DANISINNI TRA STORIA E LEGGENDA
Di Sebastiano Pippo Morello
Rione Danisinni viene considerato il territorio compreso tra le vie Cappuccini, Cipressi, Colonna Rotta e piazza Indipendenza; geograficamente la depressione naturale di terreno che un tempo raccoglieva le acque di un tratto del fiume Papireto, uno dei due fiumi che un tempo attraversavano Palermo.
La zona occupa una vasta depressione naturale che rimase fuori del perimetro urbano della Paleopoli e dei Neopoli sia in epoca punica che in epoca romana.
Le prime notizie storiche a noi pervenute risalgono all'epoca araba: un mercante di Bagdad, Ibn Hawqal, giunto a Palermo nell'anno 972-973, nel suo libro "Delle vie e del reame", dà notizie dell'esistenza di una depressione a monte dello Hàrat as‑Saqàabdh (il quartiere degli schiavoni), uno dei cinque quartieri in cui, nel periodo della dominazione araba era divisa la città.
Riportiamo la traduzione del testo arabo, fatta da Michele Amari:
”Quivi stendesi anco una fondura tutta, coperta di papiro, ossia bardi ch'è proprio la pianta di cui si fabbricano i tumar (rotoli di foglio da scrivere)... io non so che il papiro d'Egitto abbia su la faccia della terra altro compagno che questo di Sicilia. Il quale la più parte è attorto in cordame per le navi e un pochino si adopera a far de fogli pel Sultano…”
Dentro la "fondura” scorreva, fiancheggiato da terreni paludosi, il mitico fiume Papireto, che, costeggiando la città, giungeva al vecchio porto, oggi cala. Forse perché il papiro fiorisce sulle rive del Nilo, le leggende popolari fantasticarono che il papiro, attraverso vie sotterranee, ricevesse le acque dal fiume africano, proprio attraverso la grotta di Danisinni.
L'origine del nome Danisinni, presumibilmente, risale ad una delle sorgenti che, in questo luogo, alimentavano il fiume. ‑La sorgente ‑ citata da 'Ibn Hawqal ‑ era chiamata "Ayu'abi Sa 'Idin (la fonte dì Abu Said), o forse: prese il nome dalla bella Principessa figlia di un walì del tempo, Abu Said, soprannominato "Ahmad' ad Dayf , l'ospite, che sulla grotta costruì la sua dimora. Questa ultima ipotesi potrebbe essere la più probabile perché avallata dalla tradizione popolare.
Il nome del rione si tramandò invariato nei secoli come prova una Carta di Palermo del 1823, redatta a Londra nella quale si legge chiaramente l'indicazione di una fontana chiamata "Ayn Sindi". I palermitani poi storpiarono il nome in Denisinni o Danisinni.
Nel XV° secolo l'inquinamento delle acque del fiume e della palude raggiunse livelli di pericolosità tali che il Senato palermitano, nel 1489 decise il prosciugamento del fiume e il risanamento della palude, ma il progetto, che prevedeva la canalizzazione delle acque fino alla cala, fu messo in opera solo nel XVI secolo, grazie al pretore Salazar. Il canale, ancora esistente, si trova a circa otto metri di profondità rispetto all'odierno piano di calpestio.
Furono proprio i problemi legati all’inquinamento ad ispirare la diceria che le punture di taluni insetti in quella zona, provocassero la morte delle donne punte “in certi periodi del mese”, ciò con grande piacere di quei mariti stanchi delle proprie mogli.
Con la bonifica totale le parti paludose furono trasformate in ottimi orti produttivi, e attorno iniziò l'insediamento. Case agricole prima, ai quali si aggiunsero casette per umili famiglie che decidevano di abitare fuori le mura pur rimanendo vicinissimi al centro urbano.
Nella sponda ovest del piano dì Danisinni, certo Michele di Gangi, enfiteuta del convento di S.Agatuzza, fece costruire un gruppo di case rurali adiacenti ad una chiesetta per la quale lo stesso fondava nel 1753 un beneficio semplice di due onze.
In questa chiesa, già esistente alla fine del 1600, nel 1745, incoraggiati dai padri Pii Operai, alcuni uomini fondarono la confraternita di "Gesù Maria Giuseppe". La confraternita non è mai cessata di esistere, sino ai nostri giorni.
Un'antica lapide conservata nella cripta della chiesa, ricorda che nel 1763, Donna Antonina Laura Russo, nuova concessionaria di questi luoghi, donò ai rettori della confraternita il patronato di questa chiesa.
Sotto la chiesa si può ammirare la cripta‑chiesa apogea, databile intorno al 1600, grotta naturale adattata al culto e alla sepoltura dei corpi dei confrati.
Nel 1800 e sino ai primi anni del 1900, molti si interessarono ad un misterioso tesoro saraceno, la cosiddetta 'truvatura’, forse la ricerca della sepoltura di un nobile arabo. Questo interesse durò, finché durò la pazienza dei proprietari degli orti.
Presso la grotta di Danisinni, là in quell' acqua che da sempre sgorga incessantemente, trovarono sempre il "pane" (il lavoro) le lavandaie. L'esercizio di quest' attività fu presa in considerazione dal comune che alla fine dei 1800, fece costruire un pubblico lavatoio. Oggi del lavatoio si vede ben poco. Ad esso sono addossate numerose casupole abusive, si intravede ancora qualche finestra a lunetta, l'ingresso e forse, si potrebbero ancora recuperare i lavatoi (le pile) che restano sepolte sotto il pavimento, che rispetto al piano stradale rimane sottomesso. La grotta non più visibile, ma esistente, rimane dietro una costruzione.
Nella sacrestia della chiesa è custodita la riproduzione di un quadro raffigurante il piano di Danisinni nel 1800, l'originale si trova alla Galleria d'Arte Moderna di Palermo.
La bassura naturale del letto del Papireto è ancora visibile nella sua dimensione originale, a parte una zona del promontorio tufaceo, oggi non visibile perché la pietra è stata utilizzata, è stata cioè impiantata una cava, questa zona è detta la "pirrera”.
Questa pietra è stata usata, parte nella fabbrica del Palazzo dei Normanni, e parte per la fabbrica del Teatro Massimo.
Danisinni, un rione come altri, pieno di storia e di leggenda, ricco d’usi e di tradizioni, un rione che si chiede: “continuerà la nostra storia?”
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