Stefania Gianni

"SRITTI DI DOMENICO GUACCERO"

(da GIANNI Stefania, Saggio bibliografico in AA. VV., Domenico Guaccero «Archivio Musicale del XX Secolo», CIMS - Palermo 1995)

[…] La costante e variegata attività di Guaccero è testimoniata nella complessa produzione letteraria e compositiva a cui i due ambiti rimandano in un reciproco e costante rapporto. Proprio per questo si è preferito semplicemente pensare ad una ideale distinzione tra ciò che riguarda la riflessione teorica vera e propria (a) e un'applicazione pratica nell'opera musicale e teatrale delle soluzioni trovate (b).
Gli scritti quindi propongono un continuo approfondimento di temi sempre presenti e assumono la strana caratteristica di essere quasi variazioni di un unico soggetto: il rapporto dialettico tra la Storia e l'esperienza personale allo scopo di influire positivamente con la propria azione sulla società contemporanea per rinnovarla e migliorarla. Persino gli scritti che apparentemente non toccano questioni sociologiche, come ad esempio i saggi sulla grafia, sui parametri musicali, sulla musica sacra occidentale, eccetera, sembrano come approcci diversi a quello stesso tema di fondo, quello che potremmo definire il pensiero fondamentale della sua poetica, così profondamente radicato e tanto inscindibilmente legato ad altri aspetti della riflessione teorica, da rappresentare una sorta di filo conduttore che tutti li comprende e permea: il confronto delle proprie e altrui attuali esperienze, con la Storia. Il rapporto dialettico che si instaura e che può farci comprendere meglio quello che accade ora. La ricerca dei "fili" che legano alla tradizione per verificare se qualcosa di originale fatto in un passato talmente lontano si riproponga oggi come qualcosa di assolutamente nuovo, ed evitare di ritrovarsi «ad aver scoperto l'acqua calda» (D. Guaccero, Sulla tradizione di teatro musicale, in AA. VV., di Domenico Guaccero prassi e teoria, Roma, Nuova Consonanza, 1984, p.184). «Quello che di storico o teorico si trova in questi scritti mi è servito sia alla sistemazione razionale della materia, sia a rintracciare i fili che legano la mia esperienza alle altre, dei nostri come di altri tempi» (D. Guaccero, Premessa, in Op. cit. p.69).
Questo rapporto con la storia deve andare il più possibile indietro, fino alle "origini" delle civiltà storiche e primitive, fino alle origini del mondo così come ci viene tramandato dalle varie cosmogonie, dalle mitologie elaborate nel corso di secoli, per rintracciare proprio lì, all’"origine", ciò che è stato perduto nel corso degli anni: l'unità. L'autore (lo scrittore e maggiormente il compositore) può e deve agire in questo senso se ha coltivato e raggiunto la sua unità interiore in un rapporto organico tra pensiero e azione, mondo interiore e mondo esterno, intuizione e realizzazione concreta, meditazione ed esercizio. Uno scritto (Testo parallelo A-B sulla musica "sacra" dell'occidente, "Lo Spettatore Musicale", IV, novembre-dicembre 1969) in particolare esplora approfonditamente questo argomento sviluppando una particolare attenzione ad aspetti esoterici e iniziatici di specifiche discipline e movimenti filosofico-religiosi ed alla funzione che il suono assume nei riti e nella società, considerando quindi la dimensione del sacro e del profano sintetizzata nella musica attraverso le successive epoche. Il metodo applicato quello di arrivare a scandagliare il fondo dei problemi con una sistematicità ininterrotta, quasi ossessiva, per poi ricomporre gli elementi dispersi in una nuova unità. (All'uomo, il metodo è servito a raggiungere «l'abisso, nella regione dove i catenacci sono sbarre perpetue» e per renderlo poi «puro e disposto a riveder le stelle») (2).
Se veramente la Storia insegna, possiamo seguire come questo confronto con la Storia si sia svolto, dal punto di vista speculativo e poi pratico, ad iniziare dalla storia più recente, recuperando via via i tasselli di questo mosaico fino a ricavare l'intero sistema della poetica nelle sue variegate sfaccettature. A cominciare dalle problematiche attorno al linguaggio e all'opera.
(a) Ciò che dai puristi non è stato perdonato a Schönberg e Berg è invece stato valutato positivamente da Guaccero: il loro modello era «la forma più umanizzata» di dodecafonia. «Il fondo connettivo linguistico era costituito da "fossili tonali" o meglio dalle articolazioni, rese depurate e astratte delle funzioni tonali» (Una conclusione provvisoria, "Collage", n.1, dicembre 1963, p.14). Perché‚ queste "impurità linguistiche" vengono considerate positivamente? Perché‚ di fronte alla difficoltà di una percezione puntuale della serie, i due Viennesi utilizzano «polarizzazione, tensioni risolutive, collegamenti di bassi» (ibidem) che permettono di superare in parte tale difficoltà della quale anche Webern (la cui prassi compositiva sembra fondare una nuova sintassi e per questo fu preso a modello dalla seconda fase dell'avanguardia) si era reso conto. Quest'ultimo risolse il problema verificando sin dall'inizio il materiale seriale disposto in cellule più piccole tra le quali fossero riconoscibili all'ascolto correlazioni logiche, tensioni e risoluzioni, parallelismi, emergenza di un intervallo o di un suono. (3)
Si passa quindi dalla Klangfarbenmelodie di schönberghiana memoria, all'individuazione e serializzazione delle altre dimensioni. La nascita della musica elettronica contribuisce al meccanismo della serialità integrale. Entrambe rispondono allo stesso principio di fissità. Va però valutato anche il peso che la musica concreta ha avuto in quegli stessi anni: viene riscoperto il suono come tale, l'evento sonoro, compreso il rumore. All'estremamente determinato si oppone il totalmente indeterminato che è esattamente il risultato del precedente. Da lì l'entrata cosciente di elementi aleatori nell'opera.
Occorre fermarsi un momento ancora sui parametri musicali che presentano una evidente analogia con l'identificazione di elementi sintattici che Guaccero ha evidenziato nel teatro musicale. In Problemi di sintassi musicale II (un testo originariamente destinato al secondo numero di «Ordini. Studi sulla nuova musica») più precipuamente l'autore si sofferma sulle dimensioni del suono, che possono essere considerate in senso fisico, oggettivo, (prive «di intendimento estetico» e «linguistico del termine») come coordinate caratterizzanti un'opera musicale. Nel primo caso si parla di altezza, intensità, timbro (la durata è già insita nel movimento di armonia e melodia). Le seconde dimensioni sono invece la melodia e l'armonia. Vengono quindi considerate, in rapporto alla storia, la loro esistenza, supremazia dell'una o dell'altra, indipendenza, e interrelazione fino ad arrivare «all'attuale momento tecnico» con la classificazione dei parametri e il loro uso.
Lo spazio e il tempo e le loro relazioni vengono anch'essi presi in considerazione perché‚ i parametri "linguistici" presentano la loro dipendenza dal tempo: si tratta della successione o della simultaneità di altezze sonore in una disposizione temporale. Per lo spazio una breve riflessione scientifico-filosofica porta a questa considerazione: «La funzione parametrica del Tonort sarà quella di inscriversi nello spazio plastico-visivo (e non in quello della coesistenza di frequenze, intensità, timbri) e modellarlo, analogamente a come possono modellarlo la danza o la mimica, ricercandosi, mediante i suoni, la particolare tridimensionalità di quello spazio, che sarà parallela, ma non coinciderà con le tre dimensioni o i tre parametri "fisici" del suono» (ibidem, p.39). Un aspetto importante preso in considerazione è il rapporto con il materiale: ovvero si è generata «confusione tra preparazione del materiale con cui lavorare e sua messa in funzione» (Problemi di sintassi musicale I, «Ordini. Studi sulla nuova musica», n.1, 1959, p.32). Meglio ancora si è creata una scissione fra musica strumentale e musica elettronica. Per superare tale iato bisognerà ricondurre «pur conservandone la dialettica, ambedue i settori ad un principio regolativo unico: quello della percezione (ancora una volta dalla percezione sensoria, a quella linguistica a quella espressiva), come criterio generale di operare in campo artistico» (Problemi di sintassi musicale II, .cit. p.46). Proseguendo le sue considerazioni sulle differenze esistenti tra la musica strumentale e quella elettronica ( la prima comporta l'esecuzione immediata, la seconda mediata dal nastro) sottolinea che la dialettica fra quella e questa, «fra variante e invariante […] non può essere mediata che da opere che dispongano di entrambe e magari di tutte le possibilità che intercorrano fra gli estremi: musica registrata (suoni elettronici, concreti e strumentali), musica registrata e montata o modificata immediatamente, musica per strumenti elettronici o per strumenti tradizionali "elettronizzati", musica per strumenti normali, voce compresa. I mezzi per dominare questo materiale saranno dati dalla logica sintattica che sarà in grado di rendere significanti i dati naturali» (ibid., p.48).
Come non prestare attenzione alla presenza del nastro magnetico, manipolazioni elettroniche, e il materiale registrato in quasi tutte le partiture ad iniziare da Iter inverso (1962). E come non fare riferimento al padre della musica elettronica, quell'Edgar Varèse ricordato come «un autore scomodo, privo del "senso del pubblico" [...], interessato al suono come tale, come viene ascoltato, senza sovrastruttura sintattica» (Note per uno studio su Edgar Varèse, "La Biennale di Venezia", XIV, n.56, 1964, p.19). Lo studioso di fisica acustica apre in America un nuovo capitolo, trovandosi comunque al di fuori di ogni corrente. Con la nascita della musica concreta ed elettronica, «finalmente riesce ad avere nelle mani il suo mezzo tecnico, ma rifiuta ogni dogmatismo puristico, rifiuta la pietra filosofale dell'elettronica, quella universale panacea che dovrebbe sostituirsi a tutti gli altri mezzi sonori possibili, perché‚ ha in sé‚ la formula dell'infinito timbrico» (Ibidem., p.20). Afferma infatti Guaccero: «il disco e il nastro magnetico non possono mai "sostituire", e proprio per ragioni fisiche, la tromba o il violino, sicché‚ la registrazione di un pezzo scritto per essere ascoltato direttamente da strumenti apparirà sempre come un surrogato. E' possibile però scrivere dei pezzi da eseguire su strumenti tradizionali, ma già pensando ad una loro trasposizione sul nastro: in tal modo la distorsione timbrica che ne deriva è già pensata in funzione di un risultato estetico, e un ascolto diretto (quindi collettivo) è escluso per principio, a meno che esso non assuma la fisionomia di un ascolto da un trasmettitore per collettività (tipo juke-box). Non credo però che l'umanità, dopo essersi annessi nuovi territori tecnici (musica elettronica, concreta e strumentale registrate, e musica elettronica e concreta non registrate) voglia farsi sfuggire la sua primitiva terra natale, il suono, cioè, d'uno strumento, primo fra tutti la voce umana, mosso direttamente da fiato o dita umane, insieme o dinanzi ad altri uomini» (Diffondere con i nuovi mezzi prodotti musicali intelligenti a ogni livello, "Il Paese", 16 maggio 1961).
E prosegue: «Una tecnica che si serva del gioco dei diversi parametri potrà essere alla base di una sintassi comune a tutti i tipi di musiche comprese fra quella registrata e quella strumentale. Ciascun parametro sarà graduato a seconda delle possibilità percettive ed esecutive dell'uomo: il fatto che oggi noi abbiamo degli strumenti musicali costruiti per altri sistemi logici e che si rifiutano ai sistemi da noi immaginati, non dice niente di più del fatto che bisogna costruire nuovi strumenti. […] Una analisi importante da svolgere sarà quella di vedere quanto le capacità percettive corrispondano alle capacità esecutive dell'uomo. Per fare un esempio semplice:[...] con quale metro si possono graduare delle intensità alla percezione e all'esecuzione? E i timbri, specie quelli degli strumenti tradizionali come potranno costruire una gamma graduata? Le altezze infine, in quale misura potranno allontanarsi dalla scala secondo la radice dodicesima di due? Come si può vedere un nutrito programma per una sperimentazione tecnico-scientifica e per le possibili realizzazioni estetiche» (Problemi di sintassi musicale II, cit., pp.48-49).
Le composizioni esemplificano i risultati sulla sperimentazione di cui i tre parametri sono stati oggetto: per le intensità Guaccero ha elaborato insieme a Macchi una "scala", basandosi su tre valori strettamente correlati alle possibilità percettive, "piano possibile", "intensità media", "forte possibile", a cui sono stati aggiunti valori intermedi. La sperimentazione timbrica è stata pressoché‚ ininterrotta fin dalle prime composizioni (Ricreazione, del 1953, per baritono e 7 strumenti e La Farmacista del 1956, nel cui organico compare la fisarmonica): non solo sono stati creati nuovi strumenti e inusuali preparazioni, ma oggetti comuni sono diventati "sonori", come fogli di carta, acqua, tubi di legno o metallo e così via. Per non parlare dello studio approfondito sui modi, sui luoghi e mezzi della produzione del suono. Anche le altezze non sono sfuggite al riscontro pratico: l'uso di altezze temperate, extra-temperate e aleatorie trova riscontro in questa affermazione: «La suddivisione extra temperata delle frequenze si può dire si sia tentata per tre vie: quella di introdurre tra le frequenze temperate una ulteriore suddivisione per quarti di tono, quella di tentare una suddivisione secondo una temperatura diversa dalla radice dodicesima di due, quella di eliminare ogni suddivisione preventiva del parametro» (ibid., p.49. Cfr. anche A. Titone, Musicisti italiani alla prima "Settimana" di Palermo, AA.VV., di Franco Evangelisti e di alcuni nodi storici del tempo, Roma, Nuova Consonanza, 1980, pp.34-41).
Soffermarci su questi elementi è importante sia per le considerazioni sulle composizioni che più ampiamente ne vengono influenzate sia per il rapporto che si crea con il teatro. Ma per Guaccero il problema della graduazione dei parametri assume proporzioni più vaste: desiderare una loro articolazione secondo moduli generali e razionali è fondamentale «se pensiamo al peso di formalizzazione linguistica che tale articolazione e realizzazione reca con sé». Dal dibattito sulla lingua derivano gli interrogativi "di rito" sulla natura semantica della musica, sugli oggetti e contenuti del "discorso" musicale e sulla struttura "aperta" o "chiusa" di tale discorso . Si ripropone il "sempre discusso rapporto contenuto-forma". Ma a questo Guaccero risponde: «Per il fatto che l'arte […] vive tra gli uomini, essa istituisce fra di loro una relazione, una comunicazione, non importa se vissuta in collettività o in stretta singolarità. Nella misura in cui è comunicazione, l'arte è lingua [...] che designa se stessa come valore, come suo stesso contenuto". L'opera tutt'intera è "di volta in volta forma, se è osservata da un punto di vista strutturale e contenuto se osservata da una punto di vista emozionale» (ibidem, p.51).
A questo punto si deve fare ulteriore riferimento a un altro punto cruciale della attività critica e artistica di Guaccero: la scelta del materiale sonoro il cui studio conduce alla sperimentazione e alle riflessioni sul "nuovo", alle tecniche compositive, alla impurità linguistica che comprende la prospettiva il più possibile prossima, di "contaminazione" della musica con altre forme fondamentali della percezione estetica. (Una conclusione provvisoria, cit., p.21).
Afferma Guaccero: «Il problema del nuovo è [...] il problema dell'invenzione, sui vari piani, tecnico, linguistico, d'immagine: e man mano che dal piano tecnico si sale al piano dell'immagine, l'unicità del nuovo è sempre più marcata». «I sistemi musicali sono delle formalizzazioni ma aperte […] in cui operano le forze correlative della stabilizzazione e dell'invenzione. Se è vero che il "sistema" finisce per irrigidire la fantasia in schemi, mentre l'invenzione continuamente sollecitata dal materiale, desidera procedere senza impacci a libere espressioni, non è men vero che una formalizzazione della materia scioglie la fantasia dal peso di una materia grezza, facilmente riportabile ad un mondo di suoni quotidiani» (Problemi di sintassi musicale II, cit., p.52).
L'autofagocitazione delle novità non è soltanto la conseguenza dell'erosione provocata dalla storia e dalla «saturazione del nuovo», ma soprattutto il prodotto dello scambio sempre più veloce tra il nuovo nella tecnica e il nuovo nell'immagine mentre va evidenziata «la dialettica interna all'arte, fra tecnica (ricerca sul materiale, sedimentazione linguistica) e invenzione» (Una conclusione provvisoria, cit., p.22). L'invenzione tecnica (si tratti di materiale o linguaggio) viene presentata come immagine (ovvero opera); «essendo la tecnica trasmissibile e perdendo subito con ciò il proprio valore di nuovo, l'artista non intende applicare quella tecnica alla formazione di opere o esaurirne le possibilità sintattiche, ma passa ad inventare nuove tecniche» (ibidem, p.17). La divergenza compare anche nelle tecniche, soprattutto fra quelle della musica strumentale e registrata «sul modo in cui debba essere risolta nell'opera musicale la materia sonora». Da una parte si tende ad assumere un materiale grezzo, preso «dalla vita», dall'altra l'estrema formalizzazione della materia. Le due posizioni divengono irrigidimento e cadono in un «facile purismo» (Problemi di sintassi musicale II, cit., p.52).
Sarebbe forse necessaria una «mediazione teorica» che non significhi «eclettismo riposante su ambigue posizioni di comodo: esso invece prevede un occhio sempre vigile sul massimo orizzonte di fenomeni, prevede una adesione alla vita senza irrazionale abbandono [...]. La difficoltà della mediazione è la difficoltà dell'equilibrio, che un'opera deve avere per dirsi compiuta, difficoltà come rarità del prodotto, difficoltà come sforzo per ottenere la rarità». Ci sembra che l'alacre attività di Guaccero sia racchiusa e spiegata in queste poche parole. Vanno in questo senso compresi l'originalità degli interventi sul materiale strumentale e registrato, l'introduzione di elementi apparentemente estranei a mediare tra un'influenza vitalistica e la formalizzazione del materiale. Quella che Guaccero chiama elaborazione di una «sintesi a priori» necessaria per la sintassi musicale, in cui il metodo induttivo e deduttivo aiutino ad operare sul materiale stesso. Importante è recuperare «una sintassi nuovamente comunicabile su cui poi costruire le nuove opere» (ibidem, p.56).
Ancora una volta il problema si pone in termini dialettici: cos'è opera e cosa operazione d'arte. Premesso che i due termini non sono incompatibili ma al contrario vanno ad integrarsi reciprocamente, opera «significherà la volontà di progettare formalmente e di immettere nel progetto ricerche tecniche rigorose, invenzioni linguistiche, contenuti e valori viventi». Solo quando quella "volontà" «avrà prodotto immagini artisticamente vive […] avremo l'opera riuscita, altrimenti avremo l'opera fallita, l'opera rimasta allo stadio della volontà». Per quanto riguarda le operazioni d'arte esse «saranno le condizioni ed insieme i mezzi per la realizzazione dell'opera: ciò che diversifica quelle da questa è l'intenzionalità di operazioni agenti come fini e operazioni come pezzi per un'opera». E continua: «L'esperimento come ricerca preventiva per l'opera è invece un dato ineliminabile della nuova musica, da proseguire con ampiezza di mezzi, serietà e intelligenza sul campo del materiale (nuovi strumenti, nuove tecniche strumentali) e in quello della percezione umana (connessioni logiche, limiti auditivi, limiti psicologici, analisi sociologiche ecc.)» (Una conclusione provvisoria, cit. p. 23).
Guaccero che si è sempre considerato un «musicista sperimentale» ha trattato in modo particolare questo tema nelle Note per uno studio su Edgar Varèse, e in parte nel testo dedicato a Monteverdi, inedito e pubblicato per la prima volta in questo volume, al quale rimandiamo (Monteverdi fra l'antica e la moderna musica, Roma, 1967, vedi Bibliografia Generale). Vale la pena di ricordare soltanto la varietà degli organici sicuramente determinata dalla scelta indirizzata ad una continua ricerca timbrica: accostamenti a dir poco arditi (è il caso dei 12 flauti di Positivo) si mescolano ad organici variabili (addirittura da 1 a 54 esecutori in Variazioni 3 ) e a pezzi "compositi" (è il caso ad esempio di Kardia per archi, fiati, voci le cui parti si possono eseguire separatamente a due, a tre); senza dimenticare i lavori per singoli esecutori che sperimentano le più diverse situazioni: i luoghi, i modi, i tipi delle nuove emissioni, i gesti, la teatralità. Persino lo spazio è fonte di verifica, direttamente connesso alla differente organizzazione del materiale sonoro (cfr. A. Titone, Musicisti italiani alla prima "Settimana" di Palermo, op. cit., pp.38-39): spesso in maniera dichiarata, e più volte in un modo conosciuto soltanto agli "iniziati", gli esecutori vengono disposti nello spazio in modo da formare precise figure geometriche, evidentemente legate ad una conoscenza esoterica. La varietà va di pari passo alla non-linearità di sviluppo riscontrabile nei suoi lavori post-giovanili. Una scelta originale ma anche rischiosa, con il pericolo sempre incombente di incorrere in risultati negativi.
Il momento storico che stava attraversando la musica tra gli anni '50-60, rendeva necessaria la sperimentazione, la ricerca di nuove strade affinché‚ il linguaggio musicale continuasse ad essere «comunicazione» (4). «La "rivolta" contro il linguaggio, che per il D'Amico è tipico dell'attuale avanguardia musicale (ma anche di tutte le avanguardie), è dunque rivolta contro una società e contro il linguaggio di quella società; ma è anche nella linea filogenetica della ricerca della ricerca di originalità, della fuga dal banale tanto maggiore quanto più, dall'altro polo, s'accumula conformismo, cieca sottomissione» (Alea, lingua e interpretazione musicale, «La Biennale di Venezia», XI, n.42, 1961, p.36). Lo sperimentalismo diviene così la cifra della produzione di Guaccero e tocca tutti i punti della sua riflessione critica e della storia creativa dell'avanguardia musicale: i paramentri sonori, la grafia, la manipolazione elettronica e la composizione con il mezzo elettronico, l'alea, il grafismo, il gestualismo, lo spazio, le esperienze extra-colte, il teatro musicale. Persino il rapporto con il pubblico va sperimentato o modificato. Le vie le indicheranno i costanti tentativi. Dalla sperimentazione non si può fuggire: essa è alla base di ogni creazione. Peccato che di essa si sia voluto soprattutto cogliere l'aspetto superficiale, "comodo" e "dissacratorio" della commistione linguistica, perdendone così la carica innovativa. Il problema dello sperimentalismo riconduce così a quello dell'originalità e della "novità". E proprio dallo scritto più interessato alla verifica sociologica, possiamo sottolineare un passaggio chiaramente polemico sul «criterio per giudicare di un compositore consistente in conquiste (Errungenshaftm) di tecnica compositiva e di linguaggio musicale, non nella "originalità" di singole opere d'arte» (Materiali per una verifica sociologica, "Collage", nn.3-4, 1964, p.13).
(b) Quella che Guaccero considera la terza fase dell’avanguardia del secondo dopoguerra si trova di fronte a problemi quali l’alea, l’opera aperta, il gestualismo, la grafia. Ancora una volta la storia è il tesoro a cui attingere. «Ho utilizzato la ricerca storica per giungere a delle conclusioni teoriche o, per meglio dire, di poetica personale, forse utilizzabili da altri» (Appunti teorici sulla grafia musicale, 1977, in D. Lombardi, a cura di, Aspetti della notazione nella musica del novecento 1977, Bologna). In Alea, lingua ed interpretazione musicale (cit., p.36) Guaccero sottolinea la «non-arbitrarietà delle tecniche "aleatorie" […] dimostrabile, oltre che sul piano storico-sociale, anche su quello strettamente sintattico». Prima ancora che nella interpretazione (una «ricreazione interiore dell’opera» e comprensione dei «segni scritti»), Guaccero individua come l’indeterminazione a partire dall’autore, «esiste come tratto sintattico originario». Alla "prevalenza" ed "emergenza" sintattica delle altezze si è sostituita una sempre maggiore considerazione degli altri parametri fino al riconoscimento «dell’ordinamento ritmico, agente sopra le altre dimensioni, come organizzatore nel tempo delle dimensioni fisiche del suono» (ibidem). Più e più volte si è considerato come la serialità integrale contenesse in sè i germi dell’indeterminazione e dell’alea. Ancora in quello scritto Guaccero sottolinea come «nel momento attuale l’interpretazione di opere aperte può avvenire su tre gradi di progressiva libertà: 1) libera interpretazione in opere dal percorso unidirezionale; 2) montaggio di "formanti" (o brevi strutture previste dal compositore in vista del tutto); 3) improvvisazione suggerita da convenzioni grafiche». Naturalmente questi gradi possono «non solo trovarsi compresenti o interagenti», «ma passare ciascuna da un minimo ad un massimo di predeterminazione» (ibidem, p.37). Non dimentichiamo che la funzione della grafia può cessare di essere utile in casi di improvvisazione: «la grafia poteva benissimo essere soppiantata da un preventivo accordo su determinate operazioni, e, per logico trapasso, anche l’accordo logicamente chiaro poteva venir sostituito da eventuali partecipazioni intuitive, mistico-ermetiche per i non iniziati, scambiabili tra gli esecutori-autori» (Appunti teorici sulla grafia musicale, 1977, cit., p.15). Il lato costruttivo dell’esperienza dell’opera aperta sta «nel tentativo di reinteressare l’interprete (e il pubblico) alla creazione dell’opera» (Problemi di sintassi musicale II, cit., p.56). Ma l’opera aperta può anche avere «un valore didattico: formazione di una koinè linguistica, […] tentativo di comporre lo iato fra autore ed esecutore, riunendo per quel ch’è possibile le due caratteristiche in una sola persona. […] Valore didattico e pertanto transeunte, ma anche la possibilità di istituire nuovi tipi d’ascolto e forse non più di ascolto, bensì di partecipazione plurima dei presenti al fatto estetico» (Alea, lingua ed interpretazione musicale, cit., p.37).
Siamo alle soglie del teatro. Le possibilità di riunire in una sola persona più caratteristiche nasce già dal gestualismo, uno degli elementi extra-musicali, come anche il grafismo, su cui si ferma l’attenzione fra gli anni ’50-60. «I problemi del gestualismo implicano non solo il contrappunto di elementi, ma anche la possibilità di riunire il fenomeno sonoro/gestuale in uno stesso esecutore/attore» (Sulla tradizione del teatro musicale, in AA. VV., Op. cit., p.189). Ci si indirizza perciò verso la despecializzazione che «implica l’uscita dal proprio ruolo», «aggiunge un’interezza e completezza all’artista e riporta a tradizioni rimaste sotto traccia». Si riconosce in questo un limite al virtuosismo: «nessuno può essere virtuoso come mimo, attore, cantante, strumentista etc.» pur rimanendolo nel proprio campo. Così come vi è insito il «pericolo di fare tutto mediamente o mediocremente, è il pericolo del dilettantismo» (ibidem). Ma la «poliedricità e la complessità delle esperienze e profondità degli intenti espressivi non danno modo di essere un dilettante!» (ibidem, p.190).
Ritorniamo quindi a quel contrappunto di dimensioni già profondamente esplorato da Guaccero per quanto riguardava la sintassi musicale, che qui si avvale di tutti gli elementi prettamente teatrali e musicali. L’interesse più specifico per il teatro risale agli inizi degli anni ’60. A partire da quel periodo infatti Guaccero ha «esplorato il problemi pratici del gestualismo e del teatro musicale da camera» e l’esperienza fatta attraverso le composizioni e il Gruppo Intermedia, può essere messa a confronto con la "storia", fin dalla "origini" del teatro, ove si scopre che non solo il linguaggio trovava le sua radici nella musica, ma la non-separazione delle arti temporali era la caratteristica fondamentale (principale) del mondo antico. «Questo fenomeno ha la sua radice nella azione rituale che troviamo comunemente come radice nelle azioni teatrali. Per questo anche i rituali tipici delle società e civiltà non solo greca, ma anche di quelle precedenti fino ad arrivare alle cosiddette "civiltà primitive" o originarie, sono stati accuratamente studiati, così come sono state studiate le tecniche e i modi specifici nei quali il suono ha valore iniziatico, di conoscenza e di forza creatrice. Ma bisogna anche qui fare attenzione perché nel mondo dell’arte si può solo rispecchiare il mondo ascetico-esoterico, non c’è rapporto di mezzo e fine fra la metodologia di ricerca ascetico-esoterica e mondo dell’arte. Le "tecniche" del silenzio, della concentrazione, del non-dialogo sono tradizionalmente retaggio del mondo ascetico-esoterico e possono solo di traverso essere trasferite al mondo dell’arte»( Materiali per una verifica sociologica, cit., p.11).
La storia, che riversa sulle nostre spalle tutto il passato, se non vissuta in maniera dialettica provoca un atteggiamento di ricezione e passività, a cui l’arte moderna e l’uomo moderno deve reagire per ritornare all’unità delle origini. Risalendo le varie tappe storiche si scopre come dall’unione delle arti temporali tipiche del mondo antico e delle civiltà originarie, si sia man mano caduti (scivolati) nella scissione e separazione. Il rito sacro a cui l’intera comunità partecipava, in un continuo gioco contrappuntistico in cui erano presenti in maniera estremamente variabile parola, suono, movimento, è all’origine del teatro e si è progressivamente laicizzato fino a diventare rappresentazione di un’azione che gli spettatori paganti recepiscono sempre più passivamente e al solo livello estetico, non più del "fare" (5).
Ma l’emergenza di nuovi parametri nel recente teatro musicale e «il mutamento che sembra verificarsi nella cultura occidentale dall’atteggiamento teoretico, intellettualistico, scientifico, derivante dallo spirito greco, dall’atteggiamento di sperimentazione immediata, di "presenza", nell’evento, di derivazione orientale» significano per la musica «il graduale assottigliarsi del diaframma fra autori e pubblico, la quale bipartizione sembra sostanzializzare l’atteggiamento attivo e quello passivo, […] l’azione e la contemplazione» (Una conclusione provvisoria, cit., p.23).
A cosa può portare questa nuova condizione di pubblico «"sveglio"», attivo «"presente"»? «Quando al limite tutti saranno contemporaneamente autori ed esecutori, si potrà riproporre nell’interno di ogni facitore d’arte la distinzione dei momenti ideali dell’agire e del meditare, anche rapidissimamente sovrapposti. Che quando quei momenti non fossero più reperibili, ciò starebbe a significare o che l’arte si è risolta nella vita e che la struttura mentale dell’uomo, fornita di prospezioni e di retrospezioni, è radicalmente mutata, o che in un dato momento l’uomo ha messo fra parentesi l’arte per sperimentare la presenza diretta dell’Essere» (ibidem).
Un impegno sociale non indifferente: è anche per questo, oltre che per sottrarsi alla politica delle grandi istituzioni che il teatro deve essere estremamente agibile, facilmente trasferibile ovunque e meno costoso (ne sono esempio Le Noces di Stravinskij) e di despecializzazione, ovvero uscita dal proprio limite (anche il virtuosismo può esserlo) del proprio ruolo per sperimentare «principi di tecnica delle singole discipline» che possono suggerire «soluzioni non pensate nella propria disciplina, ampliandone il raggio» (Sulla tradizione tradizione del teatro musicale, in AA. VV. Op. cit., p.190).
«Mi pare anzi che l’utilizzazione organica del suono insieme agli altri elementi contribuisca potentemente all’effetto di straniamento, con tutto il gioco delle ambiguità, della non-corporeità sostanziale dei personaggi. Tutto questo a patto che il suono stesso sia "critico" e non descrittivo o esornativo» (Postilla sul teatro musicale, in AA. VV. Op. cit., p.176).
«Forse la attuale tendenza a far teatro, e teatro facilmente agibile, può avvicinare gruppi più ampi alla nuova musica». «Un’arte nuova […] potrà forse fiorire solo in una nuova società» (Una conclusione provvisoria, cit., p.24). Il teatro di partecipazione è azione essa stessa. La partecipazione dovrebbe essere attiva, e cosciente, spontanea e critica. «Si tratterebbe quasi di una prefigurazione di una nuova società, di una nuova società di uguali […]. La continuità fra arte e vita si porrebbe così come dato positivo e reale e assumerebbe tutte le pratiche attuali che, in maniera sempre più vistosa camminano in questa direzione, il vitalistico, la musica gestuali, dell’improvvisazione, del teatro aperto sino allo happening, all’accadimento quotidiano, teatro vivente» (Postilla sul teatro musicale, in AA. VV. Op. cit., p.177). «Il teatro come azione, che avviene in un luogo chiuso (temenos) può influire sul mondo se si collega strutturalmente con l’esterno, se c’è continuità concreta e solo differenza di grado fra arte e vita, interno e esterno» (ibidem, p.179). L’operare artistico è posto dinanzi a queste precise scelte: teatro d’azione o di "emozione", dialettica e contrappunto degli elementi sonori, visivi e cinetici o supremazia di uno di essi. La scelta si verifica veramente nella pratica: da lì il Gruppo Intermedia di cui parla Lucia Vinardi (cfr. Intervista). Ancora teatro musicale come «opera d’insieme», come continuo spazio-tempo: spazio (gesti, scene, luci) attraversato e trascinato dal tempo (musica e parola). Già nel 1965, con la Compagnia del Teatro Musicale di Roma, costituita insieme a Macchi, Guaccero aveva organizzato numerosi spettacoli basati su esercizi di improvvisazione, vocali, mimici e strumentali.
La capacità di Guaccero di essere nel presente, di vivere il presente ben cosciente e attivo è testimoniata dalla adesione a pressoché tutte le linee di sviluppo che hanno diretto l’operare compositivo di più d’una generazione e che egli elenca in questo modo: «a) la linea che affronta l’organizzazione logica del linguaggio musicale» prima all’interno del sistema tonale-bachiano poi con la serialità integrale: «ciò significa privilegiare il momento della ricerca, più che altro sperimentale, sul suono.» Ne sono testimonianza un pezzo finora sconosciuto e senza titolo, un duo per violino e pianoforte, che utilizza le tecnica dodecafonica e la Partita in stile bachiano. Le seguenti linee sono quelle su cui si è incentrata l’attività del compositore e gli esempi sono attribuibili a l’una o l’altra. «b) la linea che affronta direttamente la ricerca sperimentale del suono, ossia lo studio del materiale sonoro nuovo (elettronica) o relativamente nuovo (la percussione, il rumore), ivi compresi i tentativi per distorcere gli strumenti storici dall’uso corrente (nuove tecniche esecutive, strumenti preparati) - ciò significa privilegiare la ricerca col materiale sonoro su quello dell’organizzazione sintattica; c) la linea che si pone […] in atteggiamento "ricettivo" rispetto agli altri linguaggi musicali» (cita Bartók, Stravinskij, Schönberg, Berg e soprattutto Ives) e ricorda come tra gli anni ’50 e ’60 questa linea fosse fuori moda tranne alcuni suoi pezzi «scandalosi» per poi tornare alla ribalta dalla seconda metà degli anni ’60. «d) la linea che presenta, accanto a eventi propriamente sonoro-musicali, altri eventi "extra", in particolare il gesto e la grafia autonoma - si tratta in particolare di estrarre e porre in rilievo i momenti non-musicali del far musica (i movimenti corporei o gli elementi visivo-grafici)».Possiamo citare in particola i pezzi gestuali (Negativo, Esercizi, etc.) e quelli in cui la "forma" grafica assume un particolare rilievo (Variazioni 2, Variazioni 3, Pentalfa, Klaviatura, Rota). Aggiunge Guaccero: «S’intende che le linee di cui ho parlato non si presentano nella produzione concreta dei compositori che raramente separate l’una dall’altra anche se può ben esserci una preminenza dell’una sull’altra». (Sulla tradizione del teatro musicale, in AA. VV., op. cit., p.183).
E’ lo stesso autore a considerare unitariamente l’aspetto teorico e pratico delle osservazioni sulla grafia musicale, spiegando quali risultati abbia ottenuto nell’uno e nell’altro campo. Nell’ambito della riflessione teorica i risultati della ricerca sulla «musica grafica» si trovano in tre scritti spesso citati dall’autore: L’alea da suono a segno grafico (1961), Per un fondamento critico delle grafie aleatorie (1961) e Contributo alla de composizione (1973) (6).
Nei primi la «musica grafica» viene studiata «come uno degli esiti dell’alea, sia come interscambio con le arti visive sia come conseguenza della crisi del linguaggio post-tonale» (Intervista a Domenico Guaccero, a cura di D. Lombardi, «Visual», I, n.1, 1977, p.2 del dattiloscritto) e viene tentata una classificazione delle grafie storiche «combinando un ordine logico e un ordine storico e tenendo conto delle reciproche ripercussioni fra sintassi e grafia musicale». Con il saggio del 1973 Guaccero considera acquisita e forse conclusa l’esperienza grafica: esaminati in breve «i problemi del rapporto fra linguaggio musicale e non, segno grafico e musica (specie la neue Musik […])» «una volta convenuto sull’importanza della grafia nella nuova musica come momento di ricerca e d’interdisciplina, una volta assunto che il "negativo" era ed è nelle "autonomie non relazionate" ossia negli sviluppi non dialettici in ogni campo […], anche la grafia musicale quando si assolutizzava cadeva nel "negativo"» (ibidem, p.3). Ovvero viene accentuato il carattere primario del "far musica" (della sintassi musicale) sulla grafia «intesa questa come proliferazione, escrescenza, tentativo di uscire dall’impasse della musica d’avanguardia nella direzione di un "altro-dal-suono", la grafia, appunto» (Appunti teorici sulla grafia aleatoria, cit., p.16). La soluzione: «risalire dalla grafia alla sintassi, al linguaggio» fino al ruolo dell’intellettuale che «deve prendere posizione nello scontro fra reazione politico-culturale e forze di rinnovamento» (Intervista a Domenico Guaccero, cit., p.3). Ancora una volta considerazioni sociali.
Dicevamo che anche lo studio della grafia musicale si è svolto non solo in ambito di «riflessione critica», ma anche in quello propriamente compositivo, da un lato con la ricerca di nuovi segni che realizzassero nuove possibilità esecutive, («all’interno di un impianto grafico comune a molti compositori») con i segni indicanti i quarti di tono, i glissati, clusters, etc., sebbene con l’intenzione di ottenere «una certa sistematicità ed evidenza sia del segno grafico, sia del suo rapporto con le operazioni, manuali e percettive che doveva compiere l’esecutore» (è il caso ad esempio della scala delle intensità), dall’altro «nell’ambito di grafie la cui problematica esulava dalla stretta necessità» di quella particolare finalità (ibidem, p.1).
Ma dei due processi che si sono influenzati reciprocamente uno «è il processo di indicare con dei segni grafici delle strutture musicali che posso definire non tanto aleatorie quanto non puntualmente determinate»: è ad esempio il segno unico della grafia sintattizzante omnicomprensiva di diverse indicazioni, come il registro, l’articolazione ecc. Questo segno permette di «raggiungere un equilibrio fra il tanto possibile di "precisione" per eventi sonori non puntuali e una evidenza e globalità sintetica del segno grafico» (ibidem). Il secondo processo a cui fa riferimento Guaccero, «con il quale quello precedentemente descritto ha interagito, è quello di un simbolismo grafico riferentesi alla totalità del pezzo» (ibidem, p.2). Esemplifica con alcuni pezzi di Brown, Cardew e Bussotti, con i quali i lavori di Guaccero hanno in comune «un certo pittoricismo (validità quasi autonoma del pezzo-come-quadro), sia il riferimento preciso a eventi grafici presenti nella storia delle arti visive» (ibidem) e mette in relazione la struttura grafica di Variazioni 2 con Klee. Ma sempre secondo l’autore, queste opere hanno una specificità che consiste: «a) in precise delimitazioni dell’indeterminato (casualità o alea che sia); b) nel rapporto fra grafia e risultato sonoro basato su processi tecnici e razionali e non su suggestioni visive da tradurre in suono per autonome associazioni psichiche; c) in un simbolismo visivo, che in quei lavori trae origine da simbolismi iniziatico-ermetici (e non "mistici"), in modo che l’evento grafico valga per l’esecutore e, ove possibile, per il pubblico, come componente dell’approfondimento del significato dell’opera; in linea di principio la partitura grafica può valere anche di per sé (trasmette lo stesso significato) senza bisogno dell’esecuzione, e potrebbe esserci, all’esecuzione sonora, una sorta di sinestesia audiovisuale, in maniera che suono e visione si integrino vicendevolmente» (ibidem). Un quadro, e tale era quello incorniciato a casa di Guaccero, ed anche un "mandala" su cui meditare, per scoprire attraverso la simbologia rappresentata un ulteriore significato dell’opera. I lavori più schiettamente simbolici (esoterici, di "simbolismo iniziatico") non sono molti: quelli composti tra il ’64 e il ’68, citati dall’autore, Klaviatura, Pentalfa, Variazioni 2, Variazioni 3, Rappresentazione et esercizio, alle quali noi aggiungiamo Rota, quale percorso iniziatico dei tarocchi. Una verifica ancora una volta della "storia", anche se più o meno segreta, nell’esperienza personale, tenendo ben presente che queste composizioni «non volevano essere che la parvenza esterna, quindi intellettuale e razionale, non emotiva, di "conoscenze", che andavano (o andrebbero) sperimentate con tutt’altri strumenti» e tutt’altri luoghi (ibidem, p.4).
«In quei pezzi c’è un’eco del mio interesse per l’esoterismo iniziatico e mi veniva quindi naturale rimandare musica e grafia (la musica-come-quadro) a quella comune matrice simbolica» (ibidem, pp.3-4). In tal senso, sia la grafia che la musica erano eteronome. «Ci tengo a precisare che quei pezzi, con quella grafia, non avevano affatto l’intento, notevolmente mistificatorio in vari pezzi che in anni successivi sono stati scritti di "elevare misticamente" l’uditorio, o di "modificarne gli stati di coscienza", dal momento che tali operazioni, quando si vogliono fare per bene, hanno le loro appropriate e severissime sedi» (ibidem, p.4).
Ancora una volta l’oggettivo e il soggettivo in correlazione; l’interno e l’esterno agenti l’uno sull’altro e l’uno per l’altro. Non si può dimenticare lo schema realizzato in L’"Alea" da suono a segno grafico (in AA. VV., Op. cit., pp.88-89) nel quale alla colonna B) «l’evoluzione dell’esperienza estetica, riferibile a tutte le "persone" operanti lungo l’arco degli eventi musicali è distinta in esperienza interna ed esperienza esterna e il punto di partenza per entrambe è il suono. Ciò vuol dire che per un’esperienza estetica il prius è l’esperienza sensoria più immediata e l’esperienza del suono interno deve sempre riferirsi all’esperienza del suono esterno ossia all’esperienza sensoria del suono. Una volta distinti i due campi di esperienza, interna ed esterna, e una volta assolutizzati, mentre dovrebbero essere mediati (ecco il "riferimento al suono esterno" che dovrebbe mediare interno e esterno), l’esperienza estetica evolve verso una progressiva perdita dell’esperienza sonora, cioè verso l’indistinzione fra operazione mimica e operazione sonora […] e l’indistinzione fra intuizione pittografica e intuizione sonora […]. Il decorso inverso è l’evoluzione della connessione sintattica, la quale parte dallo stadio del comportamento esecutivo, cioè del gesto, prima indistinto, poi più distinto sino al gesto mirante a un esito sonoro, e si fissa in segni grafici (grafia), anch’essi prima indistinti poi più distinti sino alla grafia mirante a far realizzare un preciso esito sonoro. Come per l’evoluzione dell’esperienza il ponte fra interno ed esterno è dato da uno schema preconscio (lo schema trascendentale kantiano? o uno schema gestaltico?), così il ponte fra gesto (operazione per l’esterno) e grafia (operazione per l’interno) è dato dallo schema sintattico o linguistico. Potremmo quindi immaginare una circolazione partente dall’esperienza sensoria del suono e mediata tramite lo schema preconscio, che giunga man mano alla grafia; mentre contemporaneamente l’esperienza del suono interno (sempre mediata tramite lo schema preconscio) si riscarica nel suo esterno, per raggiungere l’esperienza gestuale. Dall’esperienza grafica e gestuale, mediate dallo schema sintattico, si dipartono le linee che riconducono nuovamente al suono, questa volta organizzato sintatticamente. Quando il movimento avviene invece a binario unico, quando cioè l’esperienza estetica vuole prescindere dalla connessione sintattica, allora dal suono interno si giunge alla grafia assolutizzata, passano per diversi stadi intermedi, e dal suono esterno si giunge al gesto assolutizzato […]».
Un ultimo punto a cui fare riferimento è l’interesse agli argomenti a carattere sociale, delineati soprattutto negli interventi pubblici a convegni e dibattiti organizzati da diversi quotidiani e nelle interviste. E se è vero che i temi più espressamente (esplicitamente) sociologici vengono trattati in altri testi (7), vediamo come molto spesso considerazioni squisitamente tecnico-filosofiche danno vita a riflessioni sulla realtà sociale: ancora una volta il problema musicale (di qualunque tipo esso sia) non si insterilisce in un ripiegamento, ma si volge all’esterno, e non di certo in un’attesa messianica, ma in una concreta azione sociale.
I punti di approfondimento quasi sempre ricorrenti: la frattura tra pubblico e musica contemporanea, il ruolo del compositore e della classe intellettuale e politica dirigente, l’azione che i media possono svolgere per favorire l’avvicinamento alla musica "colta" e la funzione determinante della educazione e quindi della scuola. Esemplificativo è l’intervento al dibattito proposto da «Il Paese», nel 1961, fra i suoi primissimi scritti, nel quale Guaccero espone chiaramente e con grande forza quelli che lui considera i motivi e le cause fondamentali della situazione in cui versa la musica contemporanea e soprattutto suggerisce alcune soluzioni, che hanno, ahimé, tuttora la loro validità (Diffondere con i nuovi mezzi prodotti musicali intelligenti a ogni livello, «Il Paese», 16 maggio 1961): «la frattura dalla parte del pubblico verso la musica contemporanea […] non è e non può essere di tutto il pubblico» perché «si può spiegare con l’estrema articolazione di strati diversi e sovrapposti, di cui è composta la massa: ragion per cui vi saranno sempre ascoltatori di differente livello […]. Ed è inutile voler colmare la frattura con queste maggioranze (perché i non-profondi saranno sempre maggioranze), se non nel senso di influenzare indirettamente le loro cognizioni o i loro gusti […]. Non si tratta quindi di proibire la formazione di élites (e di linguaggi di élites), si tratta invece di formare élites (e linguaggi di élites) organicamente legati con stadi a vario livello. Il mezzo più idoneo, per la cultura musicale, a formare e ampliare élites a vario livello è, d’accordo, la scuola musicale per tutti. […] Ma la scuola non può tutto. Direi che non può far niente se la società continuerà a produrre anticorpi efficacissimi per neutralizzare le più lodevoli iniziative». Le case discografiche, i mass media hanno più potere di diffusione di quanta non ne abbiano mai avuta, però bisogna stare in guardia «quando questo rispetto dei gusti del consumatore non diviene il comodo paravento per sottrarsi alla guida della classe diretta, sempre meno beota di quanto non si vuol far credere, o peggio, per coprire ampi movimenti d’interesse non proprio spirituali». L’esistenza di questa frattura «è una constatazione di fatto, che non si riferisce solo al pubblico italiano, sebbene da noi la situazione sia più aggravata dal diffuso analfabetismo musicale». Occorre però dare una definizione di «quello che è produzione e consumo della musica, di quello che si intende o si è inteso per "pubblico" nella varie epoche, del rapporto fra musica di élite e musica di massa, fra musica e civiltà e cultura ecc. Come si vede, una somma di relazioni intricatissime implicanti l’intera storia culturale e civile del mondo contemporaneo». Insomma il volgersi indietro, alla storia, alla riflessione dialettica sui fatti storici, non può prescindere dall’essere presenti in questa società, e da una valutazione della propria azione all’interno della comunità sociale. «Una nuova sintesi linguistica dovrà fondarsi su una nuova sintesi sociale, su una nuova convivenza civile, una convivenza veramente umana e non da lupi bramosi» (Problemi di sintassi musicale II, cit., p.56). Questo senza alcun dubbio il fine ultimo dell’azione di Guaccero e il suo testamento umano. Tutta l’attività speculativa, ideologica, compositiva deve essere finalizzata alla rinascita dell’individuo, della società, dell’espressione artistica che, non essendo più fatto straordinario, diventi essa stessa vita. […]

(2) Troviamo queste parole sia in Rappresentazione et esercizio (1968) che in Il sole e l'altre stelle (1982-83). Per maggiori informazioni cfr. Catalogo delle opere.
(3) Tutti gli argomenti presi in considerazione in questa prima parte vengono affrontati principalmente in Problemi di sintassi musicale I, «Ordini. studi sulla nuova musica», I, n.1, luglio 1959; Prolemi di sintassi musicale II (inedito), 1960; Una conclusione provvisoria, «Collage. Dialoghi di cultura. Rivista trimestrale di nuova musica e arti visive contemporanee», Nuova serie, II, n.1 (7), dicembre 1963. Per i testi raccolti nel volume: AA. VV., di Domenico Guaccero prassi e teoria, Op. cit. , si farà riferimento a questa fonte anziché ai singoli scritti.
(4) «Per il fatto che l'arte [...] vive tra gli uomini, essa istituisce fra di loro una relazione, una comunicazione». Problemi di sintassi musicale II, cit., pag. 51.
(5) Troviamo un accenno ad un'epoca del "fare" in diversi appunti del maestro e supponiamo che si riferisca a quel particolare livello a cui, secondo alcune dottrine, giunge l'uomo che ha superato alcuni stadi del cammino iniziatico e che quindi può intervenire nel "farsi" delle cose.
(6) Postilla sul teatro musicale, «Duemila», II, n. 6, 1966, anche in AA. VV., Op. cit., pagg. 167-179.
(7)
Rispettivamente in «La Rassegna Musicale», XXXI, 1961; «Il Marcatre», n. 6-7, 1964; Atti del Symposium Internazionale sulla problematica della grafia musicale, Istituto Italo Latino Americano, Roma 1972. Questi ultimi due articoli sono stati rupubblicati in AA. VV., Op. cit., pagg. 96-110 e pagg. 111-146. Per altri testi che trattano quegli stessi argomenti rimandiamo alla Bibliografia generale.

 

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