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la terra fu creata per dare un approdo alle barche







" Men in a ship are always looking up, and men ashore are usually looking down." -John Masefield


A quei tempi, conveniva andare a fare il pieno di nafta in Corsica. Costava parecchio meno. Partivamo dal continente appena dopo il tramonto col favore del vento di terra e, in una nottata d'andatura di poppa regolare eravamo in quel quadrante.
Alla luce dell'alba, sorseggiavamo in silenzio il caffè ammirando l'isola azzurra e montagnosa con la vetta di Monte Cintu, la en deçà des monts, come dicono in francese o la da monte in qua come dicono in corso dalle parti di Bastia. Per un toscano della costa sembra quasi di essere a casa. Ormeggiavamo nel porto vecchio alla banchina 'Quai du Dragon', anche se era un ormeggio un po' difficile. Aspettavamo il nostro turno per entrare, poi andavamo alla banchina sud e facevamo il pieno di carburante. Così il Farymann 18 con il quale mantenevamo i nostri 4/5 nodi in velocità da crociera era a posto e noi pure con la cresta che ci tiravamo su.
All'epoca, il vento predominante nel quadrante era il Maestrale, mica come oggi che impera lo Scirocco. Con un lasco d'una cinquantina di miglia tornavamo a casa all'ora del tramonto. Il tempo ci passava carezzevole, senza nessuna fretta, mangiando, dormicchiando, fumando e riempiendo i nostri occhi di mare, di fantasie, di incontri inaspettati.
«Guarda un po' laggiù!», Giovanni indica un punto a prua verso dritta. Aguzzo la vista: appare come un rotolamento lucidamente bagnato e continuo di pneumatici da camion.« Sono delfini! E sono tanti, accidenti..» Non siamo molto lontani dall'Isola d'Elba, forse una decina di miglia, o giù di lì. Giovanni accosta un po' a dritta e sorride.« Andiamoci nel mezzo..», sembra un bimbo che ha visto una grande pozzanghera e non può fare a meno di attraversarla.
La barca ha perso un poco il vento ed ha rallentato, le vele sbatacchiano producendo rumorosi schiocchi.«Metti la prua al vento, dobbiamo fare silenzio», lavorando di winch mollo le vele e Giovanni di timone lascia che i diciassette metri della barca con l'abbrivio entrino nel mezzo al branco di delfini; mette la prua al vento e la tiene lì.
I cetacei ci circondano, si arrotolano sgroppando per andare in profondità a gruppi di due, tre o quattro, fianco a fianco. Non si fa in tempo a vederne il muso, dalla velocità con la quale emergono e si arrotolano su loro stessi in un looping continuo. Appena il tempo di scorgerne i musi puntuti nell'emersione circolare per una boccata d' aria di passaggio che subito si rituffano per guadagnare il fondo «C'è qualche branco di sardine, là sotto», eh già, è quasi ora di cena, ma quanti sono? Proviamo a contarli, dico, mi fermo a trenta perchè perdo il conto, poi ricomincio ma non so da quali ricominciare, vanno su e giù troppo di fretta. Giovanni cerca di continuare la sua conta, ma poi desiste confuso.«Proviamo a fischiare?», mi fa, ed io gli rispondo mi sa che hai visto troppi film, ma Giovanni fischia. Io vado in punta alla prua. Per un attimo non ci credo, poi mi dico di sì, lo sto proprio vedendo: un delfino mi sta proprio sotto lo slancio della prua, proprio sotto i miei occhi, pinneggia lentamente per restare a galla come uno che fa il morto, sdraiato sul dorso e con il ventre bianco in bella vista. Sta fermo e mi sorride, giuro che mi sta sorridendo, o almeno sono i suoi occhi neri che mi sorridono e mi fissano proprio nelle pupille. Mi sdraio bocconi e sporgo un braccio giù dalla prua agitandolo a mò di saluto, di meglio non so fare ma vorrei avere le braccia più lunghe per toccarlo. Il delfino sbatte con la coda contro lo scafo ed agita le pinne senza perdermi di vista. Stiamo prendendo confidenza, penso, sei proprio bello gli dico, ed è davvero bello ed anche grosso: ha il ventre bianco come il latte, magari è una femmina, chissà, vorrà fare la civetta, oppure è un maschio vanitoso che mi fa vedere quanto è bravo. Guardandomi, si lascia affondare nell'acqua trasparente, lentamente, come una gigantesca piuma al vento si perde nel verde azzurro. Mi guardo intorno: i delfini sono scomparsi tutti. Resto là come svuotato o troppo pieno, non saprei.
«Giovanni. Non ci crederai. Uno di questi delfini mi ha proprio sorriso», dico, a qualcuno lo devo pur dire, anche se mentre lo dico mi sembra esagerato. Giovanni sta timonando per riprendere il vento e mi sorride senza dire niente, come uno che la sa lunga, come se già sapesse che i delfini ci sorridono, certe volte, forse non tutti, ma qualcuno sì. L'albero scricchiola, le sartie tintinnano mentre la randa si tesa maestosa. Con uno schiocco il genoa si rigonfia.
Alla via così.

Segue...












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