Sherry Turkle, docente del Mit e ribattezzata "il Sigmund Freud del cybermondo" in quanto è stata una delle prime a studiare le reazioni dei cybernauti, definisce identità virtuale "il sé frammentato che emerge dal rapporto vissuto all'interno della rete". Il virtuale, cioè, sarebbe il luogo dove noi sperimentiamo la pluralità degli aspetti del nostro io frammentato. La psicologa vede la realtà virtuale come potenzialità di nuove esperienze e relazioni che ci consentono di entrare in rapporto ed in rapporti nuovi con personalità diverse e con diversi aspetti della nostra personalità. Una personalità che quindi diventa multipla, ibrida, creativa. 
Un' interessante prospettiva è anche quella di chi osserva che la realtà virtuale ci permette di costruire mondi personalizzati in cui vivere e agire (Telema n.16 www.fub.it/telema). Così, ad esempio, l' attrattiva dei MUD starebbe nel loro potenziale ludico, di provare esperienze e sensazioni inedite, di svelare prospettive non percepibili altrimenti. 
Caronia, sebbene confermi che il virtuale sia certamente utile per ampliare le nostre esperienze e sensazioni, sottolinea come spesso esso possa essere pericoloso e portare a patologie attraverso la perdita del senso di realtà e dell'azione. L' importante, afferma, è preservare la nostra facoltà di discernimento fra reale e immaginario, concreto e astratto. 
Dobbiamo tenere presente, tuttavia, che la conoscenza non è indipendente, ma relativa all'attività psichica del soggetto.

A questo punto ritengo utile fare una digressione che mi consente di chiarire un aspetto fondamentale ampiamente discusso dagli studiosi di intelligenza artificiale. Cosa intendiamo per "realtà" e "virtualità"?
Perchè si parla di "realtà virtuale"?
Già Freud aveva proposto il concetto di "realtà psichica": la psicoanalisi non ricerca la realtà oggettiva, ma il suo vissuto emozionale. Non è tanto importante stabilire cosa sia successo davvero, ma confrontarsi con le emozioni e il vissuto del paziente di fronte ad un evento. Ci troviamo dunque già di fronte ad un concetto di realtà fantasmatica, sublimata, virtuale. 
Tale concetto è stato ampliato dall' avvento delle nuove tecnologie, tanto che forse non ha più molto senso domandarsi se esista una realtà (in sé) al di fuori della conoscenza che abbiamo di essa. Noi, infatti, conosciamo la realtà solo attraverso i modelli di essa che la nostra mente si riesce a costruire. Al di fuori di questo quindi forse non esiste la realtà; o se esiste non possiamo raggiungerla e quindi non ci interessa. La realtà virtuale allora è una realtà come un'altra, solo diversa e nuova; essa, tornando alla Turkle, ci offre nuove possibilità ed esperienze, nuovi modi per esprimere la pluralità degli aspetti del nostro io frammentato, aspetti che quindi, aggiungerei io, forse non sono meno "reali" di quelli manifestati nella vita quotidiana. Reale e virtuale non sono dunque in contrapposizione, non sono il bene e il male, il positivo e il pericoloso, il sicuro e l'incerto, ma due tipi di esperienze, di modellizzazioni, di conoscenze di realtà diverse. In altre parole realtà virtuale e reale sono modi nuovi, che conviveranno, di esperire il nostro corpo, la nostra mente, la nostra sfera emotiva conscia e inconscia ed il nostro rapporto con gli altri. (se sei interessato ad un approfondimento del concetto di "realtà" visita il link di Stefano Penge "Reale e Virtuale"; interessante anche il sito della mia collega Monica la quale propone la nascita di una nuova risposta ontologica ed epistemologica: l' "epistemologia virtuale" ).

Personalmente non sono un' osservatrice esterna ed estranea a questi fenomeni. Sono infatti rimasta molto colpita, nel mio relativamente recente ingresso  nel misterioso mondo di internet, dalla possibilità di giocare con la mia personalità. In rete puoi essere "uno, nessuno o centomila", assumere una qualsivoglia identità, giocare a camuffare la tua personalità, cambiare sesso, età, credo politico e ideologico. 
E' quanto avviene (e mi è successo) soprattutto all'interno delle chat-line e delle comunità virtuali. Pensate che nella chat di C6 (tin.it) mi sono costruita ben 20 identità diverse (da Jessica Rabbit a Cudelia Demon, dalla casalinga frustrata all' imprenditore di successo...)!!! Insomma, complice lo schermo, ho potuto con più facilità esprimere me stessa, sperimentare i miei lati nascosti oppure inventarmi personaggi completamente fittizi. 
Uno dei problemi che ci si pone (e che mi sono posta) è questo: per coloro che sono abituati ad autopresentarsi nelle reti per lassi di tempo sempre più lunghi con queste identità multiple, che retroazione può avere tale processo sulla loro (o meglio nostra)  identità? Che percezione si ha di se stessi dal momento in cui ci si abitua sempre di più a presentarsi con identità multiple? E ancora: che rapporto sussiste fra l'identità "virtuale" con la quale uno si presenta in rete e la propria effettiva identità "reale"?
Ho letto che secondo alcuni psicologi (di cui non ricordo il nome) nell'ipotesi più felice può svilupparsi una fecondazione reciproca fra l' identità "virtuale" e quella "reale", può venir fuori un' identità ibrida, creativa che ha molte facce, e che quindi, riesce anche ad avere molte disponibilità. Nell' ipotesi peggiore possono venir fuori casi di schizofrenia.
Personalmente concordo maggiormente con Albero Vitale, il quale ha riscontrato soprattutto un fine ludico e creativo a tutto ciò.  Ciò che porterebbe a questo moltiplicarsi delle identità sarebbe più che altro il desiderio di essere considerati poeti o grandi cuochi, abili grafici o tecnici ineccepibili oppure la voglia di crescita degli adolescenti, di sentirsi già grandi, partecipi di grandi progetti, capaci di creare spazi informativi e servizi per la collettività. O ancora voglia di spensieratezza e di rivincita dei padri, di ritrovare spazi di dialogo e di riflessione. E molto altro ancora. 

Il vero problema, a mio parere, si pone quando la realtà virtuale, così gratificante da questo punto di vista, vada a sostituirsi e non semplicemente ad ampliare il campo delle esperienze della realtà quotidiana.
E' quanto avviene soprattutto nei MUD (premetto che di questi non ho alcuna esperienza personale). Molte persone utilizzano queste modalità spersonalizzate di comunicazione per stabilire delle relazioni talvolta molto personali con altre persone. A differenza di altri strumenti offerti dalla rete, i MUD permettono infatti di incontrarsi, agire e socializzare all' interno di un mondo vero e proprio, popolato di persone ed oggetti, analogamente a quanto avviene nella nostra esperienza quotidiana, ma con l'aggiunta di una maggiore libertà d'azione, limitata solo alle regole del MUD stesso. Ecco perché per molte persone un MUD è un luogo dove sentirsi più a proprio agio che nel mondo reale. La già citata Sherry Turkle usa il concetto di "padronanza" quale elemento sociale fondamentale che manca nella vita dei muddisti (per la maggior parte adolescenti). Chi non ha uno status sociale adeguato nella comunità reale, cerca di averne uno superiore come muddista nelle comunità virtuali. Le nuove identità sperimentate dai muddisti, ribadisce la Turkle, non sono però esterne e scollegate a quella di base anzi ne diventano delle estensioni; gli utenti possono sperimentare situazioni che altrimenti non potrebbero vivere. Quasi tutti gli intervistati infatti sostenevano di essere sempre loro stessi ma in ogni MUD davano maggiore voce a una delle tante persone che il loro sé comprendeva e paradossalmente si sentivano molto più "veri" nel mondo "virtuale" che non in quello "reale".
Nei MUD, inoltre, ma anche nelle chat, si possono sperimentare meccanismi dell'interazione sociale che altrimenti resterebbero completamente oscuri. Un caso su tutti è quello del gender swapping in cui si assume un' identità con sesso opposto rispetto al proprio. E' una pratica adottata soprattutto dagli uomini che la usano per comprendere meglio cosa prova una donna quando viene avvicinata, corteggiata o addirittura molestata da un uomo. In questo modo essi imparano come rapportarsi in modo nuovo all' universo femminile e ne possono ricavare insegnamenti da trasferire nelle loro relazioni "reali".
L' anonimato, del resto, ci rende più sciolti, con meno inibizioni, più propensi a rompere convenzioni sociali e culturali che magari non condividiamo ma che dobbiamo accettare nella vita reale se vogliamo far parte della società. Ma attenzione: la garanzia dell' anonimato, oltre a rendere più sciolti, rende potenzialmente anche più disposti al cinismo ed alla cattiveria gratuita poiché non si dovrà subire la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni. Questo, insieme al rischio di una sorta di alienazione all' interno dei personaggi interpretati in rete, rifugio sicuro da una realtà poco gratificante, è un' altro degli aspetti negativi cui si può andare incontro e da cui occorre difendersi. Ma come? A mio parere occorre innanzitutto mantenere un equilibrio fra le nostre identità: del resto, come diceva Pirandello molti anni prima di Internet, l'uomo indossa delle maschere, si nasconde e si reinventa lungo tutto il corso della sua vita; basta solo essere coscienti di questo processo. In secondo luogo occorre conoscere meglio la tecnologia e imparare a utilizzarla vantaggiosamente per proteggersi dai suoi inevitabili rischi.

Parlando di identità virtuale, infine, non si può certo tralasciare il discorso sulle P.H.P. (Personal Home Page). 

Infatti, come noterete anche nei lavori dei miei colleghi di E.P.G., ogni PHP
è contemporaneamente uno strumento di presentazione, di autopromozione e di "formazione di un' identità di rete" attraverso cui gli altri si formeranno un'immagine del suo "ideatore". 
Proprio perché la comunicazione sociale in rete è in qualche misura astratta, le PHP mirano ad evitare che l'astrattezza e l'immaterialità comportino un'eccessiva depersonalizzazione del messaggio. Ecco che accanto all'informazione professionale trova spesso spazio un tipo di informazione più personale in cui l'attenzione è posta su interessi, hobby e curiosità che fanno appunto emergere la personalità del soggetto. 
Potremmo parlare di una sorta di test proiettivo in cui l'autore utilizza certe immagini, certi sfondi e propone certi argomenti piuttosto che altri rivelando, come in un vero test, aspetti di Sé e idiosincrasie che saranno poi più o meno colti da un osservatore esterno.
A proposito di Home pages e identità ho letto un interessante articolo (in inglese) dal titolo "Babes on the web: sex, identity and the home page" in cui l'autore mette in evidenza come nelle home pages femminili vi sia la tendenza a  presentarsi con foto personali piuttosto sexy. Perché dunque nelle home pages, si chiede l'autore, molte donne scelgono di enfatizzare la loro sessualità come parte integrante della loro identità dal momento che internet offrirebbe la possibilità di presentare un' identità che trascenda gli indicatori di genere in quanto consente di occultare la propria fisicità? L'autore fornisce due risposte: la prima è che sebbene questo nuovo mezzo consenta di creare un Sé senza genere, le persone che creano le personal home pages  derivano sempre da una società in cui il genere esiste. La seconda è che per le donne sessualità e identità non sono facilmente separabili, né tale separazione viene desiderata e quindi nelle loro home pages rifiutano di "abbandonare il corpo" quale marcatore della loro identità. Al contrario si autopresentano con immagini in cui gli attributi femminili sono messi ben in evidenza.

 
Riferimenti bibliografici:

Per chi fosse interessato agli argomenti che ho esposto brevemente ho trovato sul web, oltre ai diversi links cui ho fatto sopra riferimento, anche alcuni testi:

> "La vita sullo schermo: Nuove identità e relazioni sociali nell' epoca di Internet"  di S. Turkle, uno dei testi più completi sulle nuove identità e i nuovi ruoli che si creano all'interno delle esperienze virtuali;

> "Psicopatologia delle realtà virtuali" di V. Caretti e D. La Barbera, in cui vengono evidenziate le patologie e i disagi psicologici emergenti con la diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione. In particolare si fa riferimento ai cosiddetti "nuovi fantasmi", ossia ai mutamenti profondi dell' identità fra fughe virtuali, autismo interattivo e dipendenza mediatica;

> "I padroni della menzogna: il gioco delle identità e dei mondi virtuali" di L. Giuliano, in cui si cerca di dare una risposta al perché i giovani siano così affascinati dalle comunità virtuali operanti su Internet e a quali mutazioni faranno capo i giochi di ruolo e le identità molteplici che essi offrono. Questo libro è un' analisi del bisogno di ogni uomo di fingere di essere un altro, in un altro tempo e luogo. In un' eterna arte della menzogna, esercitata per gioco, antica quanto l'umanità.

> "Desiderio e tecnologia: il problema dell' identità nell' era di Internet" di Allucquère Rosanne Stone. Il libro si apre con le seguenti domande: cosa intendiamo quando diciamo Io? E se lo diciamo quando siamo collegati in rete è come averlo detto nel mondo reale? Se "Io" è una maschera che riunisce in Sé la moltitudine che ci abita, il nostro Io giocato nella rete si moltiplica in un gioco di specchi che tende all'infinito perché anche nel non-luogo virtuale della rete "Io" continua ad essere sé stesso oltre i confini del suo corpo? 
Particolarmente inquietante e significativo è il capitolo intitolato "Lo psichiatra travestito", storia vera risalente al 1982 che racconta come uno psichiatra di New York di nome Sanford Lewin decise di costruirsi una nuova identità come Julie Graham, neuropsicologa di New York, vittima di un incidente automobilistico che le aveva sfigurato il volto. Quello che doveva essere un inganno limitato nel tempo si trasformò in un meccanismo impazzito che il suo creatore non poteva più controllare: Julie era "viva" a dispetto e con la disperazione di Lewin e aveva amici sinceri e affezionati...al punto che Julie finì col risultare più simpatica e popolare del vero dottor Lewin.

LA MIA IDENTITA' VIRTUALE:

Arrivati a questo punto della mia esposizione vorrei mostrarvi concretamente come si possa dar vita, all' interno di una Personal Home Page, ad un 'identità  virtuale in cui la propria personalità si arricchisce con le sfumature del gioco e dello scherzo. Dando spazio alla mia fantasia e creatività, eccomi allora nei panni di una dark lady molto "glamour".  Vi chiederete dunque "Ma ci fa o ci è?"...questo lo lascio decidere a voi. Proseguite e buona visione.


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