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Derive









Me lo ricordo bene. Era l'inizio dell'ultimo quarto del ventesimo secolo, un periodo in cui la civiltà occidentale era divisa un po' su tutto, e gran parte del mondo se ne stava seduto teso sul bordo di una poltroncina in platea ad aspettare, in un miscuglio variabile di timore, speranza ed un po' di sana noia, che qualcosa d'importante accadesse.
Io me n'ero lavate le mani e respiravo modestamente tranquillo, i miei crocifissi stavano meglio di me, per quel che sapevo, di altri torturati s'erano perse le tracce e la folla sembrava non aver deciso ancora se scegliere tra barabba o il sant'uomo, tra l'apocalisse od il rinnovamento; i benpensanti si dividevano tra coloro che s'aspettavano una magia che guarisse il cancro od un bel botto nucleare, i malpensanti si stavano accapigliando mentre gli arabi si accaparravano la borsa di Londra, i giapponesi quella di Wall Street ed il dollaro precipitava, così io presi una solenne decisione: quell'estate non l'avrei passata sulle piazze di battaglia e nemmeno in mare.
Mi trovai un'occupazione momentanea in un locale alla moda sulla Costa. Lavoravo dalle 21 fino alle 5 del mattino. Lavoravo al fresco, di notte ed all'aperto. Il mio compito consisteva nel filtrare i clienti e nell'indirizzarli, secondo varie stime di rilevanza, ai tavoli. Vestivo elegante a spese della proprietà che, dopo avermi esaminato gli abiti a bocca storta, aveva tossito e m'aveva spedito a rivestirmi in un negozio del centro: giacca doppiopetto blu, cravatta regimental, calzoni grigio scuro. Ve lo dico: facevo un figurone e mi piacevo molto. Vista la delicatezza del compito che m'era stato affidato, avevo cancellato ogni traccia di sorrisi benchè rari dalla mia faccia ed avevo rese sottili e cucite le mie labbra in segno di muto diniego, mentre gli occhi al cinquanta percento fintoassenti interrogavano quelli degli avventori al loro affacciarsi, speranzoso, sui miei.
Ero stato fornito di un corposo testo ciclostilato dal titolo Bibbia. Uno dei primi versetti che dovetti studiare m'imponeva di evitare che la popolazione del continente dei maschi con le glandole ronzanti superasse di numero la popolazione del continente delle femmine in fioritura estiva mentre quello successivo suggeriva quel che dovevo fare per equilibrare le forze dell'oceano affinchè questi due continenti si toccassero e si compenetrassero senza collidere, almeno nel locale. Per un naturale svolgersi della legge della natura, per forza di cose come usi e costumi in atto in quello scorcio di secolo a quelle latitudini, poichè le donne sono i fiori ed il miele nei luoghi dove ci si diverte, il numero dei maschi doveva essere inferiore al numero delle femmine, come le api stanno ai fiori, come i soli ai pianeti. come la scala reale al poker. Studiai incuriosito il testo e la materia, visto che ne ero lontano quanto la terra dal sole non essendo stato edotto dalla vita su quel che avveniva sotto i chiari di luna danzanti e quelli naviganti o quelli di certi sottobosco che avevo frequentato non servivano più e m'avevano insegnato solo ad obbedire in silenzio.
Tenevo sotto controllo i due continenti e, quando se ne presentava l'occasione, cercavo di farli vicini, sponda a sponda, petto a petto, e m'imponevo di non permettere che il ghiaccio si frapponesse tra di loro: a volte bastava una battuta, a volte un "con permesso.." per avvicinare una sedia o una poltroncina. In molti casi ero ringraziato da sguardi sottoeloquenti e da qualche banconota passata sottomano. Qualcuno potrebbe obiettare che facevo il ruffiano. Nel continente perduto dei possibili amanti non ci trovavo niente di male. Anzi. E poi era scritto sulla Bibbia.
Gli uomini soli, se sconosciuti, mi potevano diventare un problema, perchè l'uomo minuscolo, quando è solo, in un luogo dove si balla, ci si diverte, si flirta, se non trova una compagnia anche solo per scambiare due parole, inizia a bere. Il continente perduto dei bevitori ha due tipi di abitanti: quelli che reggono l'alcool e quelli che non lo reggono. Quelli che non lo reggono, e sono davvero una moltitudine, sono un problema. Anche se non sono aggressivi, arriva sempre il momento che piangono o si compiangono prossimi al suicidio, oppure si sganasciano dal ridere, straparlano, sgomitano e, fatto ancor più serio, allungano le mani, disinibiti dall'alcool palpano rotondità prossime ma intoccabili, sfogano libidini d'arretrati desideri su occhi non di loro proprietà, comunque provocano, disturbano il naturale corso degli eventi, l'avvicinamento dei continenti.
Gli uomini soli, quelli che avevo conosciuto bene, di solito li accompagnavo nelle prossimità di donne che erigevano muretti di viole profumate di noia ed anche vicino a certe compagnie, tra le cui coppie formate, c'era sempre qualche ragazza la cui estate non voleva essere soltanto un guardarsi intorno.
Naturalmente, nelle serate meno caotiche facevo entrare anche qualche sconosciuto appartenente al continente degli uomini soli. In un batter di ciglia, in un ammiccare, ne esaminavo le scarpe, gli abiti, le mani e, per annusarne il profumo, avvicinavo l'orecchio alla loro bocca fingendo che avessero la voce sopraffatta dalla musica. D'altra parte è noto che un uomo solo, senza un bicchiere davanti non esiste ed è per questo che sono stati inventati i cocktails ed i bartenders, per dargli un'identità. Il nostro barman e la sua squadra venivano da Piccadilly Circus: aveva il bar in stock e famiglia al seguito ed era un formidabile miscelatore di chiacchiere, colori, alcool, frutta e guarnizioni, un ottimo partner nel controllare i solitari. Avevo anche un rapporto un po' speciale coi cinque ragazzi dell'orchestra che erano la colonna sonora abituale tra l'avvicendarsi di cantanti famosi e gruppi di successo. Conoscevo la loro scaletta a memoria e, quando era il caso di unire due anime in un corpo solo, passavo un biglietto al cantante, Egon, affinchè l'operazione andasse a buon fine.
Egon studiava lettere e filosofia ed era un romanticone romano col cuore grande così. Gli piaceva vestire un po' succinto, cose tipo calzoncini stretti e cosce muscolose in mostra, petto strappacamicia ed infradito. Alto, capelli castano chiari cadenti sulle spalle, occhi azzurri, era il bello fascinoso del gruppo ed era frequente assistere alle manovre delle signore in abito lungo e capelli cotonati che ballando, spingevano i partners fin sotto il microfono per guardarselo più da vicino e per lanciargli sguardi maliziosi da sotto in su.
Ma c'era un però, come disse il cercatore d'oro che s'era confuso con la pirite. Egon era un abitante d'uno di quei continenti perduti, quello della terra delle appartenze schiaffeggiate, dei fiori carnosi e delle felicità a volte un po' proibite, perchè vedete: non so come, Egon s'era incapricciato di me dal primo giorno che m'aveva visto. Ed io ero appena arrivato in un continente che non conoscevo, spinto da una deriva anomala, con in mano una bibbia che ne aveva sostituita un'altra ben più corposa ma forse superata dagli eventi, una vita davanti ed un consigliabile nulla dietro.

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