- Marino Ronchi nw

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Hanno scritto di lui

“Formatosi nella (non più recente) temperie di valori e criteri non soltanto pittorici una delle cui summae migliori mi sembra rimanere “L’Avventura Novecentistica” del compianto e per ora obliato Bontempelli, l’impassibile Marino Ronchi ha percorso un arco che nei risultati più recenti lo ha condotto a soddisfare esigenze artistiche nuove e aggiornate; in bilico sovente, per fortuna fra la necessità di trasfigurare l’oggetto di natura ed il bisogno tuttavia di farlo riconoscere sempre.
Ha studiato con Funi ma capiva Sironi e ammiccava a Cezanne. Gli piaceva Poussin e intanto copiava Delacroix. Senza indulgenze con sè stesso che non siano il frutto di traguardi raggiunti consapevoli; senza premura che non nasca in lui dal bisogno , dal piacere anzi di fare. L’azione come vita, la vita come lavoro. L’arte quale ne sia il risultato come esercizio, anche morale. Il vivere come operazione di cultura; fare ciò che si deve, meglio che si può”.
Così scriveva di lui nel 1969 Giuseppe Luigi Mele
(Direttore Ente Manifestazioni Milanese)

Dipinge una serie di nature morte, paesaggi,ritratti, con un fare largo, sintetico, che gli deriva dallo studi dell’affresco fatto alla scuola di Funi. Usa una tavolozza semplice composta di poco colore, dai toni severi. C’è una continuità in lui, ma anche ricerca del nuovo che risponde ad una ragione interiore di approfondimento e di coscienza di sè. Nelle sue opere si nota il disegno come base di tutto e un costruttivismo geometrico basato su rapporti di spazio che fu comune al futurismo e al cubismo. Il risultato è una sintesi di quei valori primordiali su cui egli ha condotto sempre le sue ricerche. Ne viene un realismo magico dove l’oggetto è l’idea dell’oggetto o la realtà reiventata, tolta dal provvisorio e fissata in una sostanza di valori che vanno al di là del temporaneo.

 
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