I 79-85: formula del prezzo

I 80: merce più a buon mercato con tassi bassi

I 80 seg.: in quanto natura i terreni non possono avere un valore

I 80-81: i terreni rincarano diminuendo il tasso d'interesse

I 82 seg.: come il lavoro spirituale genera valori economici

 

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[...] È forse noto che nel mio libro "I punti essenziali della questione sociale" ho cercato di determinare con una formula il modo per arrivare ad una rappresentazione del giusto prezzo nel processo economico. Con una simile formula è data ovviamente solo un'astrazione, ma il compito di queste conferenze, che vogliono costituire un insieme compiuto, è appunto quello di esaminare, nell'ambito di questa astrazione, tutta [il grassetto è mio - ndc] l'economia, almeno a grandi tratti.


In quel mio libro ho dunque indicato come formula che il prezzo giusto si ha quando qualcuno, per un prodotto da lui allestito, percepisce come controvalore quanto gli occorre a soddisfare i propri bisogni, la somma dei propri bisogni (fra i quali sono naturalmente compresi quelli di coloro che gli stanno a carico) fino a che egli non abbia nuovamente confezionato un altro prodotto uguale. Questa formula, per quanto astratta, è tuttavia esauriente. Quando si stabiliscono formule, occorre appunto che contengano davvero tutti i particolari. Io ritengo che, nei riguardi dell'economia, questa formula sia altrettanto esauriente di quanto lo è, diciamo, il teorema di Pitagora per tutti i triangoli rettangoli. Se non che, come per quest'ultimo occorre comprendere la diversità dei lati, così nella formula su esposta occorre comprendere molto di più. Scienza economica è appunto la conoscenza del modo di introdurre in questa formula tutto il processo economico.
 

Oggi vorrei prendere le mosse da un elemento molto essenziale di questa formula, e cioè dal fatto che essa non contempla il passato, ma ciò che ha da venire. Ripeto esplicitamente: il controvalore deve soddisfare i bisogni futuri del produttore fino a che egli non abbia di nuovo portato a termine un prodotto uguale. E ciò è molto importante in questa formula; se si chiedesse un controvalore (in qualche modo corrispondente ai reali processi economici) per il prodotto

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già ultimato, potrebbe darsi che esso bastasse ai bisogni dell'interessato solamente, diciamo, per cinque sesti del tempo necessario a fornire un nuovo prodotto. Infatti i processi economici variano dal passato all'avvenire, e chi crede di poter fare un calcolo attenendosi soltanto al passato, dovrà sempre cadere in errore, poiché l'esercizio dell'economia consiste in sostanza nel basare i processi futuri su quelli antecedenti. Ma quando ci si vale dei processi antecedenti per porre in opera quelli futuri, si constata che i valori si spostano, si spostano di continuo e talora in modo rilevante. Quindi in questa formula è essenziale rilevare che se qualcuno vende un paio di stivali, quello che economicamente importa non è il tempo passato che egli ha impiegato nella confezione, ma il tempo futuro che impiègherà per allestire il paio di stivali successivo. Questo importa nella nostra formula, e dovremo ora comprenderlo in senso più lato nell'insieme del processo economico.


Ieri [I 65-76: vitale ciclicità del processo economico - ndc] abbiamo prospettato il circolo: natura-lavoro-capitale, il quale ultimo viene utilizzato dallo spirito (v. disegno). In alto, al posto di "capitale", potrei anche scrivere "spirito".
Abbiamo dunque seguito il processo economico in direzione contraria a quella delle lancette dell'orologio, e abbiamo trovato che nella natura non deve avvenire un ingorgo per il fatto che il capitale si fissa nei terreni a produrre redditi fondiari; deve passare oltre solamente ciò che, come una specie di seme, abbia la possibilità di proseguire. Ho già detto che in sostanza la valutazione di vendita dei terreni è opposta agli interessi di chi fabbrica merci aventi un valore reale [il grassetto è mio - ndc]. Chi, con l'ausilio del capitale, vuol fabbricare merci, è avvantaggiato se il tasso d'interesse è basso; in tal caso gli interessi che ha da pagare sono più esigui, ed egli ha quindi maggiore libertà di movimento col capitale che ha avuto in prestito. Invece il possidente (bisogna che io parli di questi fatti, poiché hanno importanza nel quadro della nostra economia), il quale ha interesse a che il prezzo dei terreni rincari, lo ottiene

 

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appunto se il tasso d'interesse è basso. Se il tasso che egli deve pagare è basso, il valore delle sue terre aumenta: queste diventano sempre più care, al contrario di ciò che avviene nella fabbricazione di merci, dove chi ha da pagare un tasso d'interesse basso può produrre merci a un prezzo inferiore. Dunque le merci per le quali l'importante è il processo di fabbricazione, ribassano di prezzo quando il tasso d'interesse è basso; invece le terre, che danno un profitto senza richiedere un processo di fabbricazione, quando il tasso d'interesse è più basso rincarano. È facile calcolarlo; si tratta di un fatto economico.
 

Sorgerebbe dunque la necessità di stabilire il tasso d'interessi in duplice modo: si dovrebbe avere una misura d'interesse quanto più possibile ridotta, per le imprese legate al lavoro, per la fabbricazione di merci, e si dovrebbe averla quanto più possibile elevata per i fondi, per le terre. Ma lo stabilire il più alto tasso possibile per i terreni, non è un provvedimento che in pratica sia senz'altro facilmente applicabile. Un tasso solo di poco più elevato, che sarebbe già anche praticamente applicabile per il capitale prestato sulle terre, non gioverebbe gran che; mentre un tasso molto più alto - per esempio, un tasso del 100% che, come tale, manterrebbe semplicemente il terreno sempre allo stesso valore - sarebbe anche in pratica di difficilissima attuazione, così senz'altro. Il tasso del 100% per il prestito sulle terre migliorerebbe subito la cosa; ma come si è detto non è praticamente attuabile. Qui si tratta di guardare bene a fondo con molta chiarezza il processo economico; allora si vede che il sistema delle associazioni è il solo che possa sanarlo, poiché la giusta osservazione del processo economico è pure quella che conduce anche a dirigerlo nel giusto modo.
Nel processo economico dobbiamo pure parlare di produzione e di consumo, come ho già accennato ieri. Dobbiamo dunque osservare sia il modo di produrre che di consumare. Abbiamo qui un contrasto che ha avuto parte importante, specialmente nelle molte discussioni economiche recenti

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sfociate poi anche in agitazioni. È stato molto discusso soprattutto del problema se il lavoro spirituale [leggi "immateriale" - ndc], semplicemente come tale, sia o non sia generatore di valori in campo economico.


Di certo il lavoratore spirituale è  un consumatore. È stato molto discusso se sia anche produttore, guardando il problema dal punto di vista economico. I più accesi marxisti citano sempre quel disgraziato contabile indiano che doveva tenere i registri della sua comunità, che cioè non lavorava i campi né eseguiva altri lavori produttivi, ma si limitava a registrarli; perciò si negava che egli fosse comunque produttivo, e si affermava che il suo mantenimento era dovuto unicamente al plusvalore guadagnato dai produttori. Vediamo dunque sempre citato questo fantomatico contabile indiano; così come nei ginnasi abbiamo il Caio della logica che deve sempre dimostrare la mortalità dell'uomo. È nota la sequenza: "Tutti gli uomini sono mortali, Caio è un uomo, dunque Caio è mortale!". [Grazie a questa notorietà - ndc] A forza di dover dimostrare la mortalità dell'uomo, è divenuto egli stesso immortale! Un'immortale personalità logica! Lo stesso è avvenuto nella letteratura marxista, per il contabile indiano che vive grazie al plusvalore dei produttori.


Il problema presenta una quantità di simili trappole in cui ci si aggroviglia volendolo risolvere nel campo economico: fino a qual punto è produttiva, o è in genere economicamente produttiva l'attività spirituale? A questo proposito è della massima importanza distinguere tra passato e futuro. Rivolgendo lo sguardo soltanto a ciò che è trascorso, e riflettendo sulle sole statistiche del passato, si potrà dimostrare che il lavoro spirituale, relativamente al passato e a tutto ciò che direttamente ne deriva, è in verità improduttivo. Se si guarda al passato, si può considerare produttivo di cose materiali solo il lavoro manuale, con quanto ne deriva. Ma è ben diverso se si volge lo sguardo all'avvenire; e l'esercizio dell'economia significa appunto lavorare per il futuro. Basta riflettere a questo semplice

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esempio: in un villaggio vi è un artigiano che lavora ad allestire i suoi prodotti. Se egli si ammala, e per speciali contingenze capita in mano di un medico inetto, sarà costretto a starsene a letto, diciamo, per tre settimane, e quindi a non produrre. In tal modo perturberà di molto il processo economico; se fa il calzolaio, per tutte quelle tre settimane le scarpe non verranno infatti portate sul mercato (inteso quest'ultimo nel senso più ampio). Supponendo invece ch'egli si faccia curare da un bravissimo medico che lo guarisce in otto giorni, così che dopo otto giorni egli sia in grado di riprendere il lavoro, alla domanda: "In tal caso, chi avrà fatto le scarpe durante quei 15 giorni, il calzolaio o il medico?" si potrà rispondere sul serio che sarà stato il medico a fare le scarpe! È assai chiaro che, non appena da un punto qualsiasi si rivolge lo sguardo al futuro, non si può più dire che lo spirito non sia produttivo nei riguardi dell'avvenire. Di fronte al passato lo spirito, o per meglio dire gli uomini che lavorano spiritualmente, sono soltanto consumatori; ma rispetto all'avvenire essi sono assolutamente produttori, anzi sono i produttori per eccellenza. Che siano i produttori per eccellenza, anche nel senso che trasformano il processo di produzione e lo rendono dal punto di vista economico totalmente diverso, si constata per esempio nella costruzione delle gallerie ferroviarie: non si potrebbero fare se il calcolo differenziale non fosse stato scoperto. Col suo particolare lavoro Leibnitz coopera ancora oggi alla costruzione di tutte le gallerie, e i costi che si formano oggi in questo campo sono determinati in sostanza da quella applicazione di forze spirituali. Non si potranno quindi mai risolvere questi problemi economici osservando il passato alla stessa stregua dell'avvenire. La vita non si dirige affatto verso il passato, né vuol esserne semplicemente la continuazione; la vita cammina verso l'avvenire.


Quindi uno studio di economia non si basa sulla realtà, se non tiene calcolo di ciò che viene effettuato dal lavoro spirituale, se così vogliamo chiamarlo, cioè in fondo dal


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pensiero. Ma il lavoro spirituale è veramente assai difficile da afferrare, poiché ha proprietà ben determinate che sono difficilissime da ridurre a valori economici. Il lavoro spirituale comincia già nel momento in cui si organizza, si divide il lavoro per mezzo del pensiero ordinatore. Ma diventa poi sempre più indipendente. Considerando il lavoro spirituale di chi dirige un'azienda nell'ambito della civiltà materiale, si osserverà che egli impiega una somma notevole di lavoro spirituale; ma egli lavora ancora con ciò che il processo economico gli ha trasmesso dal passato. È però inevitabile, non foss'altro per interessi puramente pratici, che nell'insieme dell'attività spirituale (voglio chiamarla "attività" anziché "lavoro") sorga anche l'opera completamente libera. Già quando si scopre il calcolo differenziale, e tanto più quando si dipinge un quadro, si svolge un'attività spirituale del tutto libera. Almeno in senso relativo si può

 

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parlare qui di un'attività spirituale libera, poiché la parte che proviene dal passato, cioè i colori e simili, di fronte a ciò che viene prodotto, non ha certo l'importanza che ha l'acquisto di materie prime nella fabbricazione di oggetti materiali.
 

A questo punto ("spirito" in luogo di "capitale" nel nuovo disegno) arriviamo al campo della vita spirituale completamente libera e vi troviamo anzitutto l'educazione e l'insegnamento. Coloro che hanno da impartire educazione e insegnamento esplicano veramente la loro azione nell'ambito della vita spirituale del tutto libera. Riguardo allo svolgimento puramente materiale del processo economico, proprio questi liberi lavoratori spirituali sono, di fronte al passato, dei consumatori, nient'altro che consumatori. Si potrà dire: eppure producono qualcosa, e per ciò che producono vengono perfino pagati, ad esempio se sono pittori. Anche in questo caso si ha dunque in apparenza lo stesso processo economico che si ha quando si fabbrica una tavola e la si rivende. Tuttavia, si tratta di un processo essenzialmente diverso, se non si guarda l'acquisto e la vendita fatti dal singolo individuo, ma si comincia a pensare economicamente e ad abbracciare con lo sguardo l'organismo economico totale; cosa che, data la divisione del lavoro tanto progredita, si è resa ormai del tutto necessaria.


Ma nell'organismo sociale abbiamo inoltre meri consumatori d'altro genere; e cioè i giovani, i bambini, e anche i vecchi. I primi, fino a una certa età, sono meri consumatori, e così pure coloro che sono ormai pensionati.
 

Basta un momento di riflessione per vedere che, se nel processo economico non vi fossero dei meri consumatori, cioè gente che consuma senza produrre, non si andrebbe avanti. Se infatti tutti producessero, non si riuscirebbe a consumare tutti i prodotti, come deve accadere se il processo economico ha da proseguire il suo svolgimento, almeno date le condizioni attuali della vita umana. La vita umana non è soltanto "economia", ma va presa come una totalità (continua).