatore e sembrò perpetuarsi nel successore M. Caetano (1968-74). A far cadere l'ottusa e antistorica dittatura fu l'esercito, per lunghi anni impegnato nella sanguinosa repressione dei moti indipendentistici delle colonie africane. Grazie a un incruento colpo di Stato (25 aprile 1974) si costituì un governo militare (con l'appoggio dei partiti antifascisti) e a capo dello Stato fu posto il generale A. de Spinola. Ma dopo un cinquantennio di regime autoritario, l'avvio alla democrazia si presentò subito irto di difficoltà. I partiti e l'opinione pubblica si divisero, grosso modo, tra fautori di una linea politica “terzomondista” e i sostenitori di una politica “europeista” (facendo leva sui molteplici legami tra P. ed Europa occid.). Nel giro di pochi mesi fu liquidato comunque il vecchio impero coloniale, si nazionalizzarono banche e industrie, si varò un progetto di Costituzione. Tuttavia l'11 marzo 1975 un oscuro tentativo di golpe coinvolse Spinola, cui già dal settembre 1974 era succeduto alla presidenza il generale Francisco Costa Gomes, sotto la cui guida fu approvata dall'Assemblea Costituente una Costituzione democratica (aprile 1976) e si tennero le prime elezioni che portarono alla presidenza della Repubblica il generale António Ramalho Eanes e confermarono il P.S. (Partito socialista) come partito di maggioranza relativa. Il leader socialista Mario Soares, prima alla testa di un monocolore e poi di una coalizione col C.D.S. (Centro democratico sociale), registrò una serie di insuccessi in politica economica. Le elezioni anticipate del dicembre 1979 sancirono la sconfitta del Partito socialista e la netta affermazione di Alleanza democratica, coalizione di centro-destra comprendente P.S.D. (Partito socialdemocratico), C.D.S. e monarchici, guidata dal socialdemocratico Francisco Sá Carneiro che divenne presidente del Consiglio. Alla sua morte (4 dicembre 1980) fu sostituito da Francisco Pinto Balsemão. Insanabili divergenze tra i partiti di Alleanza democratica, manifestatesi in seguito allo sfavorevole esito delle elezioni municipali, portarono alle dimissioni di Pinto Balsemão (dicembre 1982) e quindi alle elezioni anticipate (marzo 1983), il cui esito condusse alla formazione di un governo P.S.-P.S.D. guidato da Soares. Con lui prevalsero gli “europeisti” e il 12 giugno 1985 Soares firmò l'ingresso del P. nella C.E.E. (operante dal 1º gennaio 1986). Alle elezioni politiche del successivo ottobre Soares dovette però cedere la leadership al socialdemocratico Aníbal Cavaco Silva, confermandosi comunque autorevole uomo politico con la vittoria nelle elezioni presidenziali del febbraio 1986. Nel 1991 sia Soares che Cavaco Silva venivano riconfermati nelle rispettive cariche. Il Paese ha potuto così godere, dalla seconda metà degli anni Ottanta, di un lungo periodo di stabilità: la politica estera vedeva la crescita dell'impegno portoghese nell'ambito della N.A.T.O. e della C.E.E. ed il riavvicinamento alla Spagna, mentre nell'aprile 1987 veniva raggiunto un accordo definitivo con la Repubblica Popolare Cinese sul futuro di Macao (trasferimento della sovranità nel dicembre 1999 e contestuale acquisizione dello statuto di zona economica speciale a economia di mercato); in politica interna ci si dedicava invece al rafforzamento della struttura produttiva perseguito attraverso politiche economiche di ispirazione marcatamente liberista (revisione della riforma agraria e privatizzazioni). Espressione di tale indirizzo e fattore essenziale della sua realizzazione sono stati i preliminari emendamenti costituzionali del 1989, responsabili dell'abolizione delle norme collettivistiche di stampo marxista, cui è ben presto seguita la modificazione della legislazione sul lavoro. Una certa dinamicità politica si è determinata nel 1994 quando, in occasione delle elezioni europee, i socialisti, già risultati vincitori nelle amministrative del 1990 e 1993, sono riusciti a superare sia pur di misura i socialdemocratici di Cavaco Silva (rispettivamente 34,7% e 34,4%). In seguito ai negativi risultati elettorali delle europee il premier Cavaco Silva si è dimesso, nel febbraio 1995, dalla presidenza del Partito socialdemocratico ed è stato sostituito dal ministro della Difesa Joaquim Fernando Nogueira. Le elezioni politiche dell'ottobre 1995, conclusesi con la netta vittoria del P.S. (che non è però riuscito a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi) e il tracollo del P.S.D., hanno portato alla formazione di un governo minoritario monocolore guidato dal segretario socialista Antonio Gutérrez. Alle presidenziali del gennaio 1996 è stato eletto capo dello Stato Jorge Sampajo, già sindaco di Lisbona ed ex segretario del Partito socialista, e il consenso goduto nel Paese dai socialisti è stato ulteriormente confermato dalle elezioni locali del dicembre 1997, nelle quali hanno ottenuto il 38,3% dei voti e il controllo di 11 dei 18 distretti amministrativi. Dopo l’ingresso del P. nell’U.E.M. (1° gennaio 1999), il Partito socialista ha visto consolidata la propria supremazia sia alle elezioni europee del giugno 1999 sia, soprattutto, a quelle politiche dell’ottobre successivo, sfiorando la maggioranza assoluta: Gutérrez ha così centrato lo storico risultato di essere il primo premier a essere rieletto negli ultimi venticinque anni di storia democratica del Paese.

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Cenni di Economia

Con un P.N.L. annuo pro capite di poco superiore ai 7800 dollari (1995), il P. si colloca all'ultimo posto tra i Paesi dell’Europa occidentale, malgrado gli indubbi benefici che l'ingresso nella C.E.E. ha arrecato particolarmente all'industria. Molte erano le speranze di rinnovamento suscitate nel 1974 dalla cosiddetta “rivoluzione dei garofani”: dopo la caduta della lunghissima dittatura salazariana, il nuovo governo socialista propugnava una radicale trasformazione delle strutture produttive portoghesi, largamente inadeguate alle necessità di un Paese moderno (incremento della meccanizzazione del settore agricolo e relativa razionalizzazione della conduzione fondiaria, accelerazione del processo d'industrializzazione, incentivazione degli investimenti, rafforzamento delle infrastrutture, specie di quelle viarie, ecc.) e non meno incisive riforme in campo sociale. Ma l'arretratezza culturale e in genere i ritardi da colmare in ogni ambito della vita del Paese hanno in breve tempo frustrato le aspettative su cui si è ripercossa anche la recessione internazionale dei primi anni Ottanta. Non vanno sottovalutati i gravi errori commessi da parte governativa: p. es. la confisca dei latifondi e la riforma fondiaria (mirante tra l'altro alla creazione di aziende collettive), che interessarono ca. 1,7 milioni di ha, significarono talvolta espropri indiscriminati e comunque suscitarono le violente reazioni dei piccoli coltivatori del Nord, un'area tradizionalmente conservatrice. Nello stesso modo i successivi tentativi di parziale “restaurazione” incontrarono l'accanita resistenza delle cooperative di ex braccianti sorte sui latifondi espropriati dell'Alentejo, la grande regione agricola del Sud. Anche le nazionalizzazioni, che in pratica investirono nel 1974-75 l'intero apparato economico del Paese – dalle banche e dalle compagnie di assicurazione alle industrie di base, dai trasporti alle vie di comunicazione, ecc. – furono spesso eccessivamente affrettate e non tennero conto del fatto che mancava una classe tecnica e imprenditoriale in grado di sostituirsi alla classe precedente; si verificò quindi che i quadri dirigenti, all'inizio drasticamente allontanati, riprendessero rapidamente i centri di potere man mano che l'accentuarsi della crisi economica, mettendo in discussione tutta la portata della rivoluzione del 1974, conduceva inevitabilmente alla riprivatizzazione di gran parte dell'apparato produttivo. L'incerto clima politico, le acute tensioni sociali, la brusca alternanza delle linee programmatiche provocarono inevitabilmente una forte caduta delle produzioni, sia agricole sia industriali; ciò anche per il mancato afflusso di capitali interni e internazionali (non pochi né di modesta entità erano stati gli interessi finanziari minacciati o direttamente colpiti dal nuovo corso governativo) con conseguente drastica diminuzione degli investimenti. Né infine vanno dimenticate le ripercussioni che sulla vita politica portoghese ebbero le vicende coloniali. Se da un lato la perdita delle colonie significò per il Paese poter finalmente porre termine alle elevatissime spese belliche a lungo e inutilmente sostenute per il mantenimento dei territori d'Oltremare, dall'altro il P. si vide privato delle abituali fonti di materie prime a buon mercato, soprattutto di quelle destinate alla fondamentale industria tessile. Fattore non meno grave per le fragili strutture dell'economia portoghese fu il ritorno in patria di ca. un milione di ex coloni, i cosiddetti retornados, il che rese pressoché insostenibile una situazione da sempre caratterizzata da una pesante disoccupazione; la bilancia dei pagamenti del resto registrava un netto peggioramento, con riflessi di crescita del già notevole debito estero, per via della riduzione delle rimesse legata al rientro di parte degli emigranti e all'assottigliamento dei flussi migratori in uscita, fenomeni determinati dalla caduta delle opportunità di lavoro nelle forti economie europee. Da una tale serie di circostanze negative il Paese è quindi stato indotto a modificare radicalmente i propri indirizzi di politica economica; tale processo subì una forte accelerazione con la decisione di entrare nella C.E.E. (ratifica del 12 giugno 1985, divenuta effettiva dal 1º gennaio seguente). Nella prospettiva di una più completa integrazione a livello europeo, grazie alla favorevole congiuntura internazionale (e in parte ai sostanziosi aiuti comunitari), si è così realizzata nella seconda metà degli anni Ottanta una fase di vivace sviluppo, che ha quasi sovvertito l'immagine di autarchica immobilità del periodo salazariano, alzando notevolmente il tasso di incremento del prodotto interno lordo (ca. 3% annuo). Fattore non secondario di questa evoluzione è stata la contemporanea e crescente liberalizzazione dell'economia nazionale, che puntando sull'incoraggiamento dell'iniziativa privata e sulla completa apertura agli investimenti esteri ha portato in essa motivi di vitalità: l'episodio culminante si è avuto nel 1989 con l'abrogazione di norme costituzionali di ispirazione socialista, accompagnato da un'analoga revisione del diritto del lavoro e dalla privatizzazione di gran parte delle terre nazionalizzate nel 1975; al fine di smorzare le tensioni generatesi nel sistema economico e di ridurre le dimensioni del deficit statale si sono peraltro rese necessarie politiche deflazionistiche e d'austerità che non hanno comunque avuto effetti negativi di rilievo in campo occupazionale. Pur senza trascurare l'urgente necessità di elevare l'attuale bassissima produttività del settore agricolo, l'attenzione è stata soprattutto puntata sull'industria, destinata, come ovunque, ad avere anche in P. un peso economico determinante. Essa era stata lungamente osteggiata da Salazar che temeva le rivendicazioni della futura classe operaia e la nascita di una per lui altrettanto pericolosa borghesia imprenditoriale, europeistica, che avrebbe richiesto l'apertura del Paese ai mercati e alle correnti di idee internazionali. Oggi l'industria va in ogni caso potenziata e modernizzata, in modo tale da rendere l'intero apparato produttivo in grado di sostenere quei confronti con il resto del mondo, che il passato regime aveva evitato e che la piena realizzazione del Mercato Unico rende ormai inevitabile. Analoghi interventi di rafforzamento richiedono le infrastrutture legate al trasporto; così come miglioramenti si attendono nella formazione professionale della forza lavoro, nelle forme di protezione sociale e nella capacità d'importare tecnologia. Nel corso degli ultimi anni, con particolare riguardo al 1995, l’economia portoghese è stata caratterizzata dalla sensibile ripresa del P.I.L. e dallo stabilizzarsi della disoccupazione (7,2%) e dell’inflazione (4,1%); problematica resta invece la situazione del debito pubblico e del deficit pubblico.

Agricoltura: Le attività rurali occupano il 16% della popolazione attiva, percentuale abbastanza elevata nell'ambito europeo, ma l'agricoltura partecipa solamente per ca. un sesto alla formazione del reddito nazionale. Benché il P. sia stato un Paese eminentemente agricolo sino agli anni Sessanta, il settore risente in modo accentuato dell'arretratezza tecnica e organizzativa propria dell'economia portoghese; a ciò si aggiungono la presenza di ampie aree poco fertili e le condizioni climatiche nel complesso sfavorevoli, caratterizzate da scarse precipitazioni irregolarmente distribuite nel corso dell'anno e tali da rendere necessaria in molte zone l'irrigazione dei campi. Ne deriva che l'agricoltura portoghese, oltre a forti squilibri interni, presenta una produttività molto bassa; le produzioni, già piuttosto modeste e del tutto insufficienti al fabbisogno interno, sono ulteriormente diminuite nella prima metà degli anni Ottanta a causa della caotica e contraddittoria riforma agraria, che ha dato luogo a disorientamenti e boicottaggi da parte degli ex latifondisti; ad aggravare la situazione si sono aggiunte condizioni climatiche fortemente avverse. Si è reso così necessario un sempre crescente ricorso alle importazioni per i generi alimentari di base, che ormai provengono dall'estero per ca. il 50%. All'ammodernamento dell'intero settore primario, pesca inclusa, sono andati rilevanti contributi comunitari fin dal momento di ingresso del Paese nella C.E.E., con risultati abbastanza positivi. Tra i cereali di produzione locale predominano il frumento (2,6 milioni annui di q), che sopporta meglio la siccità ed è pertanto diffuso nelle regioni aride, dall'alta valle del Tago ai monti dell'Algarve, e il mais (6,4 milioni di q), che è invece il principale prodotto cerealicolo delle regioni settentrionali umide, ma che è presente ovunque sia possibile una continua irrigazione, come nella valle del Mondego e nelle hortas dell'Algarve; il riso (1,5 milioni di q) si sta diffondendo nelle basse valli del Mondego, del Tago e del Sado. Minore importanza hanno la segale, l'avena e l'orzo. Considerevole è la produzione di patate (10 milioni di q), che raggiungono limiti altimetrici più elevati e si estendono quindi all'interno del Paese. Grande diffusione hanno anche le colture fruttifere, presenti in tutti i terreni che possono essere irrigati, specie nel Centro e nel Sud: tipica zona ad agricoltura mediterranea, cui sono stati impressi i caratteri della dominazione araba, è l'Algarve. Si producono mandorle, fichi, arance (750.000 q) e altri agrumi, mele, pomodori (10 milioni di q), legumi, ecc. Tra le oleaginose un posto importante ha l'olivo, diffuso in tutto il Paese; la produzione di olio (450.000 q) è in buona parte esportata, mentre è in aumento l'importazione dell'olio di semi. Tra le colture legnose la principale è di gran lunga quella della vite, la cui area si estende nella bassa valle del Douro, il País do Vinho per eccellenza, e sui colli a N e a SE di Lisbona. La coltura della vite, ben organizzata in medie e grandi aziende, ha assunto una spiccata specializzazione, dato il suo importante ruolo commerciale. L'uva (15 milioni di q) è infatti pressoché totalmente al servizio di una prestigiosa industria enologica (10,5 milioni di hl di vino), molto apprezzata in tutto il mondo e che ha affermate qualificazioni regionali (Setúbal per i vini moscati, Porto per i vini da dessert, ecc.): in particolare per il porto opera da tempo un apposito ente governativo, l'Instituto do Vinho do Porto, che assicura il controllo sulla qualità e sulla produzione di questo pregiatissimo vino. Le foreste occupano complessivamente il 32,1% della superficie nazionale e consentono di ricavare annualmente ca. 10 milioni di m3 di legname da opera e da ebanisteria. La maggior parte delle essenze è costituita da resinose che, oltre al legname, forniscono resine e trementina; ma si hanno anche estesi sughereti, specie nella valle del Tago e sul litorale dell'Alentejo, con una produzione annua di ca. 150.000 t di sughero, per il quale il P. è tra i primi produttori del mondo.

Allevamento: L'allevamento del bestiame ha carattere per lo più sussidiario, essendo essenzialmente rivolto al servizio dell'agricoltura; tuttavia nella Serra da Estrêla sopravvivono tradizionali forme di attività pastorale che implicano ancora la transumanza lungo gli antichi tratturi. Prevalgono gli ovini (oltre 5 milioni di capi), che si giovano ormai in genere di sistemi più razionali di allevamento; seguono i suini (2,4 milioni di capi), i volatili da cortile (25 milioni), ampiamente diffusi, e i bovini (1,5 milioni di capi), limitati alla zona montuosa sett., più umida e ricca di pascoli; modesta è però l'industria casearia, benché si vada accentuando la tendenza a produrre latte e latticini – oltre alla carne – in funzione dei consumi urbani.

Pesca: La pesca  rappresenta con le attività collegate (industria conserviera) una delle maggiori risorse dell'economia portoghese. Esercitata sin da epoca antichissima, specie sulla costa atlantica, è oggi praticata da una flottiglia discretamente attrezzata; risente tuttavia della crescente concorrenza straniera e della progressiva rarefazione dei banchi di pesce lungo le coste, il che rende necessario il ricorso alla pesca d'alto mare, per la quale la flotta portoghese è in genere male equipaggiata. Il prodotto tipico e più abbondante è rappresentato dalle sardine (95.000 t su un totale di 330.000 t di pescato), che si esportano conservate in olio di oliva e i cui principali centri di lavorazione sono a Setúbal, Matosinhos e Portimão; seguono per importanza il tonno, pescato al largo delle coste dell'Algarve, e le acciughe (filetti di Olhão). Alle foci del Tago e del Sado ha una certa diffusione l'ostricoltura; notevole infine è la pesca del merluzzo nei banchi di Terranova, praticata da imbarcazioni di maggior tonnellaggio, dotate di attrezzature frigorifere. I principali porti pescherecci sono Setúbal, Peniche, Figueira da Foz, Leixões, Nazaré e Viana do Castelo.

Industria: L'industria portoghese è rimasta molto a lungo nei limiti di pura e semplice attività di trasformazione dei prodotti agricoli, tale da non richiedere manodopera specializzata o processi tecnologici avanzati; facilitata sino a epoca recente dal facile afflusso di materie prime dai possedimenti africani (anche se peraltro scarsamente sfruttati), era tuttavia rimasta, per la politica autarchica del regime salazariano, ai margini dei radicali mutamenti in campo produttivo che nel frattempo si andavano attuando nei Paesi economicamente sviluppati, con tutti gli svantaggi e i pochi eventuali vantaggi che da tale chiusura politica derivavano. Le industrie che segnano il volto moderno di un Paese – in genere quelle ad alta tecnologia – sono in fase iniziale e hanno un'incidenza ancora molto debole, nonostante un certo recente avvio, dovuto essenzialmente all'intervento di capitali stranieri (tra le più significative realizzazioni si collocano il complesso petrolchimico e la raffineria di petrolio, allestiti nell'area di sviluppo di Sines, a Lisbona, e divenuti operativi nel 1979). Particolare importanza riveste l'industria tessile, che vanta un'antica tradizione; al primo piano si colloca il cotonificio (121.000 t di filati e 82.000 t di tessuti), la cui distribuzione presenta un marcato concentramento a N del Douro (Vila Nova de Famalição, Vila Nova de Gaia, Porto); più disperso appare il lanificio, benché sia presente con centri abbastanza numerosi nelle regioni centrali del Paese, fra il Mondego e il Tago. Sulla costa (a Leixões, Seixal, Villacova) sono invece in genere ubicati gli impianti siderurgici e metallurgici, che producono ca. 1 milione di t fra acciaio, ghisa e ferroleghe, quindi rame, stagno, alluminio, ecc.; nell'area tra Lisbona e Setúbal operano vari complessi chimici e petrolchimici dai quali, oltre alla raffinazione del grezzo d'importazione, si ottengono fertilizzanti azotati, acido solforico e nitrico, ecc.; l'industria meccanica infine, presente nelle zone attorno a Porto e a Lisbona, è soprattutto costituita da impianti per il montaggio di autovetture e veicoli commerciali. Una discreta gamma di prodotti fornisce l'industria alimentare (rappresentata da oleifici, zuccherifici, conservifici di pesce e ortaggi, birrifici, ecc.); un certo ruolo svolgono anche le industrie del vetro, della gomma, della carta, del cuoio e delle calzature, i cementifici (6 milioni di t di cemento). La lavorazione della plastica, l'elettronica e la fabbricazione di strumenti di precisione hanno recente origine. Tra le industrie minori hanno larga fama quelle dei ricami, dei pizzi e delle ceramiche, in particolare delle eleganti piastrelle, denominate azulejos, nelle cui decorazioni predomina il colore azzurro.

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