Pagina 8

                                                                       

Home
Pagina 2
Pagina 3
Pagina 4
Pagina 5
Pagina 6
Pagina 7
Pagina 8
Pagina 9
Pagina 10
Pagina 11
Approfondimenti
Internet
Immagini
Bibliografia

I GALLEGGIANTI

Il principio di Archimede è descritto dal Siracusano in una delle due opere, tra quelle pervenute, che sono dedicate allo studio dei fenomeni meccanici. Si tratta dei “Galleggianti” in cui si tratta di quel ramo della meccanica che è la statica dei liquidi e di cui Archimede fu il vero fondatore. L’opera ha avuto travagliate vicende. Dopo che nel XIII secolo Guglielmo di Moerbeke (collaboratore filologico di San Tommaso d’Aquino) ne fece una versione latina strettamente fedele all’originale, il testo greco andò perduto. Tartaglia, il grande matematico del Cinquecento, servendosi di quella versione, pubblicò lo scritto per primo nell’epoca moderna, seguito qualche anno dopo da Commandino che cercò pure di migliorarne il testo. Agli inizi del nostro secolo Heiberg, scienziato e storico della scienza, profondo conoscitore di Archimede. Ebbe la straordinaria fortuna di ritrovare a Costantinopoli un manoscritto contenente il testo greco di varie opere di Archimede, tra cui quella fondamentale intitolata il Metodo. Tra quelle opere c’era il testo – purtroppo non completo dei Galleggianti, che così potè tornare ad essere letto e studiato nella stesura originale.

Tornando all’opera del Siracusano si trovano premesse due postulati e due preposizioni la seconda delle quali, come afferma il Frajese, è di carattere geografico. Essa sostiene che se un liquido è in riposo, la sua superficie ha la figura di una sfera avente il centro nel centro della Terra. Detto in altre parole, questo significa, che tutti i punti della Terra il livello del mare è lo stesso, cioè dista egualmente dal suo centro. Si tratta di una verità che dopo Archimede fu abbandonata e solo molto più tardi, in epoca ormai vicina alla nostra, fu ripresa e dimostrata come vera. Dopo queste preposizioni, nei Galleggianti per la prima volta viene definito il concetto di peso specifico. Se questo, nel solido, è uguale a quello del liquido, si avrà equilibrio, nel senso che il solido stesso resterà immobile, senza discendere né emergere; se invece avrà peso specifico minore del liquido, il solido emergerà in parte di esso, se infine il suo peso specifico sarà superiore, si immergerà nel liquido, andando a fondo, ma venendo alleggerito di quanto è il peso del liquido spostato. In questo modo Archimede enuncia il suo principio: <<Un corpo più pesante del liquido nel quale lo si immerge discenderà al fondo e il suo peso, nel liquido, diminuirà d’una quantità misurata da ciò che pesa un volume di liquido uguale a quello del corpo.>>

* * *

SULL’EQUILIBRIO DEI PIANI

 E’ l’altra opera di Archimede che è giunta sino a noi e dedicata a problemi fisici. Poiché in essa Archimede usa il concetto di gravità senza definirlo esplicitamente, c’è chi pensa che egli abbia scritto un’altra opera su argomenti analoghi e che proprio in essa abbia dato quella definizione. L’esistenza di tale scritto è negato da altri interpreti.

“Sull’equilibrio dei piani” è una delle prime opere del siracusano, come si può argomentare in base alle sue stesse affermazioni. In particolare sembra verosimile che tra la stesura del primo e secondo libro di essa va cronologicamente posta la composizione della “Quadratura della parabola”, nella cui introduzione Archimede rivolgendosi a Dositeo parla della morte di Conone come di un fatto avvenuto da poco e che ci fa collocare lo scritto agli inizi della sua produzione scientifica.

Ciò porterebbe a concludere che all’inizio Archimede abbia speso le sue energia verso la matematica applicata argomento, appunto, dell’opera “Sull’equilibrio dei piani”. La stesura della “Quadratura della parabola”, con la sua dose di matematica pura, servì ad Archimede per risolvere gli argomenti meccanici del secondo libro dell’opera “Sull’equilibrio dei piani”. Si può dedurre che Archimede sin dai suoi primi studi si allontanasse dal metodo euclideo prettamente teoretico anche se, come dice Frajese il distacco non è così netto. Infatti la meccanica applicata nelle opere di Archimede riguarda solo corpi geometrici: nell’opera “Sull’equilibrio dei piani” egli prende in considerazione le figure piane aventi cioè due dimensioni. Se consideriamo la settima proposizione del I libro dove trattando delle condizioni di equilibrio della leva prende in considerazione il caso delle grandezze incommensurabili ci rendiamo conto di come ciò abbia alto valore teorico, ma nessun senso concreto.

In altre parole, come dice Plutarco, Archimede si tiene lontano dal considerare nei suoi scritti le applicazioni pratiche vere e proprie limitandosi a considerare i presupposti teorici e rimanendo così fedele alla concezione platonica della scienza. Come sostiene Frajese si può stabilire una linea di continuità tra l’opera di Archimede ed Euclide, anche se il Siracusano non si lasciò paralizzare dal platonismo dell’epoca dedicandosi sia alle ricerche di matematica pura sia alle realizzazioni pratiche. Si può concludere che in Archimede non è possibile separare lo scienziato teorico dall’ingegnere e dal tecnico. “Sull’equilibrio dei piani" insieme ai “Galleggianti” pone i fondamenti della statica.

* * *

STUDI DI ASTRONOMIA

 Essendo probabilmente figlio di un astronomo, Archimede fu in grado di padroneggiare anche in astronomia. Tra gli autori che danno testimonianza della sua attività in questo campo vi è Ipparco di Nicea, astronomo vissuto nel II secolo a.C.  e fondatore della vera astronomia d’osservazione. Lo cita Tolomeo “nell’Almagesto”: <<rispetto ai solsitizi spero che Archimede ed io non ci siamo ingannati sino a un quarto di girono tanto nelle osservazioni quanto nel calcolo.>>

Troviamo testimonianza anche in Tito Livio e Plutarco, come pure in Microbio che dice: <<anche Archimede credette di aver scoperto il numero degli stadi della distanza della Luna dalla superficie della Terra, di Mercurio dalla Luna, di Venere da Mercurio, del Sole da Venere, di Marte dal Sole, di Giove da Marte, di Saturno da Giove, ma ritenne di aver anche calcolato ogni spazio dal cerchio di Saturno, fino allo stesso cielo stellato.>>

E’ “nell’Arenario“ che Archimede descrive dettagliatamente il metodo da lui usato per misurare il diametro apparente del Sole e pur rimanendo lontano dal vero raggiunse un’approssimazione molto maggiore dei suoi predecessori. Probabilmente lo scienziato parlò delle sue osservazioni astronomiche in due opere che però sono andate perdute, la “Sferopea” e la “Catottrica”.