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AL FOLKSTUDIO (sito "SOLEGEMELLO")
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La canzone romana
tradizionale, i cantautori e il Folkstudio
le canzoni di Antonello Venditti dedicate a Roma
di Stefano "Solegemello" stampa
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Er Barcarolo romano Quanta pena stasera.. |
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L'importanza che ha avuto Balzani nella canzone popolare romana è indiscutibile, i brani che ha lasciato sono infatti moltissimi ("L'eco der core", 1926 è un altro di grande successo). Era nato come stornellatore, come uomo di strada; viveva nei vicoli dove esercitava il suo lavoro di artigiano ed aveva un enorme talento nell'inventare stornelli, serenate. Il suo trampolino di lancio fu il tradizionale appuntamento della festa di San Giovanni, dove ogni anno si presentavano tantissime canzoni. Dalla gara musicale usciranno i più bei capolavori dalla canzone romana, non sempre vincitori del concorso: "Le streghe" interpretata da Leopoldo Fregoli (il famoso trasformista) e scritta da Nino Ilari e musicata da Alipio Calzelli nel 1891, "Affàccete Nunziata" (titolo originale “Affàccete”, 1893) di Nino Ilari e Antonio Guida che non vinse ma ebbe straordinario successo specialmente dopo che entrò a far parte del repertorio di Lina Cavalieri e di Ettore Petrolini , "Nina, si voi dormite" (vincitrice nel 1901) di R. Leonardi e A. Marino poi interpretata anche da Luigi Proietti.
Balzani in ogni edizione metteva in lizza circa dieci-quindici brani, e tra queste ce n'era sempre qualcuna che arrivava in finale. Nel '26 ebbe un grandissimo successo con "Barcarolo romano" che vinse al San Giovanni. Era un cantautore molto prolifico e artista poliedrico, fu attore e arrangiatore e fu amatissimo dai contemporanei anche se incompreso dalla critica.
Compone più di mille canzoni, prende parte ad alcuni film, e le sue canzoni vengono inserite, da Pasolini nel film “Accattone” (Barcarolo Romano), e da Bolognini ne “La giornata balorda” (Serenata de Paradiso).
Si fece interprete di una romanità che, nonostante il passare del tempo, possiamo ancora trovare, magari nascosta, nei vicoli e nelle piazze di Roma. Le sue canzoni sono popolate da figure tradizionali come il barcarolo, la fruttarola, l'ostessa, la morara (ovvero la venditrice di more) e figure storiche come il Sor Capanna (clicca qui per alcuni stornelli su "solegemello") (quello degli stornelli), "er Ciriola" (quello del barcone sul Tevere), il Marchese del Grillo, nonché i romani più antichi e illustri nella canzone "Tutti romani")"Nina, si voi dormite"
'Nde 'sta serata piena de dorcezza
pare che nun esisteno dolori.
Un venticello come 'na carezza
smove le piante e fa' bacià li fiori.
Nina, si voi dormite,
sognate che ve bacio,
ch'io v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
L'odore de li fiori che se confonne,
cor canto mio se sperde fra le fronne.
Chissà che ber sorriso appassionato,
state facenno mo' ch'ariposate.
Chissà, luccica mia, che v'insognate?
Forse, che canta che v'ha innamorato.
Nina, si voi dormite,
sognate che ve bacio,
ch'io v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
L'odore de li fiori che se confonne,
cor canto mio se sperde fra le fronne.
Però, si co' 'sto canto, io v'ho svejato,
m'aricommanno che me perdonate.
L'amore nun se frena, o Nina, amate,
che a vole' bene, no, nun è peccato.
Nina, si voi dormite,
sognate che ve bacio,
ch'io v'addorcisco er sogno
cantanno adacio, adacio.
L'odore de li fiori che se confonne,
cor canto mio se sperde fra le fronne.LINK A ROMOLO BALZANI
"La canzone romana": link a "Roma virtuale"
Purtroppo oggi Romolo Balzani non è sufficientemente ricordato sebbene la sua canzone più celebre è nota a tutti. Questa sorta di "damnatio memoriae" probabilmente è dovuta al fatto che egli sviluppò la sua arte durante il periodo fascista e fu tramandato ai posteri con questa etichetta. Tuttavia dalla sua biografia leggiamo che egli non fu assolutamente fascista, era invece uno spirito libero.
La festa di San Giovanni
tratto da: http://www.canzonesangiovanni.it
Subito fuori porta San Giovanni c’erano le acacie, i castagni, i filari di vite, gli orti… insomma era proprio campagna e, il più delle volte, questa campagna entrava in città. Questo era il paesaggio che si presentava agli occhi di chi arrivava a Roma dai Castelli alla fine dell’Ottocento. Proprio in questo contesto sorgevano le numerose osterie (fraschette) e, nella notte del 23 giugno, tutte le fraschette e le casupole del circondario erano adornate come sempre da centinaia di lampioncini di carta. La leggera armatura di piccoli fili di ferro offriva la possibilità di modellarli nelle forme più disparate: serpentelli, zucche e persino piccoli teschi. Ovunque fiaccole e grandi padelle di sego messe ad ardere sopra le mura stavano quasi a significare il confine tra la città e la campagna.
Il cibo d’elezione era rappresentato da un piatto di lumache e, ovviamente, dal vino. Tutto questo condito dalla presenza di piatti con grani di sale e scope di saggina davanti gli usci di casa, dai profumi del rosmarino, dell’aglio, della lavanda (spighetta); dai rumori dei campanacci di coccio, dagli schiamazzi, dai canti e dai balli.
La notte delle streghe ha radici lontane: affondate nella presunta connivenza del serpente biblico con la donna (Eva), esse proseguono fino ad allacciarsi a San Giovanni tramite la figura di Salomè. Questa strega ante litteram, ballò la danza del ventre per ottenere come ricompensa dal patrigno Erode la testa del Battista.
Si credeva che in quella notte le streghe fossero di passaggio a Roma, dirette al “Gran Noce” di Benevento per celebrare il loro annuale Sabba. Ovviamente, tra i popolani si svilupparono una serie di strategie atte a difendersi da esse oppure semplicemente a poterle avvistare. Perciò si mettevano davanti alle porte di casa contenitori pieni di sale grosso, si appendevano scope di saggina, oppure fiori dell’erba Carlina, sapendo che le streghe non si sarebbero potute astenere dal contare i grani di sale, i fili di saggina o i capolini che formano il seme di quel fiore e, perdendo tempo a contare, si sarebbero trovate, a notte inoltrata, a dover scappare via per non mancare al Sabba. Tutto questo senza poter essere entrate nelle case. Le streghe si potevano avvistare, si dice, avendo i piedi immersi in un catino d’acqua, oppure semplicemente scorgendo le loro ombre in volo che si proiettavano solo sugli edifici sacri.
La festa proveniva comunque da un baccanale e quindi l’accostamento con il demonio e la sua corte di streghe era d’obbligo, sia nella tradizione pagana che in quella cristiana.
In questo enorme calderone, dove il sacro e il profano bollivano insieme, è facile scorgere le connessioni tra le corna delle lumache e quelle dei demoni, tra le teste d’aglio sotto gli indumenti e il proteggersi dalle creature del male (pensiamo, ad esempio, ai vampiri), tra le fiamme delle fiaccole e i roghi dell’inquisizione. Le origini della tradizione erano queste, poi con il tempo sfumarono in favore della baldoria, del canto e della spensieratezza.
Avanzando nei secoli, arriviamo al tardo Ottocento e, proprio in questo contesto, sorgeva (tra le tante fraschette fuori porta) l’osteria di Facciafresca: una pergola, tavoli e panche di assi di legno, buon vino e sfizi da mangiare.La nascita del San Giovanni
Si narra che un libraio olandese, autosoprannominatosi (per semplicità verso i romani) Pietro Cristiano, avesse deciso di promuovere un concorso di canzoni romane e che avesse proposto a Facciafresca di poter utilizzare la sua osteria per ospitare la manifestazione. Facciafresca – che, come tutti gli osti, aveva un sesto senso per gli affari – pensò che fosse vantaggioso assecondare la richiesta dell’olandese e quindi accettò. La sera del 23 giugno 1891, tra mille incertezze e qualche incidente, nacque il primo concorso canoro di San Giovanni. Eh sì, perché è proprio il caso di parlare di incidenti. Proprio mentre l’orchestrina si apprestava a suonare le prime note, improvvisamente l’incerto palcoscenico, approntato frettolosamente dagli amici di Facciafresca, cedette mandando a gambe levate i musicisti e il malcapitato presentatore. Il sinistro rumore di legni infranti, corde strappate e imprecazioni, zittì di colpo i numerosi astanti (fino a quell’istante molto chiassosi) e i carabinieri che erano lì a prevenire eventuali disordini. L’unico che continuava sempre più agitato a lanciare improperi contro tutto e tutti (accusando specialmente i “colleghi” osti di avergli fatto il malocchio) era proprio Facciafresca, il quale non si calmava neanche mentre l’olandese in un improbabile romano cercava di tranquillizzarlo.
In realtà non fu tutto perduto. La sera successiva in via De Pretis, al Gran Varietà Orfeo, si ripeté la manifestazione. Tra uno strepitoso successo di folla, vinse l’allora esordiente Leopoldo Fregoli (il famoso trasformista) interpretando la canzone Le Streghe scritta da Nino Ilari e musicata da Alipio Calzelli.
Da allora in poi (e con certezza fino al 1931), dalla gara musicale di San Giovanni, usciranno i più bei capolavori dalla canzone romana, non sempre vincitori del concorso, ne citiamo solo alcuni. Affàccete Nunziata (titolo originale “Affàccete”, 1893) di Nino Ilari e Antonio Guida, non vinse, ma il pubblico decretò il suo straordinario successo specialmente dopo che entrò a far parte del repertorio di Lina Cavalieri e di Ettore Petrolini; Nina, si voi dormite (vincitrice nel 1901) di R. Leonardi e A. Marino, interpretata molto tempo dopo anche da Gigi Proietti; Barcarolo romano (vincitrice nel 1926) di Antonio Pio Pizzicaria e Romolo Balzani, forse la canzone romana più famosa nel mondo e che conta su un vasto numero di incisioni e rielaborazioni; L’eco der core (scritta nel 1926) di Oberdan Petrini e Romolo Balzani, vinse un’edizione successiva del concorso e rimane anch’essa un classico della musica di Roma.
Sor Capanna (clicca qui per alcuni stornelli su "solegemello")
Nel 1934 vengono pubblicati altri brani significativi per la nascente "canzone romana" ovvero 'Signora Fortuna', 'Quanto sei bella Roma' e 'Chitarra romana'. Quest'ultima fu interpretata da Carlo Buti (altri suoi successi saranno "Faccetta Nera", "La piccinina" e "Reginella campagnola") e composta da Eldo Di Lazzaro (autore anche de 'La romanina'); Gianni Borgna, autore di "Storia della canzone italiana", afferma che in tutte le canzoni di Buti c'è un'analisi del rapporto tra città e campagna, la prima viene vista con connotati negativi e come sinonimo di perdizione, di peccato, la seconda come giovialità, cordialità, solarità.
CHITTARRA ROMANA
(Eldo Di Lazzaro, 1934)
Suona suona mia chitarra
non far piangere il mio cuore
senza casa e senza amore
mi rimani solo tu.
Se la voce é un pó velata
accompagnami in sordina
che a bella romanina . .
al balcone non c'e piú. .
QUANTO SEI BELLA ROMA
[1934] (di Bixio,CA-De Torres
Quanto sei bella Roma
quanto sei bella Roma a primavera
er Tevere te serve
er Tevere te serve da cintura,
San Pietro e er Campidojo da lettiera,
Quanto sei bella Roma
quanto sei bella Roma a prima sera.
Gira si la vòi girà,
Canta si la vòi cantà.
De qua e de là dar fiume
de qua e de là dar fiume c'è 'na stella,
e tu nun pòi guardalla
e tu nun pòi guardalla tanto brilla,
e questa è Roma mia, Roma mia bella,
de qua e de là dar fiume,
de qua e de là dar fiume c'è 'na stella.
Gira si la vòi girà
canta si la vòi cantà.
Chitarra romana' è
ormai entrata di diritto nella storia della canzone italiana tanto da
essere interpretata dagli artisti più vari : Luciano
Pavarotti l'ha fatta sua con un arrangiamento vicino alla romanza, Lando
Fiorini(clicca per saperne di
più) l'ha reinterpretata
riuscendo a cogliere con questa canzone il suo primo successo (1972).
Oltre a questi brani manifesto bisogna ricordare, negli anni ’30 “Casetta de
Trastevere” del
trio Del Pelo-Simeoni -Torres
che, con
tono accorato, racconta lo stato d'animo dei romani di fronte ai grandi
sventramenti
urbanistici che cambiano nettamente faccia a Roma: i piccoli borghi, le
antiche stradicciole lasciano spesso e volentieri posto alle grandi
costruzioni
e alle ampie strade volute dal regime.
Così, insieme
alle "casette" vengono estirpati dal tessuto urbano anche i cittadini e
con essi la tradizione popolaresca con il suo patrimonio di stornelli e
di cultura rionale. Ed è per questo che dopo gli anni ’30 ovvero subito dopo i suoi primi vagiti si assiste, ad una decadenza della canzone romana.
Sempre in questo periodo, ovvero a cavallo tra le due guerre possiamo
collocare l'opera di Ettore
Petrolini, passato alla storia
soprattutto come attore, fantasista
e geniale macchiettista, ma in realtà anche autore di famose
canzoni,
quelle legate ai suoi numeri cabarettistici ("Gastone" e "Ma cos'è questa crisi", ad esempio, che Gigi Proietti ha di recente riproposto), ma anche di un classico come
"Tanto pe'cantà"(1932). CLICCA QUI PER
IL TESTO! Quest'ultima ottiene un clamoroso successo di
massa nel 1970 quando Nino
Manfredi, ospite al Festival di
San Remo, la ripropone (il
brano fu anche un grande successo di vendite).
Gli anni
’40 Vedono nascere l'astro di Claudio Villa(railibro.it) : “er
reuccio de Trastevere”. Non si assiste però a una canzone che
prende spunto da un substrato culturale romano, da un ambiente
popolaresco e da un insieme di valori condivisi da una comunità
locale ma piuttosto ad una canzone nazionale condita dalla
straordinaria voce (e dai virtuosismi) del cantante e dalla sua bella
"romanità".
Anche nel decennio
successivo
(gli anni ’50) non abbiamo una vera e propria
"canzone romana"
: la stessa “Arrivederci Roma” (1955) (italianissima.net) composta da Rascel, Garinei e Giovannini che descrive la storia d'amore tra un romano e una
inglese non riesce a descrivere altro che un fondale. La storia
narrata nella canzone avviene a Roma, ma si ha l'impressione che se lo
sfondo fosse stato Napoli, Milano, Firenze, l'ascoltatore non ci
avrebbe fatto troppo caso.
ARRIVEDERCI ROMA
T'invidio turista che arrivi
T'embevi de foro e de scavi
poi tutto ad un tratto te trovi
Fontana de Trevi che tutta per te,
Ce stà na leggenda Romana,
legata a stà vecchia fontana
per cui se ce butti un sordino
costringi il destino a fatte tornà.
E mentre il soldo bacia er fontanone
la tua canzone in fondo é questa qua.
Arrivederci Roma, good by, aurevoir,
si rivede a spasso in carrozzella
e ripenso a quella Ciumachella
che'era tanto bella e che m'ha detto sempre no.
Arrivederci Roma, good by, aurevoir,
mentre 1'inglesina s'allontana
un ragazzinetto s'avvicina
vá nella fontana pesca er soldo
e se ne vá...
La Roma di fine anni
'50
si esprime soprattutto con il teatro, il cinema, l’avanspettacolo e la
rivista.
Questa stagione vede protagonisti due
autori, Garinei e Giovannini, e un grande campositore
Armando Trovajoli (Roma 1917). CLICCA PER SAPERNE DI PIU'.
Sono loro che portano un profondo rinnovamento del genere portando la
formula della
rivista verso la struttura del musical.
La prima vera e propria commedia musicale italiana è infatti Rugantino (1962) , testi di Garinei, Giovannini, Franciosa e Festa Campanile,
musiche, di Trovajoli. Sulla scena arriva dunque la maschera
romanesca del Belli, con
Nino Manfredi nei panni di Rugantino, un giovane "bullo"
della Roma papalina del 1830 che alla fine dello spettacolo muore
sul patibolo (finale tragico decisamente inconsueto per questo genere
di spettacoli).Compagni di Manfredi in questo straordinario spettacolo
sono Lea Massari, Aldo Fabrizi e
Bice Valori. La commedia
musicale approda fra l'altro, anche al Mark Hellinger Theatre di
Broadway. Trovajoli compone le musiche seguendo lo stile dei
motivi popolari dell'Ottocento e introducendo danze, come il
saltarello; Le canzoni che animano lo spettacolo sono diventate
celebri, basti pensare a “Roma non fa' la stupida stasera”(CLICCA PER
IL TESTO), “Ciumachella de Trastevere”(clicca qui !), “È l'omo mio” (clicca qui per questo e
altri testi!). La canzone romana non sembra dunque avere una
sua vita autonoma e sopravvive solo insieme al teatro. Le osterie
tipiche di Trastevere,
dove si possono ascoltare stornellatori e canzoni romanesche diventano sempre
più
rare, come anche le sale da ballo popolari, che invece sono molto
numerose
al nord (le “balere”). E' questa l'epoca del rock ‘n’ roll
e
di altri balli moderni che diventano in breve i preferiti dai giovani
ma
a Roma tardano ad essere introdotti. Ci sono i locali notturni di Via
Veneto
ma sono più che altro il ritrovo delle stelle italiane e
internazionali
del cinema e non sono quindi accessibili alla frequentazione popolare.
Roma
è infatti in questo periodo una delle città più
importanti
nel mondo della pellicola.
Per questo motivo gli artisti romani che si rivolgono alla scena
internazionale (prendendo come modello il rock 'n roll di Elvis
Presley),
come Little Tony (Antonio
Ciacci) e
Boby Solo (Roberto Satti),
riescono
a farsi notare solo quando un artista del nord, un certo Adriano Celentano, “il molleggiato”, comincia a riscuotere i primi clamorosi
successi.
Il boogie-woogie era marginale nel'ambiente romano in cui mancavano i
canali
popolari e piccolo-borghesi di diffusione (oggi con la televisione e
tutti
i mezzi di comunicazione disponibili probabilmente sarebbe impossibile
un
isolamento culturale così marcato).
Nel primi anni
cinquanta
si afferma il disco come
prodotto di
consumo di massa, i giovani
cominciano
ad ascoltare i primi 45 giri, dilaga l'uso delle fonovaligie.
A questa domanda di musica e di dischi che proviene dai giovani,
è necessaria un'offerta robusta, di massa, serve insomma che il
prodotto musicale diventi un fatto industriale. A Roma, in questi anni,
siamo nel 1953, sorge la casa
discografica RCA (Radio Corporation of America) , un'impresa multinazionale che si installa
al 12 km della via Tiburtina (“sulla strada di Pescara”, come
avrebbe detto vent’anni più tardi Francesco De Gregori in “Il signor Hood” 1975 e ancora
Antonello
Venditti in "Robin" 1979
("all'incrocio
della Via Tiburtina fu assalito da una strana nostalgia...").
La scelta di Roma non fu casuale, nella capitale infatti risiedevano
già altre grandi attività industriali orbitanti nel
settore della cultura come la Rai e il cinema. Questa industria
permise la grande diffusione di artisti stranieri che già
avevano una popolarità in Italia come Neil Sedaka, Paul Anka,
Elvis Presley e cominciò a produrre anche "canzoni italiane"
.
Con la fine degli anni 50 e l'inizio dei '60 arrivano alla ribalta artisti di musica
leggera italiana come : Jimmy Fontana, Gianni Morandi, Edorado
Vianello, Rita Pavone, Nico Fidenco, Wilma Goich, Michele, Dino ecc La
Rca si propone soprattutto di produrre artisti nuovi, la Fonit Cetra
(legata alla Rai) produceva invece artisti che avevano esordito in
qualche campo dello spettacolo. Fu questa la grande novità della
RCA e per questo motivo tutti i nuovi cantanti e autori cominciarono a
vedere nell'impresa di Via Tiburtina il punto di partenza
per una carriera musicale. Gli scopi della Rca ovviamente erano
prettamente
commerciali, ma in qualche modo la casa discografia ebbe il merito di
capire
che per l'Italia quello (siamo negli anni del boom economico) era un periodo molto fertile sotto tutti i punti di vista,
anche quello della canzone.
Roma diventa quindi uno dei centri della canzone
italiana
sotto il punto di vista dell'industria discografica. Ciò permise
anche
l'emergere di una nuova "scuola
romana" o come è meglio
dire di un insieme di autori
romani che in questo periodo
trovano il modo di esprimere le loro composizioni.
Siamo nel frattempo alla fine deli anni '60 e in questo periodo i due talent-scouts
della allora
Rca, ovvero Ennio Melis e
Vincenzo Micocci, coniano il
termine "cantautore"(altri produttori o giornalistii rivendicano
questa paternità).
Roma finalmente si è aperta alla
scena musicale internazionale e anche se in misura ridotta cominciano a
circolare le idee e la musica, sono gli anni dei Beatles, degli Stone ma anche della scoperta dei cantautori francesi e americani.
La Roma musicale di questo periodo si
divide in due grandi aggregazioni, la prima si ritrova al "Piper"
(inaugurato nel 1965) dove si formarono Patty Pravo e poi
Renato Zero e dove regna la
musica britannica e americana, una seconda e antitetica è invece
quella
del “Folkstudio” , dove in un'atmosfera molto più
raccolta
e lontana dal pop del Piper e del "Taitan" (altro locale storico
dell'epoca) si riuniscono sensibilità molto diverse di autori.
Al Folkstudio (che possiamo defnire parte del circuito underground dela
città, ovvero quell'insieme di piccoli locali dove ci sono tutti
generi più innovativi e di nicchia), si possono ascoltare in giornate prestabilite spettacoli di blues, spirituals,
soul, canti napoletani, suonatori di jazz , cantautori
folk.
Il Folkstudio era nato nel 1960 per volere di un pittore americano, Harold Bradley e di un chimico italiano Giancarlo Cesaroni, scomparso nel 1999. Inizialmente le adunate avvenivano nei locali di Trastevere.Successivamente si volle trovare un posto per suonare fino a tarda notte senza correre il rischio di denunce penali e venne scelta una cantina di Via Garibaldi dove si riunivano amici del pittore ed artisti e musicisti da tutto il mondo : al futuro Folkstudio fu data la forma del “circolo privato culturale apolitico”. Nel corso degli anni il locale ha subito diversi spostamenti : per qualche tempo fu alla libreria Paesi Nuovi, a Via dei Banchi Vecchi, poi a Via Gaetano Sacchi, da dove, è stato sfrattato, per ritrovarsi in Via Frangipane nelle adiacenze di Via Cavour.
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Al Folkstudio erano rappresentati tutti i generi, c'erano i jazzisti come Mario Schiano e Marcello Melis, Carlo Loffredo, Steve Lacy, Lee Konitz, Don Moye, Gato Barbieri (che nel '79 collaborerà con Antonello, nel brano "Modena"), i ricercatori ed interpreti di musica popolare come Caterina Bueno, il Duo di Piadena (Merli e Chittò), Otello Profazio , Matteo Salvatore, la canzone anarchica , quella politica del Nuovo Canzoniere Italiano (Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea) e di Rosa Balistreri. Ma il locale si apriva anche ad artisti come Albalu, Juan Capra, Sebastiao e Josè Mariano che portavano la loro musica latino americana, i Condores che suonavano misteriose melodie dei paesi andini, Johm Jim and Tina che suonavano musica creativa utilizzando chitarra battente e armonica, Antonio Infantino , anch'egli faceva chitarra battente, Jimi Longhi con la sua voce nasale folk e uno dei primi esemplari di chitarra di plastica.
Passarono per il Folkstudio il primo Guccini del '72 (l'alterego del Folkstudio a Bologna, era costituito dall'Osteria delle Dame), Lolli e Dalla (nel '76), e un'altra serie di personaggi: il suonatore di sitar e compositore Ravi Shankar nel '67, Pete Seeger, Dave Van Ronk, Susan Vega, i Quilapayun, gli Intillimani, Cousin Joe, Pee Wee Whittaker, Albert Nicholas, Luis Nelson, John Renbourn, i Song Project, insomma quasi tutta la musica fuori dal consumo corrente, ma che poi, in moltissimi casi , ha avuto clamorosa e duratura affermazione.
Mitica è l'apparizione al Folkstudio di Bob Zimmerman (Dylan) nel '63, quando il Folkstudio aveva appena visto la luce. Il locale era insomma una fucina incredibile per forgiare nuovi artisti, ricco com'era di generi musicali.
Come si può intuire dai nomi citati, l'ambiente del Folkstudio era molto internazionale e si proponeva come calamita di tutti i generi che transitavano per Roma : al Folkstudio c'era sempre spazio!
Può sembrare strano ma era raro che vi si ascoltassero cose romane, se non le poche volte in cui passavano Gabriella Ferri CLICCA PER LA SUA DISCOGRAFIA ANNI '70 (famosa è la sua interpretazione de "Le mantellate", un brano moderno(del '72) scritto da Strehler in perfetta sintonia con la vecchia canzone romana) e Luisa De Santis o Pippo Franco i quali però erano prevalentemente star dei cabarets ed erano impegnati spesso e volentieri in quell'attività.
Giancarlo Cesaroni ,che aveva preso in mano il locale dopo il ritorno di Harold Bradley in America volle inaugurare una nuova sezione che dedicò alla giovane canzone d’autore, la chiamò "Folkstudio giovani".
In quello spazio si esibirono Antonello Venditti (clicca per leggere i suoi testi "romani" su "Solegemello" ), Francesco De Gregori, suo fratello Luigi Grechi – si tratta del cognome della madre, assunto per distinguersi dal fratello - , Giorgio Lo Cascio, Stefano Rosso, il duo Edoardo (De Angelis) e Stelio (Gicca Palli), Mimmo Locasciulli e poi ancora Rino Gaetano, Gianni Togni, Sergio Caputo e Luca Barbarossa. Altri importanti autori come Claudio Baglioni e Riccardo Cocciante non passarono per il Folkstudio ma ebbero altri trampolini di lancio.
Edoardo De Angelis e Stelio vanno citati per una canzone che entrerà nei classici della canzone romana, “Lella” ( “Te la ricordi Lella quella ricca la moje de Proietti er cravattaro quello che cià er negozzio giù ar Tritone”…)."Lella"
- Un bel testo in romanesco di E. De Angelis, interpretato in duetto con Antonello Venditti. Venditti canta il ritornello della canzone."Lella" scritta da E. De Angelis - Gicca Palli (Edoardo e Stelio) E.De Angelis & A. Venditti Album: Gara di sogni / 1992
Te la ricordi Lella quella ricca
la moje de Proietti er cravattaro
quello che c’ha er negozio su ar Tritone
te la ricordi te l'ho fatta vede
quattr' anni fa e nun volevi crede
che 'nsieme a lei ce stavo proprio io.
Te lo ricordi poi ch'era sparita
e che la gente e che la polizia
s'era creduta ch'era annata via
co' uno co' più sordi der marito...E te la vojo di' che so' stato io...
so' quattr'anni che me tengo 'sto segreto
te lo vojo di' ma nun lo fa' sape
nun lo di' a nessuno tiettelo pe' te.....Je piaceva anna' ar mare quann'è inverno
fa' l'amore cor freddo che faceva
però le carze nun se le tojeva
A la fiumara 'ndo ce sta' er baretto
tra le reti e le barche abbandonate
cor cielo grigio afacce su da tetto
'na matina ch'era l'urtimo dell'anno
me dice co'la faccia indifferente:
me so' stufata nun ne famo gnente
e tireme su la lampo der vestito...E te la vojo di' che so' stato io...s
o' quattr'anni che me tengo 'sto segreto
te lo vojo di' ma nun lo fa' sape
nun lo di' a nessuno tiettelo pe' te.....Tu nun ce crederai nun ciò più visto
l'ho presa ar collo e nun me so' fermato
che quann'è annata a tera senza fiato...
Ner cielo da 'no squarcio er sole è uscito
e io la sotterravo co' 'ste mano
attento a nun sporcamme sur vestito.
Me ne so' annato senza guarda' 'ndietro
nun ciò rimorsi e mo' ce torno pure
ma nun ce penso a chi ce sta la' sotto...
io ce ritorno solo a guarda' er mare...E te la vojo di' che so' stato io...
so' quattr'anni che me tengo 'sto segreto
te lo vojo di' ma nun lo fa' sape’
nun lo di' a nessuno tiettelo pe' te...
Ma oltre al duo Edoardo e Stelio gli esempi di canzone in lingua romanesca anche in questo periodo furono ben pochi e quindi la definizione di “scuola romana” della canzone d’autore, appare inadeguata, perchè non ci fu un "uso programmatico" e rigoroso del dialetto o una citazione nelle canzoni della realtà urbana di Roma. L’unico cantautore del Folkstudio che si rifaceva alla canzone romana tradizionale era il trasteverino Stefano Rosso, nelle sue canzoni possiamo trovare ironia (aspetto tipico del carattere romano), analisi delle proprie radici , senza mai nessuna indulgenza al pittoresco. Rosso è quindi in definitiva il cantautore che possiamo maggiormente avvicinare alla canzone romana delle origini : “Casetta de’ Trastevere”, “Nannì” e “Barcarolo romano”.
Una bella
pagina
della canzone dialettale romanesca è stata sicuramente scritta
da
Franco Califano clicca per sapene di più , autore che tuttavia si è
distinto
anche nella canzone in lingua. Ha all’attivo dal '72, anno
dell'esordio,
venti album (uno dei suoi brani più famosi è "Tutto il resto è noia") e tante canzoni di successo scritte per
altri,
quali : "La musica è
finita"
e "Una ragione di più"
interpretate
da Ornella Vanoni ; "E
la
chiamano estate" cantata da Bruno Martino ; "Minuetto" e "La
nevicata
del ‘56" diventati cavalli di
battaglia
di Mia Martini. Non va dimenticata "Semo gente de borgata"–1972,
F.Califano-M.Piacente, Ed. Melodi/Vianello/Micocci Dischitalia
Nell'ambito della canzone
popolare bisogna poi citare "Il
canzoniere del Lazio", costituito
nel '70-71, di cui facevano parte, nella prima formazione, Piero Brega, Carlo Siliotto (il quale collaborerà tra gli
altri con Antonello
Venditti), Francesco
Giannattasio,
Sara Modigliani , questo gruppo
darà
voce alla tradizione dei canti tipici delle altre province del Lazio.
Sara
Modigliani continuerà poi il suo percorso con il gruppo "La
piazza"
è andrà a riscoprire la tradizione romana : Romolo
Balzani.
vai ai testi "romani" di Antonello Venditti
Tra i pochi che
usavano
il dialetto al Folkstudio ci fu Antonello
Venditti(clicca per leggere i suoi testi "romani"
su "Solegemello" ) . Nei
suoi primi
lavori apparivano poi riferimenti abbastanza chiari a Roma: “Sora Rosa”, “Brucia Roma”, “Roma capoccia”,
"E li ponti so' soli", “A Cristo”, “Piazzale degli eroi”, “Campo de’
fiori”. E' però vero (e ciò lo si
può dedurre dallo sviluppo della carriera di Antonello Venditti)
che per lui l'uso del dialetto non è un qualcosa di
irrinunciabile, anzi , ad un certo punto lo abbandona del tutto
perchè la sua dimensione diventa sempre più quella del
cantautore conosciuto dal Nord al Sud della penisola. Avverte quindi
l'esigenza di liberarsi di limitazioni regionalistiche e cantare in
lingua (dopo l'album "Quando verrà Natale" con "A Cristo" non
troveremo infatti in nessuno dei suoi album l'uso del romanesco). Ed
inoltre, anche laddove i titoli possono far pensare a una
canzone "romanesca", in realtà quei brani possiedono una valenza
universale
e sono conosciuti da tutti (a "San Siro", Milano, nel 1992,
uno
stadio intero canterà a squarciagola "Roma capoccia" e
Grazie Roma").
(BIBLIOGRAFIA: Maurizio Macale - Antonello Venditti-dal sole di Roma capoccia al cuore di Palermo, editore Bastogi)
"La canzone romana": link a "Roma virtuale"
Le
canzoni di Antonello Venditti dedicate a Roma
di Stefano Solegemello
vai ai testi "romani" di
Antonello Venditti
Tutti i cantautori italiani
hanno
espresso nelle proprie canzoni il loro appartenere ad una città.
Ognuno di essi ricava dalla propria realtà
caratteristiche indelebili: Enzo
Jannacci prende dall'ambiente
milanese il suo stare sulla scena,
Roberto Vecchioni, Giorgio Gaber e Fabio Concato
subiscono un influsso minore dalla realtà
locale, eppure presente. Lo stesso Pino Daniele compie
nelle
sue canzoni una fusione tra la canzone napoletana, quella mediterranea
e
blues. Ma anche Gino Paoli, Fabrizio De Andrè, Ivano
Fossati, infondono il carattere della loro
città nelle canzoni.
Similmente, nel loro rapporto con Bologna e con l’Emilia Romagna, Francesco Guccini, Pierangelo Bertoli, Lucio
Dalla, Claudio Lolli e Luca Carboni trovano
uno scenario di massima in cui riflettersi.
Ma in nessun cantante-autore è
così
forte il rapporto con la propria città (Roma e nel suo caso
specifico
anche la squadra di calcio) come nelle canzoni di Antonello Venditti .
In quasi tutti i dischi di Venditti compare con varie
tonalità di colore Roma, che siano quelle arancio-rosse della
meravigliosa "Roma capoccia" o quelle cupe
e gelate di “Dove” (il protagonista-cantautore viene descritto aggirarsi in
Trastevere cercando se’ stesso e l’amata), o quelle realistiche di una
città addormentata “quanno er Tevere sogna” (in “E li’ ponti so’ soli”,
in cui nella figura della anziana “gattara” possiamo scorgere il volto
stesso di Roma, un volto antico e morente).
Altre pennellate d'autore sono riscontrabili nel
ritratto generazionale di “Campo
de’ fiori” , in “Piazzale degli eroi”,
dove oltre al tema sociale, affrontato fotografando i ricchi abitanti
del quartiere Prati c'è anche quello politico. Ma la Roma
di Venditti è anche quella piena di sole e felicità
de “Ma che bella giornata
di sole”, una città finalmente baciata
dalla tanto desiderata Liberazione (in “questa giornata senza
morti”, si spande per le strade un profumo di limone), quella serale,
spensierata del quartiere di San Lorenzo in “Scusa devo andare via”.
Roma è ancora protagonista in “Sora Rosa”. Come non
vedere in questa canzone il classico moto di ribellione popolare
e il tagliente spirito dissacratore che alberga il cuore di ogni
romano?
L’ironica e irriverente “Brucia Roma”, mostra invece il
rapporto di amore-odio di Venditti con la città, mentre “A Cristo”, altra
canzone di ambiente e di dialetto romanesco, è l’occasione per
una disamina politica e sociale (con il tono dell’ironia e del
paradosso);
Antonello ci parla di storia e di mito in “Attila e la stella”,
in cui
il re degli Unni rimane stregato dalla bellezza della città e
decide
di non distruggerla (così racconta la leggenda!);
Roma è poi vista da Venditti come meta
dell'allegorico viaggio dei cantautori verso la credibilità (“Bomba o non bomba”) e
come ambientazione dei ricordi di scuola e di università (“come
i pini di
Roma, la vita non li spezza”- "Notte
prima degli esami". Ed ancora : “Giulio Cesare”, lo
storico liceo romano frequentato dal giovane Antonello, e la bellissima
“Qui”,
canzone emblematica, dove l’aspetto politico si fonde a quello
sentimentale. La canzone rievoca un amore giovanile legato al ricordo
di “Valle Giulia”(vi sorge la facoltà di Architettura) , luogo
storico dell ’68 romano.
Roma, città dalla “strana atmosfera”,
è anche un luogo di incontro ”noi ti aspettiamo a Roma”( “Non è la cocaina”) dove puoi incontrare ragazze abbronzate ad
Ottobre (“Ma
le ragazze di Roma, abbronzate ad Ottobre volano leggere sui loro amori
dimenticati…”,
“Le ragazze di Monaco”) .
Il rapporto con la città è talmente forte
che Antonello la rivede anche quando è lontano: "Torino è
l’altra faccia della stessa Roma”) . Ma nella
capitale non c'è
solo poesia, cuore, divertimento, Roma è anche la sede del
potere
politico e residenza di spregiudicati profittatori (“L’ottimista”)
Ma è un attimo, e allora via per le grandi ville
e i superbi ponti (“Io esco di casa ed è già mattino e
Villa Borghese è ancora un giardino”, “mi fermo sul ponte…”) : "C’e’ un cuore che batte nel cuore…", e ancora per le grandi piazze piene di proteste e
disillusioni (“A San Giovanni stanotte la piazza è vuota” , Dolce Enrico),
aspettando un giorno di sole ( “Andremo a passeggio per le strade
del centro fino a Piazza
Navona”, “Tutti all’inferno” “e come è calda Roma in questo fine primavera”,
“V.A.S.T.”).
In definitiva, Roma è per Antonello Venditti,
una terra di sole e di sogni (“E’ ritornato il sole dentro me, e
l’anima è leggera come se….” “Sognavo questa Roma e Roma
c’è), “Che c’è”.
Antonello coniuga il suo amore per la capitale in tutti i suoi
aspetti. Non può mancare quindi il calcio con le
conseguenti dichiarazioni d'amore per la squadra del cuore ( “Grazie Roma”, “che ci
fai piangere ed abbracciarci ancora”) diventata l’inno
sportivo ufficiale della Curva Sud dello Stadio Olimpico e di tutti i
tifosi
giallorossi. E molti anni prima, nel 1975, c'era stata “Roma Roma Roma ”(non si discute si ama), dove le pennellate sono di due colori inconfondibili:
giallo
e rosso.("t'ho dipinta io, gialla come er sole , rossa come er core
mio...").Tale
passione viene testimoniata anche con atti concreti : Antonello
organizza
al Circo Massimo un mega-concerto in occasione della
vittoria
dello scudetto da parte della Roma nel 1983 (durante questo evento
Venditti
esegue anche “Circo
Massimo” una canzone composta appositamente per
la serata…"luna sola su
nel cielo, guarda…siamo il 100.000!")
L’anno dopo ci fu il bis, per la finalissima di coppa
dei Campioni con il Liverpool, e anche se la Roma non ne uscì
vincitrice , l'appuntamento live gratuito fu lo stesso un bellissimo
incontro di emozioni e canzoni. La serie dei concerti al Circo Massimo
troverà un seguito nel 1992 in una giornata contro il razzismo e
il 24-6-2001 in occasione della festa per il terzo scudetto della Roma;
una folla di quasi un milione di
persone accorre al Circo Massimo, dove Antonello Venditti canta per la
prima
volta una nuova canzone dedicata a Roma e alla Roma: “Che c’è” -
Antonello a proposito del suo rapporto con Roma così risponde a
Maria Laura Giulietti nell’intervista apparsa sul numero 3 del 1986
della
rivista di musica solo italiana “Blu":
“Sono
legato a Roma ma molto meno di quanto si creda, cioè Roma
è
una città che mi soccorre, è il valore supremo, alcuni si
rivolgono
a Dio, altri all’amore, io ho Roma, è una parola che mi
riempie…La
mia è una Roma spirituale, che non ha niente della cartolina, io
tento
di essere romano in maniera diversa, non perdono certi atteggiamenti
tipicamente
romani, ma le voglio bene, credo che con le mie canzoni Roma sia stata
più amata…Spesso nella mia Roma gli altri vi vedono anche la
loro città, Milano, Caltanissetta, insomma la città del
proprio cuore.”
Antonello ci ha indubbiamente regalato immagini di Roma splendide, una
Roma piena di cordialità e accoglienza, una Roma che va
scomparendo
nei fumi della metropoli di oggi.
A lui va
indubbiamente il merito di aver saputo rinverdire la canzone
romana e averla saputa portare a livello nazionale. Nelle sue grandi
canzoni, "Roma capoccia" su tutte, la capitale perde i contorni della
realtà locale per assumere quelli di città universale,
aperta a mille incontri e a mille culture, lo stesso Venditti , molti
anni dopo "Roma capoccia" dirà: "Ho fatto un sogno e l' ho
chiamato Roma, il tuo segreto io lo so qual'è, forse nella
gente che ogni giorno sceglie te e che orgogliosamente quel che
sarà sarà, ti può dire 'Adesso sei la mia ...
città."(Ho fatto un sogno, Antonello Venditti - "Antonello
nel paese delle meraviglie",1997)
di Stefano "Solegemello"
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tutti i testi delle canzoni "romane" di Antonello Venditti
testi "romani" Antonello Venditti - parte 1
testi "romani" Antonello Venditti - parte 2
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