L'origine del progetto Miata risale all'inizio degli anni '80. La Mazda Motor Corporation (allora ancora Toyo Kogyo, la ragione sociale fu cambiata solo nel 1984) aveva visto espandersi notevolmente, nonostante il cambio dello yen non fosse dei più favorevoli, le proprie vendite negli USA grazie al successo della 323 Familia, della 626 Capella e, nel segmento delle sportive, della RX-7 Savanna con motore rotativo, protagonista delle corse IMSA e SCCA.
Nel 1979 un giornalista
americano di nome Bob Hall ebbe un incontro con il presidente della Mazda
North America Inc. (MANA) Kenichi Yamamoto: al termine della visita Yamamoto
chiese ad Hall quale vettura avrebbe voluto vedere realizzata dall'azienda
giapponese. Hall suggerì una sportiva leggera (LWS = lightweight sportscar),
più economica della RX-7; a suo parere il mercato USA avrebbe accolto
con successo una simile automobile, tanto più che proprio in quel periodo
stavano uscendo di scena le vecchie rappresentanti di quel genere di vetture,
come le MG B
e Midget, le Triumph TR6
e Spitfire,
la Fiat 124
Spider e l'Alfa Romeo Spider.
In seguito, nel 1981, Hall fu assunto al reparto ricerca e sviluppo della
MANA, con sede a Irvine, in California. La struttura fu creata con lo scopo
di studiare nuove idee e progetti ispirandosi alle esigenze e desideri di
quel mercato, considerato trainante a livello di immagine.
Lì, durante una discussione, lo stilista Shunji Tanaka (all'epoca impegnato
nel progetto della seconda generazione di RX-7) confidò a Bob Hall
il proprio desiderio di cimentarsi nel disegno di una LWS, e ben presto nella
discussione fu coinvolto anche Shigenori Fukuda, responsabile del reparto;
l'idea di Hall era comune ad altri all'interno della MANA.
Nel 1982 la MANA inviò in Giappone una ricerca sulle sportive negli
USA. I dati raccolti evidenziavano che secondo il pubblico statunitense occorrevano
alcune caratteristiche fondamentali perchè una macchina si potesse
definire una vera sportscar: motore anteriore, trazione posteriore, carrozzeria
convertibile dal disegno classico e con un'immagine ben definita, di buone
prestazioni ma soprattutto divertente da guidare. Il ricordo delle spider
d'oltremanica era ben vivo negli States.
L'opportunità per realizzare questo progetto venne dopo che il presidente
Yamamoto ebbe l'occasione di provare personalmente una Triumph Spitfire: ne
rimase entusiasta e, anche stimolato dalle richieste degli USA, decise che
anche Mazda avrebbe dovuto costruire un'auto simile.
Nel novembre del
1983 venne creato un piccolo gruppo di ingegneri incaricati di occuparsi dei
cosiddetti progetti "offline", cioè di ideare e sperimentare
soluzioni inusuali o comunque estranee ai modelli già in produzione.
Uno di questi progetti, siglato Offline 5-5, fu affidato a Masakatsu Kato
per essere sviluppato, assumendo il codice interno P729: l'idea della nuova
LWS cominciava a divenire realtà.
Per quanto riguarda lo stile esterno, la prima decisione da prendere riguardava
il layout generale, essendo possibili a priori tutte le soluzioni. Vennero
infatti presi in considerazione tre possibili schemi: il classico motore anteriore
- trazione posteriore (FR), il più comune motore anteriore - trazione
anteriore (FF), e l'inusuale motore centrale - trazione posteriore (MR). Si
decise di approntare tre studi distinti per poi metterli a confronto.
I progetti FF e MR furono affidati al centro stile Mazda di Tokyo, l'altro
alla MANA in California, mettendo in competizione i due team.
Un primo confronto tra le diverse proposte si ebbe nell'aprile del 1984, quando
furono presentati i primi disegni: i vertici Mazda però rinviarono
la scelta, consentendo ai centri stile di allestire dei manichini per un secondo
confronto, in settembre.
Il progetto FF, proposto da Tokyo, era una coupé di linea snella ed
elegante e presentava l'indubbio vantaggio di basarsi su uno schema meccanico
che la Casa aveva scelto per la nuova berlina 323: quest'ultima avrebbe potuto
quindi agevolmente fornire tutta la meccanica senza ulteriori investimenti,
sacrificando però la piacevolezza di guida, che era stata fin dall'inizio
uno degli obiettivi fondamentali del progetto.
L'altro studio giapponese, con schema MR, era anch'esso una coupé con
linea molto simile alla contemporanea Pontiac Fiero. La soluzione fu scartata
a causa di precedenti esperienze negative su prototipi con analogo schema
meccanico e perchè si ritenne che il mercato fosse già saturato
dalla Fiero e dalla neonata Toyota MR2.
La proposta
della MANA, invece, era una vettura spider con possibilità di trasformazione
in coupé mediante il montaggio di un tetto rigido: il manichino venne
battezzato dai suoi creatori Duo 101, proprio per la possibilità di
avere sia il tettuccio pieghevole sia l'hard top. L'auto era stata pensata
con lo schema FR.
La Duo 101 venne prescelta perchè ritenuta la più adatta al
pubblico statunitense, a cui il nuovo modello era prevalentemente destinato:
essa rispettava in pieno le aspettative degli utenti illustrate nel rapporto
del 1982. Inoltre, benchè a prima vista la produzione di una convertibile
potesse sembrare quantomeno azzardata e rischiosa sul piano commerciale, in
realtà occorre considerare che la nuova auto si sarebbe inserita in
un segmento di mercato lasciato praticamente libero dalla concorrenza (scomparse
le inglesi rimanevano solo la Fiat 124 Spider, prossima all'uscita di scena,
e l'Alfa Romeo Spider, che appariva però bisognosa di aggiornamenti
ed evoluzioni tecniche che la potessero mantenere competitiva nella nicchia
delle sportive leggere).
Deliberati quindi lo schema meccanico e l'impostazione stilistica di base,
nel settembre del 1984 la Mazda affidò ad una società specializzata
britannica, la International Automotive Design (IAD), la realizzazione del
primo prototipo marciante basato sulla Duo 101.
Il veicolo messo
a punto dalla IAD, battezzato V705, era molto simile nell'impostazione alla
Lotus Elan di Colin Chapman: il telaio era infatti a trave centrale e la carrozzeria
in fibra di vetro. La meccanica proveniva dalla produzione Mazda: l'avantreno
fu preso da una RX-7 prima serie, le sospensioni posteriori da una 929 e il
motore (di 1.4 litri) con tutta la trasmissione da una 323 a trazione posteriore.
La V705 fu pronta nell'agosto 1985 e il 17 settembre una delegazione Mazda
giunse dal Giappone e dagli USA per vedere e provare la vettura. Il prototipo
venne comparato su una pista di prova militare con una Fiat X1/9, una Toyota
MR2 e la nuova Reliant Scimitar. Le impressioni ricavate furono nettamente
positive e la macchina sembrò in un primo tempo destinata ad essere
trasferita in Giappone per ulteriori valutazioni. Il neo direttore del centro
di ricerca tecnica Mazda, Masataka Matsui, decise però di inviare la
V705 negli USA per poterla esaminare sulle strade per le quali era stata pensata:
la vettura venne quindi trasportata a Santa Barbara e qui fatta circolare,
insieme anche ad una Triumph Spitfire, per saggiare le reazioni del pubblico.
I commenti raccolti durante i pochi chilometri percorsi furono sufficienti
a Matsui per confermarne lo styling e convincerlo della opportunità
di avviarne la produzione.
Ovviamente la
V705 necessitava di un grande lavoro di sviluppo per poter passare da puro
prototipo qual era ad auto adatta ad essere prodotta in serie a costi ragionevoli.
Era infatti fondamentale che la LWS avesse un costo il più possibile
contenuto.
Vennero abbandonate soluzioni interessanti ma eccessivamente costose come
il telaio sviluppato dalla IAD e la carrozzeria in vetroresina. Si optò
così per una tradizionale monoscocca con carrozzeria d'acciaio, mentre
meccanicamente vennero impiegate il più possibile parti già
disponibili: il motore bialbero apparteneva alla serie B6 utilizzata sulle
323 sportive, il cambio proveniva dalla RX-7, il retrotreno dalla 323 Estate
e tutte e quattro le sospensioni erano di tipo McPherson. Può apparire
strana la scelta di un motore convenzionale anzichè rotativo, data
la tradizione che voleva le Mazda sportive azionate da motori Wankel; tale
decisione fu presa per contenere i costi. Infatti il Wankel già in
produzione non era adatto allo scopo e sarebbe stato necessario svilupparne
uno completamente nuovo (per maggiori dettagli consultare la sezione TECNICA).
Nel frattempo
alla MANA era stato dato il compito di perfezionare ulteriormente lo styling
esterno e un nuovo prototipo fu approntato entro la fine del 1985, mentre
in Giappone si effettuavano degli studi di fattibilità e di industrializzazione
del progetto.
Nel 1986 la MANA, ad opera di Tsutomu "Tom" Matano (considerato
un po' il "papà" della macchina), Koichi Hayashi, Mark Jordan
e Wu-Huang Chin, era al lavoro per realizzare il terzo e definitivo manichino
per quello che era stato siglato dall'azienda come progetto P729 e in Giappone
si cominciò a studiarne la produzione. Il responsabile del progetto
Masakatsu Kato preferì però non abbandonare il settore della
ricerca; l'industrializzazione venne quindi affidata a Toshihico Hirai, dimostratosi
un autentico appassionato di auto. Egli si rivelò attento anche ai
minimi particolari per rispettare quello che lui stesso definiva il concetto
ispiratore di una autentica sportscar: "the oneness between horse and
rider".
Hirai, dopo i test dei primi prototipi (realizzati sempre dalla IAD in Gran
Bretagna), diede una svolta al programma P729: convenendo che la maneggevolezza
ed il piacere di guida dovevano essere i punti fondamentali del progetto,
rifiutò alcuni dei compromessi fatti in precedenza.
Le sospensioni McPherson furono giudicate semplici ed economiche, ma poco
adatte allo spirito della vettura; vennero così sostituite da quadrilateri
deformabili, più pesanti e costosi ma sicuramente in grado di garantire
un miglior comportamento stradale. La scocca fu studiata con l'ausilio di
calcolatori per poter avere la massima rigidità possibile ma, non ritenendo
ancora sufficienti i pur ottimi risultati raggiunti, fu sviluppata una struttura
in alluminio attorno all'albero di trasmissione che aumentò notevolmente
le caratteristiche di rigidità: questa struttura, denominata Power
Plant Frame, divenne uno dei particolari qualificanti della vettura.
Nel settembre 1986 il terzo manichino di stile della MANA venne terminato
ed inviato alla Mazda ad Hiroshima per essere esaminato. Qui il responsabile
del design in Giappone, Shunji Tanaka, modificò e affinò la
linea della vettura, da lui ritenuta stilisticamente ancora troppo pesante:
l'altezza diminuì di 35 mm, il cofano fu abbassato (anche se meno di
quanto Tanaka desiderasse, per esigenze tecniche) e il passo fu accorciato
di 13 mm. Quest'ultima modifica creò non pochi problemi agli ingegneri,
che si videro costretti a spostare l'alloggiamento della batteria dal vano
originale dietro al sedile del passeggero (posizione che favoriva la migliore
ripartizione dei pesi col solo conducente a bordo) al bagagliaio. Per limitare
comunque il peso venne adottata una batteria di piccole dimensioni, di tipo
motociclistico.
Tanaka inviò il modello finito di nuovo in California, all'inizio del
1987, dove le sue modifiche (un po' temute dalla MANA) vennero giudicate positivamente.
Rimaneva da definire
il design interno: il compito fu affidato a Kenji Matsuo e al suo staff, a
Hiroshima. Lo stile della plancia,
ispirato a quello di precedenti sportive Mazda come la Cosmo 110S, prevedeva
un tradizionale disegno a T, mentre per i sedili ci si ispirò a quelli
dell'Alfa Romeo Spider, realizzando però dei componenti più
leggeri.
Vale la pena ricordare anche alcune idee, che non raggiunsero la produzione,
proposte dalla MANA al riguardo: Tom Matano aveva immaginato una plancia con
la parte superiore dipinta nel colore della carrozzeria, per dare l'illusione
che il parabrezza fosse fissato direttamente sul prolungamento della lamiera
del cofano motore, come sulle vecchie Triumph e Austin-Healey. L'idea fu scartata
per la difficoltà di dare la stessa tonalità di colore a due
superfici molto diverse come materiale e finitura quali erano la lamiera e
la plastica e, soprattutto, per i riflessi che questa soluzione avrebbe causato
nel parabrezza. Il Duo 101 era anche equipaggiato con una copertura rigida
che nascondeva alla vista la capote ripiegata, per ottenere una maggiore purezza
stlistica. Questo componente fu poi realizzato e venduto da parecchie aziende
produttrici di accessori e l'idea ripresa su altre auto come la Fiat barchetta
del 1995.
Nella primavera
del 1988 le prime 12 auto di preserie, costruite interamente a mano e numerate
da S1-1 a S1-12, furono finalmente pronte.
Occorreva solo, prima di presentare la P729 al pubblico, trovarle un nome.
Poiché negli anni '80 la Mazda aveva realizzato dei prototipi da salone
dallo stile innovativo e fuori dagli schemi usuali siglandoli MX-02 (1983),
MX-03 (1985), MX-04 (1987), si ritenne naturale proseguire nella serie: la
nuova spider venne quindi battezzata MX-5
(lo zero fu tolto per rendere più "snella" la sigla). Questa
scelta inoltre chiariva subito il posizionamento della nuova sportiva un gradino
sotto la RX-7 nella gamma Mazda.
Negli USA però furono inflessibili nel pretendere che alla sigla si
accompagnasse anche un nome. All'inizio venne proposto "Laguna",
ma in seguito il responsabile marketing Rod Bymaster trovò su un dizionario
la parola "meed" (che si può approssimativamente tradurre
con "ricompensa" o "lode meritata"), che pare derivare
dall'antico termine tedesco "miata".
Sembrò perfetta: la nuova spider si sarebbe chiamata Miata. Shunji
Tanaka disegnò personalmente la caratteristica scritta apposta sulla
targhetta
identificativa.
Una diversa denominazione fu prescelta per il mercato interno: poichè
la produzione Mazda spaziava dalle microcar ai camion, venne deciso di creare
due nuovi marchi per caratterizzare meglio alcuni specifici prodotti e differenziarli
dal resto della gamma.
Il 4 aprile 1989 vennero quindi rese operative le nuove divisioni Autozam
(dedicata alle utilitarie) ed Eunos
(riservata ai prodotti sportivi e di immagine). Ovviamente la nuova spider
era perfetta per far esordire il neonato marchio Eunos; si dovette però
rinunciare al nome Miata, poiché in Giappone esisteva un'azienda con
un nome molto simile, la Miyata: dopo alcune trattative si giunse all'accordo
per cui la macchina sarebbe stata venduta negli USA come MX-5 Miata, ma con
un nome diverso sul mercato interno. Così in Giappone venne commercializzata
come Eunos Roadster,
attraverso concessionari dedicati.
Il 10 febbraio 1989 la Mazda MX-5 Miata veniva presentata per la prima volta
al pubblico, al salone dell'auto di Chicago.
L'auto venne accolta
da pubblico e stampa specializzata con entusiasmo, dando vita alla riscoperta
di un concetto di vettura che pareva perso per sempre.
La ricetta era semplicissima: unire i vantaggi e la piacevolezza delle vecchie
MG e Triumph all'efficienza di un'auto moderna, mantenendo bassi i costi di
acquisto e gestione.
Una meccanica in grado di accontentare i palati fini unita ad una carrozzeria
dotata di una propria personalità ma zeppa di richiami alle più
famose antenate: dalla grande bocca
ovale (che ricorda un po' la Elan e alcune Jaguar), alle maniglie
delle porte (ispirate chiaramente a quelle create da Pininfarina nel 1969
per l'Alfa Romeo Spider), fino ai cerchi,
di design derivato dai classici Minilite
britannici (qui in versione a sette razze anzichè otto per contenere
il peso). Anche i fari
a scomparsa, divenuti un po' un simbolo della MX-5, contribuiscono ad
aumentare ulteriormente la personalità della linea. Perfino sotto
al cofano si è curato l'impatto estetico: solo le scritte sulla
testata impediscono di confondere il motore con un bialbero
Alfa Romeo.
La Miata si rivelò subito una instant classic. Il successo di vendite fu senza precedenti e la macchina divenne famosa in tutto il mondo, costringendo la concorrenza a correre ai ripari progettando modelli analoghi.
Dal 1989 al 1997
la Miata è stata costruita, nella sua versione originale, in 433.963
esemplari, quasi tutti usciti dalla fabbrica di Hiroshima. Solo nei primi
anni '90, nel periodo di massimo successo commerciale, alcune vetture vennero
assemblate nell'impianto di Hofu.
In particolare ne sono state vendute 114.994 in Giappone, 196.770 negli USA,
16.132 in Canada, 57.092 in Europa
e 4.609 in Australia.
L' 8 febbraio 1999 viene prodotta la Miata n° 500.000.
Attualmente la produzione ha superato il traguardo delle 600.000 unità, dopo i restyling effettuati nel 1998 e nel 2001: la Miata risulta essere la spider di maggior successo nella storia dell'automobile, tanto da entrare nel Guinness dei primati.
Breve storia delle idee, degli uomini e del progetto che portarono alla nascita della Miata