Roberto A. Monti
TEORIA DELLA RELATIVITÀ:
UN'ANALISI CRITICA

 

[a cura di Nereo Villa]

Fonte: r-a-monti-theory-of-relativity-a-critical-analysis.pdf

Traduzione in italiano di Monica Mandorli

Presentazione di Nereo Villa

Credo che il modo migliore per presentare questo studio di Roberto Monti sia la lettura della Conferenza di Rudolf Steiner sulla relatività, perché è solo grazie alla vera scienza, cioè alla scienza poggiante su logica di realtà (scienza dello spirito, antroposofia) che ho potuto accogliere con grande entusiasmo gli scritti di MONTI, di Umberto BARTOCCI, di Marco MAMONE CAPRIA e di tutti i veri e coraggiosi scienziati che hanno incominciato a mostrare come la teoria di Einstein sia, più che una scienza, una novella fede nella CONVENZIONE ASSOLUTIZZATA, che per definizione è l'opposto del nuovo, e che pertanto ha bloccato del tutto lo sviluppo della Fisica, della Matematica e di ogni altra scienza formalizzata in schemi e formule meramente astratte. Buona lettura.

Castell'Arquato, 16 ottobre 2007

Sintesi

La teoria della relatività di Einstein è dimostrata essere una teoria fisica di limitata validità sperimentale. Dodici diversi esperimenti sembrano smentire i suoi due postulati.
 

Parole chiave
teoria della relatività, cosmologia, conducibilità elettrica dell'etere, fondo radiazioni, redshift extragalattici, misurazioni elettromagnetiche della velocità della luce, misurazioni a senso unico della velocità della luce, misurazioni cinematiche della velocità della luce, esperimenti interferometrici.
 

1. PREMESSE
Insufficienze e lacune nella premessa di Einstein al suo "Sulla elettrodinamica dei corpi in movimento" del 1905 (1), sono state sottolineate da diversi autori (2). Un caso in cui l'elettrodinamica di Maxwell dà risultati diversi, che può essere sperimentalmente testato come tale è stato recentemente sottolineato da Bartocci e Mamone Capria (3).

 

Inoltre, le misurazioni della radiazione anisotropica di fondo oggi permettono di rilevare tramite mezzi elettromagnetici il moto terrestre relativo alla radiazione di fondo, (4), che può essere considerato almeno stazionario all'interno del "corpo nero" costituito dall'etere, "certamente il più esteso e probabilmente il più omogeneo corpo conosciuto" (5, 6). È tuttavia esattamente al livello di base dei postulati che evidenze sperimentali sembrano confutare la teoria della relatività di Einstein.

2. PRIMO POSTULATO DI EINSTEIN
Il primo postulato di Einstein della relatività afferma che: "le stesse leggi dell'Elettrodinamica e dell'Ottica dovrebbero applicarsi anche a tutti i sistemi di coordinate per cui sono valide le equazioni della meccanica [...]. Desideriamo elevare questa presunzione (il cui contenuto sarà noto come il Principio della Relatività) all'assunzione fondamentale (della nostra Teoria) [...]. L'introduzione di un etere luminoso si rivelerà superflua [...] come sarà l'introduzione di uno spazio assolutamente a riposo dotato di speciali proprietà (1).


Come conseguenza di questo primo postulato, l'equazione dell'onda elettromagnetica  "nel vuoto " è stata (de)scritta come segue (1):
 

(1/c²)(δ²F/δt²) = Δ²F; F ≡ E, H,

 

dove Δ² è l'operatore di Laplace, "E" è l'intensità del campo elettrico in volt per metro, "H" è l'intensità del campo magnetico in ampere per metro, "c" è la velocità della luce nell'etere (vuoto) in metri al secondo, e "t" è il tempo in secondi.


Eppure, secondo Maxwell, "[...] tutte queste teorie portano alla concezione di un mezzo in cui la propagazione avviene con dispersione trascurabile di energia" (5, 6) così nell'equazione di onda elettromagnetica

ε0μ0(δ²F/δt²) + σ0μ0(δ²F/δt) = Δ²F                                    (1)

dove ε0 è la permettività elettrica dell'etere in farads per metro; μ0 è la permeabilità magnetica dell'etere in henrys per metro; σ0 è la conduttività elettrica dell'etere in (ohm meter)-1; il termine σ0μ0(δ²F/δt) può essere considerato trascurabile e l'equazione d'onda diventa (5, 7) σ0μ0(δ²F/δt²) = Δ²F. Di conseguenza, il postulato di Einstein è caratterizzato da due presupposti precisi che sono in contraddizione con l'elettrodinamica di Maxwell:

1. Mentre, secondo la teoria di Maxwell, la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche è una funzione di due proprietà definite e misurabili del mezzo [il corsivo è mio - ndc] in cui si svolge la propagazione, vale a dire, permettività elettrica ε0, e permeabilità magnetica μ0, e abbiamo quindi (5) c = 1/(ε0μ0)½ secondo la teoria Einstein il mezzo "non esce" e quindi non può "essere dotato di proprietà speciali" (1).

Di conseguenza, la velocità delle onde elettromagnetiche è definita come segue (1): c = la lunghezza del percorso di luce/durata del tempo.

2. Mentre, secondo la teoria di Maxwell, "la propagazione avviene con dispersione trascurabile di energia" (6) almeno per le distanze dell'ordine di quelle del nostro sistema solare, di modo che il termine σ0μ0(δ²F/δt) può essere considerato come trascurabile, la teoria di Einstein non considera affatto l'ipotesi dell'esistenza di una conduttività elettrica dell'etere: σ0 ≠ 0
Di conseguenza, il valore numerico di questa "proprietà fisica inesistente" nella teoria di Einstein è σ0 = 0 e corrispondentemente la rigidità dielettrica dell'etere RD - il gradiente massimo potenziale che può esistere in un dielettrico senza la creazione di uno scarico (8) - è infinito: RD = ∞.

Ora, la contraddizione tra il fatto che la velocità elettromagnetica della luce c = 1/(ε0μ0)½, che è stato oggetto di circa 50 anni di misure sperimentali prima del 1905 (9), si ottiene dalle misure di due proprietà fisiche definite del etere, σ0 e μ0, e la dichiarazione di Einstein che "l'etere non esiste e di conseguenza non può essere dotato di proprietà speciali" (1) è stato evitato puramente e semplicemente omettendo di definire c in termini di σ0μ0. [la forma grammaticale inglese di Roberto Monti in questa frase non mi sembra precisa, e credo volesse intendere quanto segue: «la dichiarazione di Einstein che "l'etere non esiste e di conseguenza non può essere dotato di proprietà speciali" (1) implica che l'etere sia stato da lui evitato, cioè "rimosso", puramente e semplicemente omettendo di definire c in termini di σ0μ0» - ndc]
 

Entrambe le ipotesi implicite nel secondo presupposto, invece, risultano sperimentalmente infondate.

 

 

3. CONDUCIBILITÀ ELETTRICA E RIGIDITÀ DIELECTRICA DELL'ETERE
I termini del problema sono i seguenti: il fondamentale significato fisico del terzo principio della meccanica (principio di azione e reazione) può essere riassunto come segue. Nell'universo, come lo conosciamo, non esistono sistemi isolati; in altre parole, ogni sistema fisico interagisce sempre con qualche altro sistema secondo il principio di azione e reazione.


L'effetto dell'interazione dell'onda elettromagnetica con il mezzo in cui si propaga è rappresentato, nell'equazione d'onda, dal "termine di smorzamento" σ0μ0(δ²F/δt). Si noti che un termine di smorzamento viene sempre introdotto in qualsiasi equazione di propagazione o nell'equazione del campo di forza, in conseguenza del riconoscimento del fatto che in natura non esistono sistemi isolati, e per evitare i paradossi di Olbers (la divergenza dell'integrale di Gauss per un flusso di forza come per il flusso di luminosità) (10, 11).


Per esempio, il paradosso analogo di Olbers per il campo gravitazionale era stato già risolto da Laplace introducendo un coefficiente di smorzamento nel potenziale gravitazionale di Newton (11). L'idea di Laplace è stata ripresa da Nernst (12, 13) ed è stata estesa da Yukawa a forti interazioni (14).

 
Supporre che σ0 = 0, RD = ∞, significa invece avanzare l'ipotesi che ogni onda elettromagnetica sia un sistema isolato e che possa propagarsi all'infinito senza perdere energia, dunque in questo senso un esempio di "moto perpetuo" .


Il problema dell'esistenza di una conducibilità elettrica dell'etere era stato affrontato in maniera indiscutibilmente superficiale da Thomson (15) nel 1888. Sulla base di risultati sperimentali poco più che preliminari e certamente insufficienti, Thomson ha concluso che :
 

"Questi esperimenti mostrano che dopo essere stato superato un certo esaurimento, la difficoltà di ottenere una scarica per passare attraverso un tubo altamente esaurito aumenta aumentando l'esaurimento. Questo risultato è in diretta opposizione ad una teoria che ha trovato il favore di alcuni fisici, vale a dire che un vuoto è un conduttore di elettricità [...]. Numerosi altri esperimenti di tipo molto diverso indicano la conclusione che un vuoto non sia un conduttore [...]. Ancora una volta, se accettiamo la teoria elettromagnetica della luce di Maxwell, un vuoto non può essere un conduttore o sarebbe opaco e non dovremmo ricevere alcuna luce dal Sole o dalle stelle" (16).

Thomson non considera che secondo le evidenze sperimentali indicate da Maxwell (5), "la vera corrente elettrica da cui dipendono i fenomeni elettromagnetici non è la stessa della corrente di conduzione, ma deve essere presa in considerazione la variazione dello spostamento elettrico per valutare il movimento totale di energia elettrica". Infatti, è ben noto che "qualcosa" molto più veloce di un flusso di elettroni (molto più veloce rispetto alla "corrente di conduzione") vada da un polo di un circuito elettrico all'altro. La velocità di migrazione di portatori di carica in un filo di rame, per esempio, è di circa 100 cm/s.


Le misurazioni del velocità della corrente elettrica fatta da Pouillet (17) nel 1837 hanno dimostrato che questa velocità sia molto più veloce della velocità della luce, un risultato recentemente confermato da Milnes (18).

 
Ancora una volta per esempio, a mio parere, la corrente di conduzione non è presente in un superconduttore perché la supercorrente può muoversi liberamente in esso per centomila anni e gli elettroni possono evitare la dissipazione energetica dell'effetto Joule solo se non si muovono attraverso il circuito (questo può essere il motivo per cui buoni superconduttori ad alta temperatura siano scarsi (o poveri) conduttori di corrente di conduzione).


La corrente di conduzione, in questa ipotesi, è un possibile effetto parassita del passaggio di uno spostamento di corrente in un mezzo qualsiasi. In altre parole, una supercorrente è un po' come una brezza primaverile che crea un fruscio di foglie, mentre una "normale" corrente (di conduzione) elettrica assomiglia ad una tempesta che priva l'albero atomico dei suoi elettroni e li porta nella sua scia. Intensità a parte, tuttavia il vento è sempre la corrente di spostamento (19).

 
Questa non è certamente una "teoria completa" della superconduttività ad alta temperatura, ma queste ipotesi non sono contraddette da alcun fatto sperimentale.


Dal 1911 (20) è noto che in condizioni peculiari questo effetto parassita possa fermarsi. In queste condizioni la corrente di spostamento non cambia rapidamente in calore (effetto Joule) mettendo in moto gli elettroni, ma può funzionare liberamente per molto tempo attraverso il circuito superconduttore.
 

La corrente di spostamento viene trasmessa dal reticolo superconduttore e perde la sua energia iniziale molto lentamente, con un tempo di rilassamento simile a quello di un'onda elettromagnetica attraverso l'etere (19).


La densità della corrente elettrica di un'onda elettromagnetica nell'etere è data da (21)

 

 

J = ε0(δ²F/δt) + δP/dt,

 

 

dove ε0(δ²F/δt) è la densità della corrente di spostamento, e δP/dt è la densità della corrente di polarizzazione dell'etere.


Entrambe queste correnti, in conformità col principio di azione e reazione, causano uno smorzamento energia molto piccolo, ma non nullo, perché in natura un "perfetto mezzo elastico" non esiste. Questo significa che la serie continua di azioni e reazioni tra etere e campi elettromagnetici (onde) provoca uno smorzamento dell'energia elettromagnetica delle onde (EM) (il movimento delle onde EM non è un moto perpetuo). Il paradosso di Olbers non è più un paradosso, perché può essere spiegato introducendo la conducibilità elettrica dell'etere.


Ma c'è ancora un effetto che mi piace chiamare "l'effetto Olbers", costituito dal fatto che di notte "il cielo è illuminato a 2,7 K", cioè non illuminato alle frequenze presunte da Olbers, ma illuminato.

 

 

4. MISURAZIONE DELLA RIGIDITÀ DIELECTRICA DELL'ETERE
Evidenze sperimentali mostrano che l'etere sia certamente un conduttore di correnti di spostamento dell'elettricità, vale a dire che, σ0 è molto piccola ma è diversa da zero e RD non è infinito.
 

Il problema relativo alla misura della rigidità dielettrica dell'etere era stato nuovamente considerato nel 1897 da Trowbridge, che ha trovato una risposta sperimentale in conformità al terzo principio della dinamica:

«Ho studiato la resistenza di sostanze altamente rarefatte a scariche disomogenee e sono giunto alla conclusione che con una sollecitazione elettrica sufficientemente potente, ciò che definiamo un vuoto possa essere suddiviso, e che la scarica disomogenea durante le sue oscillazioni incontri scarsa resistenza.
I miei esperimenti mi portano a concludere che ad un elevata sollecitazione elettrica l'etere si rompa e diventi un buon conduttore... (22) e, di conseguenza, come Olbers ha sottolineato nel 1823, "di notte il cielo è buio"» (23).

Trowbridge non è stato in grado di giungere a queste conclusioni come risposta alle obiezioni di Thomson sulla conducibilità dell'etere e "la luce dal sole o dalle stelle". Tuttavia, egli ha certamente mostrato che RD non è infinito, mentre Olbers aveva già sottolineato l'evidenza sperimentale corretta della conducibilità elettrica dell'etere.

 
L'effetto-Olbers è stato calcolato da Eddington nel 1926 (24) e misurato da Regener nel 1933 (25). I risultati ottenuti sono stati indicati da Nernst nel 1938 (13) e la temperatura della radiazione di fondo è stata misurata di nuovo nel 1965 da Penzias Wilson, che ha confermato i risultati sperimentali di Eddington e di Regener (26).

L'esperimento di Trowbridge non è mai stato ripetuto, ma l'"effetto di decadimento sotto vuoto" oggi è attualmente verificato.
Suggerisco che l'esperimento di Trowbridge debba venir ripetuto (10, 27-31).

 

 

5. SOLUZIONE DELLA "EQUAZIONE COMPLETA" E VALUTAZIONE DI σ0
È ben noto (32) che se σ0 è così piccolo che σ0² può essere trascurato, quale è il nostro caso, allora Eq. (1) ammette soluzioni del tipo
 

ϕ = e-σr g(r - c0t)                                    (2)

 

dove δ = σ0 / 2 (ε0c0) = R0σ0 / 2, r è la distanza tra la sorgente elettromagnetica e l'osservatore, e R0= (μ0ε0)½ = resistenza d'onda dell'etere 376.74 Ω.

 

Abbiamo quindi

 

E = exp(-R0σ0r/2) E0 (r - c0t) ;

 

H = exp(-R0σ0r/2) H0 (r - c0t).

 

La soluzione (3) descrive in modo completamente generale le oscillazioni smorzate dei campi elettrici e magnetici di un'onda elettromagnetica nell'etere.


Come è noto, 1) le oscillazioni smorzate non sono periodiche, e 2) lo pseudo periodo di una oscillazione smorzata dipende dall'ampiezza. Tuttavia, il modo in cui la frequenza varia nel tempo non è deducibile a priori. Per dedurre le leggi di smorzamento delle frequenze è necessaria un'ulteriore informazione, che solo l'esperimento può produrre.

 

Questa informazione è fornita dalla legge dell'effetto fotoelettrico, che dimostra che l'energia di un'onda elettromagnetica è direttamente proporzionale alla sua frequenza. Questo ci permette di mettere in relazione la densità di energia dei campi elettromagnetici di un'onda elettromagnetica alla sua frequenza ν in qualsiasi ipotesi della sua composizione (indipendentemente dal fatto che sia considerato composto da un insieme di fotoni di energia hν).


Fate che W0 = Kν0 sia l'energia iniziale di un'onda EM (di un singolo fotone) e W1 = Kν1 l'energia residua dopo un percorso r. Abbiamo:

 

W1 / W0 = exp (-R0σ0r) = ν1 / ν0; ν1 = ν0 exp (-R0σ0r);
 

 λ1 = λ0 exp (R0σ0r);
 

z = Δλ / λ0 = (λ1 - λ0) / λ0 = [exp (R0σ0r) - 1].


z + 1 = exp (R0σ0r) r = (1 / R0σ0) ln (z + 1).                            (4)

 

Ora, il redshift galattico potrebbe, ovviamente, essere attribuito allo smorzamento delle onde elettromagnetiche emesse dalle varie galassie in movimento casuale all'interno di un universo stazionario in cui una velocità dell'interazione gravitazionale vg >> c0, secondo Laplace (33) permette movimenti localmente coordinati di gruppi e supergruppi di galassie. E la misura del redshift e delle distanze galattiche ci permette di determinare la quantità di σ0. Da queste misure otteniamo (10)

 

σ0 = (2,85 ± 0,15) x 10-29 (Ω ∙ m) -1

                                                                   (5)

(R0σ0 / 2)² 3×10-53.


L'equazione (4) collega la distanza r e il redshift z della radiazione inviata dalle galassie.
 

Il confronto tra la legge lineare relativistica di Hubble e la legge logaritmica che emerge dall'equazione dell'onda elettromagnetica di Maxwell (5, 10) mostra che, in ogni caso, la legge logaritmica si adatta ai dati sperimentali molto meglio della legge lineare (12, 34-37); inoltre, non ha problemi con l'età dell'universo.

 

Il confronto va fatto

- calcolando il flusso assoluto Fb (o la magnitudine assoluta M, definita come la grandezza che la sorgente dovrebbe avere se posta a 10 pc) (38) di qualsiasi sorgente extragalattica, dal suo apparente flusso bolometrico fb (magnitudine apparente m) (38) dalle relazioni

 

fb = Fb / [4πr²(1 + z)],

 
M = m + 5 – 5 log r, r = (1/R0σ0) 1n(1 + z),


- e confrontando i risultati conseguenti a questi rapporti coi risultati del "modello standard" della cosmologia (39).


Per z > ½, ad esempio (vedi figure 1 e 2), la differenza sarà inconfondibile. Tutte le fonti extragalattiche mostreranno un "straordinario flusso assoluto Fb" (una straordinaria magnitudine assoluta M) se non è posizionato alla "distanza giusta", r = (1/R0σ0) ln (1+z), che è molto più piccolo rispetto alla distanza di Hubble in una delle sue versioni secondo le cosmologie relativistiche (10).


L'"effetto energetico" hν0 / hν = 1 + z è considerato a causa dell'esistenza della conducibilità elettrica dell'etere σ0, che riduce l'energia dei fotoni senza influenzare la loro velocità di arrivo (Hubble e Tolman, 1935) (34, 39). L'esistenza di questo "effetto energetico" mostra che, oltre a ε0 e μ0, esiste una terza "proprietà speciale" dell'etere: la conducibilità elettrica σ0.
 

Si noti, inoltre, che l'esistenza del termine σ0μ0 (δF / δt) fa in modo che la "domanda" di invarianza di Lorentz svanisca (10). L'ipotesi di un'espansione dell'universo fu pertanto adottata da Einstein e dai suoi seguaci semplicemente "per salvare la relatività". Ma:

 
1) Un effetto Doppler dovuto all'espansione dà un altro fattore 1 + z nell'Equ. (6) a causa "dell'effetto di numero" (la maggiore lunghezza del percorso dei fotoni provoca una conseguente diminuzione della densità di energia), che aumenta ulteriormente il flusso assoluto "straordinario" Fb (e le magnitudini assolute M), che corrispondono alla legge lineare (34-36, 39).

 

2) L'esistenza di un effetto Doppler è in contraddizione con i postulati della relatività: l'effetto Doppler per le onde sonore esiste perché la velocità del suono è una costante che dipende solo da alcune proprietà fisiche specifiche del mezzo. Senza un mezzo, niente onda sonora e niente effetto Doppler sonoro Doppler (21).


Per analogia, l'effetto Doppler per la luce dipende dal fatto che la velocità della luce è una costante che dipende solo da alcune proprietà fisiche dell'etere: ε0 e μ0. Senza l'etere, nessuna onda EM e nessun effetto Doppler per le onde EM. La relatività può riprodurre formule ben note ottenute dall'elettromagnetismo classico (è sufficiente dichiarare "c è costante"). Ma la vera costante dell'effetto Doppler per la luce è c0 = 1 / (ε0μ0)½, non cM = λν
Relatività afferma che cM ≡ c0 senza prove sperimentali e omette di notare che c0 è definita in termini di ε0 e μ0, due  "proprietà speciali " dell'etere.

Nota: osservazioni di grandezze e di evidenti redshift di quasar e galassie mostrano chiaramente che una "luminosità straordinaria" è associata a questi "oggetti celesti" se si adotta una legge lineare (40).

 

La fig. 2, ad esempio, mostra che quasar, la cui grandezza assoluta media di z = 0.14 è dell'ordine di grandezza di una galassia (38) (M = - 20.64), raggiunge la "grandezza straordinaria" M = - 28 a z=4 (raggiungono anche la "straordinaria velocità di recessione" v = 0.923c0).

 

La Galassia (41) 4C 41.17 (z = 3.8,) se la legge lineare è seguita, è data la "grandezza assoluta straordinaria" M = - 27 (q0 = 0.5, H = 50, M - 23.86, fattore di correzione = + 0.98) e la "velocità di recessione straordinaria" v = 0.917c0.

 

 

Nuovi dati sperimentali riguardanti più di 60 galassie con z>2 saranno presto disponibili (42).

 

Si noti che la grandezza assoluta della Galassia 4C 41.17 è molto vicina a quella di un quasar a z=4.

 

A mio giudizio, queste "luminosità" (e velocità) "straordinarie" sono dovute solo alla "distanza straordinaria" attribuita a questi oggetti secondo la lineare legge relativistica e l'ipotesi dell'universo in espansione (12,13,34).

 

 

6. PRIMO POSTULATO: CONCLUSIONI

Queste tre prove sperimentali sembrano pertanto in contraddizione col primo postulato di relatività einsteiniana:

 

(1) L'esperimento di Trowbridge, che dimostra che la rigidità dielettrica dell'etere non è infinita (22) ("effetto di decadimento del vuoto") (10, 27-31).

 

(2) La realtà dell'effetto Olbers, che non è più un paradosso, e l'esistenza della radiazione di fondo corrispondente alla conduttività elettrica dell'etere (4, 10, 12, 13, 23, 25, 26).

σ0 = (2.85 ± 0.15) x 10-29 (Ω m)-1

 

(3) Confronto tra legge lineare relativistica e legge logaritmica (12, 34-37, 39). Vedi Figure 1 e 2.

 

Figura 1. Il confronto ha calcolato in mezzo distanze (di luminosità)

secondo la legge Hubble e la legge logaritmica deducibile

dalla soluzione dell'equazione di onda elettromagnetica "completa".

 

(A) r = c0z / h (q0 = 1, distanza minore di Hubble (10)

(B) r = (1/R0σ0) 1n (1 + z).

H1 = 50 km/(s Mpc); H2 = 100 km/(s Mpc) ; R0 = 376.74 Ω(7)

σ0 = (2.85 ± 0.15) x 10-29 (Ω·m )-1 ;

1/(R0σ0 ) 3 x 103 Mpc, 1 Mpc = 3.86 x 1021 m (10).

 

Figura 2. Grandezze assolute di galassie e quasar

secondo legge logaritmica L. e legge Hubble 1, 2.

 

 

(1) z = 0.14 ± 0.03; m = 17.33; numero di oggetti (quasar): 135

M = m + 5 - 5 log r = - 20.64 ; r = ( 1/R0 σ0) 1n ( 1 + z )

M1 ( 100 ; 1 ) = m + 5 - 5 log D1 ; D1 = ( c0z )/ 100

M2 ( 50 ; 0.5 ) = m + 5 - 5 log D2 ; D2 = ( 2c0/50 ) [ 1 + z - ( 1 + z )1/2]

M1 = - 20.83; M2 = - 22.41 .

 

(2) z = 0.5 ± 0.02; m = 18.28; numero (quasar): 89

M = - 22.14 ; M1 = - 22.6 ; M2 = - 24.31 .

 

(3) z =1.0 ± 0.03; m = 18.63; numero (quasar): 140

M = - 22.96; M1 = - 23.75; M2 = -25.6 .

 

(4) z = 1.5 ± 0.05; m = 18.88; numero (quasar): 346

M = - 23.31 ; M1 = - 24.39; M2 = - 26.33 .

 

(5) z = 2.0 ± 0.08; m = 19.22; numero (quasar): 539

M = - 23.37 ; M1 = - 24.67; M2 = - 26.69 .

 

(6) z = 2.5 ± 0.1; m = 19.19; numero (quasar): 308

M = - 23.68 ; M1 = - 25.18; M2 = - 27.26 .

 

(7) z = 3.0 ± 0.1; m = 19.21; numero (quasar): 132

M = - 23.88 ; M1 = -25.56; M2 = -27.69 .

 

(8) z = 3.5 ± 0.1; m = 19.45; numero (quasar): 14

M = - 23.82 ; M1 = - 25.66; M2 = - 27.83 .

 

(9) Galaxy: 4C 41.17

z = 3.8; m = 19.5; numero: 1

M = - 23.86; M1 = - 25.78; M2 = - 27.98 .

 

(10) z = 4.0 ± 0.2; m = 19.73; numero (quasar): 13

M = - 23.69 ; M1 = - 25.67; M2 = - 27.87 .

 

(11) Quasar PC 1247 + 3406 (Ref. 43)

z = 4.897 ; m = 19.3; numero: 1

M = - 24.33 ; M1 = - 26.53; M2 = - 28.59 .

 

Velocità di recessione:

 

 

7. Il secondo postulato
Il secondo postulato della relatività di Einstein afferma che

... la luce si propaga nel vuoto con una velocità fissa c, indipendente dalla velocità del corpo emittente... Per definizione... il tempo che la luce impiega per andare da un punto A ad un punto B è uguale al tempo impiegato dalla luce per passare da B ad A... Cerchiamo di stabilire... che la quantità: 2AB / (t'A - tA) = c è una costante universale, la velocità della luce nel vuoto... Nella nostra teoria... la velocità della luce gioca fisicamente il ruolo di una velocità infinita (1).

Ora, come abbiamo visto sopra, secondo Maxwell, la luce si propaga attraverso l'etere ad una "velocità elettromagnetica" c0=1/(ε0μ0)½ che dipende solo dalle proprietà ε0 (permettività elettrica) e μ0 (permettività magnetica) dell'etere e quindi non dipende ovviamente dallo stato di movimento del corpo emittente (5). Di conseguenza, il postulato di Einstein è caratterizzato da tre assunzioni precise, che sono in contraddizione con l'elettrodinamica di Maxwell:
 

(1) Mentre, la "costante universale" della teoria di Maxwell è la "velocità elettromagnetica" c0 = 1 / (ε0μ0)½, secondo il secondo postulato di Einstein, la "costante universale" è la velocità cinematica della luce cM = 2L/ΔT, dove L=AB e ΔT = (t'A - tA). Di conseguenza, Einstein sta formulando l'ipotesi secondo cui c0 ≡ cM.
 

(2) Mentre, secondo la teoria di Maxwell, le due velocità finite c0 e cM giocano fisicamente il ruolo di due velocità finite, secondo le due velocità di Einstein, "identiche per definizione" giocano fisicamente "il ruolo di una velocità infinita" (1).
 

(3) Mentre, secondo la teoria di Maxwell, la velocità cinematica della luce non è una costante ma dipende dai moti attraverso l'etere, secondo il secondo postulato di Einstein la velocità cinematica della luce è una "costante universale" e non dipende dai moti attraverso l'etere.


Per quanto riguarda la prima ipotesi, Einstein ignora definitivamente la distinzione fondamentale tra la velocità cinematica ed elettromagnetica della luce, che tuttavia era stata per mezzo secolo, un campo di ricerca per i fisici (9, 44).
 

Nel 1905 lo stato dei dati sperimentali era il seguente (9):


c0 = (3.001 ± 0,003) × 108 m / s;
cM = (2,998 ± 0,003) × 108 m / s
 

Pertanto, potrebbe esserci spazio per richiedere nuove misurazioni, ma certamente non per stabilire l'identità c0 ≡ cM su base sperimentale.

 

Per quanto riguarda la seconda ipotesi, assumendo "per definizione" che " il tempo che la luce impiega per andare da un punto A ad un punto B è uguale al tempo impiegato dalla luce per passare da B ad A " senza distinguere tra c0 e cM [ciò] porta al paradosso di Einstein c + v = c, c - v = c, da cui c = c (1 - β2), (β = v / c), che ovviamente significa che "c svolge fisicamente il ruolo di una velocità infinita" (1, 2).

 

Per quanto riguarda la terza ipotesi, nel 1904 Michelson aveva già pubblicato il suo progetto sperimentale relativo al rilevamento e alla misurazione degli effetti sulla velocità cinematica della luce dovuta ai moti di rotazione e rivoluzione della Terra attraverso l'etere, il quale è noto oggi come effetto Michelson-Sagnac (45-49). Ma Michelson non riuscì a trovare i fondi necessari per condurre l'esperimento (lo condusse nel 1925) (50).

 
L'effetto fu testato da Sagnac nel 1913 (46), ed i risultati sperimentali di Sagnac smentirono il secondo postulato della relatività speciale. Inoltre, nel 1887 l'esperimento di Michelson-Morley (51) "fu sufficiente a mostrare chiaramente che l'effetto non aveva la grandezza prevista. Tuttavia, e questo fatto deve essere sottolineato, l'effetto indicato non era zero, come richiesto dalla Teoria della Relatività" (52). Questo risultato fu confermato nel 1926 da Miller ("effetto indicato" (52,53): v = 10 ± 0,33 km / s).


Nel 1929 Michelson, Pease e Pearson (54) confermarono ancora una volta che "non si ottenne alcun spostamento dell'ordine previsto, "ma che l'effetto indicato" non era zero. ("Effetto indicato": v ± 20 km / s. L'incertezza non indicata è almeno dello stesso ordine di grandezza dell'incertezza dell'esperimento di Miller).


Nel 1932 Kennedy e Thorndike (55) poterono mostrare ancora una volta, usando una geometria diversa (braccia diseguali), che la velocità cinematica della luce non è costante durante il giorno, così da confutare per la terza volta il secondo postulato della relatività. Ed in questo caso nessun "effetto termico sull'interferometro" potrebbe essere richiesto (56).


Infine, nel 1938 Ives e Stilwell (57) hanno mostrato prove sperimentali delle relazioni
 

λν = λ0ν0 (1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½, ν = ν0 (1 - β²)½,
λ = λ0 (1 - β²)½ / (1 - β² sin² θ)½,


smentendo con un test diretto e positivo il secondo postulato della relatività.
 

Seguono i termini dell'intera questione, che è elementare se correttamente impostata.

 

 

8. MISURE ELETTROMAGNETICHE DELLA VELOCITÀ DELLA LUCE
Come è noto, partendo dalle leggi di Coulomb F = QQ' / kr², mm' / μr², che descrivono quantitativamente le interazioni elettrostatiche e magnetostatiche, sono state definite due diverse unità di misura, chiamate rispettivamente elettrostatica ed elettromagnetica (5, 58).

 

In entrambi questi sistemi di unità le dimensioni della quantità 1/(kμ²)½ sono [LT-1], cioè quella di una velocità che risulta essere una funzione delle proprietà k e quella μ del mezzo che occupa lo spazio tra i corpi che interagiscono elettricamente e magneticamente.

 

Il mezzo che occupa lo "spazio vuoto" è stato chiamato etere, la velocità 1/(kμ²)½ è stata chiamata velocità v, e le "proprietà" k e μ, rispettivamente, elasticità e densità dell'etere.

 

Nel 1856 Weber e Kohlrausch (59) effettuarono la prima misurazione di questa velocità col risultato seguente: v = 3.1074 x 108 m/s (incertezza non indicata).

 

Dal 1864 Maxwell (60) fu in grado di dedurre dalle sue equazioni l'esistenza di "onde elettromagnetiche" con velocità di propagazione v = 1/(kμ²)½. Maxwell confrontò i valori della velocità v con quelli disponibili della velocità cinematica della luce, e dal momento che implicavano misure metodologicamente distinte, egli era sicuro, in base all'accordo sostanziale del loro ordine di grandezza, di far progredire la sua "teoria elettromagnetica di luce":

"È palese che la velocità di luce e il rapporto delle unità siano quantità dello stesso ordine di grandezza. Nessuna di loro si può dire essere ancora determinata con un tale livello di precisione da consentirci di affermare che l'una sia maggiore o minore dell'altra. È auspicabile che, mediante ulteriori esperimenti, la relazione tra le grandezze delle due quantità possa essere determinata con maggiore precisione. Nel frattempo la nostra teoria, che afferma che queste due quantità sono uguali ed assegna una ragione fisica per questa uguaglianza, non è certamente contraddetta dal confronto di questi risultati come sono" (5).

Nei successivi quarant'anni sono state effettuate numerose altre misurazioni elettromagnetiche della velocità v, insieme a numerose misurazioni cinematiche.


Nel 1905, come già detto, la situazione era la seguente:

c0 = (3.001 ± 0,003) x 108 m/s,

cM = (2,998 ± 0,003) x 108 m/s.

Pertanto, potrebbe esserci spazio per richiedere nuove misurazioni, ma certamente non per stabilire l'identità c0 ≡ cM su base sperimentale.


Ma dopo il 1905 non è stata fatta alcuna nuova misurazione sperimentale della velocità elettromagnetica della luce, e nel 1932 queste misurazioni furono abbandonate:

"All'inizio del secolo sembrava improbabile che le [c0 e cM] si trovassero identiche... Michelson ha affermato chiaramente: ...una differenza potrebbe quasi certamente essere prevista... Questo atteggiamento era del tutto generale... Ma questa attitudine [verso c0 e cM] cambiò poco a poco, in gran parte grazie all'influenza di Einstein e delle teorie della relatività, al punto che oggi [1932] molti fisici - probabilmente la grande maggioranza - considerano queste velocità necessariamente identiche... Questo cambiamento non è dovuto all'influenza di risultati sperimentali, dato che questi, lungi dall'essere trascurabili, sono stati completamente lasciati da parte, ma a causa di considerazioni di natura filosofica" (61).

L'invenzione di condensatori calcolabili di Lampard e Thompson nel 1964 (44, 62) rimosse una delle principali difficoltà così che, fino a pochi anni fa, furono impedite nuove misurazioni elettromagnetiche con incertezze decisamente minori di quelle ottenibili a cavallo del secolo (10-3).


In questo momento il problema principale circa questa misurazione sta nel fatto che le misure di induttanza consentono incertezze dell'ordine 10-5. Di conseguenza, in una misura diretta di c0, le tecnologie attuali consentono incertezze dell'ordine 10-5 (44). Il fatto che questa incertezza sia maggiore di quella associata alle attuali misurazioni cinematiche (che è dell'ordine 10-9) ha indotto gli sperimentatori a mettere da parte l'idea di nuove misurazioni della velocità v.


Tuttavia, tenendo conto del fatto che una nuova misurazione elettromagnetica non avrebbe solo un significato numerico, dato che per incertezze dell'ordine 10-5 essa potrebbe dare un'informazione, se non decisiva, utile, e che per le incertezze dell'ordine 10-6 essa sarebbe un test cruciale del secondo postulato della relatività speciale, è necessario, a mio avviso, procedere con nuove determinazioni sperimentali della velocità elettromagnetica della luce c0 (62).

 

 

9. I DUE GRUPPI DI TEST SPERIMENTALI DEL SECONDO POSTULATO DI EINSTEIN SULLA RELATIVITÀ
Nel 1905 il punto cruciale della relatività di Einstein era l'affermazione: "Il tempo che la luce impiega per andare dal punto A al punto B (tempo di andata ∆tF) è uguale al tempo impiegato dalla luce per andare da B ad A (tempo di ritorno ∆tR)" (1) perché i redshifts extragalattici non erano conosciuti (12).

Ora, se ∆tF ≠ ∆tR, abbiamo due differenti gruppi di tests sperimentali sul secondo postulato della relatività: 1°) possiamo ricercare effetti dovuti alla differenza ∆tF - ∆tR, e 2°) possiamo ricercare effetti dovuti alla somma ∆tF + ∆tR.

Seguendo Michelson (1904) (45), Sagnac (1913) (46), e Ives (1938) (63), consideriamo la Fig. 3

 

 

dove P è una piattaforma rotante; S è la superficie della piattaforma; R è il raggio della piattaforma; v = ωR = la velocità di rotazione; s è la sorgente di luce; I è il punto di interferenza; e L = 2πR.

Consideriamo ora due matite luminose, una che viaggia in senso antiorario (∆tF) e l'altra in senso orario (∆tR). Abbiamo ∆tF = L/ (c0 - v ); ∆tR = L/ (c0 + v ). La differenza è

 

∆tF - ∆tR = 2Lv/c0² (1-β²) = 2Lβ/c0(1-β²),

 

e trascurando solo β3 e ordine più alto, ∆T = ∆tF - ∆tR = 2L/βc0 .
 

Il corrispondente shift di fase è L = (c0∆T) / λ = ( 2Lβ) / λ
 

La somma è ∆tF + ∆tR = 2L/c0(1-β²), e trascurando solo i termini β3 e ordine più alto, ∆T = ∆tF + ∆tR = 2L/c0 + 2Lβ²/c0 .

1) Lavorando con la differenza abbiamo conseguentemente la possibilità (prendendo a riferimento la velocità relativa alla radiazione cosmica di background) (4, 44) di ricercare effetti in β = v/c0 400/300 000 1.3 x 10-3 .

2) Lavorando con la somma abbiamo la possibilità di ricercare i più piccoli effetti in β² 1.7 x 10-6 .

Un fisico sperimentale competente, io penso, potrebbe non avere dubbi: è meglio lavorare con la differenza.

Nel caso della Fig. 3, per esempio, abbiamo ∆L = 2 (2πR) v / λc0 = 4ωS/c0λ . Questa relazione è completamente generale, cioè, 1) non dipende dalla forma della superficie S, e 2) non dipende dalla posizione del centro di rotazione (48).

Sfortunatamente il primo test fu eseguito da Michelson, lavorando con la somma, e il risultato dell'esperimento (1887) non ebbe l'ampiezza teorica anticipata dalla teoria dell'etere.

Solo nel 1904 Michelson ebbe la buona idea di lavorare con la differenza, ma non fu capace di finanziare l'esperimento, il quale, come sappiamo, ha un risultato positivo, in accordo con la teoria dell'etere.

Andiamo ora a seguire questi diversi esperimenti.

 

 

10. MISURE CINEMATICHE DELLA VELOCITÀ DELLA LUCE
Poniamo U (XOY) come cornice per cui la velocità elettromagnetica della luce c0 = 1/ (ε0μ0)½ risulta essere uguale alla velocità cinematica della luce cM = 2L /∆T . Questa cornice di riferimento è "assolutamente a riposo" relativamente all'etere.

Poniamo che E (xoy) sia una cornice in movimento riferita con la velocità V = (ωR + v ) (ωR è la velocità di rotazionale e v è la velocità lineare).

Consideriamo in E l'interferometro I di Fig. 4

Consideriamo quindi il seguente caso: ω = 0 ; v ≠ 0,v = const ; S1 ≠ S2 ≠ 0 .
 

Seguendo Kennedy e Thorndike (55), il tempo impiegato dalla luce per attraversare il percorso ottico AB+BA (braccio L1, Fig. 5) è dato dalla somma del tempo di andata

 

∆tF1 = { L1 /c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½ + β cos θ]

(β = v / c0) ,

e del tempo di ritorno,

 

∆tR1 = { L1 /c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½ + β cos θ] .


Abbiamo quindi

 

∆T1 = ∆tF1 + ∆tR1 = { 2L1 /c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½] .

Ora,

∆T1 = 2L1 / cM = { 2L1 / c0(1 - β²) } [(1 - β² sin² θ)½]

cM = c0(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½

e cM = c0 solo se v = 0 .

 

 

 

 

 

Ovviamente, se uno non distingue tra c0 e cM, la relazione fisica

 

cM = c0(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½

 

diventa il "paradosso relativistico" (2)

 

c = c(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½ .


Naturalmente, la prova del movimento terrestre (rotazione, rivoluzione, rotazione attorno al centro galattico, la velocità relativa alla radiazione di background) e la prova fisica che c0 e cM sono entrambe finite (possono essere misurate), sono la prova sperimentale che

 

∆tF1 ≠ ∆tF1 ,

 

contrariamente alla definizione di Einstein.

 

 

Per esempio, nel caso di una velocità "lineare" v ≠ 0, il percorso ottico AB è differente dal percorso ottico BA (AB > BA ) e la luce impiega un tempo

 

dT1 = ∆tF1 - ∆tF1 = [2L1 /c0(1 - β²)] β cos θ ≠ 0


per attraversare il percorso ottico AB - BA ≠ 0 alla velocità finita c0 (se v ≠ 0; θ ≠ π/2, ∆tF1 ≡ ∆tF1 solo se c0 = ; ma in tal caso ∆tF1 = ∆tF1 = 0 e non potremmo misurare la velocità della luce).

Lo "spostamento lineare" ("linear shift") corrispondente alla differenza ∆tF1 - ∆tR1 è ∆L = [2L1/ λ(1 - β²)] β cos θ e, trascurando solo la condizione in β3 e l'ordine superiore, ∆L = (2L1/ λ) β cos θ .

Le due quantità fisiche c0= e cM non possono essere considerate "identiche per definizione teorica" (1). Esse possono, e devono, essere misurate, e ovviamente giocano fisicamente il ruolo di due velocità finite.

Assumendo l'ipotesi che lo stato di movimento del sistema E(xoy) non alteri il valore della permettività elettrica ε0 e la permeabilità magnetica μ0 dell'etere come risultano dalle misurazioni di un osservatore fermo all'inizio e poi in movimento ad una velocità v, emerge che lo stesso osservatore E(xoy) può determinare il suo proprio stato di movimento comparando i risultati delle misurazioni elettromagnetiche e cinematiche della velocità della luce eseguite nella propria cornice di riferimento perché

 

c0 > cM ;

c0 = cM solo se v = 0 .


Per esempio, un osservatore nel 1905 potrebbe certamente aver considerato la possibilità che la Terra "è in movimento ad un'alta velocità", da quando | v | = c0(1 - cM/ c0)1/2, c0 = (3.001 ± 0.003) x 108 m/s > cM = (2.998 ± 0.003) x 108 m/s (44). La misura elettromagnetica della velocità della luce fatta da Rosda e Dorsey nel periodo 1905-1907 fu l'ultima (9).

Suggerisco ancora una volta che nuove misurazioni della velocità elettromagnetica della luce dovrebbero essere eseguite (9, 44, 62), ma voglio sottolineare che la prova sperimentale della misurabilità delle due velocità della luce è la prova sperimentale che esse "hanno fisicamente il ruolo di due velocità finite", e che se v ≠ 0, θ ≠ π/2 un "tempo di andata" è differente da un "tempo di ritorno": ∆t1F ≠ ∆t1R .
 

Le due relazioni

cM = c0(1 - β²) / (1 - β² sin² θ)½

e

L = (2L1/ λ) β cos θ

 

mostrano che cM e la "velocità lineare" ("linear shift") non sono solo una funzione di v, ma anche una funzione di θ.

Conseguentemente, le misurazioni della velocità cinematica della luce e gli effetti fotoelettrici associate agli shifts "lineari" (64-69) dovrebbero mostrare, per esempio, effetti giornalieri e di lungo periodo dovuti ai movimento della Terra.

Per quanto riguarda cM, i giroscopi ottici hanno dimostrato che le onde stazionarie originate al loro interno possono chiudersi sopra l'anello del giroscopio (70).

Tenendo in considerazione il fatto che oggi cM risulta dalla misurazione della lunghezza d'onda e dalla frequenza delle onde statiche lungo un percorso ottico associato a superfici, nulle o quasi, in un sistema con velocità rotazionale nulla in relazione alla Terra, il blocco delle onde stazionarie conta per la stabilità delle attuali misurazioni cinematiche di precisione della velocità della luce (71) che diversamente potrebbe essere una funzione del generale movimento roto-traslatorio della Terra.

In alter parole, mentre fino a pochi anni or sono le misurazioni della velocità cinematica della luce erano fatte usando vari metodi, oggi i metrologi effettuano misurazioni con l'unico metodo che fornisce valori continui; essi hanno scartato tutti i metodi che non forniscono valori continui per cM.


Per fare una comparazione storica, possiamo dire che oggi i fisici non rifiutano di guardare nel "telescopio di Galileo", ma da diversi telescopi essi scelgono "quello sbagliato" che fornisce "risultati nulli".

 

 

11. L'ESPERIMENTO DI MICHELSON E MORLEY

 

 

 




 

Sono richieste molte e diverse misurazioni di precisione per verificare la "stabilità" della "costante universale" di Einstein cM con un "singolo braccio". Ma con "due bracci" è possibile fare una comparazione tra velocità cinematiche in differenti direzioni senza misurazioni di cM. Questo è il significato fisico dell'esperimento di Michelson e Morley.

Nel 1887 Michelson volle verificare il movimento orbitale della Terra relativo all'etere - una velocità rotazionale, considerata come una "velocità praticamente lineare" - tramite i suoi effetti sulla velocità cinematica della luce, dovuti alla lenta rotazione dell'interferometro attorno a questa "velocità lineare", che è come dire che l'apparato di Michelson-Morley lavorò come un giroscopio ottico.

Oggi, le misurazioni anisotrope della radiazione di background permettono di rilevare tramite risorse elettromagnetiche il movimento della Terra relativo alla radiazione di background; "ciò nonostante si muove" (4) e i giroscopi ottici mostrano gli effetti ottici dovuti a una lenta rotazione attorno ad una velocità fissa (70).

Conseguentemente, il fatto che i risultati sperimentali di Michelson-Morley non hanno avuto una rilevanza anticipata (52) non significa ovviamente che sia impossibile rilevare il movimento della Terra rispetto all'etere. Significa solo che nell'apparato di Michelson-Morley qualcosa non va.

È mia opinione che ci siano due possibilità: 1) blocco delle onde stazionarie nell'interferometro e 2) la scelta di un'errata "soluzione teorica" e la corrispondente adozione di un apparato sbagliato. Il reale apparato sperimentale è mostrato nella Fig. 6 e fu diagrammaticamente rappresentato come in Fig. 7.

A causa della difficoltà nel calcolare i percorsi ottici, Lorentz suggerì di rappresentarlo come in Fig. 8 (49, 51).

 

 


 

 

Oggi sappiamo che nell'interferometro le onde stazionarie "preferiscono" avere un nodo sulla superficie dello specchio riflettente, in questo modo esse "bloccano (chiudono)" sullo specchio (70). E noi possiamo vedere che nell'apparto reale di Michelson-Morley abbiamo 16 specchi riflettenti. La "probabilità di blocco (chiusura)" è di conseguenza molto alta.

Il risultato sperimentale di Michelson-Morley non aveva la rilevanza anticipata, ma non era nullo, come supposto da Lotentz e postulato dalla teoria della relatività (52).

La soluzione teorica di Lorentz per lo shift di frangia adottato da Michelson fu (∆Tθ1 = ∆tF1 +∆tR1 ; ∆Tθ2= ∆tF2 + ∆tR2) .

 

           cM

0 =  —— = [ ( ∆t01 - ∆t02 ) - ∆tθ1 - ∆tθ2 )  ]

                   λ

 

Dal punto di vista di Lorentz il problema era che   

Ma supponendo, come lui fece, una "contrazione" dell'asta longitudinale da un coefficiente

 

 

ciò significa che l'apparto di Michelson-Morley non potrebbe lavorare come un giroscopio ottico. Ma se consideriamo la possibilità che la frangia dipende dalla variazione totale del percorso ottico - definito come la somma algebrica delle variazioni in ciascun singolo braccio - otteniamo
 


Nel caso dell'esperimento di Michelson-Morley L1  L2 e naturalmente ∆θ  0 invece, come potremo

 

 

Potremo vedere, nel caso dell'esperimento di Kennedy-Thorndike L1 ≠ L2 , e un "effetto giornaliero" corrispondente alla rotazione giornaliera dell'interferometro (fissato relativamente alla Terra), potrebbe chiaramente essere osservato (55).

Una soluzione sperimentale per superare entrambi questi problemi (blocco e bracci uguali) potrebbe essere il circuito ottico di Fig. 9 (72), con l'aggiunta di un dispositivo che "sblocchi" le onde stazionarie (70). Questo circuito ottico, che è un "circuito di Sagnac" con superfici disgiunte (46), non è mai stato verificato.

 

 

12. GLI ESPERIMENTI DI MORLEY-MILLER (DAL 1902 AL 1905)
Morley e Miller evidenziarono che il risultato dell'esperimento di Michelson-Morley non aveva l'ampiezza anticipata, ma gli effetti indicati non furono zero. Inoltre, Michelson e Morley, nel luglio 1887, avevano fatto una sola serie di osservazioni, e non ripeterono mai l'esperimento del senso di direzione dell'etere, nonostante molte affermazioni di stampa avessero indicato il contrario (52).

Di conseguenza, al Congresso Internazionale dei Fisici tenutosi a Parigi unitamente all'Esposizione Universale del 1900, Lord Kelvin esortò fortemente la ripetizione dell'esperimento del senso dell'etere con l'uso di apparati più potenti.

Morley e Miller decisero di ripetere l'esperimento nel periodo tra il 1902 e il 1905.

Alla fine del 1905 la conclusione fu la seguente:

Le osservazioni mostrarono un "ben definito effetto positivo" leggermente più ampio di quanto ottenuto in precedenza, ma ancora troppo piccolo per essere riconciliato con le aspettative. La velocità del moto relativo della Terra e dell'etere ottenuta dalle osservazioni eseguite nel 1905 è 8.7 ± 0.6 km/s...

Da quando la Teoria della Relatività postula esattamente un effetto nullo dall'esperimento del senso dell'etere che nei fatti non è mai stato ottenuto, lo scrittore (Miller) si sentì costretto a ripetere l'esperimento in modo da assicurare un risultato definitivo (52).

Come vedremo, Miller ripeté l'esperimento dal 1921 al 1926.

 

 

13. ESPERIMENTI DI ROMER E BRADLEY (1676, 1728)

La differenza ∆tF - ∆tR è stata utilizzata per la prima volta da Romer (1676) e più tardi da Bradley (1728) per misurare la velocità della luce (c0) in un determinato senso (66). Dalla composizione classica delle velocità, nel caso dei satelliti di Giove (Romer), abbiamo (Fig. 10): in A e in C (θ = π/2; θ = 3/2) osserviamo il periodo "vero" T = T0. In B e D (θ = π; θ = 0) abbiamo

 

B : ∆tF = Tmax = (T0 + vT0/c0) T0 (c0 + v) = Tmaxc0

D : ∆tR = Tmin = (T0 - vT0/c0) T0 (c0 + v) = Tminc0
 

Da cui
 

∆T = Tmax - Tmin = (2v/c0) T0 c0 = (2v/∆T) T0 .
 

Nel caso dell'aberrazione (Bradley) abbiamo (Fig. 11)

 

C0T/sin ϕ = vT/sin α α = α = (v/c0) sin ϕ .

 

Il risultato di Romer fu c0 = 301 000 km/s. Un recente risultato dall'aberrazione (1976) è (66) c0 = 299 900 km/s. Da notare che in entrambi i casi abbiamo (cM = 299 792.5 km/s) c0 > cM .

 

 

 

14. L'ESPERIMENTO DI SAGNAC (1913)

Aggiungendo uno specchio all'esperimento ideale di Michelson-Morley si ottiene l'esperimento di Sagnac (Figg. 12 e 13).

 

 

 


 

 

Lavorando con la differenza ∆tF - ∆tR, Sagnac dimostrò nel 1913 la formula ∆L = (4ωS)/c0. E confutò la teoria della relatività. Inoltre, Sagnac suggerì che un grande "circuito di Sagnac" fissato a un vettore (una nave nel suo esempio) poteva essere sensibile a delle lente e piccole deviazioni intorno ad una velocità fissa, in modo che il circuito avrebbero potuto lavorare come un giroscopio ottico (47). Se le vibrazioni meccaniche dell'apparato di Sagnac avessero potuto impedire lo sblocco delle onde stazionarie, l'esperimento di Sagnac sarebbe certamente stato considerato un'ulteriore prova della relatività speciale.

Negli anni '60 il problema del bloccaggio fu scoperto e risolto tecnicamente perché era già noto che un circuito di Sagnac funzionava (un risultato nullo non avrebbe potuto essere accettato). Il primo giroscopio ottico fu costruito nel 1963 da Macek e Davis. Oggi, un giroscopio a cerchio laser sensibile può essere portato nel palmo di una mano.

I vettori per passeggeri come la serie Boeing 757/767 e un numero di Airbus A310 fanno affidamento su giroscopi laser ad anello piuttosto che su quelli meccanici (70).

 


15. RELATIVITA' GENERALE (1914-1918)
Due anni dopo il risultato dell'esperimento di Sagnac, Einstein produsse la Teoria generale (1916) (73). I risultati dei test sperimentali della relatività generale sono molto incerti o in contraddizione con evidenze sperimentali.

La spiegazione relativistica del ben conosciuto anticipo secolare del perielio di Mercurio non considera che il valore sperimentale del 1916 dell'inspiegato anticipo di 43'' è stato corretto nel 1930 a 50,9'' (74), e oggi si sa che necessita una nuova valutazione (75). Inoltre la spiegazione di Einstein era basata sull'ipotesi che la velocità dell'interazione gravitazionale fosse uguale alla velocità della luce, contrariamente all'evidenza sperimentale segnalata da Laplace (33) e Tisserand (76).

Infine, oggi sappiamo che il nucleo interno del Sole ruota più velocemente della superficie, cosa che può spiegare le precessioni dei pianeti (77).

Venendo ora alla "differenza" tra la deflessione newtoniana ed einsteiniana di un raggio di luce, questa differenza non fu confermata dopo i risultati della spedizione del 1919, nella quale Dyson e Eddington avanzarono l'ipotesi che l'indice di rifrazione dell'atmosfera solare aveva un valore costante n< 1.000 002 12 e trascurarono i risultati ottenuti dai piatti astrografici della spedizione di Sobral (78).

Ulteriori misurazioni hanno mostrato un'ampia differenza in valore tra queste deflessioni (79) che può facilmente essere capita tenendo in considerazione che l'indice di rifrazione dell'atmosfera solare dipende dall'attività solare (80). Inoltre, l'esperimento di Pound e Rebka (81) del 1960 mostrò chiaramente che l'energia o la massa della luce è soggetta alla gravitazione nello stesso modo della materia ordinaria, hΔν = mgz, dove m = hν/c0², g è l'accelerazione gravitazionale della Terra, e z è la lunghezza della traiettoria verticale (la frequenza deve cambiare perché c0 e h sono costanti) (82).
 

Infine, la "necessità naturale di covarianza" fu sperimentalmente giustificata dall'"equivalenza delle masse inerziali e gravitazionali" (73).

Ora, una massa inerziale è associata a qualunque carico. Scrivendo carico gravitazionale al posto di carico massa gravitazionale, l'"equivalenza" significa solo che i microscopici carichi gravitazionali sono egualmente accelerati da un macroscopico campo gravitazionale (83).

Conseguentemente, la relatività generale, che è una generalizzazione della relatività speciale (73), non può fornire una validazione alla relatività speciale.

 

 

16. LA "SPIEGAZIONE" DI LANGEVIN DELL'ESPERIMENTO DI SAGNAC (1921)
L'esperimento di Sagnac non può essere spiegato dalla relatività speciale perché stando alla relatività speciale (1), c + v = c - v ;
∆tF ≡ ∆tR .

Dopo il "successo" delle spedizioni del 1919, Langevin tentò di "salvare" la relatività speciale tramite la relatività generale (84). Egli parte dicendo che gli esperimenti di Michelson-Morley e di Sagnac "non sono comparabili". Ma ciò dimostra che lui non capisce che la differenza consiste in uno specchio.

Poi avanza l'ipotesi che la rotazione della piattaforma (con una frequenza di due rotazioni per secondo) causa, nella struttura di riferimento connessa alla piattaforma rotante, esattamente le variazioni spazio-tempo che possono spiegare il risultato dell'esperimento
L = 4ωS / c0λ "se la relatività generale è vera". Ma

(1) Non ci sono prove direttamente sperimentali delle variazioni spazio-tempo così chiamate da Langevin
(2) Ives indicò che il comportamento degli orologi in movimento supposto da Langevin, non avendo supporti sperimentali, finiva con l'altro "paradosso dell'orologio" (63).
(3) La piattaforma dell'esperimento di Sagnac può funzionare anche fissata alla Terra - questa stessa struttura di riferimento dell'esperimento di Michelson-Morley è senza rotazioni aggiuntive (50).
(4) Infine, nel 1941 Dufour e Prunier mostrarono che le argomentazioni di Langevin erano confutate se una parte del circuito ottico era fissata al laboratorio (85).

Ne consegue che le argomentazioni di Langevin sono sperimentalmente infondate e che l'esperimento di Sagnac confuta la relatività.


17. GLI ESPERIMENTI DI MILLER (1921-1925)
Dal 1921 al 1925 al Monte Wilson, Miller ebbe l'opportunità di ripetere l'esperimento di Michelson-Morley (52). Il risultato fu il seguente:

"Tutte queste osservazioni mostrano uno spostamento periodico positivo delle frange di interferenza, così come una direzione dell'etere della stessa magnitudine, di circa 10 ± 0.33 km/s, come è stato ottenuto in tentativi precedenti [...]. Nelle condizioni delle osservazioni attuali, gli spostamenti periodici non potrebbero essere prodotti da effetti della temperature [...]. Questi esperimenti hanno fornito prove definitive di un effetto reale sistematico ma piccolo in ampiezza, inspiegabile come al suo azimut [...].La media della curva in tempi siderali, ha dimostrato in conclusione che l'effetto osservato è un fenomeno cosmico" (52).

Infine (1933), commentando gli altri esperimenti sulla direzione dell'etere eseguiti da Kennedy, Joos, Michelson, Pease e Pearson, Miller affermò che "In nessuno di questi esperimenti le osservazioni furono di tale estensione e di tale continuità da determinare l'esatta natura delle variazioni diurne e stagionali" (52).

Dopo gli esperimenti di Miller, infatti, l'attitudine generale "non ricercare effetti giornalieri nelle osservazioni interferometriche" sembra sia stata adottata dai relativisti. Shankland, per esempio, fece - 30 anni dopo - un'analisi critica degli esperimenti di Miller senza ripetere gli esperimenti stessi e "senza imbarcarsi in una ricomputazione dei dati della soluzione cosmica" (56).

 

 

18. L'ESPERIMENTO DI MICHELSON - GALE (1925)
L'apparato di Michelson-Gale, a causa delle sue dimensioni, era sensibile alla rotazione della Terra (50). Consisteva di esperimenti interferometrici accoppiati fissati in compensazione, IL (ruotanti con la Terra), dei quali uno produce un "effetto Michelson-Sagnac nullo" a causa di una superficie insufficiente e lavorando come traccia di riferimento, mentre il secondo produce un "effetto Michelson-Sagnac positivo" a causa della superficie sufficientemente ampia chiusa dal percorso ottico delle due matite luminose (Fig. 14).

 

 

 

Michelson considerò il caso ω ≠ 0, v = 0. A causa però della velocità lineare esistente v = (390 ± 30) km/s, relativa alla radiazione di fondo (4), le approssimazioni usate per ottenere la formula ΔL = (4ω/c0λ) (S1 - S2) sin ϕ (dove ϕ = 41°46' è la latitudine dell'esperimento), sono contestabili. Possiamo supporre, per esempio, che l'effetto dovuto alla rotazione degli interferometri intorno alla velocità lineare v potrebbe essere della forma f (v, sin Ɵ, L1, L2). In tal caso lo spostamento (shift) sperimentale di Michelson-Gale dovrebbe mostrare effetti giornalieri corrispondenti alla rotazione della Terra:

 

ΔL = (4ω/c0λ) (S1 - S2)  sin ϕ + f (v, sin θ, L1, L2).


Anzi, la distribuzione dei dati sperimentali nell'esperimento di Michelson-Gale mostra ampie oscillazioni intorno al "valore costante"

 

(4ω/c0λ) (S1 - S2) sin ϕ = 0.23
 

 

(Fig. 15). Ma Michelson, dopo i risultati di Miller, omise di dare i suoi dati sperimentali in una sequenza di tempo.

Oggi sappiamo che l'esperimento di Michelson-Gale lavora esattamente come un giroscopio ottico mostrando, in aggiunta all'effetto costante dovuto alla rotazione terrestre attorno al suo asse, l'effetto dovuto alle deviazioni della Terra attorno la velocità lineare fissata, relativa alla radiazione di fondo. Nella mia opinione, una ripetizione dell'esperimento mostrerebbe questo comportamento, perché l'esperimento di Michelson-Gale è il giroscopio ottico suggerito da Sagnac nel 1914.

 

 

19. L'ESPERIMENTO DI MICHELSON-PEASE-PEARSON (1929)
Dopo i risultati di Miller, Michelson non avrebbe potuto evitare una ripetizione del suo esperimento (Fig. 16).

 


Michelson diede un primo annuncio dei suoi risultati al "Michelson Meeting" del 31 ottobre - 3 novembre 1928:

   "I risultati non hanno dato spostamenti più grandi di un cinquantesimo (1/50) di ciò che ci si sarebbe potuto attendere in base alla supposizione di un effetto dovuto al movimento del sistema solare di 300 km/s. Questi risultati sono differenze tra gli spostamenti osservati al massimo e al minimo a tempi siderali.
   Queste direzioni corrispondono ai calcoli del Dr. Stromberg relativi alla velocità supposta del sistema solare" (86).

Ma più tardi (Gennaio 1929) egli corresse il precedente annuncio:

… Nessun spostamento dell'ordine anticipato è stato ottenuto…

I risultati non hanno fornito nessun spostamento più grande di 1/15 di ciò che ci si sarebbe potuto attendere in base alla supposizione attesa di un effetto dovuto al movimento del sistema solare di 300 km/s (54) che è, 20 km/s, il doppio dei risultati di Miller. Michelson interruppe l'esperimento e non pubblicò i relativi dati sperimentali.


20. L'ESPERIMENTO DI KENNEDY-THORNDIKE (1929)
Nel 1929 Kennedy e Thorndike supposero che, concordemente ai loro calcoli teorici, un interferometro di Michelson-Morley con bracci disuguali (L1 ≠ L2) poteva mostrare evidenze sperimentali non soltanto della contrazione longitudinale L = L0 (1 - β2)1/2, ma anche della dilatazione del tempo (55) ΔT = ΔT0/(1 - β2)1/2. Conseguentemente costruirono un interferometro con bracci disuguali (Fig. 17).

 


 

Ebbero però una strana sorpresa: l'interferometro lavorava come un giroscopio ottico, mostrando un effetto giornaliero dovuto alla rotazione della Terra a qualche tipo di velocità fissa. L'effetto giornaliero era un effetto reale; poteva essere chiaramente osservato nel piatto fotografico (55). Ancora, essi tentarono di "salvare la relatività" dicendo che "l'effetto non aveva l'ampiezza anticipata in funzione delle teorie dell'etere" (55).

Ma, anzi, l'effetto giornaliero dell'esperimento di Kennedy-Thorndike certamente confuta la relatività, perché un effetto giornaliero significa di per sé che la velocità cinematica della luce non è costante durante il giorno, mentre "l'ampiezza teorica anticipata" concordemente alla relatività non è un effetto giornaliero. L'esperimento non fu mai ripetuto. Suggerisco che dovrebbe essere ripetuto, usando l'apparato sperimentale di Fig. 9.

 

 

21. L'ESPERIMENTO DI IVES-STILLWELL (1938)
Nel 1937 Ives e Stillwell (57) vollero fornire una diretta prova sperimentale della relazione

(c0 = λ0ν0)

cM = λν = λ0ν0(1 - β²)/ (1 - β² sin² θ)1/2

ν = ν0(1 - β²)1/2 ; λ0(1 - β²)/ (1 - β² sin² θ)1/2

ottenuta calcolando l'effetto Doppler tramite la classica formula della composizione delle velocità. Per ottenere queste relazioni è da notare che la sorgente e il ricevitore dell'interferometro nel frame di riferimento E (Fig. 4) si muovono insieme, e che la frequenza della sorgente è costante in E (87, 88). Prendendo una o l'altra gamba dell'interferometro di Michelson, vige la seguente relazione:

c(θ) = cM/(1+β cosθ). Di conseguenza, per la gamba orizzontale (θ = 0,π) abbiamo

 

 

Una volta risolte, queste relazioni producono le seguenti soluzioni:

 

Ora, visto che ν = const in E ν = kν0 ; λ = (θ) λ0
 

(θ) = α/(1 - β² sin² θ)1/2 ; k,α = ϕ( v ) = const se v = const.

      

Per θ = 0:

λν = ν0λ0(1 - β²) = kαλ0ν0 kα  = (1 - β²).

Per θ = π/2:

λν = ν0λ0(1 - β²) = [kα/(1 - β²)1/2] λ0ν0

 

kα  = [(1 - β²)1/2]².

Abbiamo di conseguenza varie possibili soluzioni per k e α .

Ives e Stillwell (57, 89) avrebbero potuto verificare che la soluzione fornente il corretto valore sperimentale per lo shift Δλ = λB - λ0 è la soluzione k = α = (1 - β²)½ dalla quale

ν = ν0(1 - β²)½ ;  λ = λ0(1 - β²)½ / (1 - β² sin² θ)½

 

λB = λ(1 - β²) = λ0(1 - β²)½ (θ = 0,π)

Δλ = λB - λ0 = λ0{[1/(1 - β²)½] - 1} (1/2) λ0β² .  
 

Ives affermò correttamente che il suo reale, positivo, effetto non nullo confuta la teoria della relatività (57). Non pose però l'accento sulla differenza tra c0 e cM e non poté spiegare chiaramente i suoi risultati sperimentali.

Nelle sue carte (57) Ives scrive le due relazioni λ = λ0(1 - β²)½ e ν = ν0(1 - β²)½ separatamente, e non le combina, probabilmente perché senza distinguere c0 e cM avrebbe trovato il paradosso di Einstein c = c (1 - β²).

 

Al contrario, distinguendo tra c0 e cM e notando che la velocità cinematica della luce sulla Terra =  λE νE è veramente vicina alla velocità elettromagnetica λE νE λ0ν0 = c0 perché (4) VE 105 m/s, che è di gran lunga minore della velocità degli ioni nel suo tubo (57) (V1 106 m/s), Ives avrebbe potuto provare che cM ≠ c0 ; cM ≠ λ0ν0(1 - β²) = c0(1 - β²), che è l'esatta soluzione del paradosso di Einstein c = c(1 - β²).

 

 

22. GLI ESPERIMENTI DI MARINOV (dal 1979 al 1986)
Per i due raggi di luce correnti in direzioni opposte noi abbiamo lo "shift lineare" (c0/λ)(ΔtF -ΔtR) = (2L/λ)β cos θ (Fig. 18).

 

 

 

 

La tecnologia moderna ci permette di misurare gli effetti fotoelettrici causati dai campi elettrici dei due raggi di luce aventi lunghezze d'onda differenti λ1= λ/(1 + β); λ2= λ/(1 - β). Il risultato è un effetto giornaliero sinusoidale.

Marinov non era consapevole della distinzione tra c0 e cM. Conseguentemente, qualcuna delle relazioni matematiche nelle sue carte era errata. Condusse però con successo questo tipo di esperimento dal 1979 al 1986 (68, 90). I suoi risultati sperimentali furono pubblicati su riviste scientifiche di "importanza secondaria", e l'esperimento non fu mai ripetuto.


23. L'ESPERIMENTO DI SILVERTOOTH (1987)
Nel 1983 Silvertooth costruì un "sensore di onde fisso" che, ancora, avrebbe potuto permettere la misurazione degli effetti fotoelettrici dovuti ai campi magnetici dei due raggi di luce opposti, fornendo il solito shift lineare (c0/λ)(ΔtF -ΔtR) = (2L/λ)β cos θ .

Come Marinov, Silvertooth ebbe un solo difetto teorico: non era consapevole della distinzione tra c0 e cM. Conseguentemente alcune delle relazioni matematiche nelle sue carte sono errate, ma l'esperimento funziona bene (87, 88). Silvertooth offrì gratuitamente a chiunque il suo sensore di onda fisso, ma ancora, l'esperimento non fu mai ripetuto. Gli esperimenti di Marinov e Silvertooth sono entrambi versioni differenti del giroscopio ottico.


24. SPERIMENTAZIONE RADAR DELLA VELOCITA' DELLA LUCE [WALLACE (1969), TOLCHEL'NIKOVA (1991)]
Questi tipi di misurazioni sono simili, in linea di principio, all'esperimento di Romer: differenze in tempo causate dalla "classica" composizione della velocità della luce rispetto alla velocità dei pianeti (in questo caso Terra e Venere). Wallace aveva notato (91) che i dati radar interplanetari pubblicati presentavano prove della relazione c + v ≠ c - v ≠ c.

Il relativista I. I. Shapiro bloccò l'accesso ai dati sperimentali. Wallace tentò di mettere sotto accusa Shapiro ma senza alcun risultato (92). Risultati simili furono comunque ottenuti in Russia nel 1991; ad una conferenza internazionale a San Pietroburgo, Tolchel'nokova aveva confermato le osservazioni di Wallace (93).

 

 

25. EPPUR SI MUOVE
Oggi è ben noto che le misure di anisotropia della radiazione di fondo permettono non solo la valutazione del modulo, ma anche della direzione del movimento di traslazione della Terra:


… il cielo di microonda dovrebbe sembrare più caldo nella direzione del movimento e più fresco nella direzione opposta, con una variazione del dipolo della forma δT/T = (v/c0)cos θ.
 

Le osservazioni di δT/T possono quindi essere utilizzate per trovare la velocità dell'osservatore v... . A causa della rotazione della Terra, una tale isotropia dovrebbe apparire in un radiometro fisso come una variazione di segnale con un periodo di un giorno siderale (che è solo il tempo richiesto affinché il telescopio ritorni per tornare al punto verso una direzione nel cielo fissato rispetto alle stelle, non al sole). Questo permette al segnale richiesto di essere estratto sia dal rumore sia da qualsiasi altro effetto reale nei dati. Risultati recenti... forniscono una velocità (390 ± 30) km/s nella direzione RA = 11h, δ = + 6°. La figura 19 mostra che è richiesta una grande peculiare velocità della Galassia per produrre il risultato osservato... . Il sistema di riferimento in cui lo sfondo di microonda sembra isotropo può essere considerato come producente uno standard di supporto assoluto (4).

 

 

 

Quindi Raine tenta di salvare la relatività: "Sembra talvolta che questa misura di anisotropia mostri che potrebbe esservi un conflitto con la teoria della relatività Speciale, poiché con ciò si può affermare l'impossibilità di stabilire una struttura privilegiata rispetto al contesto, anche utilizzando esperimenti che implicano radiazione elettromagnetica...". Ma secondo Raine, "Ciò che la Relatività proibisce infatti è la determinazione di movimento tramite esperimenti locali, come l'esperimento Michelson Morley, che può essere realizzato (almeno in linea di massima) in laboratori protetti da influenze esterne, ad esempio tirando le tende (4).


Raine sembra inconsapevole che le misure dello sfondo di microonda sono eseguite di solito avvolgendo con attenzione il radiometro fisso in tende di polistirene, confermando così la possibilità di dimostrare la velocità di traslazione della Terra con l'attenzione più scrupolosa a condizioni sperimentali relativistiche.

 
Secondo Zeldovich e Novikov, per ogni punto dell'universo vi è un osservatore in relazione a quale radiazione di microonda sembri essere isotropica... .


La presenza in ogni punto della struttura di riferimento isolata ci ricorda l'ipotesi dei fisici durante il processo della creazione della teoria della relatività, quando fu supposto che la luce era l'oscillazione di un certo materiale, etere, che ha riempito l'intero Universo. È stato supposto anche che il sistema delle coordinate collegato all'etere fosse un sistema isolato principale e che gli esperimenti fossero stati fatti per scoprire il moto terrestre in relazione all'etere.


Sappiamo che tali esperimenti (fatti da Michelson ed altri) ebbero risultati negativi: non esiste etere che porti luce.

 

L'evoluzione dell'universo ha poi portato al fenomeno in cui nelle osservazioni di radiazioni cosmiche di microonda (ma solo in osservazioni astronomiche) il sistema isolato è apparso quale è chiamato talvolta "nuovo etere". Le osservazioni suddette hanno permesso la definizione della Terra, del sistema solare e anche delle velocità della Galassia rispetto al nuovo etere, questa essendo rispettivamente 390 e 600 km/s (94).


Sembrerebbe così che "dopo il processo di creazione della teoria della relatività" qualcuno andò al problema di creare il "nuovo etere" rispetto a cui era possibile definire e misurare la velocità della Terra, del sistema solare e della galassia. Questo etere è "nuovo" perché "i risultati negativi di Michelson e altri" avevano mostrato che il "vecchio etere" non esiste. In realtà, questa "nuova," opportuna creazione "post 1905", sembra essere solo inverosimile, mentre il "nuovo" e il "vecchio" etere sono molto più verosimilmente lo stesso vecchio etere di Maxwell.

 

 

26. E = mc²0

La famosa relazione E = mc²0, che è di solito attribuita ad Einstein, è stata parte del retaggio dei fisici classici sin dalla sua Fondazione Newtoniana. Vedere, per esempio,

 

(1) Newton (Ottica, 1717):  "I corpi lordi e la luce non possono essere convertibili in un altro, e non possono ricevere una gran parte della loro attività da particelle di luce che entrino nella loro composizione? Il cambiamento di corpi in luce e di luce in corpi è molto conforme al corso della Natura, che sembra dilettarsi con le trasmutazioni".

 

(2) De Laplace (Meccanica celestiale, 1845):  "[...] ma se la luce è un'emanazione del Sole, la massa di questa stella diminuisce implacabilmente e, a causa del movimento della Terra, deve apparire come un'equazione secolare in opposizione a ciò che produce pressione minore" (95).

 

(3) Lewis: "L'importante equazione P=E/c0 da cui nasce E = mc²0 fu ottenuta da Maxwell come conseguenza della sua Teoria Elettromagnetica e da Boltzmann attraverso l'applicazione diretta delle leggi della termodinamica.

Poyinting lo ha messo ancora in evidenza e ciò è stato recentemente (1903) verificato con precisione rimarcabile nel bell'esperimento di Nichols e Hull" (96).

 

(4) De Pretto (1903): "Dati E = mc²0 , m = 1 kg e c0 = 3 x 105 km/s, ognuno può vedere che la quantità di calorie ottenute è rappresentata da 10 794 seguito da 9 zeri, che è più di dieci migliaia di miliardi. A quale terribile risultato ci ha portato il nostro ragionamento? Nessuno ammetterà facilmente che un importo di energia uguale alla quantità che può essere derivata da milioni e milioni di chilogrammi di carbone è nascosta e immagazzinata ad uno stato latente in un chilogrammo di materia di qualsiasi tipo; questa idea sarà indubitabilmente considerata sciocca… Comunque, diminuendo convenientemente il risultato dei nostri calcoli, dovrebbe tuttavia essere ammesso che dentro la materia ci deve essere immagazzinata così tanta energia da colpire l'immaginazione di ognuno. Qual è, in confronto ad essa, la forza che può essere ricavata dal più ricco combustibile e dalle più potenti reazioni chimiche?" (97).

 

È rimarchevole notare che esistevano dirette connessioni tra la famiglia di Besso, amico di Einstein, e la famiglia di De Pretto (98).

 

Stando a Born (14), il "merito" di Einstein è quello di avere effettuato una "generalizzazione" del teorema inerziale dell'energia, applicandolo alle energie e alle interazioni diverse da quelle elettromagnetiche. Comunque, questa generalizzazione ha basi sperimentali limitate e sembra essere confutata da recenti risultati nelle trasmutazioni a bassa energia (83, 99-103).

 

 

27. VARIAZIONE DI FORZA CON VELOCITÀ
La "variazione" presunta "della massa con la velocità" può essere ottenuta dalla relazione E = mc²0, come mostrato da Lewis (96). Ma, a mio giudizio, una "variazione" reale "della massa con la velocità" è in contraddizione con la conservazione delle cariche. Di conseguenza, nel 1986 (83) ho avanzato l'ipotesi che qualsiasi forza dipenda dalla velocità come, ad esempio, la forza di Weber. Questo suggerimento è stato sviluppato da Assis che, nel 1989, ha mostrato che, infatti, la legge di Weber dà i risultati di Bucherer (104).
 


28. SECONDO POSTULATO: CONCLUSIONI
Sembra che il secondo postulato della relatività di Einstein sia confutato dalle seguenti prove sperimentali:
 

(1) Misurabilità delle velocità cinematiche ed elettromagnetiche della luce. Romer e Bradley avrebbero potuto [traduzione letterale: "potevano" o "potrebbero" - ndc] misurare la velocità della luce (c0) a senso unico solo perché c0 + v ≠ c0 - v ≠ c0. Nuove misure elettromagnetiche della velocità della luce possono sottolineare ulteriormente l'infondatezza del secondo postulato (9, 62).


(2) Gli esperimenti interferometrici a “bracci uguali”, che provano che la velocità cinematica della luce non è una costante (Michelson Morley; Michelson Pease Pearson (51, 52, 54).
 

(3) Effetto Michelson Sagnac (il giroscopio ottico) (47, 50).
 

(4) L'esperimento Kennedy Thorndike (l'interferometro "con bracci diseguali") (55).


(5) L'esperimento Ives - Stilwell (esistenza e misura di effetti Doppler longitudinali e "trasversali") (57).


(6) L’esperimento ad “otturatori accoppiati” di Marinov (68, 90).
 

(7) L'esperimento di Silvertooth (87, 88).
 

(8) Osservazioni di Venere mediante radar (91, 93).
 

(9) L’individuazione per mezzi elettromagnetici del movimento della Terra attraverso la radiazione di background ("Eppur si muove”) (4).
 


29. CONCLUSIONI GENERALI
La relatività einsteiniana sembra essere una teoria fisica di limitata validità sperimentale sulla base di almeno 12 prove sperimentali diverse, che sembrano confutare i suoi due postulati. Ulteriori prove che possono confutare la teoria della relatività sono concepibili (nuove misure elettromagnetiche della velocità della luce, un esperimento di Kennedy - Thorndike modificato).

 
La difficoltà nell’affrontare l'argomento scientifico dell'"avvento della relatività" non è dovuta a una mancanza di argomentazioni o esperimenti scientifici. Questi, a mio giudizio, già indicano che la teoria ha dei problemi. Sembra che la reale difficoltà sia che la relatività non è un problema scientifico, ma un soggetto accademico. Molti scienziati lavorano su programmi di ricerca concernenti astronomia e astrofisica relativistiche, cosmologia relativistica, antenne gravitazionali relativistiche, letteratura scientifica e letteratura di divulgazione relativistiche. E molti scienziati lavorano nella fisica delle particelle elementari per studiare il 10-37s dopo un evento (il Big Bang) che potrebbe non essersi mai verificato. Contro questo contesto la maggior parte delle argomentazioni scientifiche più sensate non hanno molto impatto. Ma nonostante le attuali difficoltà la scienza dovrà prevalere.



Ricevuto il 24 Marzo 1994.


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Riassunto

 
In seguito a diverse prove sperimentali che sembrano confutare

i due postulati di base della teoria della relatività ristretta di Einstein,

informiamo che questa teoria fisica ha scarsa validità sperimentale.

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NOTE
1. A. Einstein, Ann. Phys. 17, 891 (1905).
2. L. Essen, "The Special Theory of Relativity. A Critical Analysis", Clarendon Press, Oxford, 1971 [vedi anche in questo sito: Louis Essen, "Relatività: scherzo o truffa?", Ed. Andromeda - ndc].
3. U. Bartocci and M. Mamone Capria, Found. Phys. 21 (7), 787 (1991); Am. J. Phys. 59 (11), 1030 (1991).
4. D. J. Raine, "The Isotropic Universe", Adam Hilgher, Bristol.
5. J. C. Maxwell, "A Treatise on Electricity and Magnetism", Dover, 1954, Vol. II .
6. Idem, "On Action at a Distance: Ether", scientific papers, 1890.
7. A. Sommerfeld, "Elektrodynamik" (Italian translation: Sansoni, Firenze, 1961.
8. D. Halliday and R. Resnick, "Physics" (John Wiley and Sons, NY, 1966), Part II.
9. R. A. Monti, "Some Aspects of the History of Electromagnetic Measurements of the Speed of Light," in Proceedings of the VIII National Congress of History of Physics, Milano, 1988, p. 353.
10. Idem, "The Electric Conductivity of Background Space", in "Problems in Quantum Physics", Gdansk '87,  World Scientific, Singapore, 1988, p. 640.
11. J. Chazy, "La Théorie de la Relativité et la Mécanique Celeste", Gauthier-Villars, Paris, 1930, Vol. II, p. 204.
12. R. A. Monti, "Albert Einstein and Walther Nernst: Comparative Cosmology" in "Proceedings of the VIII National Congress of History of Physics", Milano, 1988, p. 331.
13. W. Nernst, Z. Phys. Bd. 106, 633 (1938).
14. M. Born, "Atomic Physics", Boringhieri, Torino, 1976.
15. J. J. Thomson, R. Soc. Proc. XIV, 290 (1888).
16. Idem, "Recent Researches in Electricity and Magnetism", Clarendon Press, Oxford, 1893), p. 96.
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Roberto A. Monti
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto TESRE
Via Gobetti 101
40129 Bologna, Italy

 

 

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