Una esperienza importante per il gruppo

 

Oggi 20 marzo 2003 abbiamo assistito al seminario “La relazione d’aiuto: esperienze in corso” tenutosi presso l’aula magna della clinica “La Maddalena” (Via San Lorenzo 312 c/d, Palermo).

Alle 9 il saluto delle autorità ha dato il via ai lavori. Erano presenti il Prof. Ettore Cittadini, Assessore alla Sanità della Regione Sicilia, il Prof. Guido Filosto, Direttore della Casa di Cura “Maddalena” e il Dott. Mauro Bellassai, Direttore Sanitario della Casa di Cura “Maddalena”.

Quindi la Dott.ssa Enza Malatino (quale chairman dell’incontro) ha introdotto le relazioni del Prof. Alberto Zucconi e del Prof. Aurelio Calafiore.

Il Prof. Zucconi, Direttore IACP (Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona) e Coordinatore Nazionale delle Scuole di Psicoterapia ha relazionato sul “Contributo di Carl Rogers nel campo delle relazioni d’aiuto”. Dopo aver focalizzato l’attenzione su un dato statistico confortante, il 51% dei tumori può essere curato e guarito, il Prof. Zucconi ha sottolineato il valore del lavoro di Carl Rogers, psicologo americano che negli anni 1930-40 fondò la Client-Centered Therapy (CCT), e l’importanza che riveste questo  approccio dello psicologo col paziente oncologico. Punto fondamentale della CCT è il vedere il paziente come persona e averne pieno rispetto in quanto tale. Lo psicologo in quest’ottica è portato a empatizzare col paziente, comprendendone dunque gli stati d’animo e seguendo con lui un percorso di comune crescita e sviluppo delle potenzialità. Compito dello psicologo informato delle teorie della CCT, non è dunque quello di ‘tirar fuori’ un problema, un disagio psicologico, dal paziente e porlo dentro schemi precostituiti (metodo questo di matrice freudiana), bensì quello di ‘accompagnare’ un altro essere umano che vive un disagio psicologico (la sofferenza che la malattia porta di necessità), facendogli percepire di essere al suo stesso livello emotivo, e, comunque, senza mai identificarsi pienamente con esso.

Il Prof. Aurelio Calafiore, Psichiatra, Psicoterapeuta, Responsabile del Servizio di Psico-Oncologia della Casa di Cura “Maddalena”, ha proposto la relazione “Curare il malato, combattere la malattia. I due livelli dell’agire terapeutico in psico-oncologia”. Ha esordito  sul rapporto terapeuta-paziente: il terapeuta deve annullare il bisogno di ‘ricavare un vantaggio’ narcisistico dalla relazione col paziente, per inverare il proprio sentimento d’aiuto ed essere di reale supporto al paziente. La medicina, troppo presa dagli aspetti tecnici, deve considerare nuove possibilità di cura che tengano conto di ciò che provoca a livello psicologico la scoperta della malattia. Il Prof. Calafiore ci  ha reso partecipi delle sue esperienze personali in merito e ci ha descritto ciò che avviene quando ad una persona viene comunicato di avere il cancro: la persona vive una frattura esistenziale, sente ‘spegnersi’ la luce della sua vita, e perde la speranza di vivere il futuro. Però molte patologie oncologiche possono essere curate e guarite. Il compito dello psicologo, in questa fase, l’esordio della malattia e del ‘percorso’ di sofferenza della persona, è quello di annullare l’inganno che vive ogni essere umano: quello di sentirsi immortale. Il paziente si rasserena quando il terapeuta riesce a fargli accettare che la morte è un fatto naturale, che tutti gli esseri umani sono mortali.

Il prof. Calafiore ha sottolineato l’importanza del supporto psicologico al paziente oncologico: il 45% di questi pazienti presenta infatti disturbi psichiatrici ma l’intervento dello psicologo è in grado di cambiare la risposta psicologica del paziente (fruizione della cura). Tale supporto però deve essere presente sin dall’inizio del ‘percorso’ del paziente in modo che egli possa viverlo come ordinario e senza fratture. Pertanto è importante che sia presente uno psiconcologo nell’equipe di ogni reparto di Oncologia. Il cambiamento d’atteggiamento nei confronti della malattia migliora la compliance e favorisce dunque la guarigione.

Considerare il paziente una persona che soffre e non un ‘caso’ è stato un altro focus della relazione del Prof. Calafiore. A questo punto la dott.ssa Malatino ha recitato una poesia di Marquez la cui cifra può esser considerata il verso che ha per protagonista un uomo che vuole risalire la montagna.

Dopo aver esortato i giovani psicologi a trattare il paziente oncologico prima che ‘sia malato’ (che si senta malato…) il Professore ha sottolineato le speranze che danno le possibilità di cura e che devono essere trasmesse ai pazienti. Quindi ha concluso con una frase che sintetizza il suo sentire: “Il paziente è il mio protagonista”

Dopo il coffee break, il Prof. Don Salvatore Lo Bue, Psico-sociologo, Direttore della Comunità Terapeutica “Casa dei Giovani”, ha proposto la sua relazione “Cultura della vita e persona sieropositiva”. Il prof. Lo Bue ci ha reso partecipi della sua esperienza con persone tossicodipendenti e sieropositive: si percepiva come fosse emotivamente ‘coinvolto’ dai temi trattati. Ha esordito parlandoci dell’atteggiamento della persona messa di fronte alla sua sieropositività: paura della morte, buco nero sul piano sociale (il vuoto), negazione della possibilità di un futuro contingente. Il tossico si fa massa; questo atteggiamento è la sua arma contro i ‘gestori del senso’ e la società, nella quale non trova un ruolo, e dalla quale si sente schiacciato.

La morte viene vissuta come spettacolo di cui non si ha coscienza, perché la droga allontana il tossico dalla verità, intesa come paura e gioia di vivere.

Dopo aver sottolineato come il ‘ritorno all’inorganico’ affascini il tossico sieropositivo, il Prof. Lo Bue ha trattato con molto ‘calore’ il tema del peccato legato all’AIDS: ha infatti ribadito che la sindrome da immunodeficienza acquisita non è la nuova peste che colpisce per punire dai peccati; non è giusto considerare l’AIDS come punizione per coloro che tengono comportamenti a rischio; molti tra coloro che hanno un comportamento ‘deviante’ non hanno presentano questo problema.

La droga copre il vuoto di una vita che si considera fallita perché senza motivo. Il sentirsi falliti porta alla paura della vita e a ‘corteggiare’ la morte.

A questo punto il Prof. Lo Bue ha citato Brecht: “Se questo sole non mostra alcuna intenzione di scaldarci, perché dovremmo alzarci dal letto?”. La citazione è stata spunto per una riflessione sulla vita nella quale il presente è svalutato. La relazione d’aiuto con chi soffre deve essere costruita assumendosi in toto la sofferenza dell’altra persona, e portando la stessa a rivalutare appunto la vita e il presente. Tutto ciò allontanando la ‘sindrome del samaritano’ in virtù della quale una persona vuole ‘salvare a tutti i costi’ un altro essere umano. Bisogna  ‘prendersi cura della vita’ in un ottica nella quale tutti siamo uguali e quindi la figura del terapeuta e della persona che soffre sono sullo stesso piano. Un rifiuto netto ai modelli rigidi dunque, e la prevalenza dell’etica del cuore dove solidarietà significa anche condivisione di tutto ciò che è ‘umano’: in quest’ambito è anche la possibilità di fallimento, inteso come luogo di verità, grazie alla quale si acquisisce coscienza dei propri limiti (i limiti dell’essere umano, appunto).

Il Prof. Lo Bue  ci ha quindi parlato della Comunità che dirige, proponendoci i principi che la informano: accompagnare l’altro, relazionare con l’altro, condividere la sconfitta (esserci), lottare sempre, educare alla felicità, progettare e organizzare la speranza, educare a sentirsi parte del mondo e non centro del mondo. La Comunità, ha sottolineato il prof. Lo Bue, non è un ghetto, ma un luogo di aggregazione semiresidenziale (dalle 10 alle 19), la cui importanza è dovuta al fatto che il paziente sieropositivo si sente accolto, partecipe di un processo umano (relazioni con gli altri, con le cose, col mondo). Quasi sempre il sieropositivo proviene da un vissuto di isolamento che ne  determina uno stato di abbandono. La psicoterapia, la relazione d’aiuto, nell’ottica sopra analizzata, contrasta la tendenza alla non-compliance del paziente-sieropositivo, il quale può quindi, uno volta partecipe dello spirito della Comunità, beneficiare dei positivi esiti che l’aderenza al piano terapeutico reca.  Infine dopo aver sottolineato che, con la collaborazione delle altre realtà territoriali, i risultati ottenuti dalla Comunità (unico centro del genere in Italia)  possono far parlare di successo, il Prof. Lo Bue ha ribadito il valore dell’accompagnare l’altro in un percorso che ne migliora la qualità di vita.

Dopo il coinvolgente intervento del Prof. Lo Bue, la Dott.ssa Maria Sanfilippo, Capo Servizio del Servizio Psicologia della Asl 6 di Palermo, ha relazionato su “Lo psicologo nei servizi”. La Dott.ssa Sanfilippo ha esordito con una considerazione sui limiti, specie nel recente passato, dei servici pubblici  nei quali il ruolo dello psicologo (non previsto) è stato spesso sostituito dai preti. La nuova cultura della Sanità, valorizza il ruolo dello psicologo, adesso presente in molte strutture ed educa l’utenza a considerare questo tipo di servizio per poterne eventualmente fruire in maniera non traumatica. Nel palermitano il servizio psichiatrico ha autonomia e agisce a largo spettro. Anche la dott.ssa Sanfilippo ha parlato di paziente come persona e ha sottolineato l’importanza della figura dello psicologo a partire dall’accoglienza del paziente nelle strutture.

Ha dunque sottolineato l’importanza del Centro Amazon nella formazione dello psicologo. In  passato infatti non esisteva a Palermo un centro che offrisse possibilità di formazione.

La dott.ssa Sanfilippo ha poi sottolineato con disappunto come la Facoltà di Psicologia manchi delle necessarie specializzazioni (Adozione, Centro di Accoglienza, Infanzia e Adolescenza ecc.) . Inoltre ha fatto presente che lo psicologo dovrebbe essere formato in tutte le competenze che gli sono proprie e preparato a collaborare e confrontarsi con altre figure. Per essere efficaci nel servizio pubblico, conclude la dott.ssa Sanfilippo, bisogna avere un bagaglio di esperienze diverse.

Il Prof. Pino Giacopelli, Poeta-giornalista, ha concluso la prima parte dedicata alle relazioni: “La poesia non serve a niente?. Il prof. Giacopelli partendo da una riflessione sul letto, luogo nel quale l’essere umano trascorre un terzo della sua esistenza e dove svolge diverse attività, tra le quali dar voce al proprio spirito creativo, è giunto a considerare il sollievo che l’arte, la musica e la letteratura possono dare. Anch’egli ha rimarcato come, nella relazione d’aiuto, la malattia obblighi a confrontarsi con la realtà, e quanto sia importante in questa relazione la condivisione della sofferenza (far percepire che ‘ci siamo’).

 

                                             Fine prima parte

 

                                           torna ad inizio pagina

 

                                              Home    page