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Hasta la vitoria! - Cuba: paradiso nel mito, inferno nella realtà

Incontro con Valerio Riva

organizzato dal circolo di Alleanza Nazionale "Idee e valori"

Lecce, 19 maggio 2003

 

MANTOVANO: Dottor Riva, Lei ha conosciuto Fidel Castro all'inizio degli anni '60. La rivoluzione aveva pochi anni di vita: nel '59,all'inizio, Fidel Castro si dichiarava addirittura non comunista. C'è una sua dichiarazione, ospitata dell'NBC, la televisione americana, del 19 aprile del '59, in cui dice di essere dalla parte della democrazia: "la democrazia è il mio ideale, io non sono comunista né sono d'accordo coi comunisti". E in quel periodo c'era un consenso ampio ed entusiastico da parte di intellettuali, di persone oneste, da parte di poeti come Armando Valladares che poi ha sperimentato la realtà delle prigioni cubane, subendo circa vent'anni di carcere terribile. Valladares ha scritto, poco più di 15 anni fa, un libro splendido, "Contro ogni speranza", edito dalla Sugarco - un'edizione veramente meritoria-, in cui racconta questa sua esperienza nel carcere di Castro.
Credo che sia interessante partire proprio dalla sua esperienza personale. Lei va a Cuba quando si è appena formato questo mito del paradiso dei Caraibi. Perché ci va? Con chi?

RIVA: E' una storia molto singolare. Io ero il caporedattore delle edizioni Feltrinelli, che era allora una casa editrice molto diversa da quella attuale. Anzi, posso dire senza tema di smentita che l'attuale Feltrinelli è la negazione di quella che era allora la casa editrice. Basta dire che nel 1957 Feltrinelli pubblicò Il dottor Zivago e lo pubblicò contro tutti. Il libro era proibito in Unione Sovietica. Noi andammo a portarci a casa il manoscritto - ce lo diede Pasternak, naturalmente -, e lo pubblicammo primi in tutto il mondo perché nessun editore aveva avuto il coraggio di farlo, fino a quel momento. In Russia fu pubblicato soltanto nel 1988 e capirete che cosa voleva dire. Lo pubblicammo, soprattutto, contro il parere dei comunisti italiani e in particolare contro la volontà di Togliatti, che fece di tutto per impedire che quel libro uscisse. Stiamo parlando del novembre '57: la Felltrinelli era diventata in un certo senso la casa editrice del dissenso e soprattutto del dissenso contro il comunismo. Il giovane Feltrinelli - io avevo 24-25 anni, lui ne aveva 26-27 - era figlio di una grande famiglia di finanzieri italiani ma, per varie ragioni, comprese le difficoltà di vita con la famiglia, era stato un fervente giovane comunista e soprattutto era stato un grande finanziatore del partito. Possedendo un capitale molto grande, ne passava regolarmente una parte al Partito Comunista. Quando pubblicammo Il dottor Zivago Feltrinelli stracciò la tessera del partito e smise di finanziarlo. Per quel che mi riguarda questa è una cosa della quale mi vanterò sempre, fino alla morte. Un po' di quattrini in meno erano già una bella cosa. Nel '62 erano passati pochi anni da quando avevamo pubblicato Il dottor Zivago; poi c'erano state altre cose, come Il Gattopardo, altri grandi successi editoriali... In pochi anni la casa editrice, da piccola e giovane, era diventata probabilmente, se non il numero uno, il numero due dell'editoria italiana; e anche di questo, scusate, mi vanto

Andando a Firenze nella primavera del '62 per un convegno che aveva organizzato La Pira, con molte personalità culturali e anche qualcuna politica che veniva dal Terzo mondo, io conobbi per caso un signore alto, magro, allampanato con un andamento da don Chisciotte, che si chiamava Carlos Franqui e che mi fu presentato come l'uomo più vicino a Fidel Castro. Ci mettemmo a chiacchierare e questo signore che era un po' più anziano di me - ma non tanto - mi disse di voler pubblicare un libro di discorsi di Fidel Castro. Io dissi: "Senta, caro Franqui, di discorsi di Fidel Castro se ne sono già pubblicati; in Italia ne ha pubblicato qualcuno Editori Riuniti, poi ne sono usciti vari soprattutto in Francia. A me sembrano una cosa noiosissima. Io ho visto alcune di queste cose: sono illeggibili! Perché invece non chiediamo a Fidel Castro, lei che lo consoce bene, di scrivere un libro per la Feltrinelli?". Rispose che gli sembrava un'idea bella ma difficile da realizzare. Andammo avanti a discutere per qualche settimana. Lui rimase in Italia, ci vedemmo spesso e arrivammo a una conclusione.

Ricorderete che nel 1962 si svolse uno degli avvenimenti più drammatici nella storia del secolo passato: la crisi dei missili di Cuba. Chi è giovane forse non ricorda più, ma chi è anziano sa che la crisi dei missili significò per l'umanità arrivare il più vicino possibile alla guerra nucleare. Io ricordo come se fosse oggi il giorno culminante della crisi. Gli aerei spia americani, passando sopra Cuba, avevano fotografato dei luoghi dove erano preparate delle attrezzature militari che dovevano albergare dei missili a testata nucleare. E poi avevano fotografato, attraversando l'Atlantico, delle navi russe che portavano sul ponte come degli strani "sigaroni", subito individuati come missili a testata nucleare che dovevano andare a Cuba ed essere impiantati su delle rampe di lancio, sicuramente orientate - su questo lo spionaggio non aveva nessun dubbio - in modo da colpire Washington e New York. Naturalmente gli americani pubblicarono queste fotografie. Nacque un grande scandalo e arrivammo all'orlo della guerra nucleare. Io lo ricordo anche perché quel giorno facemmo una riunione di redazione; eravamo tutti preoccupatissimi, così come in tutte le aziende italiane, negli uffici pubblici, eccetera, e mi ricordo che Feltrinelli disse: "Non sappiamo se domani mattina siamo ancora vivi". Perché quello era il fatto: in quella notte poteva esserci il lancio di questi missili. Lui, con la sua mentalità da industriale disse: be', chi è vivo domani si ricordi che qui bisogna fare questo e quello. Io rimasi così colpito - mi ero appena sposato, avevo una bambina - da quest'idea che potevamo morire, forse io no, ma mia moglie, mia figlia sì… Dissi: "Senti, non dire scemenze; se è così, tu che sei il padrone ci dai la liquidazione e ce ne andiamo tutti, siamo contenti, e facciamo quel che vogliamo, non dobbiamo stare qui a pensare come fare domani a riaprire l'azienda". Questo discorso impressionò tutti.

Lo scontro nucleare non ci fu, e non ci fu perché quella volta, a capo delle due grandi potenze, c'erano due persone di buon senso. Uno era John Fitzgerald Kennedy e l'altro era Nikita Kruscev: si scambiarono delle lettere (che dopo molti anni sono state pubblicate) per decidere cosa fare. Kruscev scrisse a Kennedy: la guerra nucleare noi non la possiamo fare; io che sono un padre di famiglia non mi prendo la responsabilità e lei? Kennedy gli rispose: io che sono un padre di famiglia non mi prendo la responsabilità. E decisero di non farne niente. Grazie a loro siamo qui ancora oggi.

Noi non ne eravamo certi, ma avevamo un forte sospetto, che peraltro Carlos Franqui mi confermava: Fidel Castro non era d'accordo con questa soluzione. Davanti al mio stupore, Franqui spiegava che lui era stato direttore del quotidiano del partito castrista e si ricordava con esattezza che cosa era successo quella notte; si ricordava come Fidel Castro aveva aspettato con grande voracità che scoppiasse la guerra nucleare e come l'angoscia si era diffusa nel giornale, finché poi, la mattina dopo, le navi con i missili improvvisamente senza dir niente a nessuno, voltarono la prua e ritornarono a Mosca. Franqui mi disse: "Sai, io quella notte dovevo fare il titolo di prima pagina e non sapevo cosa fare. All'ultimo momento chiesi a Fidel Castro, e lui non mi diede nessuna risposta. Io scrissi: SE NE VANNO. Era quello che in fondo il mondo aspettava". Allora di fronte a questa cosa io dissi: perché non andiamo da Fidel Castro e gli facciamo raccontare che cosa è stata la crisi dei missili vista dal suo punto di vista, dal punto di vista di uno che nella speranza di crescere, di diventare da un personaggio di secondo piano un personaggio di primo piano, aveva sfidato la guerra nucleare, contro tutti gli altri, contro le due grandi potenze.

Allora decidemmo di andare da Fidel Castro a fargli questa proposta. Era un libro rivoluzionario: le lettere tra Kruscev e Kennedy furono pubblicate non meno di vent'anni dopo; furono pubblicate anche le lettere che in quel momento si scambiarono Castro e Kruscev, ma in quel momento nessuno sapeva esattamente cosa era successo. L'idea era di andare da uno dei tre protagonisti di quella tragedia sventata all'ultimo momento e farsi raccontare la verità, o per lo meno la verità di Fidel Castro, di uno che quel giorno era stato grazie a noi sconfitto. Ed era una cosa molto difficile. Franchi disse: "Non sarà facile, Fidel Castro non è uno che scriva, non è mai stato capace di scrivere. Fa dei lunghi discorsi ma poi non è capace di mettersi al tavolo con la pazienza di scrivere. Dobbiamo preparargli un finto libro che gli dia l'impressione che il lavoro è già bell'e fatto, che lui deve soltanto mettere le ciliegine quando la torta è già confezionata". Passammo sei-sette mesi chiusi in un castello in Piemonte, io, Franqui, una segretaria che faceva da dattilografa, un grosso cane; e poi a un certo momento venne da Mosca un poeta cubano, che si chiamava Heberto Padilla, che ora è morto. Cominciammo a scrivere e preparammo questa bozza di libro, poi, verso il 23 novembre del '63, a bozza finita, presi l'aereo per andare a Cuba. Non era così semplice. Bisognava prendere un aereo e andare a Parigi, da Parigi prendere un aereo per New York, da New York andare a Città del Messico e lì presentarsi all'ambasciata cubana (con delle lettere di raccomandazione, naturalmente) e chiedere il visto per entrare a Cuba. Ma disgraziatamente il giorno in cui io partii da Milano era il giorno in cui uccisero Kennedy, il che rendeva tutto molto più complicato. Difatti feci tutto questo viaggio, arrivai fino a Città del Messico e lì incontrai un amico editore che mi disse: "Guarda, sta tranquillo per almeno una settimana perché adesso non ti puoi nemmeno avvicinare all'ambasciata cubana". "Ma io sono invitato…!" , rispondevo. Lui però mi esortava a lasciar perdere: qualche giorno prima era passato di lì Oswald (l'assassino di John Kennedy), che aveva chiesto un visto per Cuba; sulle prima gli era stato dato, poi, improvvisamente, gli era stato negato. Oswald, bestemmiando e protestando, era tornato a Dallas, ma questo fatto aveva creato delle difficoltà, tanto è vero che io rimasi a Città del Messico addirittura quasi tre settimane prima di poter chiedere il visto per andare all'Avana. Poi successe tutto quello che successe, come racconterò poi… Vi ho narrato tutto questo per rendere qual era l'atmosfera. Io andavo a far scrivere a Fidel Castro un libro che ci avrebbe raccontato perché non era scoppiata la terza guerra mondiale, la prima guerra atomica del mondo. Poi la cosa diventò molto più difficile. Io fui costretto a fare la spola tra Milano a l'Avana per ben cinque anni e poi alla fine questo libro, di cui conservo quasi 400 pagine a stampa, non fu mai pubblicato.

MANTOVANO: Il mito si nutre sempre di singoli e di eroi. Certamente un personaggio che non ha sempre connotazioni negative come ne ha Fidel Castro è Che Guevara. La sua immagine continua a resistere sulle magliette dei no global e di qualche loro insegnante... Il basco piegato sulla destra, la biografia, tutto quello che la tv e i giornali ci hanno sempre detto… Ecco, chi era effettivamente Che Guevara e quale posto ha avuto nella rivoluzione cubana? Si è parlato, anche per salvare il mito della rivoluzione, di un contrasto fra il Che, che ne sarebbe stato l'interprete autentico, e Fidel Castro, che in realtà avrebbe tradito l'impostazione originaria, ripetendo una dialettica che c'è sempre stata da quando il comunismo è sorto, anche in altre nazioni. Quanta distanza esiste fra la realtà del Che e il suo mito? .

RIVA: Una distanza siderale. Io ho conosciuto anche il Che e, devo dire la verità, questo mito non lo capisco. Penso veramente che sia un mito interamente costruito sul niente. Devo addirittura confessare qui che io sono, involontariamente, uno degli artefici di questo mito: per la semplice ragione che quella fotografia che si vede sempre in giro, sono stato io che l'ho scoperta nel 1965; è diventata poi una foto famosissima. Se soltanto vi racconto come ho scoperto questa fotografia e cosa è successo, capirete come si costruisce un mito su qualche cosa che non c'è. Nel '65 io ero andato per l'ennesima volta a Cuba nella speranza di riuscire a portare avanti questo maledetto libro. Di solito mi facevano alloggiare o in un albergo o in una villa di un ex quartiere di lusso dell'Avana, da cui poi avevo i contatti e gli incontri con Castro. Quella volta invece mi mandarono in piena campagna, molti chilometri fuori dall'Avana. Era un bel posto dal punto di vista della natura, ma anche un posto noiosissimo, perché io ero lì per fare un lavoro e, isolato così, non sapevo come passare le mie giornate. Dopo 15 giorni di questa specie di esilio, venne la direttrice della casa della cultura, sventolando un manifestino e disse: "Adesso capirai perché sei stato chiuso qui dentro per tanto tempo"; mi fece vedere la famosa lettera del Che a Fidel Castro, quella che dice "riprendo il mio cammino sul mio ronzinante, mi rimetto sulla strada della rivoluzione…", con l'annuncio che sarebbe diventato clandestino e sarebbe scomparso. Allora ci guardammo in faccia, io e Feltrinelli… Feltrinelli aveva fatto da poco un giro negli USA e aveva comperato un sacco di manifesti, che allora andavano molto, in cui c'era il faccione di Mao, di Lenin, di Stalin, e disse che avremmo dovuto fare pure un manifesto con la faccia di Che Guevara. E andammo da un fotografo che io avevo ben conosciuto, un tipo molto simpatico ma molto poco rivoluzionario, perché era stato un fotografo di Life, ed era famoso come fotografo delle star, delle stelline, delle belle donne. Pubblicava soprattutto dive del cinema o del gossip. Per questo era stato accusato di essere un fotografo borghese. Lui aveva cercato di rimettersi in carreggiata fotografando a spada tratta Fidel Castro e soci, ma, insomma, non era mai stato tanto accettato. Io gli chiesi se aveva una foto di Che Guevara, e lui mi fece vedere una serie di fotografie ufficiali in cui c'era il Che vestito in divisa, con i capelli con la brillantina, messo sempre di tre quarti, con un sorriso da burocrate stalinista. Non si poteva fare una poster con quelle fotografie formato gabinetto! Allora mi misi a frugare nelle foto di scarto di questo fotografo e venne fuori un'immagine che era stata scattata durante un avvenimento un po' particolare, l'incendio di una nave al porto dell'Avana, nella quale, dietro una folla di persone, si vedeva la testina di Che Guevara così come ve la ricordate in questi manifesti, con i capelli per aria. Io dissi: "Questa è la foto che va bene!". E il fotografo: "Tu mi vuoi far impiccare, mi vuoi far fucilare. Quando sapranno che questa foto te l'ho data io, finisco in galera e forse anche davanti al plotone di esecuzione!". Siccome poi quest'uomo, che era stato molto ricco e famoso all'epoca di Life, se la passava male, gli dissi: "Ti do 200 dollari e tu mi dai questa foto, poi magari non se ne fa niente". Quando poi tornai a Milano, invece, si fece quel manifesto.

Questa è la differenza tra il mito e la realtà. Qual era la realtà di Che Guevara? La prima volta che lo vidi mi fece un po' impressione. Non era tanto alto; dopo hanno detto che era un gigante, ma io sono alto un metro e ottanta e lui era più basso di me. Era malvestito, molto puzzolente. Però portava al polso un Rolex, che costava non meno di 30 milioni. Puzzolente col Rolex: questa è un'immagine di Che Guevara che non ho mai dimenticato. E il Rolex era anche il distintivo dei suoi uomini di fede. A tutti quelli che erano suoi amici intimi, gli uomini della sua bandilla, lui, per distinguerli, regalava un Rolex, come una specie di distintivo segreto. Il Che è l'uomo che subito dopo la rivoluzione spinse Castro a fare il maggior numero di fucilazioni. Era uno di quelli che pensava che i nemici di classe andassero sterminati. E' l'uomo che fu nominato ministro dell'agricoltura, della riforma agraria, senza saper niente di agricoltura: era il figlio di una famiglia benestante argentina, antiperonista, diciamo dei radicali non peronisti. Ora, Peron ha avuto molti difetti nella storia dell'Argentina però era un leader popolare. I borghesi agiati erano antiperonisti, e Guevara era di quella classe. Su Peron io ebbi una discussione con Guevara e lui sosteneva l'idea della borghesia media e alta argentina. In più, voi sapete che gli argentini sono persuasi di essere i migliori esseri umani a questo mondo; lui era argentino e come tale disprezzava i cubani. Questo disprezzo lo si ritrova persino nel Diario in Bolivia, dove tratta con grande durezza alcuni poveracci, e dove in più c'è un episodio terrificante con un ragazzo che non riusciva a resistere alle difficoltà: la spedizione in Bolivia, in effetti, fu una cosa pazzesca, una delle spedizioni più assurde che siano state fatte, tant'è vero che io ho sempre pensato che il suo scopo non poteva essere quello che si voleva far credere. Questo ragazzo aveva avuto un momento di debolezza e Guevara lo uccise con una pistolettata in fronte semplicemente perché non aveva risposto al saluto immediatamente. Questo era l'uomo Guevara, era l'uomo che è diventato un simbolo del pacifismo in un paese come l'Italia e non soltanto. Ecco, ditemi voi, io sono qua, ve lo racconto, non vi racconto mica delle balle. Quando vedo in giro un ragazzo di 16, 17 anni con una maglietta del Che, mi domando se quel ragazzo all'epoca del Che non avrebbe potuto far la fine di quel poveretto che, stanco, sfinito e forse impaurito, si beccò una pallottola in fronte. .

MANTOVANO: Il regime regge da 45 anni e nel frattempo tanti comunismi terzomondiali sono crollati; penso per tutti a quello del Nicaragua. Nel frattempo c'è stato il 1989. Perché, a suo avviso, a Cuba il muro è ancora in piedi? Qual è il cemento che lo mantiene dritto? Solo la fortissima repressione, o c'è dell'altro? .

RIVA: C'è una ragione fondamentale. Una rivoluzione si può fare soltanto in una regione dove esiste la proprietà privata. Questo mettetevelo bene in testa. Se c'è la proprietà privata si possono avere idee diverse e queste idee possono essere sostenute da qualcosa di concreto. Ma se la proprietà privata non c'è, non si può fare la rivoluzione, non ci sono i mezzi. Per fare la rivoluzione, come per far la guerra, ci vogliono i soldi. Non basta lanciarsi in strada. Lenin fece quella che poi passò come rivoluzione russa e che giustamente Malaparte chiamava "il primo colpo di stato", suscitando degli scioperi tra gli operai di Sanpietroburgo e pagando gli scioperanti dieci rubli a testa per ogni giorno di sciopero. Questi dieci rubli appartenevano ai soldi che lo stato maggiore tedesco, il nemico della Russia durante la prima guerra mondiale, aveva fornito a Lenin per andare a fare la rivoluzione. Non si può fare la rivoluzione senza soldi e a Cuba non ci sono soldi, non c'è proprietà privata da 44 anni.

Poi ci sono altre ragioni: una di queste è la situazione internazionale. Castro è un politico di grande cinismo ma anche molto abile. Capì che intersecandosi tra le due grandi potenze, ricattando sia la Russia che gli Stati Uniti poteva riuscire, in una posizione strategicamente così importante, in un'isola a 80 km dagli Usa, a tenere in pugno i due avversari e a campare sulla loro ostilità. E difatti fu così. Fidel Castro non era originariamente un comunista, era un radicale, come potrebbe esser adesso, diciamo, non proprio Pannella, ma quasi. Però aveva un fratello che era andato da ragazzo a un festival della gioventù comunista a Vienna e lì era stato assoldato da KGB; poi incontrò Guevara, un altro che aveva subito questo tipo di arruolamento. Ricordate che la rivoluzione cubana nasce nel 1959, tre anni dopo l'invasione dell'Ungheria, e che la rivoluzione cubana ha un senso e una possibilità di esistere perché pochi mesi prima c'è stata la rivoluzione in Ungheria. Cioè, si è scoperto improvvisamente che si può fare la rivoluzione contro la rivoluzione. Uno dei testi classici della rivoluzione cubana si chiama Rivoluzione nella rivoluzione. Castro, dopo la crisi dei missili, capisce che è molto più difficile venire a patti con gli Usa e scopre che Kruscev è di buon senso ma è anche un uomo debole (debole al suo interno, in URSS: non a caso due anni dopo cadrà rovinosamente), e che ha bisogno di avere gente che lo appoggia, di avere delle vittorie gratis. E Castro fornisce a Cruscev proprio l'occasione di avere una vittoria gratis, di avere una specie di torpediniera, di sommergibile puntato con i cannoni contro gli USA solo in cambio di petrolio e di quattrini. Questo è stato il modo in cui Castro è riuscito a stare in piedi fino al 1985.

Poi va al potere in Russia Gorbacev, la cui politica è di venire a patti con gli USA perché ha capito, a differenza dei suoi predecessori, che contro Reagan e contro le guerre stellari non si può combattere, bisogna venire a patti. La Russia non è più in grado di opporsi, la sua forza militare è più apparente che reale. Il patto consiste in tante cose: nella restituzione della Germania Orientale, la caduta del muro di Berlino, la fine della guerra in Angola dove sono coinvolti i Cubani e in qualche modo anche la fine del regime di Fidel Castro. Nell'86 o nell'87 Gorbacev arriva all'Avana e dice le stesse cose che ha detto a Honeker qualche settimana prima: è finita, noi ci siamo già messi d'accordo, tu devi fare le valigie e andartene. Honeker acconsente e la Germania Orientale crolla. Addirittura ci guadagna, perché Kohl fa una cosa contro le finanze della Germania Occidentale, che ancora i tedeschi stanno pagando, rendendo il cambio tra il marco occidentale e il marco orientale alla pari, quando la differenza era per lo meno di quindici volte. Cioè, in qualche modo, rifinanzia la Germania Orientale. Gli americani avrebbero attuato lo stesso programma sull'isola di Cuba: appena finita la dittatura di Fidel Castro ogni cubano avrebbe ricevuto dieci dollari, così come nel 1946 Adenauer, quando andò al potere, diede a ogni tedesco 5 marchi, che significarono la ripresa di un'economia.

Castro però rifiuta, e da quel momento comincia quello che si chiama el periodo especial, cioè praticamente la fame più nera, che poi Fidel Castro combatterà sviluppando la prostituzione, dandosi al commercio della droga, facendo tutto quello che conosciamo… Perché gli USA tollerano questo? In quel momento sarebbe stato facilissimo abbattere Fidel Castro! Dal 1962 gli USA si impegnarono con Cruscev a non toccare Cuba, senza aiutarla né colpirla, e questa è rimasta sempre la loro politica; hanno conservato sempre questa parola data. Hanno sbagliato? Io penso di si. Però l'hanno mantenuta. Certo, nel farlo, hanno un interesse: non avere a 80 miglia dalla costa un posto in ebollizione. Perché ricordatevi che il giorno in cui muore Castro a Cuba ci sarà un bagno di sangue. E agli americani questa cosa non piace. .

MANTOVANO: Leggo da La Repubblica del 5 maggio un reportage da Cuba: "A Cuba non c'è un sindacato, non c'è un giornale a parte il tristissimo foglio di regime. Non c'è una tv a parte quella dove Castro passa il suo tempo a fare discorsi […]. Non c'è un partito, se non il suo, che non si riunisce a congresso da più di 5 anni"; andando avanti dice che però c'è la "tessera del consenso". In che cosa consiste? Spiega: "In tutte le aziende turistiche, nella selezione della manodopera a tutti i livelli, si usa il criterio della fiducia o dell'appartenenza. Avere o non avere la tessera del partito comunista è la prima discriminante. La seconda è l'ottemperanza a tutte le richieste di regime. Così per avere un benefit in dollari o per lo stipendio in pesos bisogna partecipare alle assemblee, farsi vedere nelle guardias obreras, una sorta di ronde volontarie di controllo del territorio, andare a tutti gli appuntamenti convocati dalle organizzazioni di governo come sono le feste tipo quelle del primo maggio. Per ogni atto di devozione si guadagnano dei punti, si accresce il punteggio del lavoratore sulla tessera del consenso". Da questo dipende anche l'assistenza sanitaria, dipende il cibo, la qualità e la quantità del cibo, e così via. Ecco, questa è la tessera del consenso come la descrive un giornale che certamente non è di destra. Qual è oggi il grado di consenso nei confronti di Fidel Castro? E soprattutto credo sia importante che dia lei la risposta alla domanda che ha lasciato a conclusione del suo precedente intervento: Fidel Castro ha oggi un età che certamente supera la media dei cubani. Che cosa succede il giorno in cui si presenta davanti a Nostro Signore? .

RIVA: Succede, come ho detto, un bagno di sangue, perché questo consenso acquistato con i punti della tessera è un consenso fittizio. Mi ricordo che alcune società di sondaggio, già negli anni '70, cercarono di capire, con i loro metodi tipici, qual era il vero consenso che l'opinione pubblica cubana dava a Fidel Castro. Il risultato fu terribile: tra il 5 e l'8%. La maggior parte, quindi il 92-95%, era sicuramente contro. Poi c'era il consenso obbligato….

Il regime di Fidel Castro, la sua politica nei confronti dei suoi disgraziati sudditi, è mutata molte volte: come ho detto, Castro è un politico abile e ogni tanto capisce che deve cambiare i termini della situazione perché altrimenti non si regge. Diciamo che ci sono tre "sfiatatoi" per la situazione a Cuba: uno è quello di aprire improvvisamente le porte, così tutti quelli che se ne vogliono andare se ne vanno, senza ostacoli. Successe già la prima volta 30-35 anni fa: improvvisamente Fidel Castro si trovò in una situazione molto complessa, e così fece circolare all'Avana la voce che si poteva entrare nell'ambasciata peruviana senza incontrare l'ostilità dei soldati di guardia. Entrare in un'ambasciata straniera non è facile, perché fuori ci sono le guardie armate del regime che lo impediscono. Improvvisamente, quel giorno Castro fece sapere che la guardia era stata tolta dall'ambasciata peruviana. In poche ore 150.000 persone vi si precipitarono. La cosa durò tre o quattro giorni. Ottennero tutti quanti il visto. In più, furono istituite improvvisamente delle linee marittime che portavano la gente dal porto secondario dell'Avana in Florida. Lì c'erano dei banchetti con dei poliziotti, ai quali ci si presentava e si chiedeva di avere un visto. Centinaia di migliaia di persone… una cosa pazzesca! Io ho fatto un film su questa faccenda. Per ottenere più velocemente il visto bisognava entrare e dire: io faccio di mestiere il ladro, il prosseneta, il rapinatore, l'assassino, io sono una puttana, io sono un omosessuale. Se uno si presentava e diceva io sono un professore universitario, gli si diceva di tornare a casa. La storia è raccontata benissimo da un altro amico mio che è morto, un poeta, che allora si presenta e dice: io sono un omosessuale, e gli firmano il visto. In questo modo centinaia di migliaia di persone si precipitano sulla Florida. Gli americani fin dal 1962 hanno fatto una legge in base alla quale ogni esule cubano che riesce a metter piede sul territorio USA immediatamente riceve la cittadinanza americana. Il problema è arrivare a "mettere piede": quante tragedie su quelle 80 miglia di mare! Spesso si cerca di percorrerle su grandi camere d'aria per camion legate con delle assi, sopra le quali si attraversa un mare tempestosissimo, pieno di squali; la metà di quanti hanno tentato, si calcola, non sono mai arrivati, sono caduti in mare, sono stati divorati dagli squali, si sono ustionati per il calore del sole. Ricorderete la storia drammatica di quel bambino che la madre riesce a trasportare fino alla riva americana per poi morire sulla spiaggia, e che Fidel Castro pretese e ottenne indietro da una donna magistrato della Florida, una mascalzona terrificante…

Un altro "sfiatatoio", per esempio, è decidere che è permesso il piccolo commercio. Allora, dalla sera alla mattina, la gente si precipita in strada con dei carrellini e vende delle cose minuscole, tutto quello che riesce a raccattare; chi viene dalla campagna porta un po' di verdura, un po' di frutta, un po' di patate, e si creano questi mercati clandestini, ma tollerati, fino a che questa valvola di sfogo viene chiusa..

Un'altra valvola di sicurezza è quella di creare dei negozi dove si paga solo in dollari. I cubani hanno la possibilità di ricevere dai parenti che stanno negli Stati Uniti delle somme di denaro, fino mi pare a trecento dollari all'anno. Questi soldi, quando arrivano, devono passare attraverso un ufficio fiscale cubano, dove vengono trasformati, secondo il cambio, in pesos cubani. Qualche volta si da la possibilità di non farli passare attraverso gli uffici fiscali ma, per esempio, attraverso la Western Union, che rimette in dollari. Perché viene permesso questo? Perché si vogliono avere turisti stranieri, e i turisti hanno bisogno di ricevere i soldi da casa loro; così non si può impedire l'uso della Western Union. Allora si crea la possibilità di acquistare in dollari. Peraltro, si tratta di comprare a prezzi assolutamente assurdi: pensate che un professore di scuola cubano guadagna 10 dollari al mese e i prezzi nei negozi per gli stranieri sono praticamente uguali a quelli che ci sono in Italia, quindi potete capire cosa si può comprare… Naturalmente la prostituzione è un modo di guadagnare dollari, il traffico della droga è un altro. E non dimenticate che in un processo che fu fatto negli Stati Uniti alla fine degli anni '80 fu riconosciuto dalla Suprema Corte americana che il capo del contrabbando di droga a Cuba era il fratello di Fidel Castro. .

MANTOVANO: Vorrei aprire una parentesi dolorosa per me e per tutti coloro che tentano di essere cattolici, cioè quella della libertà religiosa a Cuba. Cuba è un paese di 110.000 km2 di superficie, quindi poco più di un terzo dell'Italia, con 11.200.000 abitanti. Poco meno della metà sono cattolici. Molti di questi hanno dei lutti in famiglia perché i loro parenti, i loro amici, sono stati uccisi. Molti sono morti gridando "abbasso il comunismo", altri "viva Cristo Re". C'è stata una persecuzione religiosa terribile, e soltanto la visita di Giovanni Paolo II nel '98 ha consentito di celebrare, ma non dappertutto e con mille limiti, il Natale. Le processioni continuano ad essere vietate, tranne rarissime eccezioni. Ecco, a fronte di questa situazione c'è stato fin dall'inizio un atteggiamento che definire ambiguo è eufemistico. Uno dei primi nunzi apostolici a Cuba, mons. Zacchi, un italiano, un anno dopo che tutti i vescovi cubani avevano firmato una pastorale di condanna al comunismo, arriva a Cuba e dice che Cuba era pagana prima della rivoluzione e credente con l'avvento del comunismo. Fu ripagato da Fidel Castro che gli regalò non un Rolex ma un'Alfa Romeo. E la storia continua. Qualche settimana fa, in un momento gravissimo per Cuba, con queste condanne a morte,il cardinale Crescenzio Sepe è andato a Cuba, ricevuto con tutti gli onori, e ha inaugurato una scuola materna di suore facendo le lodi del regime che consentiva che venisse inaugurata una scuola materna. Non è stato accolto nemmeno da un vescovo cubano, perché tutti si sono rifiutati di fare da testimoni rispetto a un fatto così vergognoso, mentre è in corso una persecuzione. Non basta. Vi leggo un brano interessante: "La rivoluzione cubana aveva come unico scopo quello di liberare gli schiavi ed eliminare criminalità e corruzione. Questo fece, e nient'altro: cacciò i predoni, rese gli schiavi uomini liberi, dette loro un'istruzione, una cultura, una patria. Oggi è un isola dai 100 colori di pelle che non conosce il razzismo. Ma la rivoluzione fece anche una cosa che in una zona di dominio americano non era consentita: disse che la libertà, la crescita di un popolo e l'eliminazione della povertà non potevano consentire un sistema di mercato capitalistico. Il risultato fu l'embargo. Tutti i guasti, le ingiustizie e gli errori che si sono accumulati nascono da qui". Questo brano è contenuto non in un discorso di Bertinotti che su Cuba oggi fa il "pentito", ma in un articolo dell'ultimo numero de L'Ora del Salento, che non è certamente l'Osservatore romano né Avvenire - che non pubblicano vergogne di questo tipo - ma è il giornale di questa diocesi, distribuito in tutte le chiese. Io non oso pensare quale sarebbe la reazione se su L'Ora del Salento si dicesse a proposito di Auschwitz: "era un luogo dove si lavorava molto bene e con molta efficacia"… .

Ma lasciamo pure da parte questa vergogna, che purtroppo si unisce a tante altre. La domanda che voglio farle è: quanto può incidere una posizione ferma della Chiesa dentro e fuori Cuba sulla stabilità del regime? .

RIVA: Intanto bisogna dire che ci sono diverse falsità nel testo che lei ha letto e che anch'io non esito a definire vergognoso. "La rivoluzione cubana ha liberato gli schiavi a Cuba", si dice: ma gli schiavi sono stati liberati un secolo prima della rivoluzione cubana! Cuba era in effetti una delle isole del commercio degli schiavi. Cominciando dal '600, l'Avana era diventata un centro dove comperare gli schiavi che arrivavano dall'Africa, però a metà dell'800 lo schiavismo fu abolito a Cuba, proprio per una rivoluzione interna ai cubani che non vollero più accettare questo. .

Inoltre bisogna ricordare che uno dei fondamenti culturali della società cubana è il sincretismo religioso. Cioè l'avere sapientemente mescolato insieme la religione degli schiavi africani con la religione cattolica, sostituendo agli dei della religione africana nomi e figure di santi della religione cristiana. Il cristianesimo è riuscito a prendere radici a Cuba soltanto mimetizzandosi con la religione degli abitanti neri. Non crediate che questa religione sia solo dei negri cubani: è anche dei bianchi, e soprattutto è la religione della piccola e media borghesia. Io sono stato una volta a un rito negro, dove c'è un santone che fa finta di ammazzare una gallina e poi in realtà, intorno a un fuocherello, parla con quelli che sono andati lì. Io ho avuto una lunga conversazione con questo santone. E mi sono stupito: era come se parlassi con uno psicanalista, con una grande capacità di penetrare l'animo umano. Qui ho capito che questo tipo di religione, che mescola insieme due tradizioni diverse e che si coltiva dentro le chiese cattoliche, ha avuto tantissimo peso dentro la società cubana. Ricordatevi una cosa fondamentale: questa religione sincretica, metà africana e metà cattolica, è una religione di ribelli, cioè fatta per non obbedire; è la religione degli schiavi che si ribellano, la vera religione del popolo cubano. Per questo Castro l'ha poi condannata e perseguitata ferocemente. Non era possibile sottomettere della gente che più di ogni altra cosa credeva nella propria liberazione..

Nel far questo, purtroppo, Castro ha avuto come alleate sia una parte della Chiesa cattolica sia - soprattutto - una parte della chiesa protestante, che hanno cercato di sconfiggere questa religione sincretica e di portare una religione, diciamo così, europea, occidentale, che naturalmente non può radicarsi in un popolo che è fondamentalmente una mescolanza di razze. Come sempre in America Latina, la grande maggioranza delle persone sono meticcie, cioè incroci tra gli europei che sono arrivati e i popoli che vivevano lì prima del loro arrivo. Così è anche a Cuba. C'è stato un momento, tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, in cui un antropologo folle ha cercato di stabilire il grado di negritudine presente nella società cubana e ha cominciato col trovare 18 differenze, per perdersi poi in tutta una serie impossibile di sfumature… .

Le chiese ufficiali hanno ferocemente lottato contro questa religione che si è diffusa e che non è una religione anticrisitana, ma tutt'altro, perché ha ripreso i santi e il rituale cristiano e li ha fatti propri, soltanto interpretandoli secondo le vecchie e molto profonde religioni africane. C'è una parte della gerarchia per esempio cattolica che capisce questo, ed è quella gerarchia che vive con i fedeli, che sa che deve rispettare questa credenza intima, fondamentale dei propri fedeli. E poi invece c'è la gerarchia che arriva da Roma catapultata lì, come scesa col paracadute.

Il recente episodio dell'inaugurazione con il card. Sepe che ha ricordato l'On. Mantovano, è un episodio grottesco. Dovreste leggere la stampa e l'informazione su Cuba da un sito che si chiama cubanet.com. Lì si trova da una parte la stampa indipendente, dall'altra la stampa internazionale, e poi c'è la stampa ufficiale, dei giornali dei partito. Sulla stampa ufficiale ho letto il resoconto di questa celebrazione: il card. Sepe va a Cuba a portare il Collare di santa Brigida per fondare un istituto religioso di suore brigidine (suore svedesi, che però misteriosamente da un po' di tempo hanno una badessa italiana che si chiama Tecla). Questa Badessa va all'Avana a ricevere in dono da Fidel Castro un vecchio edificio, tutto restaurato, per farne un convento. In cambio consegna il Collare di santa Brigida a Fidel Castro, Fidel Castro le dà indietro una medaglietta, si baciano, si abbracciano, si abbracciano col cardinale Sepe, finché si conclude questa cerimonia che sui giornali ufficiali del partito è raccontata in termini gloriosi..

Qual è la verità? Questo vecchio edificio, appartenente ad una vecchia famiglia cubana che poi è scappata all'estero, che quindi per quarant'anni era caduto in rovina nelle mani del governo, è stato acquistato da un affarista messicano il quale lo ha restaurato a proprie spese (il che naturalmente significa riconoscere la proprietà al 51% allo Stato cubano). Questo messicano si era sempre dedicato alla costruzione di alberghi in Messico, a Santo Domingo, in Venezuela: perché, dunque, regala questo edificio alle suore brigidine? Perché il patto con Fidel Castro è quello di creare un grande albergo dove fare dei convegni interreligiosi, ecumenici, dove si incontreranno per parlare delle proprie differenze religiose i cattolici coi protestanti, gli islamici etc. Di per sé la cosa è già molto ambigua, soprattutto se pensate cosa significa "ecumenismo" per una parte della chiesa oggi: quello che una volta era l'auspicata riunione dell'antica chiesa cristiana nel superamento delle differenze tra cattolici, protestanti e ortodossi, adesso significa soprattutto colloquio con l'Islam, quindi significa fornire certe sedi e certe possibilità di incontro anche al terrorismo islamico. Questo è lo scopo per cui viene fatto questo pseudo-convento delle suore brigidine. Perché poi loro e non altre? Perché sono specializzate nella creazione di conventi che in realtà sono degli alberghi, quindi hanno una lunga esperienza in materia. Quindi non si tratta di una cosa fatta per la fede, ma di una parte mercantile dell'attività della chiesa cattolica a Cuba..

Poi c'è tutta l'altra attività, quella di cui si racconta nel libro di Valladares, che era un cattolico di 19 anni che in seguito a un piccolo episodio di ribellione fece più di vent'anni di carcere. .

Io ho conosciuto mons. Zacchi: era arrivato a Cuba nel momento in cui i conventi venivano chiusi, i preti venivano incarcerati, le suore cacciate e le funzioni religiose annullate. Era stato annullato e proibito il Natale e mons. Zacchi arrivò dicendo che bisognava avere un dialogo con il potere; il suo dialogo con il potere è consistito nel ricevere in dono una fiammante Alfa Romeo, e soprattutto nel giocare a tennis con Fidel. Ed è vero quello che ha detto Mantovano: quando si è svolta questa cerimonia l'Arcivescovo de L'Avana non ha voluto nemmeno ricevere mons. Sepe e la badessa, perché sapeva che dietro a questo c'era un trucco, un infame mercato. E questo è uno degli aspetti della chiesa cattolica. Purtroppo..

Che cosa è successo, poi: Valladares, l'autore di questo libro che giustamente Mantovano ha ricordato, scrive una lettera che arriva a me e io la presento al direttore de il Giornale, dicendogli che va pubblicata immediatamente. Quando scrive, sono passati 15 giorni dagli arresti dei 79 e soprattutto dalla fucilazione di quei tre ragazzi che avevano tentato di rubare un tram: perché il famoso "traghetto" è in realtà un battello che va da una parte all'altra del porto dell'Avana e unisce il centro della città con il quartiere più povero e più negro. Una cosa di folklore, un tram ad acqua come ce ne sono a Venezia. Ogni tanto a qualcuno viene in mente di sequestrare questo tram acqueo e di uscire dal porto: non c'è mai riuscito nessuno, sono stati presi, hanno avuto qualche mese di galera, qualche anno, qualche botta, ma mai sono stati fucilati. Perché invece a quei tre è toccata questa sorte? Perché erano negri. E Fidel Castro, ve lo dice uno che l'ha conosciuto, parla dei negri come fossero merda, come ha sempre parlato dei negri la borghesia alta cubana. Deve aver pensato: ne ammazzo tre, non contano niente, però faccio vedere che non ho paura di nessuno. Quindici giorni dopo, ci scrive Valladares nella sua lettera, la chiesa di Roma non ha aperto bocca. Io dico a Belpietro che bisogna pubblicare subito questa lettera in prima pagina. Belpietro pubblica e dopo 24 ore esce un comunicato in cui il Vaticano smentisce e dice di aver mandato subito una lettera di rincrescimento a firma del card. Sodano. Se poi leggete questa lettera rimanete stupiti perché dice: abbiamo avuto notizia di queste fucilazioni, ci dispiace molto perché è una cosa che ci da molto dolore, ma confidiamo in sua eccellenza comandante Fidel Castro, un uomo illuminato eccetera eccetera, che saprà rimediare a questo grave fatto eccetera… Cioè, più che una lettera di condanna, una leccata. Il Vaticano afferma di non averla resa pubblica per non turbare le relazioni tra la chiesa cubana e il governo. Ricordatevi che tra la chiesa cubana e il governo cubano ci sono delle relazioni in base alle quali l'arcivescovo dell'Avana, mons. Iglesias non va a quella inaugurazione che avviene il giorno stesso dell'arresto dei 79 e 10 giorni prima della fucilazione dei tre negri. .

MANTOVANO: io mi fermerei qui, ringraziando veramente tanto il dott. Riva..

Abbiamo citato più volte il poeta Armando Valladares, che dopo vent'anni di carcere duro cubano è uscito in sedia a rotelle. Era entrato giovane, ventenne, aitante, e ne è uscito in sedia a rotelle, dopo essere stato oggetto anche di esperimenti biologici. Volevo concludere con una delle poesie che quest'uomo straordinario scrive poco prima di uscire dal carcere, anche se non sapeva della sua imminente liberazione:


"Mi hanno portato via tutto,
le penne, le matite, l'inchiostro,
perché loro non vogliono che io scriva,
e mi hanno sprofondato in questa cella di rigore,
però neanche così soffocheranno la mia ribellione.
Mi hanno portato via tutto.
Be', quasi tutto.
Perché mi rimane il sorriso e l'orgoglio di sentirmi libero,
e nell'anima ho un giardino eternamente fiorito.
Mi hanno portato via tutto, le penne, le matite,
ma mi rimane l'inchiostro della vita, il mio sangue,
e con questo scrivo ancora versi."

 

PresidenteCarlos Carralero

SegretarioLeonardo Pupo

Portavoce: Joel Rodiguez

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