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Achille Lauro SUPERSTAR

Tutti gli uomini del comandante

 

Lauro ha sempre preferito circondarsi di collaboratori che non discutessero le sue decisioni. Di questo atteggiamento dittatoriale ne hanno sofferto principalmente i due figli: Gioacchino ed Ercole, suoi potenziali delfini, mortificati in continuazione dal padre-padrone, che metteva in ombra qualsiasi loro iniziativa ed aveva, in ogni caso, l'ultima parola su tutto.
Gioacchino, il maggiore, era talmente terrorizzato dal padre da non osare fumare in sua presenza. Tenuto a "stecchetto" sul piano economico (Lauro ha sempre dato ai suoi figli un semplice stipendio), chiedeva in famiglia continuamente del denaro alla sorella o alla madre. I soldi gli servivano a soddisfare la sua fama d'irresistibile playboy e d'impenitente gaudente, giorno e notte alla ricerca di donne e divertimenti.
Gioacchino era molto attaccato al padre e fu lui a difenderlo, con l'aiuto di Cafiero, alla fine della guerra, rintuzzando le accuse di collusione col fascismo, contestate dagli alleati.
In un libretto: "Io difendo mio padre", egli fornì un'ampia documentazione sulla flotta: date di acquisto delle navi, cifre pagate e tutti i particolari sull'acquisizione dei giornali napoletani. Questa serie d'informazioni incisero non poco sull'assoluzione del genitore.
Gioacchino si occupò prevalentemente delle sedi estere della flotta, per potere avere maggiore libertà di azione. Predilette erano le linee verso l'Australia, con capolinea a Sydney, dove lui era molto stimato per la puntualità e il funzionamento esemplare dei collegamenti, che davano lustro e denaro all'azienda.
S'interessò alla politica, per la quale era molto portato, divenendo sindaco di Sorrento e deputato.
Fu per un periodo presidente del Napoli, agendo però, come sempre, per conto del padre, il quale regnava nell'ombra come "onorario".
Entrò in carica il 17 dicembre 1966, subentrando a Fiore e fu subito chiaro e accattivante con i giocatori, toccandoli in quello che hanno di più caro: il portafoglio."Premi e stipendi saranno sempre garantiti, nessuna preoccupazione economica".
Accompagnava spesso i calciatori nelle trasferte e nel dopo partita li appestava benevolmente negli spogliatoi con i suoi inseparabili super sigari cubani, giunti in Italia espressamente per lui, attraverso il fornitore personale del barbuto leader maximo: Fidel Castro.
Era solito regalare ai più bravi orologi ultrapiatti, che amava sfoggiare anche due alla volta e per i quali aveva una grande predilezione.
Legherà il suo nome ad acquisti importanti, come quello di Dino Zoff ed a prestigiosi risultati come il secondo posto assoluto, un traguardo mai raggiunto prima.
Si comportò come un presidente patriarca, che teneva in gran conto il fattore umano e grande fu il rimpianto, quando un male incurabile lo strappò prematuramente alla vita.
La sua amarezza, che confidava ai suoi più stretti collaboratori, era di non aver potuto regalare ai tifosi lo scudetto tanto agognato.
Fu per anni l'animatore degli Incontri internazionali del cinema di Sorrento, una passerella di divi da fare invidia a Cannes o Venezia, un tocco di mondanità di cui ancora si favoleggia in costiera.
Purtroppo, per ansia di rivincita, cercò di fare affari per conto suo, in settori in cui non era esperto e, caduto in mano a truffatori senza scrupoli e ad usurai, si coprì di debiti, che crescevano a velocità esponenziale.
Lauro, quando seppe dell'enorme buco finanziario accumulato dal figlio, andò su tutte le furie e non volle più rivederlo. Risolse la penosa questione alla sua maniera: rendendo il figlio nullatenente in ventiquattro ore ed affrontando i creditori, senza paura, anzi minacciando di denunciarli se avessero continuato nelle loro richieste estorsive.
Fu però di parola ed anche quando Gioacchino fu costretto per mesi in clinica divorato dal cancro, non volle fargli visita. L'ultima volta che lo vide fu nella cappella di famiglia per la messa funebre.
Il Comandante rimase scosso da questa tragedia e, oramai avanti negli anni, decise, anche per mitigare i suoi sensi di colpa, di farsi sostituire dal figlio Ercole in molte attività aziendali.
L'"ingegnere", com'era chiamato negli ambienti della flotta, si è interessato a lungo della sede di Genova, nodo cruciale dei traffici marittimi, perché è proprio nella città ligure che si prendevano le decisioni più importanti in campo armatoriale.
Sue sono state pure alcune iniziative rivoluzionarie, come quella di utilizzare, oltre al naviglio di proprietà, mezzi noleggiati per un periodo più o meno lungo, procurando lauti guadagni, grazie all'abilità più rara nell'imprenditore: accaparrarsi i noli prima del possesso delle navi.
La funzione di "supplenza" cominciò già negli anni in cui il padre dedicava alla sua carica di sindaco molto tempo e le migliori energie; ma l'ultima firma sotto i contratti era sempre quella dell'augusto genitore, oppure quella di Manfellotto, il suo fedele alter ego.
Ercole cercò di crearsi uno spazio personale fondando la Span, una società per la navigazione nel golfo, ma trovò l'invalicabile ostruzionismo della famiglia e fu costretto a rinunciarvi.
Nell'affare... delle due superpetroliere "Volere" e "Coraggio", sulle quali si è scritto tanto a sproposito, adducendo al loro incauto acquisto il fallimento della flotta, l'ingegnere, nel corso di un'esclusiva intervista ("Den", dicembre 2002), ci ha spiegato alcuni dettagli che gettano nuova luce chiarificatrice sulla vicenda.
La costruzione delle navi era stata decisa, dopo essersi assicurati preventivamente il loro noleggio per 15 anni alla Montedison. Pertanto si sarebbero potute tranquillamente pagare le rate del mutuo con i soldi del fitto.
Il prezzo di acquisto era naturalmente in dollari e sfortunatamente la moneta americana, dopo decenni di stabilità, cominciò a fare le bizze, salendo da un cambio a 600 lire fino ad oltre 1400. Per prudenza nel contratto era stata sottoscritta una clausola, che dava all'acquirente la facoltà di mutare il debito in lire. Bastava servirsi di questa possibilità e sarebbe stato un vero affare!
Ercole tentò di spiegarlo al padre, ma incontrò un muro di gomma ed anche una gragnola d'insulti.
Il debito rimase in dollari e fu l'inizio della fine!
Il rammarico dell'ingegnere è legato a questo episodio.
Un'altra delusione fu quando, nel 1977, sfumò, per il carattere scontroso del Comandante, la possibilità di un gemellaggio tra il "Roma" ed il "Giornale nuovo "di Montanelli.
L'ingegnere aveva cercato di favorire il "matrimonio" delle due testate, perché riteneva d'importanza fondamentale la proprietà di un organo di stampa diffuso ed autorevole. Ed una firma di indiscusso prestigio, come quella del focoso toscano, poteva infondere quel giusto lievito necessario a far fermentare nuovi entusiasmi.
Purtroppo l'incontro di due personalità "forti" fece naufragare l'accordo per un'inezia, gettando Ercole nella costernazione.
Egli ci ha confidato di "aspettare un giornalista o uno scrittore coraggioso, che sappia raccontare le malversazioni, gli imbrogli e le congiure compiute ai danni della flotta Lauro, non solo, ma di Napoli e del Mezzogiorno da politici e fameliche congreghe di affaristi senza scrupoli. E che sia in grado di documentare che la parte preponderante di licenze edilizie dell'epoca, non fu rilasciata da mio padre, bensì dai vari commissari prefettizi, mandati periodicamente da Roma per punire i successi del Partito monarchico".
L'idea di questo libro è nata dopo tale intervista!
L'alter ego del Comandante è stato per una vita Umberto Manfellotto, che godeva della sua fiducia cieca e incondizionata, oltre ad essere l'unico abilitato a firmare in sua vece. Un privilegio di cui gli stessi figli non hanno mai goduto.
Entrato da ragazzo come dattilografo, grazie al suo maniacale attaccamento al lavoro, considerato alla pari di una missione, aveva scalato tutti i gradini della carriera, fino a giungere alla destra del suo dio, del quale scrutava attentamente l'umore onde scegliere il momento più adatto per riferire una cattiva notizia o prendere una decisione capitale. Per lui la flotta era come una cometa, spinta e trascinata dalla inesauribile energia del Comandante e seguita da una coda enormemente meno luminosa, costituita da "tutti gli altri".
Era sempre al fianco di Lauro, anche se ciò rappresentava a volte un pericolo... e quando il Comandante guidava le sue potenti automobili a grande velocità, come amava fare spesso, il rischio era molto alto.
Achille, a differenza del mitico Totò, che impazziva per le Cadillac e le americane in genere, era rigorosamente autarchico:Lancia di gran lusso o potenti Alfa Romeo.
Nel 1953, uscendo dalla sede della flotta ed imboccando via De Pretis da via Flavio Gioia, la Flaminia, nuova di zecca ,con a bordo il nostro eroe ed Umberto,viene presa in pieno da un tram che la taglia letteralmente in due, sbattendola contro una pompa antincendio di ghisa. Grande paura, ma per Lauro fu solo un contrattempo, mentre per Umberto l'episodio produsse a vita una paura invincibile per le quattro ruote.
Cattolico praticante, ai limiti della bigotteria, aveva accolto come un dono dal cielo i suoi otto figli, con i quali viveva all'ultimo piano del palazzo della flotta, così da potere essere il primo al mattino e l'ultimo alla sera. Accanito lettore, prediligeva il Vangelo, che aveva letto più volte dalla prima all'ultima pagina, il testo che indubbiamente rispondeva più prontamente alle sue ansie di bontà e di carità.
Non ha mai usufruito delle vacanze, perché il lavoro per lui era come una droga. Dedicava la stessa attenzione ad una praticuccia da quattro soldi o al contratto miliardario; un vero e proprio stacanovista in salsa partenopea. Un carattere riservato, ma cordiale col prossimo, casalingo, amante delle gioie della famiglia, ma aperto a tutti quelli bisognosi di un appoggio, di un aiuto, di un gesto di solidarietà. In questa palese contraddizione tra apparenza e verità, tra maschera e volto, era racchiuso il misterioso segreto di Umberto Manfellotto.
Negli anni ha contribuito a rendere autoritaria la gestione dell'impero, blandendo il carattere dittatoriale del suo capo, al cui cospetto ammetteva le persone attraverso un filtro sapiente e ben dosato, che escludeva a volte gli stessi parenti.
Per anni dimostrò grande diplomazia ed equilibrio nel tessere il delicato rapporto con Eliana e donna Angelina,severo censore dei costumi altrui, chiudeva un occhio e mezzo solo con l'amore segreto del suo capo indiscusso,che giustificava perché ben conosceva la sua straripante esuberanza.
Degli otto figli, tre maschi e cinque femmine,solo uno scelse di lavorare nella flotta:l'ingegner Paolo.Tutti gli altri sono diventati affermati professionisti: pediatre, commercialisti, farmaciste, insegnanti ed hanno ereditato l'amore ed il culto per la famiglia, regalando al nonno decine di nipoti, di cui due perpetuano il suo nome.
Egli abbandonò dignitosamente la casa che il Comandante gli aveva dato in comodato perpetuo, appena la flotta cominciò ad affondare. Ed uscì pulita la sua memoria anche nel processo penale che, nel 1987,quattro anni dopo la sua morte, fu aperto con l'accusa di bancarotta fraudolenta contro gli eredi ed i soci di don Achille, di cui Umberto faceva parte con una quota del 5%.Andranno alla sbarra Ercole con la sorella Laura,il nipote Achille Eugenio,Gaetano Fiorentino, Giovanni Cafiero e Paolo Diamante. Alcuni soci, come Fiorentino e Cafiero si erano liberati nei due anni precedenti delle loro quote, ma furono ripescati nella revocatoria fallimentare.
Il processo si concluse con un non luogo a procedere, perché gli imputati riuscirono a dimostrare in maniera inconfutabile che al momento della dichiarazione del crack erano disponibili beni mobili ed immobili sufficienti a soddisfare tutti i creditori. Solo la scriteriata conduzione del fallimento, di cui parleremo in un apposito capitolo, portò alla dilapidazione truffaldina di un patrimonio accumulato in quasi un secolo di lavoro indefesso.
Paolo Manfellotto,ingegnere navale, classe 1935, fu per oltre vent'anni, dal 1961 al 1984, il cervello pulsante ed il motore dell'ufficio tecnico della flotta, prima a Genova per sei anni e poi, dopo la scomparsa dell'ingegner Coppa, dalla tolda dell'ufficio di via Marina.
Di Lauro, l'ingegnere conserva un ricordo meraviglioso, di un uomo duro, sprezzante e dal carattere difficile, il quale però sapeva scegliersi i più stretti collaboratori da tartassare, ma anche, quando meno se lo aspettavano ,da gratificare.
Non bisognava mai ripetergli due volte la stessa proposta e se vi era un diniego, esso era definitivo ed irrevocabile.
Mentre era in ristrutturazione il piroscafo Achille Lauro,l'ingegnere consigliò all'armatore di modificare la prua della nave, rendendola più penetrante.
"Quanti milioni ci vogliono?"
"400 o500".
"Non se ne parla proprio, è una fesseria!
Quando ci fu il varo, un anno dopo,don Achille si ricredette e lo ammise senza orgoglio davanti a numerose persone.
"Avevi ragione tu, quella modifica ci voleva proprio. Prenditi una gratifica come premio di un milione".(All'epoca lo stipendio del capo dell'ufficio tecnico della flotta era di appena centomila lire).
La sua opera di progettista fu preziosa per la flotta, che conobbe una grande espansione durante gli anni della sua direzione tecnica.
Era spesso sballottato ai quattro angoli del globo, dovunque il fiuto infallibile di don Achille subdorava un affare, dall'Olanda all'Irak, dall'America all'Australia.
Difficili e sempre tesi i rapporti con Gioacchino e Ercole, per un misto di rivalità e diffidenza, ma soprattutto perché soltanto il padre, il fedele Umberto,era depositario della firma da apporre sotto i contratti, anche i più prestigiosi.
Raffaele Cafiero ha costituito senza dubbio l'eminenza grigia della famiglia Lauro, alla quale era legato da rapporti di parentela e d'affetto profondo.
Nel dopoguerra aiuta Gioacchino a preparare la difesa del padre, prigioniero politico degli alleati, raccogliendo ogni informazione utile a scagionarlo dall'accusa di connivenza coi fascisti.
In seguito, sarà sempre al fianco di Achille, non solo come socio e legale della flotta, ma come consigliere negli affari più delicati, forse l'unico ad essere ascoltato con attenzione.
Elegante e di belle maniere, possedeva un sottile fascino che non lasciava insensibili le donne ed incuteva rispetto agli uomini.
La sua competenza nel campo dei noli e dei contratti marittimi era fuori discussione e la flotta fu molto debitrice alla sua abilità e dedizione.


Monumento ad Achille Lauro

 

L'ingegnere Gaetano Fiorentino è il socio più importante di Lauro, che lo coinvolge in politica già nel 1948, mentre lui resta alla finestra. Gli telefona a Genova per informarlo che è candidato nel Partito monarchico ed alle sua rimostranze: "Che seccatura!" lo tronca senza ammettere repliche.
In seguito sarà l'ombra del Comandante, sia nell'azienda che in politica, formando quel poderoso tridente, assieme a Cafiero, che costituirà la punta di diamante nella gestione dell'impero economico.
Anche suo figlio Lucio può essere considerato un uomo del Comandante, sempre in prima fila nelle cerimonie pubbliche, dai vari delle navi ai numerosi festeggiamenti,che contraddistinsero l'era laurina.La sua collaborazione fu però prevalentemente indiretta attraverso il padre.
Pippo Dufour (niente a che vedere con le caramelle), genovese, marito di "Checchella" fu anche lui tra i dirigenti della flotta. Carattere schivo, di poche parole, non entrò però in sintonia con il vulcanico suocero e non fu mai tra i collaboratori più vicini alla stanza delle decisioni.
Andrea Torino fonda con Achille Lauro nel 1976 Canale 21, la prima televisione privata europea, un primato poco conosciuto, raggiunto con tenacia, superando gli ostacoli frapposti dal Ministero delle poste, competente in materia, il quale non gradiva che un potente mezzo di pressione e di propaganda potesse essere gestito da un avversario politico.
Lauro in precedenza aveva cominciato anche a sviluppare una tecnica rivoluzionaria di trasmissione via cavo, che anticipava di trent'anni l'esperienza della pay-tv, un precursore di un mass media oggi di grande successo, che dilata la libertà di espressione sempre in pericolo. In questa esperienza egli fece tesoro dei competenti consigli di Andrea Torino, un antesignano del settore.
Torino fu parimenti presidente della squadra del Sorrento, a cui dedicò tutta la sua vita. Egli rappresentava un sicuro riferimento per tutte le vicende calcistiche, che costituivano una passionaccia, ma anche un importante mezzo di propaganda elettorale per don Achille.
Antonio Limoncelli, pure lui parente per un intreccio di matrimoni, fu uno dei pochi collaboratori di cui Lauro si fidava ciecamente.
Assessore "di carriera", oltre a coniare slogan famosi: "Torneranno i tempi belli se votate Limoncelli", era l'organizzatore impeccabile di memorabili Piedigrotte, che duravano fino a quindici giorni. Durante la festa, al passaggio dei mastodontici carri allegorici, era permesso un po' di tutto: urlare, sbracciarsi, calare coppoloni in testa a tipi "soggetti", esercitare vigorosamente la mano morta su sederi di tutte le età, pur senza trascurare eventuali seni generosamente esposti, dimenticando in tal modo le angustie quotidiane. L'antico spirito greco della festa, nata tra venerazioni priapiche e sfrenate danze liberatorie, sembrava rivivere nel popolo festoso, esaltando lo spirito trasgressivo e godereccio dei napoletani.
Il calendario delle manifestazioni, ad uso dei forestieri, ma progettato per i gusti degli indigeni, andava da aprile ad ottobre, costringendo pure i rinomati miracoli di San Gennaro ad entrare nel calendario dei festeggiamenti.
Riesumava, inoltre, antiche feste popolari, da quella del Monacone a quella della Madonna del Carmine.
Il tutto sempre allietato da fuochi d'artificio, balli e canti.
Paolo Diamante è stato un collaboratore importante della flotta ed anche lui, in maniera rocambolesca, imparentato con la famiglia. Egli si assunse infatti la paternità "putativa" di Achillino, figlio naturale di Gioacchino, sposando la madre del ragazzo: Virginia Facincani, la bellissima ex-miss Perugia.
Il loro matrimonio sorprese un po' tutti, perché Diamante era poco simpatico e non propriamente bello; alto tanto da dover utilizzare scarpe con tacchi incorporati.
Negli uffici della flotta cercava di ritagliarsi un ruolo di protagonista, andandogli stretto quello di semplice, anche se stimato, consulente.
Per raggiungere tale scopo, cercava in tutti i modi di mettere in cattiva luce gli altri collaboratori del Comandante, compresi i figli. Per essi amava sottolinearne i difetti, oscurandone i meriti, assecondando l'ingenua convinzione del suo Capo di essere stato tradito dalla sorte, perché, come andava lamentandosi continuamente: "Da uno come me e da una santa come Angelina dovevano nascere dei figli eccezionali!".
Questa sua tecnica cesariana di dividere gli altri per primeggiare lui, gli procurò tante antipatie da rendergli difficile il suo stesso lavoro, che portò avanti imperterrito ben oltre la morte di Lauro, cercando un ruolo nella gestione del fallimento della flotta.
Importante fu il suo ruolo svolto a Genova, nei primi anni Sessanta, nella difficile trattativa legale che si venne a creare con i cantieri ai quali erano stati ordinati due piroscafi di prestigio: l'Achille e l'Angelina Lauro, due colossi che avrebbero dovuto solcare impettiti gli oceani dando lustro alla flotta.
Gli accordi prevedevano una spesa record di 29 miliardi per nave, il 60% a carico dell'Imi ed il 40% a carico del Comandante ,da liquidare in 24 rate ad avanzamento dei lavori in un periodo di circa due anni.
Achille si era reso conto in ritardo che il prezzo pattuito era troppo alto, ma non sapeva come uscire dall'affare. Fortunatamente,dopo il pagamento di solo due rate,mentre si era ancora nella fase progettuale e si erano acquistati solo i materiali, l'Imi non pagò la sua rata ed i costruttori ritennero rescisso il contratto. L'istituto preferì pagare la sua salata penale, mentre il furbo don Achille,ben consigliato dal suo staff legale riuscì, con un colpo magistrale, ad annullare ogni sua spettanza, in cambio dell'ordinazione di otto,ben più remunerative ,navi commerciali.
In seguito acquistò due piroscafi dalla Regina d'Olanda, che rimise completamente a nuovo. Nacquero così l'Achille e l'Angelina Lauro, ammiraglie della flotta, con una spesa inferiore alla metà di quanto si sarebbe dovuto spendere ed in soli 15 mesi.


Achille Lauro con il figlio Gioacchino ed Andrea Torino

Giovanni Gatti era un medico, nipote acquisito. Fu comandato da zio Achille ad occuparsi dell'azienda, abbandonando sul nascere la professione, a cui tanto teneva e che aveva cominciato, esercitando con entusiasmo il ruolo, allora di moda, di medico della mutua.
E Gatti si mosse al "capezzale" dei giornali, con uguale abilità, diventando amministratore di tre testate. Egli seppe gestire con diplomazia i non sempre facili rapporti con i giornalisti e le maestranze, che per abitudine inveterata ereditavano il posto di lavoro di generazione in generazione.
Inoltre, durante i continui periodi elettorali era lo scriba di fiducia del grande capo. Egli preparava decine di discorsi, uno adatto per ogni occasione; ad essi Lauro dava soltanto il piglio della battuta o l'aggiunta folcloristica, quando, percependo il polso del pubblico, lo riteneva opportuno.
Il variegato mondo del giornalismo, che è ruotato intorno a Lauro, proprietario di numerosi quotidiani, è stato visto sempre con occhio sospettoso, anche perché, sul lavoro, Achille non si reputava secondo a nessuno e prendeva con autorità ogni decisione, mentre sul versante culturale, conoscendo le sue debolezze, spesso si sentiva a disagio.
Al suo fianco ha avuto grandi direttori: Alberto Giovannini, che lo ha difeso a spada tratta in memorabili articoli e che Lauro tradì senza preavviso, perché costretto da Almirante ad assumere Piero Buscaroli, raffinato giornalista che condusse per breve tempo il "Roma" con piglio ed autorità.
In precedenza vi era stata la direzione di Pietro Zullino, autore dell'unica biografia sul Comandante.
Egli fu imposto da Fanfani, pare in occasione dell'"affare" delle due superpetroliere.Per inciso in quegli anni la figlia del "cavallo di razza",la signora Marina, rivestiva, con un lautissimo stipendio, la carica di responsabile della flotta Lauro nella sede di Londra.
E trovandoci in argomento, a proposito dell'acquisto delle due gigantesse del mare, la "Volere" e la "Coraggio", abbiamo raccolto, da persone a conoscenza dei fatti, più di una versione che, se riferita, darebbe lavoro alla magistratura ( gli episodi infatti non sono ancora andati in prescrizione).Purtroppo tutti gli autorevoli confidenti ci hanno raccomandato caldamente il più rigoroso anonimato,per cui, non potendo citare la fonte,non ne riferiamo alcuna.Rimane per il momento un capitolo oscuro della nostra storia recente, nella quale sono implicati personaggi e forze economiche ancora potenti e ben riciclate nella seconda repubblica.
Il rapporto del giornalista con Lauro fu sempre difficile, sin dal primo incontro, che ebbe luogo, come abbiamo visto con altri personaggi, in luoghi poco idonei. La presentazione avvenne infatti nel bagno della villa del Comandante e la meraviglia fu reciproca: Lauro si sorprese che l'interlocutore, tanto decantatogli, fosse poco più che un guaglione, Zullino, di converso, che il suo mitico futuro datore di lavoro lo ricevesse alla stregua di un redivivo Luigi XIV, nel bel mentre della soddisfazione delle più elementari esigenze fisiologiche.
Il matrimonio fu però fruttuoso, pur rimanendo ambiguo. Tutti i cronisti ricordano che non fu mai chiamato per nome dal grande capo, il quale aveva coniato per lui una spiritosa espressione: "Chillecabarba".
Lauro riusciva più facilmente a creare un feeling con i redattori che con i vertici, mentre è notorio che con le maestranze aveva rapporti di grande familiarità, per l'usanza di assumere i dipendenti di padre in figlio, creando così i presupposti di una grande famiglia in cui tutti andassero d'accordo.
Tale atmosfera idilliaca sfumò soltanto negli ultimi anni di vita del"Roma", quando le difficoltà economiche fecero da propellente a tutta una serie di rivendicazioni sindacali. Avvocati radicali e pretori d'assalto fecero il resto, dando il colpo di grazia alle dissestate finanze, fino alla triste chiusura della gloriosa testata.
Tra i numerosi giornalisti che lavoravano per lui, egli ne sceglieva ogni tanto qualcuno, che lo colpiva per doti di carattere o intelligenza e lo nominava suo pupillo.
Così capitò ad Antonio Pugliese, alla cui penna si deve il suo libro: "La mia vita, la mia battaglia", tradotto in italiano dal racconto in vernacolo del protagonista.
Oppure Antonio Scotti, che licenziò, in uno scatto d'ira, senza averlo mai assunto, e che poi, avendone apprezzato le qualità e la fedeltà, divenne il suo consigliere di fiducia per tutte le vicende del Napoli.
L'episodio è emblematico e vale la pena raccontarlo: era un ferragosto mozzafiato e Lauro, recatosi in redazione, non trovò nessuno. S'imbufalì e minacciò di licenziare tutti in tronco, perché nel momento del bisogno (doveva replicare ad una provocazione di Onesti, presidente del Coni), non vi era uno straccio di cronista a cui affidarsi. Fu rintracciato tra mille difficoltà Antonio Scotti, l'unico che aveva lasciato un recapito telefonico, che si precipitò a Napoli in lambretta dalla costiera.
Egli dovette affrontare da solo, a nome dei colleghi, la furia devastatrice del Comandante, il quale come prima cosa lo licenziò, ma, dopo aver saputo che da anni lavorava senza stipendio, soltanto con un misero rimborso spese, lo mise alla prova dandogli l'incarico di redigere l'importante articolo. Il risultato fu brillante e don Achille rimase così contento, da assumerlo in pianta stabile e con uno stipendio più alto di quello previsto dai contratti sindacali.
Anche tra le persone più semplici Lauro ebbe persone di assoluta fiducia, come ad esempio Gennaro" acqu'e mare", motoscafista, da sempre al servizio nella sua flotta.Settantuno anni, portati con la disinvoltura del cinquantenne ben carrozzato, Gennaro è un fiume in piena di aneddoti sul Comandante , dei quali ci fa partecipi, mentre, con tecnica e rara abilità, libera dalle squame delle pezzogne appena pescate .
Gli accompagnamenti di Eliana, che amava prendere il sole e fare il bagno in calette appartate; la brutta avventura a bordo dell'ammiraglia "Achille Lauro", dirottata dai terroristi ,ai quali coraggiosamente aveva cercato di opporsi,la più completa disponibilità a qualunque ora del giorno e della notte. E prima di don Achille un principale non meno importante, anche se per poco tempo: il celebre scrittore americano Ernest Hemingway
Pochi cenni ai politici che furono al fianco di Lauro nella sua carriera, tra i quali, non si può dimenticare Covelli, anche se molte furono le incomprensioni ed i rapporti fra i due furono frequentemente difficili.
Il professore avellinese era un politico di razza e le sue decisioni, prudenti e ponderate, facevano da freno al carattere irruente e decisionista del Comandante.
Foschini fu a lungo l'ombra operativa di Lauro nei lavori della giunta comunale, a volte come suo vice. Fu tra i primi a tradirlo, diventando prima indipendente e poi facendo da ispiratore alla masnada dei "sette puttani".
Di Sansanelli si servì, nominandolo suo successore, quando, nel 1958, si avvicinava la tempesta dello scioglimento d'autorità della giunta da parte del governo.
Ed infine vogliamo ricordare un personaggio di cui nessuno più ha memoria: Gaetano Rizzo Nervo, l'impeccabile organizzatore della mitica spedizione in Sardegna per le elezioni regionali del 1957.
Il rapporto autoritario che Lauro ebbe sempre coi suoi collaboratori fu alla fine il motivo principale del crollo del suo impero.
Venute meno le forze per l'età avanzatissima, il Comandante, privo di un vero staff di manager al passo con i tempi, non fu più in grado di navigare nel mare procelloso dell'economia, di prendere le decisioni, di capire che la situazione era cambiata.
E fu la fine, l'azienda che non aveva un futuro, all'improvviso si trovò anche senza un presente, risucchiata nel vortice di un fallimento, la cui gestione criminosa urla vendetta.

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