Attenti studi e ricerche ci riportano che per la Grande Piramide il  lavoro architettonico e di muratura  è stato di gran lunga superiore a quello richiesto per la costruzione di tutte le cattedrali, le chiese ed innumerevoli cappelle medievali d' Europa.
Il suo volume è trenta volte superiore a quello dell' Empire State Building  di New York.
Al suo interno può contenere tranquillamente l' immensa Cattedrale di S. Pietro in Roma ed altre chiese.
La sua altezza è stata stimata intorno ai 145 mt e 75 cm, ma originariamente raggiungeva i 150.
Il giornalista inglese Graham Hancock, che l' ha scalata e misurata, ci ha riportato quì

LATO EST mt 230 e 39,05 cm

LATO OVEST mt 230 e 35,65 cm

E con zelante maniacalità i suo angoli misurano:

NORD EST: 90 gradi, 3 primi e 2secondi.

SUD-EST : 89 gradi, 56 primi e 27secondi.

NORD OVEST: 89 gradi, 59 primi e58 secondi.

SUD OVEST: 90 gradi e 33 secondi.

 

Ogni misura differisce dall'altra con un margine d'errore dello 0,1 per cento,un risultato da far invidia ad un edificio di piccole dimensioni dei nostri giorni.
 Il suo peso consta in 6 milioni e mezzo di tonnellate di blocchi di granito del peso di circa 20 tonnellate ciascuno; in alcuni casi superano le 100 tonnellate.
Tutto ciò è incredibilmente sorprendente ed impressionante.
La moderna architettura, con l' utilizzo dei mezzi di costruzione contemporanei, non sarebbe in grado di riprodurre qualcosa di simile.
Molte sono le ipotesi portate avanti fin'ora, ma analizzandole una per una crollerebbero come un castello di carte.

 

La piramide di Cheope a Giza  è l'unica fra le sette maraviglie del mondo antico ad essere sopravissuta fino ai giorni nostri, anche se è la più antica ( 2560 a.C. circa ). Era alta 145 m, ma con la perdita della cima per 10 m, ora è una piramide tronca, anche se da lontano non si nota. I suoi lati, come quelli delle altre piramidi, sono orientate secondo i punti cardinali; l'ingresso è di fronte alla stella polare. Al suo fianco sorgono le piramidi di Chefren  e Micerino , rispettivamente figlio e nipote di Cheope. Tutte e tre le piramidi erano rivestite da lastre di calcare bianco e facevano parte di un vasto complesso funerario, comprendente templi ed altri edifici, di cui rimangono alcune tracce. Comunque il complesso doveva avere questa sembianza:

PARTE II

Se, per esempio, la vista di un monumento come il Partenone di Atene, causa soprattutto un’emozione intellettuale, nel senso di un’ammirazione profonda per l’arte sublime di uno scultore come Fidia e per i suoi architetti, Mnesicle, Ictino e Callicrate, trovarsi per la prima volta di fronte alle piramidi di Giza, causa addirittura una vertigine emotiva. Questo perché le piramidi, pur essendo opera dell’uomo, non possono, razionalmente, essere individualizzate, non scaturiscono, cioè, solo dalla genialità di un singolo (anche se al grandissimo Imhotep va il merito di aver letteralmente inventato questa forma geometrica) ma provengono, nel loro complesso, da una civiltà antichissima, capace di progettare e costruire simili monumenti, mentre gli altri uomini, nello stesso periodo, facevano appena capolino dalle caverne. Se, dunque, non si conoscono gli architetti che progettarono le piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, val la pena, almeno, di conoscere più da vicino il faraone che diede il via alla costruzione di questi tre inarrivabili capolavori dell’architettura monumentale di tutti i tempi, Cheope, cioè. E le sorprese non mancano davvero. Intanto Cheope ( il cui vero nome era Khnomkhufwey, o, semplicemente, Khufu) è il secondo faraone della IV dinastia, figlio e successore di un sovrano amatissimo per la sua bontà, Snefru, regnò sull’Egitto per circa vent’anni, dal 2590 al 2567 a.C. e la cui fama, legata nei secoli a venire al suo prodigioso monumento funerario, nell’Antico Regno era piuttosto dubbia. Insomma, per i suoi contemporanei, Cheope non aveva preso nulla dal padre: quanto il primo era caritatevole, tanto Cheope fu spietato e, mentre la fama di Snefru si tramandò intatta per millenni, per altrettanti secoli la nomea di Cheope lo accompagnò, fino ad arrivare alla Grecia classica, tanto che Erodoto non esitò a bollarlo, nelle sue Storie, come il prototipo del tiranno, il faraone che, alla propria ambizione personale, non aveva esitato a sacrificare il suo popolo e, perfino, gli affetti familiari. “ Non vi fu perfidia di cui Cheope non si macchiò - scriveva di lui il Padre della Storia - chiuse i templi e obbligò tutti gli egiziani a lavorare per lui, mandandoli a cavare pietre nei monti d’Arabia e a trasportarle fino al Nilo, dove altri sventurati le ricevevano e le trascinavano fino alla montagna libica. Ogni tre mesi centomila uomini erano impiegati in questo lavoro e, solo per costruire la rampa sulla quale si dovevano trascinare le pietre, ci vollero dieci anni e la costruzione della sua piramide costò altri vent’anni di tormenti al popolo egiziano..”. E questo è solo l’inizio. “Cheope- continua, infatti, Erodoto - esausto per queste spese, giunse all’infamia di prostituire la propria figlia in un luogo di perdizione e di ordinarle di ricavare dai suoi amanti la somma necessaria per terminare i lavori”. Lo storico greco, affermando di riportare i racconti dei sacerdoti di Menfi, aggiunge come la figlia di Cheope non solo eseguì gli ordini del padre, ma, volendo lasciare essa stessa un monumento, pretese che ogni suo amante, oltre al danaro, le consegnasse anche una pietra, e furono queste talmente tante che riuscì “a costruirsi quella piramide che si trova, ora, nel mezzo, di fronte alla grande piramide, e che ha un plettro e mezzo di lato (16 metri, circa)”. Un bell’esempio di amore paterno, non c’è che dire. Tuttavia, anche se Auguste Mariette, forse il più grande egittologo del secolo scorso, ideatore e primo direttore del Museo del Cairo (cui è appunto intitolato), nonché colui che scoprì il maestoso complesso funerario di Saqqarah, giunse ad augurarsi che “sarebbe stato molto meglio per la storia e per l’egittologia che storici come Erodoto, capaci di riportare a cuor leggero tali nefandi pettegolezzi nei confronti di Cheope, non avessero mai messo piede in Egitto”, è un fatto che Khufu non godesse di buona fama. Nel Papiro di Westcar, per esempio, è identificabile proprio con Cheope quel faraone che ama farsi narrare storie meravigliose dei regni dei suoi predecessori (vero e proprio capostipite di quei re orientali affascinati dai racconti meravigliosi e immortalati nell’arabo Le Mille e una Notte), ma è del tutto incurante del valore della vita umana. E, a conferma, il quarto racconto dello stesso Papiro di Westcar, dove si narra che Cheope, alla ricerca delle stanze segrete del santuario di Thot (il dio della sapienza e della scrittura), conosce il mago di Meidum, Gedi, “un uomo di 110 anni che mangia 500 pani, mezzo bue intero e beve cento brocche di birre”. A Gedi, si legge nel Papiro, per saggiarne la sapienza magica, Cheope propone di decapitare un prigioniero, solo per vedere se il mago, come si vantava, era capace di riattaccargli la testa. Ne ottiene, però, una risposta sdegnosa, in quanto Gedi gli risponde di non essere disposto a fare niente del genere, perché “ciò è vietato per il gregge di Dio”. Leggende o meno, forse è per questo che Cheope, colui che fece costruire il monumento più grande di tutto l’Egitto, una delle sette meraviglie del mondo, è anche il faraone meno conosciuto e, comunque, il meno ritratto. Se, infatti, dei faraoni dell’Antico Regno, Gioser, Snefru, Chefren, Micerino e, perfino, del primo faraone in assoluto, Narmer ( o Menes), esistono molte statue (al Museo del Cairo, al British, al Louvre e a Boston), di Cheope non c’è che una statuetta in avorio, alta appena nove centimetri che lo raffigura seduto su di un trono cubico, abbigliato con un gonnellino shendyt e, con sul capo, la corona rossa del Basso Egitto. L’unica immagine del faraone, trovata dall’archeologo inglese Flinders Petrie, nel 1903, e conservata, oggi, al Museo del Cairo. Tracce, invece, della sua smania di grandiosità architettoniche, si trovano proprio nei luoghi della antiche cave di pietra e delle miniere: il suo cartiglio, infatti, è stato rinvenuto nelle miniere del Sinai, a conferma della febbrile attività mineraria di Khufu, e, in questo caso, per estrarne rame e turchesi.