Unione per le Libertà a Cuba

Liberta per i Prigionieri Politici Cubani
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Cari amici:

Dovuto al precario stato della mia salute ed alla terribile depressione sentimentale che sento non potevo continuare a scrivere e lottare per la libertà di Cuba, metto fine alla mia vita. 

Negli ultimi anni, benché mi sentissi molto malato, ho potuto finire la mia opera letteraria, nella quale ho lavorato quasi per trenta anni. Vi lascio dunque come eredita tutti i miei terrori, ma anche la speranza che presto Cuba sarà libera.

Mi sento soddisfatto per aver potuto contribuire benché modestamente al trionfo di questa libertà.

Metto volontariamente fine alla mia vita perché non posso continuare a lavorare. Nessuna delle persone che mi circondano sono compromesse in questa decisione

C'è solo un responsabile: Fidel Castro. Le sofferenze dell'esilio, le pene dell'esilio, la solitudine e le malattie che ho potuto contrarre nell'esilio non li avrei sofferto di aver vissuto libero nel mio paese.

Al popolo cubano tanto nell'esilio come nell'isola l'esortazione a che continuino a lottare per la libertà. Il mio messaggio non è un messaggio di sconfitta, bensì di lotta ed speranza.

Cuba sarà liberà. Io lo sono già.

Reynaldo Arenas

 

Mare 


Non abbiamo più il mare,
ma abbiamo ancora voce per inventarlo.
Mari che la mente non cancella:
il mare in burrasca della collera,
il mare vischioso dell'esilio,
il fulgido mare della solitudine,
il mare desolato del tradimento.
Non abbiamo più il mare,
ma mari infestati di escrementi,
mari di pneumatici su cui osti nati
galleggiano alla deriva cadaveri
(le falangi artigliate sul bordo,
il fragore degli spari tra le onde).
Non abbiamo più il mare,
ma mari di loschi trafficanti,
di sbirri mascherati da bagnini,
di professori awezzi al crimine,
di spiagge trasformate in trincee,
di corpi stramazzati con un tonfo
che rimbomba nella memoria.
Non abbiamo più il mare,
ma mari di naufraghi, dita rattrappite,
occhi, unghie, brandelli di orecchi
disdegnati dai denti degli squali.
Abbiamo ancora unghie, unghie
e la furia ribollente dei marosi :
pestilenziali onde trascinando i morti
si alzeranno a formare una muraglia,
mare d'orrore senza tempo ne sponde,
che spazzerà il ventre gonfio del boia.

Infanzia


Un milione di bambini condannati col pretesto della "Scuola nei campi" a non essere bambini ma schiavi coloniali
Un milione di bambini condannati a ripetere ogni giorno solgan che umiliano l'intelligenza
Un milione di bambini, rapati a zero, marchiati con vessilli e distintivi
Un milione di bambini condannati a sollevare ad angolo retto il piede e a riabassarlo con scatto marziale urlando "Urrah!"
Un milione di bambini che avranno in dono dalla primavera il temuto segnale di partenza per la raccolta della frutta di scarto
Un milione di bambini in gabbia, affamati, imbavagliati, che si trasformano frettolosamente in bestie per non soccombere
Un milione di bambini a cui non piacciono le fiabe, i sogni, il ribellarsi perche non sanno che esistono
Un milione di bambini che non avranno mai infanzia, solo odio e sterminate piantagioni da abbattere
Un milione di bambini che marciano impugnando giganteschi martelli e
imparano che ogni espressione di bellezza, d'inventiva o fantasia è irrilevante, da finocchio o reazionaria
Un milione di bambini in perenne sfilata nella polvere tra le grida indistinte della folla.
Non a caso, Fifo, hai imbandierato l'isola d'immensi cartelli dov'è scritto "i bambini nascono per essere felici"
Senza questa spiegazione, chi potrebbe immaginarlo?


L'Avana, 1972

Autoepitaffio

Goffo poeta amante della luna

fu la paura l'unica sua sorte

e gli bastò. Sapeva che la vita

per i mortali è rischio o rinuncia,

l'ambire troppo segno di follia,

che l'orrido nasconde una bellezza.

Visse per vivere, avendo compagna

quotidiana la morte, la cui posta

è uno splendido corpo o il tuo destino.

Seppe che il meglio è ciò che s'abbandona

perché sta già alla spalle,

il rito quotidiano atroce noia,

l'approdo della vita l'impossibile.

Conobbe la prigione, l'ostracismo,

l'esilio e le molteplici offese

dell'umana viltà, ma sulla corda

lo sorresse, stoico equilibrista,

una finestra aperta sull'abisso

per godersi le luci dell'alba.

Non volle cerimonie, lutto o pianto

né tumulo di sabbia per le ceneri:

aborrendo la quiete anche da morto,

le affidò all'onda perenne del mare

sognando il tuffo di un ragazzo.

     

                     (New York, 1989)

Voci

Arrivano dal cielo, arrivano dal mare,

sballottati su camere d'aria,

aggrappati al carrello di un aereo,

Fuggiamo scavando nel volo un spazio,

afferrati alla coda di aquiloni giganti,

ed arriviamo a nuoto, vomitando bile,

sangue dai polmoni, disidratati, piagati,

scarnificato il cuore.

Noi, i fortunati, cui ha arriso la sorte.

Gli altri giacciono dimenticati in fondo al mare

o ci condannano per la nostra fuga

desiderando in segreto di partire.